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Minatori trovano uno scarafaggio di 40 milioni di anni. Quanto siamo vicini al Jurassic parco?

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Uno scarafaggio fossilizzato, risalente a un’età stimata tra i 35 e i 40 milioni di anni fa, è stato scoperto in un pezzo d’ambra nella regione russa di Kaliningrad. Lo riporta la stampa russa.

 

L’esemplare è stato rinvenuto durante la selezione manuale presso il Kaliningrad Amber Combine, un impianto gestito dal gigante tecnologico Rostech, ha annunciato giovedì l’azienda.

 

L’insetto è racchiuso in un pezzo di ambra di 41 millimetri per 21 del peso di 7 grammi. Rostech ha notato che lo scarafaggio è conservato vicino alla superficie dell’ambra, consentendo un’osservazione dettagliata di ali, zampette e testa.

 

 

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Anna Dugina, gemmologa del Kaliningrad Amber Combine (unica miniera d’ambra ufficiale in Russia), ha affermato che si tratta del più grande esemplare simile a uno scarafaggio scoperto dalla struttura negli ultimi cinque anni. Ha stimato la sua età a non meno di 35-40 milioni di anni.

 

«Lo scarafaggio era ricoperto di resina in un modo eccezionalmente fortunato», ha aggiunto. «Si trova molto vicino alla superficie dell’ambra, ma comunque abbastanza lontano dal bordo. Questo ha permesso di individuare l’inclusione durante la selezione e successivamente di levigare e lucidare la superficie senza danneggiarla».

 

Lo scienziato ha spiegato che, nonostante l’insetto sia diverso dagli scarafaggi che si trovano oggi, nelle zone tropicali vivono ancora specie simili.

 

La Kaliningrad Amber Combine è l’unica azienda al mondo che estrae l’ambra su scala industriale. L’impianto ha sviluppato metodi di estrazione unici per preservare l’integrità dei pezzi d’ambra, in particolare quelli contenenti inclusioni di flora e fauna.

 

La scoperta arricchisce la collezione del Museo regionale dell’ambra di Kaliningrad, che ospita oltre 14.000 pezzi singoli, tra cui più di 3.000 inclusioni di ambra.

 

L’ambra baltica, come quella rinvenuta a Kaliningrad, è nota per aver preservato forme di vita antiche con straordinaria precisione. La regione ospita oltre il 90% delle riserve mondiali di ambra, la maggior parte delle quali si trova nei pressi del villaggio di Yantarny.

 

La notizia solletica ovviamente la fantasia di quanti hanno veduto le pellicola della serie Jurassic Park, o libri del grande scrittore di narrativa di anticipazione Michael Crichton, dove gli insetti ematofagi conservati nell’ambra consentivano la clonazione dei dinosauri a scopo di intrattenimento, appunto nel Jurassic parco che dà titolo al franchising.

 

Jurassic parchi a parte, in Russia progetti di de-estinzione esistono anche in Russia: parliamo del programma di clonazione del mammuth, che tanto fa parlare di sé. Va notato che dietro al progetto c’è tuttavia una società statunitense, la Colossal Bioscience, e la volontà del più estremo scienziato di bioingegneria del pianeta, il George Church di cui tanto ha scritto Renovatio 21.

 

Come riportato da Renovatio 21, soggetti internazionali già pensano alla de-estinzione anche in termini culinari: ecco il progetto di un’azienda che intende vendere polpette di mammutto.

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Animali

Scimmie raccoglitrici di cocco: accordo per lo stop tra imprese tailandesi ed animalisti

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In Tailandia si è trovato l’accordo tra aziende e animalisti per terminare l’impiego di scimmie per raccogliere il cocco. Lo riporta AsiaNews.   In Tailandia, il lucroso settore dei prodotti derivati dal cocco si basa sullo sfruttamento di oltre 3.000 scimmie di specie a rischio, addestrate per raccogliere le noci. Una campagna internazionale di boicottaggio contro il maltrattamento di questi animali sta spingendo i produttori a trovare alternative.   Il Siam è un leader mondiale nell’esportazione di cocco, ma il settore è criticato da associazioni animaliste per l’uso di macachi a coda di maiale del Nord e del Sud, addestrati a salire sugli alberi per raccogliere le noci. Questo mercato genera oltre 25 miliardi di Baht all’anno (circa 625 milioni di euro), con una crescente domanda di prodotti come il latte di cocco, di cui il Paese fornisce l’80% a livello globale.    

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Nonostante una lunga tradizione, nel 2020 un rapporto di Peta Uk ha denunciato le condizioni disumane dei macachi, che lavorano 6-8 ore al giorno raccogliendo fino a 1.000 noci. Sebbene il numero di scimmie impiegate sia sceso da 15.000 a 3.000 in 15 anni, le polemiche persistono.   I macachi a coda di maiale del Nord sono considerati vulnerabili, mentre quelli del Sud sono a rischio estinzione, secondo la lista rossa dell’IUCN. In Thailandia esistono già normative che vietano il possesso di questi animali, salvo quelli nati in cattività.   Il boicottaggio di rivenditori in Europa e Nord America, che ha causato perdite di circa 2 miliardi di Baht all’anno (50 milioni di euro), ha spinto l’industria a reagire. Il Coconut Industry Group, che include grandi aziende come Asiatic Agro Industry e Thai Coconut, ha firmato un Memorandum d’Intesa con la Wildlife Friends Foundation Thailand e il ministero dell’Agricoltura.   L’accordo prevede riforme per vietare l’uso di scimmie nella raccolta, l’introduzione di palme più basse, investimenti in tecnologie per la raccolta meccanizzata e sistemi di tracciabilità per garantire produzioni etiche.   Per i macachi attualmente impiegati sono previste cure in strutture adeguate.   Il lettore italiano è lasciato a chiedersi a che distanza siamo dall’arrivo sulla scena di un sindacato delle scimmie, una triplice CGIL-CISL-UIL per primati: vedendo il sindacato occuparsi di aborto e vaccini (e referendum pro-immigrati, persi rovinosamente, senza conseguenze per la dirigenza, però, ovvio) Renovatio 21 crede che non ci vorrà molto, anzi magari leggendo proprio queste righe qualche ricco funzionario sindacale sarà ispirato alla nuova crociata per il mondo del lavoro: le scimmie a coda di maiale che raccolgono il cocco.   Avrebbe molto più senso di quanto fatto negli ultimi anni di tradimento totale dei lavoratori e dell’articolo 1 Costituzione italiana.

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Immagine di Peter Gronemann via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Trump approva la costruzione di un Alcatraz con alligatori per i criminali immigrati

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I detenuti dell’Immigrations and Customs Enforcement (ICE) in Florida saranno presto ospitati in una proprietà di 30 miglia quadrate nelle Everglades, che sarà circondata da alligatori.

 

Soprannominata «Alligator Alcatraz», la struttura è in costruzione sul sito di un vecchio aeroporto a 80 chilometri da Miami, dove i terribili rettili abbondano.

 

Il Procuratore Generale della Florida, James Uthmeier, ha affermato che il centro di detenzione non richiederà grandi investimenti perché «Se le persone escono, non c’è molto ad aspettarle se non alligatori e pitoni. Nessun posto dove andare, nessun posto dove nascondersi».

 

Il procuratore generale della Florida ha inoltre affermato che l’operazione potrebbe essere avviata e funzionante entro due mesi dall’inizio della costruzione.

 

 

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Il Segretario per la Sicurezza Interna Kristi Noem ha dichiarato lunedì che il governo federale finanzierà un’iniziativa statale utilizzando il programma di rifugi e servizi della Federal Emergency Management Agency (FEMA) per finanziare il progetto.

 

La Noem ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che «sotto la guida del Presidente Trump, stiamo lavorando a ritmo serrato per trovare soluzioni innovative ed economicamente vantaggiose per rispettare il mandato del popolo americano di espulsioni di massa di immigrati clandestini criminali. Amplieremo le strutture e i posti letto in pochi giorni, grazie alla nostra partnership con la Florida».

 

Martedì Newsweek ha pubblicato un articolo che mostrava immagini satellitari del sito, e NBC 6 South Florida ha riferito che il direttore della Divisione per la gestione delle emergenze della Florida, Kevin Guthrie, «ha inviato una lettera al sindaco di Miami-Dade Daniella Levine Cava e al commissario della contea di Collier Rick LoCastro, segnalando l’intenzione del governo di acquistare i diritti sul terreno per 20 milioni di dollari».

 

Un funzionario del DHS ha dichiarato al Miami Herald che la struttura costerà circa 450 milioni di dollari all’anno e che lo Stato pagherà le spese, chiedendo al contempo il rimborso al governo federale, se necessario.

 

La portavoce del DHS, Tricia McLaughlin, ha dichiarato al New York Times che sperano di avere una parte della struttura «Alligator Alcatraz» pronta entro luglio.

 

La stampa dell’establishment è già andata su tutte le furie, con Bloomberg che parla di un «nuovo punto basso» raggiunto con l’idea.

 

Tuttavia, ci è impossibile non vedere che, come sempre, il mondo cade nella trappola fantastica di Trump, uomo in grado di far lavorare la fantasia degli interlocutori – per esempio, impegnandoli nel rendering mentale di una Alcatrazza loricata – mentre lui procede in altre direzioni e su altri temi.

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Zoo preoccupati: Gorilla dipendenti dai video sugli smartphoni

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I guardiani degli zoo hanno un nuovo problema con i gorilla a loro affidati: limitare il tempo che trascorrono davanti agli schermi dei device mobili. Lo riporta il Wall Street Journal.   Secondo quanto riportato dal giornale economico neoeboraceno, gli zoo di tutto il Nord America hanno iniziato a cercare di frenare l’ossessione degli animali per gli smartphone, che si è manifestata negli ultimi anni poiché sempre più visitatori hanno iniziato a mostrare loro immagini e video sugli schermi, attraverso le pareti di vetro dei loro recinti.   Negli ultimi anni, negli zoo delle principali città hanno iniziato a emergere segnalazioni di gorilla che stanno diventando ossessionati o addirittura «dipendenti» dagli smartphoni.

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L’anno passato, a Toronto, i responsabili dello zoo hanno iniziato ad affiggere cartelli che invitavano i visitatori a non mostrare i propri smartphone agli animali, che spesso ne sono così affascinati che il loro comportamento inizia a cambiare, in quanto cercano sempre di più di trascorrere del tempo davanti agli schermi degli esseri umani che incontrano.   «Per il benessere del gruppo di gorilla», avvertiva un cartello in un articolo di People in merito alla richiesta, «per favore astenetevi dal mostrare loro video o foto, poiché alcuni contenuti potrebbero turbarli e influenzare le loro relazioni e il comportamento all’interno della famiglia».   Nello zoo di San Diego, i giornalisti del WSJ hanno osservato visitatori umani che mostravano gli schermi dei loro telefoni ai gorilla, nonostante tale interazione fosse «fortemente» scoraggiata dai responsabili dello zoo.   Dei gruppi di visitatori vengono allo zoo di San Diego quasi ogni giorno non solo per filmare gli animali, ma anche per mostrare loro dei video. Due appassionati con cui il giornale ha parlato si sono rifiutati di rivelare i loro nomi per timore di essere banditi dallo zoo o dai recinti dei gorilla se fossero stati scoperti.   «Questo è il mio posto felice», ha detto al WSJ un uomo che è stato visto indossare una maglietta con un gorilla e interagire con uno degli animali mostrandogli il suo telefonino attraverso il vetro.   Nel frattempo, una donna che ha parlato al giornale ha iniziato a piangere quando ha pensato di perdere l’accesso al recinto dei gorilla, sostenendo che «qualsiasi arricchimento è un buon arricchimento».   L’attivista ambientalista Beth Armstrong, pioniera di un programma sui gorilla allo zoo di Columbus negli anni Ottanta, ha dichiarato al WSJ che vorrebbe che le persone scegliessero di mettere via i loro telefoni e di godersi la meraviglia di questi animali, anziché sommergerli con questa tecnologia umana così distraente e invasiva.   «Capisco che la gente desideri questo tipo di connessione», ha detto la Armstrong, «ma la realtà è: cosa significa per il gorilla?».   Si tratta dell’ennesima questione inflitta ai gorilli dagli esseri umani, che alle possenti scimmie dal pelo nero avevano creato tanti problemi, testandoli con tamponi COVID e pure inoculandoli con il vaccino, con casi di susseguente attacco cardiaco.

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