Cina
La NASA insiste: la Cina potrebbe reclamare parti della Luna
La Cina potrebbe tentare di ottenere il controllo dei luoghi più ricchi di risorse sulla Luna se vince la competizione contro gli Stati Uniti per l’unica massa planetaria della Terra, ha detto l’amministratore della NASA Bill Nelson in una intervista pubblicata ieri sul sito americano Politico.
«È un dato di fatto: siamo in una corsa allo spazio», ha dichiarato il Nelson. «Ed è vero che faremmo meglio a stare attenti che loro [la Cina] non arrivino in un posto sulla luna con il pretesto della ricerca scientifica. E non è al di là del regno delle possibilità che dicano: “State fuori, questo è il nostro territorio”».
Secondo Nelson «ci sono solo così tanti posti sul polo sud della luna che sono adeguati per quello che pensiamo, a questo punto, per la raccolta dell’acqua etc.», ha aggiunto il capo dell’agenzia spaziale statunitense.
A giustificazione della sua affermazione, il capo dell’aerospazio statunitense ha citato la condotta di Pechino sulla Terra. «Se ne dubiti, guarda cosa hanno fatto con le Isole Spratly», cioè l’arcipelago del Mar Cinese Meridionale che è conteso da altre Nazioni ma dove l’esercito cinese ha stabilito basi contese.
Nel 2019, la Cina è diventata il primo paese a effettuare un atterraggio morbido sul lato nascosto della Luna come parte della sua missione robotica Chang’e 4. Successivamente è stato in grado di consegnare campioni lunari sulla Terra. Pechino dice che prevede di portare un uomo sulla luna prima del 2030 e, successivamente, di stabilirvi una stazione di ricerca scientifica.
Negli ultimi anni, anche la China National Space Administration (CNSA) ha inviato con successo un orbiter e un rover su Marte e ha lanciato la sua stazione spaziale nazionale nell’orbita terrestre.
«La Cina nell’ultimo decennio ha avuto enormi successi e progressi» nel suo programma spaziale, ha riconosciuto il Nelsone. Tuttavia, il funzionario spaziale americano ha comunque espresso fiducia nel fatto che la NASA abbia le carte in regola per vincere di nuovo la gara e raggiungere l’obiettivo prefissato di inviare una missione con equipaggio sulla Luna nel 2025.
Pechino ha in numerose occasioni negato le accuse statunitensi di avere un’agenda insidiosa dietro il suo programma spaziale.
Ad agosto, il mai domo portavoce wolf warrior del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha affermato che «lo spazio esterno non è un terreno di lotta, ma un campo importante per la cooperazione vantaggiosa per tutti». L’esplorazione del cosmo è «lo sforzo comune dell’umanità e dovrebbe giovare a tutti», aveva assicurato il Zhao, aggiungendo che la Cina è impegnata nell’uso pacifico dello spazio e nella cooperazione con altri Paesi.
Come riportato da Renovatio 21, il Nelson in un’intervista di sabato 2 luglio al tabloid tedesco Bild aveva accusato la Repubblica Popolare Cinese di voler prendere il controllo della Luna. L’intervista era stata ampiamente ripresa dalla stampa internazionale.
La corsa internazionale verso la Luna si sta intensificando in grande stile e la Cina si pone tra i paesi più avvantaggiati nella sfida cosmonautica che poche potenze al mondo sono in grado di portare avanti. Essa non ha dubbi riguardo l’idea di sfruttare le risorse minerarie della Luna, tra cui i giacimenti di Elio 3, sostanza considerata da alcuni scienziati come il combustibile del futuro.
Come riportato un anno fa da Renovatio 21, la Cina sta investendo in armi progettate per bloccare o distruggere i satelliti statunitensi, cioè armi antisatellite (ASAT).
Di fatto, la Cina ha già schierato missili terrestri per distruggere i satelliti in orbita terrestre bassa (LEO).
L’anno scorso era inoltre emerso che i cinesi stanno lavorando su una «Luna artificiale» per prepararsi meglio alla missione lunare. Si tratta di una camera a vuoto che utilizza un potente campo magnetico per ricreare l’ambiente a bassa gravità.
Cina
Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.
Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.
Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.
Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.
A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.
«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».
L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.
«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».
Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.
«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».
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Cina
Storie di utero in affitto in Cina
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.
Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.
Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.
La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.
Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.
L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.
Michael Cook
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