Cina
Avvocata cinese per i diritti umani bloccata dalla app per il tracciamento COVID
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Wang Yu è nota per il suo impegno umanitario. Il suo codice QR è diventato rosso due volte senza avere un tampone positivo. Doveva fornire una consulenza in un caso di diritti umani. Nel secondo caso si trovava a Pechino a due mesi dal Congresso del Partito comunista. Applicazioni web contro la pandemia usate per il controllo sociale.
Le autorità usano la app di tracciamento del COVID-19 per limitare gli spostamenti degli attivisti per i diritti umani. Lo ha denunciato Wang Yu, avvocata di fama nazionale già imprigionata in passato per la sua attività umanitaria.
Con la politica «zero-COVID» di Xi Jinping, senza codice sanitario «verde» è impossibile viaggiare o entrare in luoghi pubblici. Malgrado il ritiro di molte restrizioni dopo le recenti proteste popolari anti-lockdown, a livello locale continuano a essere attive le applicazioni web per tenere sotto controllo la diffusione del coronavirus.
Come riporta l’Associated Press, quest’anno in due occasioni Wang si è ritrovata all’improvviso con il codice QR «rosso» senza avere un tampone positivo o contatti registrati con persone contagiate.
La prima volta in marzo quando è andata a Datong, città mineraria dello Shanxi, per offrire una consulenza riguardo a un caso umanitario.
La seconda ad agosto, mentre si trovava a Pechino a due mesi dal 20° Congresso del Partito comunista cinese. Tornata nell’abitazione dei suoi genitori nella Mongolia interna, il codice di tracciamento è tornato verde a fine novembre, al termine del Congresso.
Wang è stata la prima di un gruppo di avvocati dello studio legale Fengrui di Pechino a finire agli arresti la notte tra il 9 e il 10 luglio 2015, dando il via a un’operazione di polizia su scala nazionale che ha portato a fermo di più di 300 avvocati e loro collaboratori. Fra loro anche alcuni cristiani protestanti e cattolici.
Alle cronache è passata come l’operazione «709» (in quanto partita il 9 luglio di quell’anno). Molti degli arrestati sono stati processati e poi condannati; diversi hanno “confessato” in video le loro colpe; altri sono usciti dalla prigione molto provati dal punto di vista fisico e psicologico, a causa delle torture subite.
Quello di Wang non è il primo caso di utilizzo dell’app di tracciamento per il controllo sociale. A giugno le autorità di Zhengzhou (Henan) hanno attivato il codice QR per soffocare le proteste di centinaia di correntisti contro una truffa organizzata da quattro banche.
Ad aprile, gli istituti incriminati avevano bloccato i loro servizi online senza preavviso, e ai clienti era stato negato l’accesso ai loro conti (nel complesso, risparmi per miliardi di yuan).
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Immagine screenshot da YouTube
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
I test di sicurezza sui trasporti pubblici in Norvegia hanno rivelato che i produttori cinesi possono accedere e controllare a distanza gli autobus elettrici.
Una compagnia di autobus norvegese ha condotto dei test segreti confrontando autobus realizzati da produttori europei e cinesi per scoprire se i veicoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza informatica.
Non sono stati segnalati problemi con l’autobus europeo, ma si è scoperto che il veicolo cinese, prodotto da un’azienda chiamata Yutong, poteva essere manipolato a distanza dal produttore.
Questa manipolazione includeva la possibilità di accedere al software, alla diagnostica e al sistema di batterie dell’autobus. Il produttore cinese aveva la possibilità di fermare o immobilizzare il veicolo.
Arild Tjomsland, un accademico che ha collaborato ai test, ha sottolineato i rischi: «l’autobus cinese può essere fermato, spento o ricevere aggiornamenti che possono distruggere la tecnologia di cui l’autobus ha bisogno per funzionare normalmente».
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Tjomsland ha poi aggiunto che, sebbene gli hacker o i fornitori non siano in grado di guidare gli autobus, la capacità di fermarli potrebbe essere utilizzata per interrompere le operazioni o per esercitare un’influenza sul governo norvegese durante una crisi.
Le preoccupazioni sui veicoli cinesi sono diffuse. I think tank hanno lanciato l’allarme: i veicoli elettrici potrebbero essere facilmente «armati» da Pechino.
Le aziende cinesi hanno testato su strada i loro veicoli negli Stati Uniti, raccogliendo dati, tra cui roadmap, che gli esperti ritengono potrebbero rivelarsi di utilità strategica.
I risultati dei test sono stati ora trasmessi ai funzionari del ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni in Norvegia.
La militarizzazione dei prodotti cinesi importati in gran copia non riguarda solo le auto.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa è emerso che sono stati trovati dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli solari cinesi che potrebbero «distruggere la rete elettrica».
Una trasmissione giornalistica italiana aveva dimostrato che nottetempo le telecamere cinesi usate persino nei ministeri italiani inviavano dati a server della Repubblica Popolare.
Il lettore di Renovatio 21, ricorderà tutta la querelle attorno al decreto del governo Conte bis, in piena pandemia, chiamato «Cura Italia» (da noi ribattezzato più onestamente «Cina Italia»), che in bozza conteneva concessioni a produttori di IT di 5G cinesi come Huawei che, secondo alcuni, mettevano a rischio la sicurezza del nostro Paese e del blocco cui è affiliato.
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