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Persecuzioni

India, sacerdote cattolico arrestato con l’accusa di conversioni

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Padre Dominic Pinto, responsabile di un centro pastorale diocesano, preso di mira dai nazionalisti per aver ospitato un incontro di protestanti e Khrist Bhakta, indù che guardano con simpatia agli insegnamenti di Gesù. Il vescovo Mathias: «Un grave abuso contro i cristiani. Preghiamo perché prevalgano la giustizia e il buon senso».

 

Un sacerdote cattolico della diocesi di Lucknow, padre Dominic Pinto, è stato fermato il 5 febbraio dalla polizia dell’Uttar Pradesh insieme ad altre persone con l’accusa di aver cercato di «convertire indù poveri» nel distretto di Barabanki.

 

Padre Pinto è il direttore di «Navintha», un centro pastorale diocesano, che saltuariamente ospita nel centro pastorale incontri promossi da un gruppo protestante insieme ai Khrist Bhakta («seguaci di Cristo»), un movimento di persone che pur non essendosi convertite al cristianesimo come religione, seguono gli insegnamenti di Gesù.

 

Nella denuncia presentata alla stazione di polizia di Deva sono state citate 15 persone, tra cui cinque donne. Sono state accusate di aver violato la draconiana legge anti-conversione dell’Uttar Pradesh.

 

Il denunciante Brijesh Kumar Vaishya li accusa di attirare al cristianesimo indù poveri, tra cui donne e bambini, appartenenti a comunità dalit. Un gruppo di indù ha anche cercato di aggredire le donne presenti al raduno di preghiera e ha protestato davanti alla stazione di polizia chiedendo di includere il nome del sacerdote cattolico nella denuncia.

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Mons. Gerald Mathias, vescovo della diocesi di Lucknow, ha commentato ad AsiaNews:

 

«P. Dominic Pinto ha concesso alcuni locali del centro pastorale diocesano a un gruppo protestante per svolgere una giornata di formazione o di preghiera. Erano oltre 200 persone. Stavano parlando, predicando e pregando. Un gruppo di nazionalisti indù si è lamentato con la polizia sostenendo che lì si stessero svolgendo conversioni, cosa del tutto falsa. Non c’è stata alcuna conversione. La polizia è arrivata e ha fermato la preghiera e la predicazione. Nel frattempo la folla istigata dai nazionalisti indù ha rotto le telecamere di sicurezza e saccheggiato i locali. La polizia ha portato p. Dominic e alcuni leader del gruppo alla stazione di polizia per interrogarli».

 

«Si tratta di un grave abuso della legge anti-conversione dello Stato» continua mons. Mathias. «La polizia ha registrato le accuse senza alcuna prova. Subiscono le pressioni della folla o cedono ai dettami delle autorità superiori: è un tipico caso di molestie e atrocità contro i cristiani. Stiamo pregando intensamente e lavorando per ottenere la libertà provvisoria al più presto. Spero e prego che la giustizia e il buon senso prevalgano».

 

L’agenzia cattolica Matters India commenta l’episodio riportando i dati dello United Christian Forum, un gruppo ecumenico con sede a New Delhi, secondo cui l’Uttar Pradesh ha registrato 287 dei 687 episodi di persecuzione contro i cristiani segnalati in tutta l’India nel periodo gennaio-novembre 2023.

 

I cristiani rappresentano solo lo 0,18% degli oltre 200 milioni di abitanti dell’Uttar Pradesh, il 79,73% dei quali sono indù.

 

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Persecuzioni

Estonia, repressione stile Kiev contro gli ortodossi legati al Patriarcato di Mosca

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Secondo quanto dichiarato ai media estoni dal ministro degli Interni Lauri Laanemets, le organizzazioni religiose in Estonia potrebbero essere obbligate a interrompere tutti i legami con la Chiesa Ortodossa Russa (ROC), in base alla legge approvata dal governo giovedì.   L’emendamento alla legge sulle chiese e le parrocchie, presentato da Laanemets, è stato inviato al parlamento della nazione UE. Se approvato, la Chiesa ortodossa estone (EOC), così come altre associazioni e società religiose, avranno due mesi per adeguare i loro statuti, la composizione del consiglio e le attività alla nuova legislazione.   Una lettera esplicativa allegata al nuovo disegno di legge afferma che tutte le organizzazioni religiose in Estonia devono «escludere la leadership di una persona o associazione con influenza significativa e situata in uno stato straniero se rappresenta una minaccia per la sicurezza, l’ordine costituzionale o l’ordine pubblico dello stato estone, sostiene un’aggressione militare o incita alla guerra, a un crimine terroristico o ad altri usi illegali della forza armata o della violenza».

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Il Laanemets ha affermato che l’iniziativa sarebbe «necessaria» perché la Chiesa ortodossa, che ha legami canonici con il Patriarcato di Mosca, è «lo strumento di influenza più importante per la Russia e il Cremlino in Estonia», e che questo «deve essere fermato».   L’anno scorso, il ministro aveva minacciato di chiudere i monasteri cristiani ortodossi nel paese se non avessero reciso i legami con la ROC, annunciando che stava preparando una proposta al parlamento estone per etichettare ufficialmente la ROC come organizzazione terroristica e vietarne le attività nel Paese, scrive la stampa russa.   In precedenza, la Chiesa Ortodossa Estone aveva dichiarato di non avere intenzione di recidere unilateralmente i suoi legami canonici con il Patriarcato di Mosca, sostenendo che la Chiesa Ortodossa Russa non aveva fatto nulla che potesse costringerla a compiere tale mossa.   Tuttavia, ad agosto, il Consiglio dell’EOC del Patriarcato di Mosca ha approvato una revisione del suo statuto, rimuovendo la menzione del Patriarcato di Mosca dal nome della chiesa. Laanemets ha dichiarato all’epoca che ciò non era sufficiente e ha sostenuto che Mosca aveva ancora influenza sull’EOC.   La Russia ha condannato fermamente i tentativi dell’Estonia di separare l’EOC dalla ROC e di promulgare leggi che limiterebbero le attività della ROC, definendoli violazioni della libertà religiosa, discriminazione nei confronti dei credenti ortodossi e ingerenza negli affari religiosi da parte del governo estone.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa il Parlamento della vicina Lettonia aveva votato per far separare da Mosca la chiesa ortodossa lettone.

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Cina

Cina, il nuovo vescovo Cai Bingrui e la frontiera del Fujian

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

L’attuale vescovo di Xiamen ai sensi dell’intesa tra Pechino e la Santa Sede si è insediato oggi in una delle sedi storicamente più importanti della Chiesa in Cina. Nella provincia che si affaccia su Taiwan in un contesto politicamente molto sensibile. La sfida (ancora da completare davvero) di una ricomposizione con le comunità «sotterranee» e gli slogan ingombranti sul «patriottismo».

 

Come anticipavamo già qualche giorno fa, dopo l’ordinazione del nuovo vescovo di Luliang nella provincia dello Shanxi avvenuta lunedì, oggi è arrivata anche una seconda notizia di rilievo che riguarda la Chiesa in Cina: questa mattina è avvenuta la presa di possesso del nuovo vescovo della diocesi di Fuhzou, il capoluogo della provincia del Fujian.

 

Si tratta di mons. Giuseppe Cai Bingrui, 58 anni, che dal 2007 era già il vescovo di Xiamen, altra sede episcopale della stessa provincia. Non si tratta, dunque, di una nuova nomina episcopale, ma di un trasferimento che – ha reso noto la Santa Sede – è stato approvato da papa Francesco ai sensi dell’Accordo provvisorio tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi.

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Formatosi nel seminario di Sheshan a Shanghai, divenuto sacerdote nel 1992, mons. Cai era diventato molto presto l’amministratore diocesano della comunità di Xianmen, diocesi dove il vescovo ordinato illegittimamente da Pechino (Joseph Huang Ziyu) era morto e restavano in tutto due giovani sacerdoti. L’ordinazione episcopale era poi avvenuta nel 2010, già con il consenso di Roma espresso secondo le modalità precedenti all’Accordo del 2018.

 

Ora, dunque, il pontefice «avendone approvata la candidatura» – recita il comunicato vaticano – lo ha nominato il 15 gennaio vescovo di Fuzhou «trasferendolo dalla sede di Xiamen». Nel capoluogo del Fujian prende il posto di mons. Pietro Lin Jashan, l’anziano arcivescovo proveniente dalla Chiesa «sotterranea» che nel 2020 ai sensi dell’Accordo era stata Pechino a riconoscere ufficialmente, ma che era poi morto nel 2023 all’età di 88 anni.

 

Va segnalato che la nota vaticana definisce il nuovo pastore come «vescovo» e Fuzhou come «diocesi», confermando anche in questo caso la geografia ecclesiastica imposta dalle autorità di Pechino, che non annovera metropoli.

 

Quella di mons. Cai è una nomina di peso per la Chiesa in Cina, in una grande diocesi in cui secondo le stime più recenti vivrebbero più di 300mila cattolici. Un contesto complesso, dal momento che le stesse comunità «sotterranee» – storicamente significative nel Fujian – già prima del riconoscimento ufficiale di mons. Lin Jashan erano a loro volta divise in due tronconi diversi, con un gruppo che continuava a far riferimento a un altro amministratore diocesano clandestino, mons. Giuseppe Lin Yuantuan.

 

Fuzhou è un luogo fondamentale nella storia dell’evangelizzazione in Cina: nel 1624 proprio qui il gesuita e matematico Giulio Aleni (1582-1649) – discepolo di Matteo Ricci – fu pioniere dell’incontro con la cultura cinese nella tarda dinastia dei Ming. I suoi dieci anni di dialoghi a Fuzhou con un gruppo di letterati confuciani convertiti al cristianesimo e poi raccolti nel Kuoduo richao (il «Diario delle ammonizioni orali») sono una testimonianza unica del primo cristianesimo cinese, come anche delle domande che l’annuncio del Vangelo suscitava da parte di quanti vi si accostavano.

 

Ma Fuzhou fu anche la prima frontiera del martirio dei cristiani sotto la dinastia dei Qing: nel 1747 fu in questa città che venne incarcerato e decapitato il vescovo domenicano mons. Pedro Sans i Jordà, già allora vicario apostolico del Fujian. E dei 120 martiri cinesi proclamati santi da papa Giovanni Paolo II il 1 ottobre 2000 nella cerimonia duramente contestata come una «provocazione» dal Partito comunista cinese, i primi sei – quelli che furono uccisi prima del XIX secolo – sono tutti missionari domenicani che hanno versato il loro sangue per l’annuncio del Vangelo in questa provincia cinese.

 

Il Fujian è un’area particolarmente importante anche nello sguardo sulla Cina di oggi: è una delle zone economicamente più dinamiche del Paese (e in realtà del mondo intero) e insieme è una frontiera particolarmente sensibile dal punto di vista politico (è stato iniziando da qui che Xi Jinping ha costruito la sua ascesa al vertice del Partito comunista cinese). Ma soprattutto è la prima linea del confronto con Taiwan, che nel tratto più vicino si trova ad appena 120 chilometri di mare.

 

Su questo ultimo punto c’è un episodio interessante che riguarda proprio mons. Cai: quando venne ordinato vescovo nel 2010 a Xiamen in una cerimonia presieduta da mons. Zhan Silu, tuttora vescovo di Mindong (ai tempi non ancora in comunione con Roma), fu presente anche il vescovo emerito di Taipei mons. Giuseppe Cheng Tsai-fa. E interpellato su questo da AsiaNews mons. Cai allora raccontò che la sua diocesi riceveva da molto tempo visite da parte dei cattolici della vicina isola di Taiwan e che sperava di continuare il dialogo e lo scambio con la Chiesa dall’altro lato dello Stretto.

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Oggi a lui spetterà il compito di continuare a Fuzhou il cammino di ricomposizione della sua comunità ecclesiale. Nelle ore in cui veniva resa nota la nomina, anche l’anziano presule «sotterraneo» Giuseppe Lin Yuantuan ha diffuso un biglietto in cui dice che la Santa Sede «auspica la sua collaborazione attiva nel guidare il clero, le suore e i fedeli di Fuzhou affinché siano obbedienti e sostengano il vescovo Cai Bingrui». Il che – però – è anche un modo per ricordare che, al di là delle nomine, l’unità è un cammino ancora da compiere fino in fondo nel Fujian, come mostrato negli anni scorsi a Mindong dalla sofferta vicenda del vescovo mons. Guo Xijin.

 

In un contesto del genere vanno lette anche le parole che il comunicato «ufficiale» di China Catholic mette in bocca al neo-vescovo di Fuzhou. Presentandosi oggi alla diocesi mons. Cai si sarebbe impegnato a tenere «sempre alta la bandiera del patriottismo e dell’amore per la Chiesa, aderendo al principio dell’indipendenza e dell’autogestione, alla direzione della sinicizzazione del cattolicesimo nel Paese, unendo e guidando i sacerdoti e i fedeli della diocesi di Fuzhou ad aderire a un percorso compatibile con la società socialista».

 

Le immancabili parole d’ordine di Xi Jinping, sulla frontiera del Fujian.

 

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Persecuzioni

Nicaragua, il governo sequestra il seminario maggiore di Matagalpa

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Una trentina di seminaristi sono stati espulsi dal seminario maggiore filosofico San Luis Gonzaga, a sud-est della città di Matagalpa, in Nicaragua, per ordine della polizia e dei funzionari della Procura Generale (PGR) che, nel pomeriggio di lunedì 20 gennaio, hanno sequestrato il proprietà della diocesi di Matagalpa.   «Notizia molto triste: è stato confiscato il seminario San Luis Gonzaga a Matagalpa-Nicaragua. Il seminario è il cuore di una Chiesa e di una diocesi, è il luogo di formazione dei futuri sacerdoti. Questo pomeriggio è stato confiscato dalla polizia, lasciando tutti i seminaristi nell’incertezza», ha spiegato il sacerdote nicaraguense in esilio Erick Díaz, sul suo account Facebook.   Il sequestro del Seminario Filosofico si aggiunge a quello del Centro pastorale diocesano La Cartuja, situato a cinque chilometri a nord della cittadina di Matagalpa, sequestrato dalla polizia e dalla PGR nel pomeriggio di giovedì 16 gennaio. Dal 19 agosto 2022, inoltre, la polizia occupa la residenza vescovile nel centro della città.

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I seminaristi, delle diocesi di Matagalpa e Siuna, sono stati rimandati a casa e, per il momento, non si sa se qualcuno sia stato arrestato. Padre Díaz ha sottolineato che la diocesi di Matagalpa, guidata dall’esilio da mons. Rolando Álvarez, sta subendo il peggiore «assalto della sua storia» sotto il governo presieduto da Daniel Ortega e sua moglie Rosario Murillo.   «È la diocesi più colpita del Paese. Proprio questa settimana sono stati sequestrati e confiscati due dei suoi beni più preziosi: il centro di ritiri spirituali La Cartuja e, ora, il seminario dove si formano i nostri futuri sacerdoti. Possa Dio aiutare sempre la nostra diocesi di Matagalpa», ha aggiunto il sacerdote.   L’avvocato Martha Patricia Molina, autrice del rapporto «Nicaragua, una Chiesa perseguitata», in cui denuncia gli attacchi sistematici del regime di Ortega-Murillo contro la Chiesa, come quello contro il seminario, ha denunciato anche sui suoi social network che, poiché Domenica 19 gennaio è aumentata la sorveglianza sui sacerdoti nella diocesi.   Articolo previamente pubblicato su FSSPX.News.

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Immagine da FSSPX.News
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