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L’acquisto di armi della giunta militare birmana passa per le banche thailandesi

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Fino all’anno scorso le transazioni finanziarie erano agevolate soprattutto dagli istituti finanziari di Cina e Singapore. Da aprile 2023 a marzo 2024 i generali birmani hanno speso in armamenti 253 milioni di dollari, registrando un calo di un terzo, ma molto ancora resta da fare a livello di sanzioni, ha sottolineato il relatore speciale delle Nazioni unite per i diritti umani in Myanmar, Tom Andrews. Nel frattempo l’ex presidente Thein Sein è volato in Cina.

 

Le banche straniere continuano a facilitare gli acquisti di armi da parte della giunta militare birmana, e quelle più attive sono le banche thailandesi. Ad affermarlo è l’ultimo rapporto redatto da Tom Andrews, il relatore speciale delle Nazioni unite per i diritti umani in Myanmar.

 

«Affidandosi a istituzioni finanziarie disposte a fare affari con le banche statali del Myanmar, sotto il controllo dei militari, la giunta ha accesso ai servizi finanziari necessari per compiere sistematiche violazioni dei diritti umani, compresi gli attacchi aerei contro i civili», che negli ultimi sei mesi sono «quintuplicati», ha precisato il funzionario ONU.

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Da oltre tre anni il Myanmar è devastato dal conflitto civile: l’esercito, che ha tentato di prendere il potere con un colpo di Stato a febbraio 2021, combatte contro i gruppi della resistenza, ma ha da sempre preso di mira anche la popolazione civile tramite i bombardamenti dell’aviazione.

 

In base al documento, intitolato «Banking on the Death Trade: How Banks and Governments Enable the Military Junta in Myanmar», 16 banche in sette Paesi hanno elaborato transazioni a favore della giunta tra aprile 2023 e marzo 2024.

 

In questo periodo i militari hanno speso 253 milioni di dollari per gli armamenti. Non sembra, ma si tratta di un dato positivo, perché, rispetto all’anno scorso, il volume di equipaggiamenti militari acquistati dalla giunta tramite banche straniere è diminuito di un terzo (prima valeva 377 milioni di dollari).

 

Un miglioramento ottenuto grazie soprattutto a un calo delle esportazioni da parte degli enti registrati a Singapore, a sua volta risultato di un’ampia e importante indagine governativa. Le banche della città-stato erano, fino a non molti mesi fa, «i più importanti facilitatori finanziari per gli acquisti militari del Myanmar», con 110 milioni di dollari di transazioni, insieme alla Cina e a Hong Kong, che nell’anno fiscale 2022 hanno registrato vendite per 140 milioni di dollari, contro gli 80 milioni dell’anno successivo. Gli acquisti dalla Russia sono passati da 25 a 10 milioni di dollari, mentre quelli dall’India sono rimasti stabili a 15 milioni di dollari.

 

Il primato è passato ora alla Thailandia, le cui banche avevano agevolato acquisti militari per 60 milioni di dollari nel 2022, una cifra poi raddoppiata nell’anno successivo.

 

«La buona notizia è che la giunta è sempre più isolata», si legge nel resoconto di Andrews. «La cattiva notizia è che la giunta sta eludendo le sanzioni e altre misure sfruttando le lacune nei regimi sanzionatori, spostando le istituzioni finanziarie e approfittando dell’incapacità degli Stati membri di coordinare e applicare pienamente le azioni», prosegue il rapporto.

 

Solo la thailandese Siam Commercial Bank (SCB) ha elaborato transazioni per oltre 100 milioni di dollari nell’anno finanziario 2023, contro i poco più di 5 milioni dell’anno precedente.

 

Il ministero degli Affari Esteri thailandese (che pure si era speso per una risoluzione del conflitto nei mesi scorsi proponendo l’invio di aiuti al Myanmar) ieri, tramite una nota, ha dichiarato di aver preso visione del rapporto.

 

«I nostri istituti bancari e finanziari seguono i protocolli bancari come qualsiasi altro importante hub finanziario. Quindi dovremo stabilire i fatti, prima di considerare ulteriori misure», ha aggiunto un portavoce del ministero. La SCB ha negato le accuse, affermando che un’indagine interna ha stabilito che le sue transazioni con il Myanmar non sono collegate al commercio di armi.

 

Tuttavia, secondo Andrews, le banche internazionali devono sapere che esiste una «elevata probabilità» che le transazioni che coinvolgono realtà statali birmane – come la Myanma Foreign Trade Bank – possano essere utilizzate per acquistare armi o materiali per uso bellico. E altre lacune nelle sanzioni (imposte singolarmente da alcuni Paesi e non dall’ONU) fanno sì che il Paese rimanga in grado di acquistare carburante per l’aviazione, continua ancora il rapporto.

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L’analista David Scott Mathieson sostiene, però, che nuove sanzioni solo sul carburante potrebbero non essere sufficienti «per avere un impatto reale», perché i militari «hanno accesso alle materie prime e sono in grado di fabbricare proiettili, armi, mine» e in questo modo possono «continuare a combattere per un bel po’ di tempo».

 

Ancora una volta, la risoluzione della guerra sembra lontana.

 

Ieri l’ex presidente riformista Thein Sein, che ha guidato il Paese dal 2011 al 2016 prima del governo della leader democratica Aung San Suu Kyi, è volato in Cina, ha scritto l’ambasciata cinese a Yangon.

 

Thein Sein ha incontrato l’ambasciatore cinese, con cui ha discusso «della situazione in Myanmar e della cooperazione tra i due Paesi».

 

Sebbene la Cina, abbia rifornito di armi il regime birmano, i legami con la giunta si sono deteriorati l’anno scorso dopo il fallimento dei militari di smantellare i centri per le truffe online al confine, in cui sono coinvolti migliaia di cittadini cinesi.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Government of Thailand via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Gli USA lanciano un missile balistico nucleare di prova il giorno delle elezioni

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L’esercito americano ha condotto un test di missile balistico intercontinentale nucleare (ICBM) il giorno in cui gli elettori statunitensi stavano scegliendo il loro prossimo presidente, ha affermato mercoledì l’US Air Force Global Strike Command in una dichiarazione.   Secondo quanto riportato dall’autorità militare, il lancio faceva parte di una pratica «di routine» e ha seguito «mesi di preparazione», ha aggiunto.   La stampa mondiale riporta la notizia parlando di un test di «missile ipersonico nucleare».

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Un missile intercontinentale Minuteman III disarmato è stato lanciato dalla base spaziale statunitense Vandenberg, in California, alle 23:01, ora del Pacifico, il 5 novembre, secondo quanto affermato nella dichiarazione. Il missile ha percorso circa 46.759 km fino al Ronald Reagan Ballistic Missile Defense Test Site statunitense, situato nell’atollo di Kwajalein, nel territorio pacifico della Repubblica delle Isole Marshall.   Il lancio di prova aveva lo scopo di dimostrare che il deterrente nucleare statunitense «è sicuro, protetto, affidabile ed efficace per scoraggiare le minacce del 21° secolo e rassicurare i nostri alleati», ha affermato il comando, aggiungendo che in precedenza erano stati condotti 300 lanci simili.   L’esercito statunitense ha quindi negato che la mossa fosse in qualche modo collegata agli «eventi mondiali attuali».   «Un lancio aereo convalida la capacità di sopravvivenza dei nostri missili balistici intercontinentali, che fungono da sostegno strategico per la difesa della nostra nazione e per la difesa degli alleati e dei partner», ha affermato il generale Thomas A. Bussiere, comandante del Global Strike Command dell’aeronautica militare statunitense.   Il Minuteman III è l’unico ICBM americano basato in silos. Secondo l’US Air Force, ha un totale di 400 di questi missili e tre ali missilistiche che li gestiscono: il 90th Missile Wing nel Wyoming, il 91th nel North Dakota e il 341st nel Montana.   Dispiegati per la prima volta nel 1970, questi missili possono percorrere una distanza di oltre 9.656 km a una velocità massima di 24.000 km/h, ovvero 23 volte più veloce della velocità del suono.   Secondo alcuni resoconti dei media, Washington avrebbe avvisato Mosca in anticipo del lancio del test missilistico.   A fine ottobre, la Russia ha condotto un’esercitazione di deterrenza nucleare strategica. L’esercitazione prevedeva lanci di missili balistici e da crociera. Il presidente russo Vladimiro Putin aveva allora affermato che Mosca stava cercando di mantenere le sue forze nucleari al livello «necessariamente sufficiente», ma non intende essere trascinata in una nuova corsa agli armamenti. Secondo il Cremlino, anche i «Paesi interessati» ne erano stati informati.   L’esercitazione nucleare russa è avvenuta poco dopo le esercitazioni NATO «Steadfast Noon», iniziate nell’Europa occidentale a metà ottobre e che hanno coinvolto 13 membri del blocco militare guidato dagli Stati Uniti.   I membri europei della NATO si stavano addestrando a schierare armi fornite dagli Stati Uniti nell’ambito dell’accordo di condivisione nucleare dell’organizzazione. Mosca ha ripetutamente affermato che il sistema di condivisione nucleare del blocco è contrario allo spirito di non proliferazione nucleare.   Come riportato da Renovatio 21, un anno fa gli USA dopo un test di lancio Minuteman III, cancellarono le prove per i missili ipersonici, tecnologia nella quale Washington pare più arretrata rispetto a Mosca e Pechino.

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La Repubblica Popolare Cinese disporrebbe di armi ipersoniche, anche, a quanto sembra, in formato drone. Nel club delle potenze ipersoniche vi sarebbero anche, a quanto comunicano, la Corea del Nord e l’Iran.   Al ritardo degli USA nel settore ipersonico si aggiunge una beffa emersa con uno scoop del Washington Post: i sistemi ipersonici della Cina Popolare, che sarebbero praticamente pronti, sarebbero stati sviluppati con tecnologia tranquillamente venduta e trasferita da società americane.   A inizio 2023 l’aeronautica USA aveva fatto sapere di voler spendere 73 miliardi di dollari in forze nucleari. Come riportato da Renovatio 21, negli stessi giorni la Russia sta approntando i missili intercontinentali Sarmat RS-28 (detti in codice NATO «Satan 2») e montando i missili ipersonici Kinzhal su un ulteriore tipo di velivolo d’attacco, il cacciabombardiere Su-34.   La tecnologia missilistica ipersonica ha fatto saltare l’equilibrio tra superpotenze atomiche e il concetto di deterrenza.

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Immagine di pubblico dominio via Wikimedia, modificata
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Patrushev: la NATO cerca di cacciare la Russia dal Mar Nero

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La Russia deve impegnarsi a rafforzare la propria Marina per contrastare i continui sforzi della NATO di stabilire il predominio nel Mar Nero, ha affermato l’assistente del presidente russo Vladimir Putin Nikolaj Patrushev.

 

Durante un incontro con il comando della Marina russa, Patrushev, che è presidente del Collegio Marittimo russo, ha sottolineato che cacciare la Russia dal Mar Nero è da tempo uno degli obiettivi principali di Washington e dei suoi alleati.

 

«I fatti storici dimostrano che allontanare la Russia dalle coste del Mar Nero è stato tradizionalmente considerato uno dei compiti chiave della politica anglosassone. E oggi, l’Occidente collettivo, guidato dagli Stati Uniti, sta escogitando piani per stabilire la propria presenza a lungo termine nel Mar Nero e lungo il suo perimetro a scapito dei legittimi interessi del nostro Paese», ha affermato il Patrushev, aggiungendo che gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO stanno attualmente «escogitando piani» per espandere la loro presenza navale nel Mar Nero attraverso l’uso delle vie navigabili interne dell’Europa per scopi militari; in questo caso, per accedervi attraverso il Danubio.

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«La riduzione del ruolo della Russia come potenza marittima nella regione del Mar Nero è una delle aree di azione degli stati occidentali ostili nel contesto della loro politica volta a infliggere una sconfitta strategica al nostro Paese», ha affermato, osservando che l’aumento della presenza della NATO è anche una violazione della Convenzione di Montreux, che limita la presenza di navi militari nello stretto tra il Mar Nero e il Mediterraneo.

 

Il Patrushev ha anche sottolineato che, secondo la dottrina marittima russa, il Mar Nero e il Mar d’Azov sono considerati regioni chiave per la protezione degli interessi nazionali del Paese nello spazio oceanico globale, sottolineando che è necessario garantire «un equilibrio di potere» nella regione e aumentare l’universalità della Marina russa ed espandere la gamma dei suoi compiti per aiutare a proteggere gli interessi nazionali.

 

A luglio, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj aveva firmato un decreto che delineava la strategia di sicurezza marittima del Paese, che comprendeva l’istituzione di una presenza permanente della NATO nel Mar Nero e l’organizzazione di pattugliamenti marittimi nel bacino del Mar d’Azov-Mar Nero in coordinamento con i Paesi partner di Kiev.

 

Mosca ha risposto alla mossa sottolineando che una «presenza concentrata» di navi della NATO nel Mar Nero rappresentava una minaccia per la sicurezza nazionale della Russia e che avrebbe risposto adottando misure per proteggere i propri interessi nella regione.

 

Come riportato da Renovatio 21, Patrushev, ritenuto un falco del Cremlino anche se meno tonitruante di Medvedev, all’indomani del massacro del Crocus disse pubblicamente che la responsabilità era di Kiev. Due anni fa l’allora segretario del Consiglio di Sicurezza fece opache dichiarazioni su quattro omicidi di presidenti USA «legati alle multinazionali».

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Al pari di Shoigu, anche Patrushev è stato rimosso da Putin dal suo incarico al Consiglio di Sicurezza dopo il rimpasto seguito alle ultime elezioni. Gli osservatori, tuttavia, non hanno visto i segni di una deminutio. È improbabile, è stato commentato, che Patrushev possa uscire dall’ambito del potere di Mosca. Ora Patrushev ricopre il ruolo di aiutante presidenziale, e la scorsa settimana è stato nominato presidente del Consiglio marittimo della Federazione Russa.

 

Il suo figlio maggiore, Dmitrij, è banchiere e ministro dell’Agricoltura russo dal 18 maggio 2018. Il suo figlio più giovane, Andrej, si è laureato nel 2003 all’Accademia del servizio di sicurezza FSB dove ha studiato legge con il suo compagno di classe Pavel Fradkov, figlio dell’ex primo ministro russo ed ex direttore del servizio segreto estero SVR Mikhail Fradkov, e ha lavorato in ruoli di leadership presso Gazprom Neft.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa Patrushev a margine di un incontro dei capi dell’Intelligence esterna degli Stati CSI aveva dichiarato che gli USA stanno tentando di far rivivere il fascismo in Europa.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

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Gli Stati Uniti inviano bombardieri con capacità nucleare in Medio Oriente

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Il Pentagono ha annunciato che l’esercito statunitense è pronto a schierare ulteriori truppe in Medio Oriente, tra cui un certo numero di bombardieri strategici B-52H con capacità nucleare.   Secondo quanto riferito, l’ordine di dispiegamento è stato dato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin per compensare la partenza programmata dell’USS Abraham Lincoln Carrier Strike Group dalla regione, ha affermato in una nota il portavoce del Pentagono, il Maggiore Generale Pat Ryder.   Oltre a «diversi» bombardieri B-52H, le risorse includono «ulteriori cacciatorpediniere di difesa missilistica balistica, squadroni di caccia e aerei cisterna», ha detto venerdì. Le forze dovrebbero arrivare «nei prossimi mesi», ha aggiunto il Ryder senza fornire alcuna tempistica esatta.

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Il prossimo spiegamento dovrebbe dimostrare l’impegno di Washington per «la difesa di Israele», così come per la «de-escalation attraverso la deterrenza e la diplomazia». Il Pentagono ha dichiarato esplicitamente che la mossa, così come la sua «recente decisione di schierare il sistema di difesa missilistica Terminal High Altitude Area Defense (THAAD) in Israele», era rivolta a Teheran.   «Il segretario Austin continua a chiarire che se l’Iran, i suoi partner o i suoi delegati dovessero usare questo momento per colpire il personale o gli interessi americani nella regione, gli Stati Uniti adotteranno tutte le misure necessarie per difendere il nostro popolo», ha sottolineato il portavoce.   Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa bombardieri B-2 sono arrivati nella base USA nell’Oceano Indiano Diego Garcia. I B-2, cacciabombardieri stealth con capacità nucleare, hanno in seguito colpito obiettivi in Yemen.

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