Animali
Sbranati dagli orsi fuori dalle nostre case. Perché?

Michael Crichton fu un genio unico. Romanziere bestsellerista, parlò nei suoi libri, con decenni di anticipo, di pandemie di origine spaziale (Andromeda, 1969), di controllo della mente (Il terminale uomo, 1972), di ecoterrorismo e balle ambientaliste (Stato di paura, 2002). Nel suo film Coma profondo raccontò di futuri traffici di organi. Molti lettori hanno magari intravisto un’altra sua creazione di estremo successo, il serial E.R., che lanciò la carriera di George Clooney.
Tuttavia, la sua opera più popolare – e geniale – è il romanzo Jurassic Park (1990) in cui si immaginava la creazione, in un’Isola del Costa Rica, di un parco di divertimenti dove venivano fatti vivere dei dinosauri ri-clonati a nuova vita. Spielberg si aggiudicò immediatamente la realizzazione del film, dove portò alla ribalta i primi veri effetti speciali digitali completamente fotorealistici: vedevamo, per la prima volta, il tirannosauro come se fosse stato ripreso «in carne ed ossa». La pellicola la avete vista tutti.
Crichton anticipava materialmente quanti ora stanno lavorando, sul serio, alla de-estinzione del mammuth, di cui abbiamo trattato più volte in queste pagine (e dietro cui c’è, tra gli altri, uno scienziato fanatico dell’ingegneria genetica più estrema unito ad un fondo finanziario legato alla CIA).
Ricordate come si sviluppava Jurassic Park: il progetto fallisce, perché i dinosauri riescono a scappare e cominciano a mangiarsi gli esseri umani.
Il significato della storia di Crichton era semplice: non puoi pensare di contenere la natura – specie se parliamo della natura di bestioni carnivori ultra-aggressivi, che certo non ci stanno a fare le attrazioni da zoo all’aperto.
Pare incredibile, ma negli stessi anni in cui apparivano Jurassic Park e tutti i suoi sequel, in Italia – e non solo – si procedeva alla medesima operazione condannata nel film: si sono presi enormi predatori, di aggressività conclamata, narrata lungo i millenni perfino nelle fiabe di Esopo e nei testi sacri, e li si sono reintrodotti nel territorio.
O meglio: in Jurassic Park, almeno, i dinosauri stavano dentro ad alcuni recinti, talvolta a delle gabbie, e comunque in un’isola, lontana da tutti, perché non si sa mai. In Trentino, invece, si sono piazzati gli orsi accanto alle case dei cittadini.
Il 9 giugno 2015 un orso ha aggredito un uomo a Cadine, non un comune di alta montagna, ma una frazione di Trento, nelle campagne appena fuori dalla città.
Gli orsi trentini sono talmente a contatto con gli spazi degli umani che nel 2020 – l’anno in cui, causa lockdown, molte bestie selvatiche si sono avvicinate ai nuclei urbani, con lupi arrivati tra le case Schio, una cittadina nel cuore industriale del vicentino – sono stati introdotti cassonetti con l’apertura anti orso: perché i plantigradi vi entravano e facevano scorpacciata di spazzatura.
C’è M59, un orso che ora chiamano «papillon», che adesso sarebbe agli arresti: scomparsa definitivamente la naturale indole timida e diffidente degli umani, entrava nelle baite a cercare latte e formaggi, di cui andava ghiotto. Ora, apprendiamo, sarebbe confinato in un recinto per Orsi, una sorta di campo di concentramento ursino, abbiamo visto spiegare dagli animalisti in TV. Non solo: «i carabinieri forestali, a seguito di un’indagine, hanno scoperto che gli orsi all’interno di quel recinto erano sottoposti a un uso massiccio di psicofarmaci perché in quelle condizioni erano in preda a fortissimo stress, che poi scaricavano con violenza contro la saracinesca del recinto».
Orsi segregati e pure resi schiavi degli psicofarmaci, mentre fuori si celebrano processi: l’ultimo, lo sapete, avrebbe sospeso al volo la decisione di abbattere l’orsa JJ4, la belva che ha sbranato un ragazzo che era uscito per una corsetta.
Non che sia la prima volta. Che si registrano questi attacchi. Ricorderete l’orsa Daniza, a Pinzolo, quasi dieci anni fa: vi fu tanto clamore mediatico, tutto favorevole al plantigrado violento. Forse non rammentate le altre aggressioni susseguitesi in nove anni: Zambana Vecchia, Cadine, ancora Cadine, Monte Peller, Andalo, Val di Rabbi. Persone ferite alla schiena, al collo, alle gambe, alla testa, al braccio al volto. Morsi e graffiati senza pietà da questi bestioni. Per non parlare delle continue stragi di ovini, per la disperazione dei pastori – e il silenzio degli animalisti, che difendono gli agnelli solo a Pasqua.
Emerse un video: un bambino incontra un orso, che forse lo vuole caricare, forse no. Il bambino riesce a reagire con calma olimpica, mentre il padre filma. Vorremmo dire a tutti che quel video poteva finire in ben altro modo.
JJ4 e soci non sono orsi locali. Sono stati reintrodotti da fuori. Una ventina di anni fa ne portarono due dalla Slovenia. Ora in Trentino in tutto ce ne sarebbero 120.
La domanda è: perché? Chi può aver pensato, approvato, finanziato un progetto che piazza accanto agli uomini delle fiere che li possono sbranare? Come è possibile che nessuno abbia protestato?
Non è facile rispondere a questa domanda: di fatto, abbiamo visto che giornali e siti che pubblicano articoli che dovrebbero spiegare, in verità non lo fanno proprio: puro clickbait, con dentro supercazzole snervanti.
A voler scavare, si trova la Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, firmata da un numero di Paesi nel 1979 a Berna, e ratificata – ovviamente – anche dall’Italia. Come si possa definire «conservazione» l’immissione artificiale di specie scomparse da certi luoghi non ci è chiaro. Così come si possa farlo mettendo in pericolo le vite umane.
Poi c’è il progetto della provincia autonoma di Trento chiamato Life Ursus, di cui si sta parlando in questi giorni sulla stampa mainstream. La pagina dedicata sul sito della provincia ha un titolo non esattamente sibillino: «grandi carnivori in Trentino», un’espressione che a noi mette paura, ma che invece pare un vanto della terra a Statuto Speciale.
C’è scritto che il progetto, partito nel 1999, si è realizzato «usufruendo di un finanziamento dell’Unione Europea»: «tra il 1999 e il 2002 vengono rilasciati 10 orsi, nati in libertà in Slovenia meridionale. La maggior parte di essi si adatta bene al nuovo territorio. Nel 2002 e nel 2003 si registrano il primo e il secondo parto, i quali saranno nel tempo seguiti da molti altri eventi riproduttivi. 7 degli individui fondatori si riprodurranno una o più volte nel corso della loro vita».
«L’obiettivo del progetto Life Ursus è di consentire nell’arco di qualche decina di anni la costituzione di una popolazione vitale di almeno 40-60 orsi adulti, la cui presenza interesserà molto probabilmente anche le province limitrofe. Non sono previsti ulteriori rilasci». Come abbiamo scritto, adesso sui giornali si parla di 120 orsi presenti. E che non hanno intenzione di sterilizzarsi o di smettere di andare a caccia di cibo fin dentro le comunità degli uomini.
Tuttavia, torniamo a ripetere: nessuno ci sta dicendo perché. Quale è il fine di progetti come questo?
Qualcuno può rispondere: la biodiversità, concetto astruso, anzi più astruso ancora di quello di «ecosistema», idea per cui esisterebbe un magico equilibrio naturale, come se le specie, in realtà, non arrivassero ad estinguersi anche senza l’intervento dell’uomo. Il concetto di ecosistema, diciamo anzi, esiste solo per incolpare l’uomo e tentare di rimuoverlo dal pianeta.
Il fatto è che nessuno pare abbia davvero il coraggio di dire che immettere orsi feroci contribuisca alla biodiversità trentina.
E allora? C’è da credere che il progetto per il ritorno delle fiere assassine sia una di quelle cose che vanno avanti da sole, senza che qualcuno si chieda perché.
Una qualche origine, però, ci deve essere.
Filosoficamente, sappiamo di cosa si può trattare: della distruzione del concetto di eccezionalismo umano, tanto caro agli animalisti «antispecisti», cioè che non credono che vi siano barriere o gerarchie tra le specie. Per dimostrare che l’uomo – e il Dio di cui è immagine – non sono il centro dell’universo, cosa c’è di meglio che la violenza animale? Sì, si tratta di un chiaro capitolo della Necrocultura: degradare l’umanità, terminarla e umiliarla nel sangue.
L’uomo nemico della natura, l’uomo cancro del pianeta, viene colpito dalla vendetta delle bestie. L’uomo non regna sulla Terra, anzi. La narrativa è chiaramente questa, da sempre.
Le popolazioni mesoamericane precolombiane avevano il culto del giaguaro e dell’aquila (più, chissà perché, uno stuolo di dei-serpente): perché il giaguaro era il massimo predatore sulla terra, come l’aquila lo era in cielo. L’aspetto ferale di queste belve si rifletteva, in totale limpidezza, nella pratica massiva del sacrificio umano in uso presso questi popoli. Mutatis mutandis, quando nei circhi romani i leoni erano mandati a sbranare i cristiani si riproduceva il medesimo circuito, lo spettacolo infame dello spreco della vita umana, sbranata perfino nella sua innocenza.
Tenendo questo a mente, possiamo considerare le vittime umane di orsi e lupi come facenti parte di una rete invisibile di sacrifici umani tornati ad essere perpetrati sul nostro territorio. Come un atto magico, un rituale pagano assassino che avanza senza nemmeno bisogno di sostenitori umani – basta il reminder all’umanità, sei debole, sei carne da macello.
C’è però un livello ulteriore, pragmatico, di cui bisogna parlare al lettore. L’idea di togliere lo spazio all’uomo e consegnarlo alle bestie feroci è, talvolta, esplicita, e ha pure dei grandi finanziatori.
«Ted Turner, il miliardario mogul mediatico, possiede, migliaia di acri di terra in Montana e sta apparentemente rilasciando lupi e orsi sulla sua terra per ripopolarla. I contadini e gli allevatori della zona sono preoccupati» scriveva Rosa Koire, una immobiliarista dell’area di San Francisco, nel suo libro Behind the Green Mask, che svelava i retroscena del programma ONU chiamato Agenda 21.
Il Turner Endangered Species Fund, detto anche Turner Biodiversity, ha un programma che si chiama «save everything», «salva tutto», dove oltre a pesci e ai bisonti, mette in risalto gli sforzi per il lupo. Non mancano, nei resoconti delle riserve di Turner, anche racconti dei mountain lions, cioè i puma. Grandi carnivori – di quelli che già spesso, in varie zone degli USA, attaccano gli esseri umani, magari pure quando stanno semplicemente andando in bicicletta su strade nemmeno troppo isolate.
Ted Turner, per chi non lo sapesse, è il potentissimo magnate che creò la CNN, già sposo di Jane Fonda, con cui formò quella che probabilmente era la coppia di più grandi sostenitori americani dell’aborto. Nel 1989 produsse un video Abortion: for survival che mandò ripetutamente in onda come antidoto al film L’urlo silenzioso (1985), il documentario pro-life che mostrava l’orrore dell’aborto grazie a – sconvolgenti – immagini ecografiche.
Un sito di atei organizzati statunitensi scrive che il magnate aveva promesso 1 miliardo di dollari alle Nazioni Unite nel 1997, e avrebbe «descritto il cristianesimo come “una religione per perdenti”», per poi attaccare Papa Giovanni Paolo II, «accogliendolo nel “20° secolo” nel 1999, e definendo i Dieci Comandamenti “un po’ antiquati”».
«Secondo il New York Post, nel 2001 Turner avrebbe menzionato il suo shock nel vedere diversi impiegati della redazione della CNN Washington con croci cineree sui loro volti il mercoledì delle ceneri: «non dovreste lavorare per la Fox?» avrebbe chiesto, secondo il sito Freedom From Religion.
Il Turner nel 2010 ha rivelato la sua ammirazione per la politica riproduttiva della Cina Popolare (che era: figlio unico e aborti forzati) esortando il mondo a conformarvisi.
Secondo alcuni – ma sono solo illazioni, forse dovute al fatto che l’uomo ha grossi business nella vicina Atlanta – ci sarebbe Ted Turner dietro alle Georgia Guidestones, il bizzarro monumento eretto in Georgia fatto di un gruppo di pietre monolitiche con inciso un oscuro testo di carattere malthusiano ripetuto in diverse lingue.
«Mantieni l’Umanità sotto 500.000.000 in perenne equilibrio con la natura».
«Guida saggiamente la riproduzione, migliorando salute e diversità».
«Non essere un cancro sulla terra, lascia spazio alla natura».
Equilibrio con la natura, diversità, spazio lasciato alla natura e non al «cancro sulla terra».
Il lettore può aver capito, a questo punto, a cosa servono gli orsi assassini.
Sempre ricordando, purtuttavia, che il monumento antiumano, in una calda serata del luglio 2022, è stato bombardato da ignoti. E poi completamente distrutte.
Come dire: non è che, per quanto sia programmato, siamo tutti disposti a farci sbranare. Anzi.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Carpet-Crawler via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)
Animali
Scimmie raccoglitrici di cocco: accordo per lo stop tra imprese tailandesi ed animalisti

In Tailandia si è trovato l’accordo tra aziende e animalisti per terminare l’impiego di scimmie per raccogliere il cocco. Lo riporta AsiaNews.
In Tailandia, il lucroso settore dei prodotti derivati dal cocco si basa sullo sfruttamento di oltre 3.000 scimmie di specie a rischio, addestrate per raccogliere le noci. Una campagna internazionale di boicottaggio contro il maltrattamento di questi animali sta spingendo i produttori a trovare alternative.
Il Siam è un leader mondiale nell’esportazione di cocco, ma il settore è criticato da associazioni animaliste per l’uso di macachi a coda di maiale del Nord e del Sud, addestrati a salire sugli alberi per raccogliere le noci. Questo mercato genera oltre 25 miliardi di Baht all’anno (circa 625 milioni di euro), con una crescente domanda di prodotti come il latte di cocco, di cui il Paese fornisce l’80% a livello globale.
Farmers in Thailand hire monkeys 🐒 to pick coconut 🥥.
— ReBha (@X_ReBha_X) May 20, 2025
🇹🇭 Monkeys are employed as coconut harvesters in Thailand! pic.twitter.com/6Js2BD7gNQ
— Lord Bebo (@MyLordBebo) December 4, 2024
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Nonostante una lunga tradizione, nel 2020 un rapporto di Peta Uk ha denunciato le condizioni disumane dei macachi, che lavorano 6-8 ore al giorno raccogliendo fino a 1.000 noci. Sebbene il numero di scimmie impiegate sia sceso da 15.000 a 3.000 in 15 anni, le polemiche persistono.
I macachi a coda di maiale del Nord sono considerati vulnerabili, mentre quelli del Sud sono a rischio estinzione, secondo la lista rossa dell’IUCN. In Thailandia esistono già normative che vietano il possesso di questi animali, salvo quelli nati in cattività.
Il boicottaggio di rivenditori in Europa e Nord America, che ha causato perdite di circa 2 miliardi di Baht all’anno (50 milioni di euro), ha spinto l’industria a reagire. Il Coconut Industry Group, che include grandi aziende come Asiatic Agro Industry e Thai Coconut, ha firmato un Memorandum d’Intesa con la Wildlife Friends Foundation Thailand e il ministero dell’Agricoltura.
L’accordo prevede riforme per vietare l’uso di scimmie nella raccolta, l’introduzione di palme più basse, investimenti in tecnologie per la raccolta meccanizzata e sistemi di tracciabilità per garantire produzioni etiche.
Per i macachi attualmente impiegati sono previste cure in strutture adeguate.
Il lettore italiano è lasciato a chiedersi a che distanza siamo dall’arrivo sulla scena di un sindacato delle scimmie, una triplice CGIL-CISL-UIL per primati: vedendo il sindacato occuparsi di aborto e vaccini (e referendum pro-immigrati, persi rovinosamente, senza conseguenze per la dirigenza, però, ovvio) Renovatio 21 crede che non ci vorrà molto, anzi magari leggendo proprio queste righe qualche ricco funzionario sindacale sarà ispirato alla nuova crociata per il mondo del lavoro: le scimmie a coda di maiale che raccolgono il cocco.
Avrebbe molto più senso di quanto fatto negli ultimi anni di tradimento totale dei lavoratori e dell’articolo 1 Costituzione italiana.
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Immagine di Peter Gronemann via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Animali
Minatori trovano uno scarafaggio di 40 milioni di anni. Quanto siamo vicini al Jurassic parco?

Russian miners find 40-million-year-old cockroach The fossilized insect was discovered in a piece of amber in Kaliningrad Region pic.twitter.com/4YfK7FV3Hf
— Acidicus (@Acidicus) June 26, 2025
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Animali
Trump approva la costruzione di un Alcatraz con alligatori per i criminali immigrati

I detenuti dell’Immigrations and Customs Enforcement (ICE) in Florida saranno presto ospitati in una proprietà di 30 miglia quadrate nelle Everglades, che sarà circondata da alligatori.
Soprannominata «Alligator Alcatraz», la struttura è in costruzione sul sito di un vecchio aeroporto a 80 chilometri da Miami, dove i terribili rettili abbondano.
Il Procuratore Generale della Florida, James Uthmeier, ha affermato che il centro di detenzione non richiederà grandi investimenti perché «Se le persone escono, non c’è molto ad aspettarle se non alligatori e pitoni. Nessun posto dove andare, nessun posto dove nascondersi».
Il procuratore generale della Florida ha inoltre affermato che l’operazione potrebbe essere avviata e funzionante entro due mesi dall’inizio della costruzione.
BREAKING: DHS has approved “Alligator Alcatraz” — a new facility in Florida to detain illegals surrounded by a swamp filled with alligators pic.twitter.com/0aN9BdikkO
— Libs of TikTok (@libsoftiktok) June 23, 2025
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Il Segretario per la Sicurezza Interna Kristi Noem ha dichiarato lunedì che il governo federale finanzierà un’iniziativa statale utilizzando il programma di rifugi e servizi della Federal Emergency Management Agency (FEMA) per finanziare il progetto.
La Noem ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che «sotto la guida del Presidente Trump, stiamo lavorando a ritmo serrato per trovare soluzioni innovative ed economicamente vantaggiose per rispettare il mandato del popolo americano di espulsioni di massa di immigrati clandestini criminali. Amplieremo le strutture e i posti letto in pochi giorni, grazie alla nostra partnership con la Florida».
Martedì Newsweek ha pubblicato un articolo che mostrava immagini satellitari del sito, e NBC 6 South Florida ha riferito che il direttore della Divisione per la gestione delle emergenze della Florida, Kevin Guthrie, «ha inviato una lettera al sindaco di Miami-Dade Daniella Levine Cava e al commissario della contea di Collier Rick LoCastro, segnalando l’intenzione del governo di acquistare i diritti sul terreno per 20 milioni di dollari».
Un funzionario del DHS ha dichiarato al Miami Herald che la struttura costerà circa 450 milioni di dollari all’anno e che lo Stato pagherà le spese, chiedendo al contempo il rimborso al governo federale, se necessario.
La portavoce del DHS, Tricia McLaughlin, ha dichiarato al New York Times che sperano di avere una parte della struttura «Alligator Alcatraz» pronta entro luglio.
La stampa dell’establishment è già andata su tutte le furie, con Bloomberg che parla di un «nuovo punto basso» raggiunto con l’idea.
Tuttavia, ci è impossibile non vedere che, come sempre, il mondo cade nella trappola fantastica di Trump, uomo in grado di far lavorare la fantasia degli interlocutori – per esempio, impegnandoli nel rendering mentale di una Alcatrazza loricata – mentre lui procede in altre direzioni e su altri temi.
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