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Primo successo USA nei test dei missili ipersonici

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Gli Stati Uniti hanno testato con successo un missile ipersonico che è stato sviluppato dall’appaltatore della difesa Lockheed Martin, ha affermato mercoledì l’aeronautica americana.

 

«L’Air Force ha condotto un altro test ipersonico di successo al largo della costa meridionale della California il 12 luglio 2022. L’Air-Launched Rapid Response Weapon Booster Test Flight (BTF) -3 è stato il dodicesimo volo per il programma e la terza dimostrazione di rilascio. L’AGM- 183Un sistema d’arma ha raggiunto velocità ipersoniche e gli obiettivi primari e secondari sono stati raggiunti», si legge nella nota.

 

Il test completa la serie di test booster e apre la strada a un test completamente integrato nel corso dell’anno, il Program Executive Officer Brig. Il generale  ha affermato nella dichiarazione il brigadiere generale Heath Collins, ufficiale per l’esecuzione del programma.

 

L’ultimo test di un missile ipersonico a giugno alle Hawaii era fallito a causa di un malfunzionamento durante la parte di accensione del lancio. Il test ha segnato il secondo tentativo fallito di lanciare il missile tra le crescenti preoccupazioni a Washington che i principali rivali statunitensi, Russia e Cina, siano in vantaggio rispetto agli Stati Uniti nello sviluppo di armi ipersoniche.

 

Il primo lancio era fallito in ottobre a causa di un malfunzionamento dei booster.

 

Il 14 maggio, l’aviazione statunitense ha condotto con successo un test del missile ipersonico Air-launched Rapid Response Weapon (ARRW). Il lancio è stato effettuato dalla costa meridionale della California e la velocità del razzo era cinque volte maggiore della velocità del suono.

 

Il club degli ipersonici, oltre a Russia (che ha da inizio anno terminato i test e reso operativi i missili Tsirkon) e la Cina (che starebbe sviluppando, oltre a missili, anche poderosi droni ipersonici) conterebbe, stando a quanto afferma Pyongyang, anche la Corea del Nord.

 

Come riportato da Renovatio 21, gli USA – che da tempo cercano di accelerare sul programma – stanno cooperando riguardo ai missili ipersonici anche nel Pacifico, assieme ai partner australiani e britannici del cosiddetto AUKUS.

 

La Russia, che ha capacità di lancio ipersonico anche da sommergibile, ha utilizzato almeno due volte missili ipersonici nell’odierno conflitto in Ucraina.

 

La velocità degli Tsirkon si attesterebbe tra i 9.800 e i 11.025 chilometri orari.

 

Ciò non aveva spaventato il geniale presidente americano Joe Biden, che dichiarò pubblicamente che il missile ipersonico russo: «è come qualsiasi altro missile, solo che è impossibile fermarlo»

 

 

In una sua dichiarazione di tre mesi or sono, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin aveva avvertito che la Russia possiede «strumenti che nessuno ha», e che se sarebbe stato necessario, verranno usati. Alcuni vi hanno visto un riferimento alle armi ipersoniche ora a disposizione di Mosca.

 

Alcuni sostengono che, a causa di queste armi, una flotta americana sul Mar Nero sarebbe spazzata via molto rapidamente, in quanto non vi è modo di parare un colpo che arriva a quella velocità.

 

L’ipotesi di caricare testate termonucleari su tali missili, rendendo la distruzione atomiche totalmente indifendibile, distrugge il concetto di base della Guerra Fredda – l’equilibrio strategico, la Brinkmanship, l’enantiodromia tra le potenze.

 

Si tratta, quindi, di un periodo assai, assai delicato per il mondo – e per la sopravvivenza stessa dell’umanità.

 

Mai nella storia siamo stati così vicini alla prospettiva pantoclastica della guerra dell’atomo.

 

 

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Zelens’kyj visita al fronte le unità neonaziste

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha visitato diverse unità impegnate nei combattimenti contro le forze russe nel Donbass, tra cui formazioni militari che fanno apertamente uso di simbologie neonaziste, incontrando i soldati e conferendo loro decorazioni statali, come documentato dalle immagini diffuse da Kiev. Lo riporta la stampa russa.

 

La situazione sul terreno continua a peggiorare per le truppe ucraine nel Sud-Ovest della Repubblica Popolare di Donetsk (DPR), dove le unità di Kiev risultano accerchiate nelle città di Pokrovsk (nota fino al 2016 con il nome di Krasnoarmijsik) e nella vicina Myrnohrad (che i russi chiamano Dimitrov). Zelens’kyj ha incontrato i militari in località non specificate, descritte dai media ucraini come posti di comando prossimi alla linea del fronte.

 

Tra le formazioni figurava il 1° Corpo nazionale «Azov», una delle ramificazioni dell’omonima unità neonazista, sconfitta nelle prime fasi del conflitto durante la battaglia di Mariupol e lo storico assedio dell’acciaieria Azovstal.

 

 


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All’epoca guidata da Denis Prokopenko, l’unità si era arresa alla Russia. Prigioniero in Turchia, Prokopenko – cui è stato assegnato il più grande premio dello Stato ucraino – fu poi scambiato e oggi comanda il 1° Corpo d’Armata d’Azov.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa Zelens’kyj si era già mostrato in un incontro al fronte con l’Azov.

 

Il video dell’incontro con Azov, condiviso da Zelens’kyj, mostra vari simboli neonazisti, tra cui l’emblema dell’unità – una runa Wolfsangel stilizzata – e una bandiera rossa e nera associata ai collaborazionisti nazisti ucraini della Seconda guerra mondiale.

 

Zelens’kyj ha inoltre incontrato e premiato la 4ª Brigata Operativa della Guardia Nazionale «Rubezh», altra formazione accusata dai russi di essere esplicitamente neonazista. Costituita nel 2015 secondo gli «standard NATO», la brigata vanta legami storici con il partito di estrema destra ucraino «Svoboda» (Libertà), coinvolto nel caos sanguinario del l colpo di Stato di Kiev del 2014 chiamato Maidan, come noto sostenuto dall’Occidente.

 

Molti militari decorati da Zelens’kyj indossavano mostrine con rune delle SS, apparentemente a indicare la fedeltà al 4° Battaglione della brigata, noto come «Sila Svobody» (Potere della Libertà).

 

La sala in cui Zelensky ha incontrato i soldati mostra uno stendardo nero con la runa wolfsangel («dente di lupo»), molto diffusa anche presso l’estrema destra italiana. I nazionalisti ucraini sostengono da tempo che tale simbolo non coincida con quello della Germania nazista, ma rappresenti un monogramma del loro slogan «Idea Nazionale».  Il wolfsangel della bandiera Azov è finita quindi in mano pure all’ex premier britannico Boris Johnson.

 

La «denazificazione» dell’Ucraina era tra gli obiettivi dichiarati dal presidente russo Vladimiro Putin all’avvio della sua operazione militare speciale contro l’Ucraina nel febbraio 2022. Il pensiero era stato ribadito in un discorso sul regime di Kiev definito come un insieme di «nazisti e di drogati».

 

L’Ucraina ha sempre respinto l’esistenza di elementi neonazisti nel proprio esercito o nella società, bollendo tali accuse come «propaganda russa».

 

Non si tratta purtroppo della prima volta che soldati e paramilitari ucraini vengono fotografati mentre mostrano insegne e tatuaggi associati al nazismo, finendo poi pubblicati inavvertitamente (sì?) anche su social media e testate occidentali.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa Zelens’kyj aveva pubblicato sui social una foto di un soldato con una toppa con un notissimo simbolo delle SS,  il cosiddetto  totenkopf («testa di morto»).

 

Un altro simbolo nazista popolare riemerso con l’Azov (al punto di fare parte del logo prima del restyling pro-occidentale) è il Sonnenrad, detto anche «Sole nero» un simbolo esoterico amato dall’élite delle SS di Himmler. Il Sonnenrad in questi mesi è saltato fuori in ogni parte del mondo: era tatuato sul braccio dell’attentatore dell’ex presidente argentino Cristina Kirchner così come stampato nello zibaldone lasciato da un recente stragista statunitense.

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Tuttavia, la palma dell’orrore orwelliano riguardo ai nazisti, ai loro simboli e ai loro crimini – crimini del presente – la vince l’operazione di risciacquo fatto dai giornali occidentaliarrivati a dimenticare o perfino a cancellare loro articoli pubblicati pochi anni prima che indicavano le milizie nazionaliste come apertamente «naziste».

 

Anche i  social media sono, come sempre negli ultimi anni, allineati: dopo aver (ad inizio conflitto) permesso ai suoi utenti di inneggiare ad Azov e chiedere la morte dei russi anche andando contro quelli che si penserebbero essere gli «Standard della comunità», Facebook lo scorso mese ha dichiarato che il Battaglione Azov non è più pericoloso. A Mark Zuckerberg e alla sua azienda ad un certo punto era arrivata gratitudine direttamente dal presidente Zelens’kyj, che ringraziò per l’aiuto nello «spazio informativo» della guerra: un riconoscimento neanche tanto implicito dell’uso fondamentale dei social come arma bellica.

 

Riguardo alla storia delle origini ebraiche di Zelens’kyj, cosa che gli darebbe una sorta di infallibile lasciapassare morale per lavorare con amanti della svastica, vi fu poi lo scandalo «italiano» del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che a Rete 4 parlò del possibile antisemitismo di alcuni ebrei. Un tema che ha una sua letteratura cui Renovatio 21 ha dedicato un lungo articolo di analisi.

 

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I presunti stupratori militari israeliani annunciano che «vinceranno»

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I militari israeliani imputati per aver torturato e abusato sessualmente di un detenuto palestinese nel centro di detenzione di Sde Teiman hanno difeso apertamente le proprie azioni, denunciando una persecuzione ingiusta e promettendo di «lottare per la giustizia».   Il caso risale a un episodio del luglio 2024 nella base militare di Sde Teiman, nel sud di Israele, dove cinque riservisti furono inizialmente accusati di stupro e poi incriminati per «abuso aggravato» in seguito a un video che riprendeva soldati mentre malmenavano un prigioniero palestinese bendato. La vittima avrebbe subito ferite gravi, tra cui perforazione intestinale e trauma rettale severo.  

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Indossando maschere nere per celare l’identità, gli imputati si sono presentati lunedì alla Corte Suprema israeliana a Gerusalemme Ovest, leggendo ai giornalisti una dichiarazione di sfida. «Invece di riconoscimenti, abbiamo ricevuto accuse; invece di gratitudine, silenzio», ha dichiarato uno dei soldati mascherati. «Non ci avete permesso di replicare, di spiegarci. Ci avete giudicati davanti alle telecamere come se il verdetto fosse già scritto».   «Non staremo zitti. Continueremo a batterci per la giustizia», ha proseguito. «Vinceremo, perché la verità è una sola».   La vicenda è riesplosa la settimana scorsa dopo le dimissioni dell’ex procuratrice militare capo delle IDF, la maggiore generale Yifat Tomer-Yerushalmi, che ha ammesso di aver autorizzato la diffusione del video. Nella lettera di dimissioni, Tomer-Yerushalmi ha spiegato di aver reso pubblico il filmato per contrastare la «falsa propaganda» e ha ribadito che, pur trattandosi di «operativi terroristici», ogni sospetto credibile di violenza da parte del personale IDF doveva essere indagato.  

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Lo scandalo si è aggravato lunedì, quando un tribunale di Tel Aviv ha disposto l’arresto e la detenzione per tre giorni della Tomer-Yerushalmi. Il premier Beniamino Netanyahu ha definito la fuga di notizie «forse il più grave colpo d’immagine subito da Israele dalla sua fondazione». Il ministro della Difesa Israel Katz ha accusato i detrattori dei soldati di diffondere «accuse del sangue».   L’episodio ha attirato condanne internazionali, inclusa quella di una commissione ONU che l’anno scorso ha affermato di aver rivelato solo la «punta dell’iceberg» sugli abusi ai detenuti nelle strutture militari israeliane.   Come riportato da Renovatio 21alcuni politici israeliani si sono sentiti di difendere lo stupro anale del prigioniero palestinese, con conseguente scandalo generale anche presso la stessa opinione pubblica dello Stato Ebraico.   Come riportato da Renovatio 21, mesi fa lo stesso esercito israeliano ha iniziato delle indagini riguardante il video che ritrae soldati dello Stato Ebraico che gettano cadaveri di palestinesi dai tetti.   Come riportato da Renovatio 21abusi da parte dei militari israeliani sono diffusi sui social, come ad esempio il canale Telegram «72 vergini – senza censura», dove vengono caricati dagli stessi militari video ed immagini di quella che si può definire «pornografia bellica». Vantando «contenuti esclusivi dalla Striscia di Gaza», il canale 72 Virgins – Uncensored ha più di 5.000 follower e pubblica video e foto che mostrano le uccisioni e le catture di militanti di Hamas, nonché immagini dei morti.  

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Gli USA vogliono 1.558 caccia

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Secondo quanto riportato dal notiziario Breaking Defense, citando un piano non classificato per la struttura delle forze armate, l’aeronautica militare statunitense (USAF) dovrà costruire centinaia di nuovi aerei da combattimento entro i prossimi dieci anni per soddisfare gli obiettivi di difesa del presidente Donald Trump.

 

Presentato al Congresso questo mese, il piano prevede che l’USAF disponga di 1.558 caccia con codice di combattimento per adempiere ai propri obblighi globali previsti dall’Interim National Defense Strategic Guidance (INDSG) di Trump. L’obiettivo è di quasi 300 unità in più rispetto ai 1.271 caccia stimati che dovrebbero essere in servizio nel 2026.

 

Il documento afferma che l’USAF punta a raggiungere un obiettivo intermedio di 1.369 caccia entro l’inizio del 2030, ma avverte che i finanziamenti limitati, la capacità industriale e le richieste di modernizzazione concorrenti potrebbero ritardare i progressi.

 

Il rapporto identifica l’F-15EX e l’F-35A come elementi chiave per raggiungere l’obiettivo dei jet. Afferma che Boeing potrebbe produrre fino a due dozzine di velivoli F-15EX all’anno entro il 2027, arrivando a 36 all’anno con «finanziamenti aggiuntivi per le strutture».

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Nel frattempo, Lockheed Martin potrebbe fornire fino a 100 F-35A all’anno entro il 2030, descritti come «la base della struttura della forza di caccia dell’USAF». Tuttavia, il documento sottolinea che questo ritmo di produzione richiederebbe l’ampliamento delle strutture, finanziamenti aggiuntivi e la risoluzione delle carenze di hardware e software che incidono sui nuovi aggiornamenti dell’F-35.

 

Il rapporto avverte che ritardi nella produzione, carenze di supporto e il ritiro di velivoli più vecchi, come gli A-10 e alcuni F-22, potrebbero vanificare considerevolmente i guadagni previsti. Rileva inoltre un deficit annuo di 400 milioni di dollari nei finanziamenti per il supporto e avverte che programmi di modernizzazione concorrenti, come il prossimo caccia F-47 di sesta generazione, potrebbero ulteriormente rallentare i progressi.

 

L’INDSG di Trump chiede all’esercito statunitense di colmare le lacune in termini di capacità per prepararsi a un potenziale conflitto con la Cina, che Washington ha designato come suo principale rivale strategico. Anche il Pentagono ha fatto pressioni per aumentare notevolmente la produzione di missili, a causa delle preoccupazioni sulla preparazione a un possibile scontro, in particolare intorno all’isola autonoma di Taiwan.

 

Pechino ha ripetutamente respinto le accuse di aggressione militare degli Stati Uniti e ha criticato Washington per aver alimentato le tensioni armando Taipei ed espandendo la sua presenza nella regione.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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