L’amministrazione Biden dimostra grande volontà, ma ignora com’è il mondo. Sotto la guida di un presidente anziano, si propone di ripristinare ovunque la democrazia, ma non è consapevole che le classi sociali che sono state il fondamento di questo regime politico stanno scomparendo. Spera di ristabilire l’Impero americano, a vantaggio di quelle popolazioni – e sono la maggioranza – che lo temono. Infine, vuole continuare la «guerra senza fine», però senza sacrificare altre vite di soldati americani. Ma non sa spiegare come.
Geopolitica
La strategia di Sicurezza Nazionale del presidente Biden
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Ogni amministrazione degli Stati Uniti stabilisce la propria politica di Sicurezza Nazionale dopo aver consultato i vertici delle forze armate e gli specialisti. Un processo necessariamente lungo, che può durare da uno a due anni. Così ha fatto anche l’amministrazione Biden che, intendendo rompere senza indugi con gli «errori» antimperialisti di Donald Trump, ha subito resi pubblici i nuovi principi della Sicurezza Nazionale, riservandosi di precisarli in seguito (1).
L’idea centrale è rivitalizzare la democrazia come sistema di governo, così da poter mobilitare gli alleati e mantenere l’attuale organizzazione delle relazioni internazionali
L’idea centrale è rivitalizzare la democrazia come sistema di governo, così da poter mobilitare gli alleati e mantenere l’attuale organizzazione delle relazioni internazionali. Una strategia conforme a quanto annunciato da Joe Biden un anno fa su Foreign Affairs, durante la campagna elettorale (2).
Gli indirizzi pubblicati da Joe Biden sono estremamente chiari, ma non adeguati ai problemi da affrontare.
Il presidente ha senza dubbio elencato un certo numero di temi su cui intervenire (la pandemia, l’emergenza climatica, la proliferazione nucleare, la quarta rivoluzione industriale), ma non ha individuato i nuovi problemi (il declino della produzione, la finanziarizzazione dell’economia, il basso livello tecnologico, la vertiginosa disparità nella distribuzione della ricchezza).
1 – La democrazia
La democrazia è la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche. Il presidente Biden sembra realista riguardo alle aspirazioni degli statunitensi, evocando perlopiù un loro «consenso» informato (informed consent), secondo la terminologia di Walter Lippman, il celebre giornalista democratico istruito nella propaganda dal colonnello Edward House (3).
La disaffezione degli Occidentali per questo tipo di regime politico non discende dalla disinformazione imputabile ai «nemici dell’America» (ossia alla Russia e alla Cina), ma dalla trasformazione sociologica delle società in cui vivono
Quando descrive la democrazia, il presidente Biden sembra redigere una dissertazione classica, attribuendo la massima importanza alla separazione dei poteri e alla morale dei cittadini (4).
Ma, contrariamente alle proprie convinzioni, la disaffezione degli Occidentali per questo tipo di regime politico non discende dalla disinformazione imputabile ai «nemici dell’America» (ossia alla Russia e alla Cina), ma dalla trasformazione sociologica delle società in cui vivono. Le classi medie attorno alle quali queste ultime si erano costituite ora stanno scomparendo e multimiliardari si sono issati al di sopra dei governi. Non si verificava una tale incetta di ricchezze dall’età medievale. Il problema non è quindi ripristinare le democrazie, ma capire se e come possano ancora funzionare.
Per esempio, i giganti di internet non possono arrogarsi legittimamente il diritto di censura. Con il compromesso del 1791, gli Stati Uniti si sono voluti fondare su una totale libertà d’espressione (1° emendamento); tuttavia, a inizio d’anno Google, Facebook e Twitter hanno censurato il presidente in carica degli Stati Uniti, violando, non la lettera, ma lo spirito della Costituzione.
In tale contesto si può ancora concepire la democrazia?
Le classi medie attorno alle quali queste ultime si erano costituite ora stanno scomparendo e multimiliardari si sono issati al di sopra dei governi. Non si verificava una tale incetta di ricchezze dall’età medievale
2 – L’imperialismo puritano
Il presidente Biden è intriso di cultura imperialista puritana. È convinto che la democrazia sia il migliore dei regimi possibili, non solo per il suo Paese, ma anche per il resto del mondo.
Conscio dell’importanza dell’esempio, spera di convertire tutte le nazioni al sistema democratico, infondendogli nuova linfa a casa propria. Conseguentemente si attribuisce la missione di lottare ovunque nel mondo contro il razzismo sistemico, per far trionfare «la democrazia, l’uguaglianza e le diversità».
Poco importa che alcune popolazioni non aspirino a partecipare alle decisioni politiche, o credano che l’umanità non sia formata da un’unica razza: il presidente Biden sa cos’è bene per loro.
Biden condivide il pensiero dei neoconservatori: come loro è pronta a imporre la democrazia nel resto del mondo, convinta di liberarlo. I neoconservatori non sono né democratici né repubblicani, ma sempre dalla parte del Potere
Su questo punto l’amministrazione Biden condivide il pensiero dei neoconservatori: come loro è pronta a imporre la democrazia nel resto del mondo, convinta di liberarlo. Abbiamo spesso sottolineato che i neoconservatori non sono né democratici né repubblicani, ma sempre dalla parte del Potere.
3 – La «guerra senza fine»
Il problema principale che deve affrontare l’amministrazione Biden è decidere se riprendere e continuare la «guerra senza fine» dei presidenti Bush e Obama.
Ricordiamo: questa strategia, enunciata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e dal suo consigliere, ammiraglio Arthur Cebrowski, mira alla distruzione di tutte le strutture statali di una regione del mondo per consentirne ai capitalisti lo sfruttamento, senza dover fare i conti con la resistenza politica. È attuata nel Medio Oriente Allargato, dove le strutture statali di Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen e Libano sono già state notevolmente indebolite, quando non distrutte.
La strategia della «guerra senza fine», enunciata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e dal suo consigliere, ammiraglio Arthur Cebrowski, mira alla distruzione di tutte le strutture statali di una regione del mondo per consentirne ai capitalisti lo sfruttamento, senza dover fare i conti con la resistenza politica
La «guerra senza fine» è stata ufficialmente dichiarata dal presidente Bush, non contro individui o Stati, ma contro il «terrore», che esiste un po’ ovunque e in ogni epoca.
La risposta del presidente Biden al problema è in chiaroscuro.
È consapevole che gli americani non vogliono più veder morire i propri soldati in conflitti che non comprendono. Biden si dichiara perciò pronto a ritirare le truppe statunitensi dall’Afghanistan, unico Paese ove sono ancora massicciamente presenti.
Ora, la locuzione «guerra senza fine», utilizzata dal presidente George Bush e dal vicepresidente Dick Cheney subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, s’è però imposta con la guerra in Iraq, di cui Biden non sembra avere oggi coscienza: il presidente è – fatto risaputo e appurato in più occasioni – affetto da senilità precoce.
Fu lui che, da senatore, propose di dividere l’Iraq in tre parti, conformemente al piano Rumsfeld/Cebrowski.
Eppure fu lui che, da senatore, propose di dividere l’Iraq in tre parti, conformemente al piano Rumsfeld/Cebrowski.
In altre parole, il presidente Biden non ha coscienza dell’evoluzione recente del mondo. Non è pronto ad abbandonare la strategia della «guerra senza fine», ma solo ad adattarla su alcuni terreni operativi, affinché non costi altre vite statunitensi: può riprendere e proseguire senza truppe USA sul campo, ma sempre con armi, finanziamenti e consulenza del Pentagono
Thierry Meyssan
NOTE
(1) Interim National Security Guidance, The White House, Marzo 2021.
(2) «Why America Must Lead Again. Rescuing U.S. Foreign Policy After Trump», by Joseph R. Biden Jr., Foreign Affairs, March/April 2020.
(3) Il colonnello House (1858-1938) fu l’eminenza grigia del presidente Woodrow Wilson, nonché uno dei principali teorici della moderna propaganda di guerra.
(4) Nel XVIII secolo il movimento democratico insisteva sulla necessaria virtù dei responsabili politici. In Francia si parlava anche di virtù repubblicana. Si trattava innanzitutto di dare prova di coraggio rifiutando di venire corrotti.
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «La strategia di Sicurezza Nazionale del presidente Biden», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 6 aprile 2021
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Cina
Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico
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Geopolitica
Trump non esclude il taglio degli aiuti a Israele, attacca Netanyahu e rivela dettagli sull’assassinio di Soleimani
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rifiutato di escludere il ritiro degli aiuti militari a Israele per forzare la fine della guerra a Gaza se verrà rieletto. Un tempo strenuo difensore del primo ministro Benjamin Netanyahu, Trump ha sostenuto che il leader israeliano e il suo esercito hanno «pasticciato» la guerra con Hamas.
In un’intervista con la rivista Time pubblicata questa settimana, il candidato alla Casa Bianca ha confermato la sua insistenza del mese scorso sul fatto che Israele dovrebbe «porre fine alla guerra» prima di perdere ulteriore sostegno internazionale.
«Penso che Israele abbia fatto molto male una cosa: le pubbliche relazioni», ha detto Trump al quotidiano, aggiungendo che secondo lui l’esercito israeliano non dovrebbe «inviare ogni notte immagini di edifici che crollano e vengono bombardati».
Alla domanda se escluderebbe di negare o applicare condizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele per portare la guerra a una conclusione, Trump ha risposto «no», prima di lanciarsi in una feroce critica a Netanyahu.
«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», ha detto, riferendosi a Netanyahu con il suo soprannome. Trump ha ricordato come Netanyahu avrebbe promesso di prendere parte all’attacco aereo statunitense che ha ucciso il comandante militare iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020, prima di ritirarsi all’ultimo minuto.
«È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», ha detto Trump al Time, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».
Come riportato da Renovatio 21, secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.
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Netanayhu, ha detto The Donald, «è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», riferendosi all’attacco di Hamas contro Israele. «E penso che abbia avuto un profondo impatto su di lui, nonostante tutto. Perché la gente diceva che non sarebbe dovuto succedere».
Israele ha, proseguito «le attrezzature più sofisticate», ha continuato. «Tutto era lì per fermarlo. E molte persone lo sapevano, migliaia e migliaia di persone lo sapevano, ma Israele non lo sapeva, e penso che sia stato fortemente incolpato per questo».
Trump non è la prima persona ad affermare che l’esercito e il governo israeliani non hanno risposto agli avvertimenti di un imminente attacco di Hamas. Secondo quanto riportato dai media israeliani, diversi membri del personale militare e dell’Intelligence hanno cercato di avvertire i loro superiori che era in corso un attacco, mentre i funzionari egiziani hanno riferito all’Associated Press di aver trasmesso avvertimenti alle loro controparti israeliane nelle settimane precedenti il 7 ottobre.
Trump è stato uno stretto alleato di Netanyahu durante il suo mandato alla Casa Bianca e si è descritto come «il presidente degli Stati Uniti più filo-israeliano della storia». Ha imposto sanzioni all’Iran su richiesta di Netanyahu, ha spostato l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme ovest e ha mediato gli accordi di Abramo, che hanno visto Israele normalizzare le relazioni con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco e il Sudan.
Alla domanda se potrebbe lavorare meglio con il principale rivale politico di Netanyahu, Benny Gantz, se dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali di novembre, Trump non ha dato una risposta diretta. Tuttavia, ha osservato che «Gantz è bravo» e che ci sono «alcune persone molto brave che ho conosciuto in Israele che potrebbero fare un buon lavoro».
Benjamin Netanyahu è stato sostenuto negli anni dalla famiglia del genero di Trump Jared Kushner, il cui padre – controverso immobiliarista ebreo ortodosso finito in galera per una squallida storia di ricatti perfino a famigliari – era uno dei primi finanziatori di Bibi, il quale, si dice, quando era a Nuova York dormisse nella cameretta del Jared.
Il personaggio si è fatto notare di recente per aver detto che «è un peccato» che l’Europa non accolta più profughi palestinesi in fuga da Gaza, per poi fare dichiarazioni entusiastiche sul valore delle proprietà immobiliari future sul lungomare della Striscia.
Il Jared – che è sospettato da molti di essere una «talpa» contro Donald, perfino nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago – e la moglie, l’adorata figlia di Trump Ivanka, sarebbero stati lasciati fuori dalla nuova campagna per esplicita richiesta dell’ex presidente.
Trump, in uno degli ultimissimi atti della sua presidenza, diede la grazia al traditore (e spia israeliana) Jonathan Pollard, analista dell’Intelligence USA artefice di una delle più grandi falla di segreti militari della storia degli apparati statunitensi.
Nei primi giorni del 2021, agli sgoccioli della presenza di Trump alla Casa Bianca, Pollard arrivò in Israele, dove lo attendevano ali di folla a festeggiarlo come un eroe (per aver tradito il loro principale alleato: incomprensibile fino al grottesco, a pensarci), tramite un jet privato messo a disposizione dal controverso magnate dei casino di Las Vegas – e finanziatore di quasi tutto il Partito Repubblicano USA come del Likud israeliano – Sheldon Adelson, morto poche ore dopo.
Come riportato da Renovatio 21, Trump il mese scorso ha dichiarato che il comportamento di Israele a Gaza ha causato un danno enorme alla percezione dello Stato ebraico nel mondo, mettendoli «nei guai» e incoraggiando l’antisemitismo.
Attacchi pubblici di Trump a Netanyahu si sono registrati già a fine 2021, mossa che gli valse uno screzio con i fondamentalisti protestanti americani, cioè i cristiano-sionisti che sostengono Israele per la profezia apocalittica secondo cui gli ebrei, ricostruendo il Terzo Tempio, genereranno il loro messia che sarà l’anticristo dei cristiani, accelerando la venuta di Cristo.
Tale teologia escatologica è in azione anche in questi giorni, come visibile nel caso della giovenca rossa, e di altri animali da sacrificio che hanno tentato di trafugare sul Monte del Tempio di Gerusalemme.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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