Vaccini
Il figlio di Robert Kennedy jr. è andato a combattere in Ucraina. La stampa curiosamente cita solo il nonno e mai il padre
![](https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2022/10/con-ken-ukr.jpg)
Conor Kennedy, 28enne figlio di Robert Francis Kennedy jr – considerato il dominus dell’antivaccinismo mondiale, e a ragione – è andato a combattere in Ucraina.
Ora il ragazzo è tornato, è ha pubblicato con un post su Instagram il suo accorato appello pro Kiev.
«Il mio tempo in Ucraina non è stato lungo, ma ho visto molto e ho sentito molto. Mi piaceva essere un soldato, più di quanto mi aspettassi. È pauroso. Ma la vita è semplice e le ricompense per aver trovato il coraggio e fare del bene sono sostanziali. I miei amici sanno perché dovevo tornare a casa. Gli sarò sempre debitore del loro esempio. So di essere fortunato di essere tornato, ma mi prenderei anche tutti i rischi che abbiamo preso di nuovo».
«Questa guerra plasmerà il destino della democrazia in questo secolo. C’è altro da dire sulla sua politica e sul ruolo dei governi occidentali lì. Per ora, ti esorto solo ad aiutare nella tua capacità personale. Unisciti alla legione, aiuta al confine o invia forniture mediche. Ogni giorno qualcuno lì sacrifica tutto per una pace duratura. Non si può chiedere loro di agire da soli».
Poi pubblica la foto del suo amico Nick in mimetica seduto su di un copertone in una qualche campagna a caso, zainetto con scritte a pennarello come neanche i vecchi Invicta, dove campeggia evidente la scritta «Slava Ukraini», gloria all’ucraina, saluti dei nazisti banderisti ora divenuto completamente mainstream.
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Non possiamo fare una colpa a Robert Kennedy se il suo ragazzo fa così. Del resto vale l’adagio antico: «i figli non si fanno con la testa».
Il ragazzo si vede su internet in foto con il padre, mentre esibisce un fisico da surfista notevole. A 18 anni i rotocalchi si occuparono delle voci di una relazione con la giovane cantante superfamosa Taylor Swift.
Cosa l’abbia spinto a fare una cosa del genere, partire per una zona calda senza nessuna esperienza militare pregressa e con davanti agli occhi l’immagine dei foreign fighter di Yaroviv polverizzati da un missile russo, non sappiamo saperlo.
Ancora meno, conosciamo il motivo del suo ritorno: in effetti, non lo scrive proprio nel suo accorato messaggio.
Tuttavia non è per parlare di lui che scriviamo questo articolo.
È per notare come scrive del caso la stampa italiana. La quale, ovviamente, non può non abboccare: insomma, un Kennedy – vera famigliare reale USA, dal prestigioso e dal fascino non intaccato da decenni di tremenda maledizione – che va in guerra a far l’eroe, come un principe dell’era passata che parte per le Crociate…
Il problema è che si può parlare di lui, del nonno, ma mai e poi mai citare il padre – che giustamente la giornalista Megyn Kelly, che ha avuto il coraggio di intervistarlo riuscendo a non farsi cancellare il video da YouTube, definisce «l’uomo più bannato d’America».
Prendiamo Il Messaggero, che parte descrivendocelo come il principe di nobile spirito di cui sopra: la prova è la fedina penale, sacrificata per la difesa di ambienti e LGBT.
«Conor ha alle spalle due arresti negli Stati Uniti. Uno per una rissa scatenata in un bar sei anni fa, a difesa di un amico gay che era stato preso d’assalto da quattro avventori; l’altra per le proteste ambientaliste davanti alla Casa Bianca nel 2013, per l’approvazione di un nuovo oleodotto in Alaska».
Ricordandoci sempre che siamo alle prese con materia da Hollywood, celebrità vera: «La cronaca rosa lo seguiva già all’età di 18 anni, quando Conor ebbe una breve storia d’amore con la cantante Taylor Swift».
Poi la prova finale del sangue democraticamente blu: «il ventottenne Conor è il pronipote dell’ex senatore Bob Kennedy, assassinato a Los Angeles nel 1968 durante la campagna elettorale che prometteva di portarlo alla Casa Bianca».
Eh? «Pronipote»?
Ma scusate, se è il figlio del figlio di Bob Kennedy, non è semplicemente il nipote del candidato presidente assassinato oscuramente a Los Angeles? Non è che hanno aggiunto una generazione di mezzo per non dover dire il nome di Robert F. Kennedy jr, suo padre, oramai assurto per la stampa mainstream al ruolo di Voldemort globale, un colui-che-non-si-deve-nominare pandemico?
È ben strano. Anche perché sul sito della stessa testata, è ancora reperibile un articolo dell’11 febbraio 2021, intitolato «“Robert Kennedy è un no-vax. Instagram chiude l’account del nipote dell’ex presidente USA». Insomma: c’era proprio il padre di Conor, e per coincidenza si parlava proprio di Instagram: piattaforma che caccia il papà Kennedy antivaccinista ma invece tollera perfettamente il figlio Kennedy che va a combattere i russi. Un quadretto che ha pure una sua rilevanza: con evidenza, lo si è ignorato.
Tuttavia, sempre il Messaggero in archivio – recente – ci ha anche un altro articolo, con tanto di video di RFK a Milano lo scorso autunno: «Bufera su Robert Kennedy Jr: “Green pass come il passaporto razziale del terzo Reich”».
Anche qui, curioso: tempesta, stigma sul padre che ha osato paragonare il lasciapassare verde a quelli dei nazisti; il figlio qualche mese dopo va a combattere fisicamente tra le fila di gente con svastiche tatuate ovunque, ma nessuna «bufera» su di lui, così come mai vi è stata per il Battaglione Azov.
Sono cortocircuiti che mettono simpatia. Li capiamo in pochi: di sicuro, gli happy few che leggono Renovatio 21.
Ciò detto, siccome noi stiamo con questo e pure altri Voldemort, non abbiamo paura di fare il suo nome, a differenza perfino dei famigli che ora lo attaccano.
Robert Kennedy. Robert Kennedy. Robert Kennedy.
Robert Francis Kennedy jr., figlio di Robert Francis Kennedy, padre di sei figli. Che, ribadiamo, non si fanno con la testa.
Immagine screenshot da Instagram
Vaccini
I vaccini anti-COVID possono dilatare ed indebolire il cuore: studio
![](https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2024/07/cardiopatia-dilatativa.jpg)
Oltre alla correlazione tra vaccinazione anti-COVID e miocardite – una reazione avversa ben consolidata – uno studio recente ha documentato come la cardiomiopatia dilatativa infiammatoria (un altro disturbo infiammatorio cardiaco) sia stata indotta dall’iniezione di Pfizer (BNT162b2).
«Una donna di 78 anni, precedentemente sana, è stata indirizzata dal suo medico di famiglia e ricoverata nel nostro ospedale per la gestione della dispnea 11 giorni dopo aver ricevuto la terza dose del vaccino mRNA-1273. La paziente è stata sottoposta a una serie primaria di due dosi di BNT162b2. Il quarto giorno dopo la vaccinazione, la paziente ha manifestato palpitazioni e dispnea, che sono gradualmente peggiorate», si legge nel caso di studio.
«Pertanto, la relazione temporale tra la precedente vaccinazione anti-COVID-19 e il verificarsi di iDCM senza altre cause identificabili ha portato alla diagnosi finale di VAM anti-COVID-19» scrive la ricerca.
Fortunatamente per la paziente, le sue condizioni sono migliorate con il trattamento orale con prednisolone, che è stato documentato tramite radiografia del torace (CXR) ed elettrocardiografia (ECG). Si può notare la riduzione delle dimensioni del cuore infiammato dopo il trattamento.
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«Per quanto ne sappiamo, questo è il primo caso segnalato di iDCM confermato da biopsia a seguito di immunizzazione con mRNA-1273», si legge nello studio del caso nella sezione di discussione.
Un dato interessante riguardante questo caso è che l’infiammazione cardiaca dovuta ai vaccini anti-COVID si riscontra spesso nei giovani uomini tramite miocardite, mentre questo paziente era una donna anziana che aveva sofferto di una patologia diversa che aveva provocato un’infiammazione cardiaca.
«In quarto luogo, si è trattato di un caso unico di una paziente anziana con VAM a seguito di immunizzazione con terza dose di mRNA-1273 eterologo dopo una serie primaria di due dosi di BNT162b2» continua la discussione dello studio. «Un ampio studio di coorte su circa 23 milioni di residenti che hanno ricevuto due dosi del vaccino COVID-19 ha rivelato 5,6 eventi di miocardite in eccesso in 28 giorni ogni 100.000 vaccinati dopo BNT162b2/BNT162b2, 18,4 eventi in eccesso ogni 100.000 vaccinati dopo mRNA-1273/mRNA-1273 e 27,5 eventi in eccesso ogni 100.000 vaccinati dopo BNT162b2/mRNA-1273 tra i giovani maschi (età 16-24)».
«Queste prove suggeriscono che la vaccinazione eterologa potrebbe essere associata a un rischio molto più elevato di VAM rispetto alla vaccinazione omologa tra i giovani maschi».
I ricercatori hanno concluso consigliando ai medici di seguire lo stesso protocollo terapeutico adottato quando si sono trovati di fronte a un paziente affetto da cardiomiopatia dilatativa infiammatoria dopo la vaccinazione anti-COVID, poiché in questo caso ha avuto successo.
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Immagine di James Heilman, MD via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Epidemie
Vaccini per le zecche, ecco gli «Open Day»: ma sappiamo di cosa si tratta?
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Epidemie
Epatite dopo i vaccini anti-COVID: casi di studio
![](https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2024/07/epatite-rossa.jpg)
Alcuni casi di studio documentano lo sviluppo di eptatiti negli individui a cui è stato iniettato il vaccino COVID.
Il fenomeno si manifesta indipendentemente dal fatto che il vaccino COVID sia basato su mRNA, come nel caso di Pfizer, su un vettore virale, come nel caso di AstraZeneca, o su un’iniezione classica a base di virus denaturato, come nel caso del siero cinese Sinopharm.
Vi sono tre casi di studio sulla questione, uno per ciascuna delle tecnologie vaccinali, riporta il sito americano Infowars.
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Nel primo caso di studio, un uomo di 35 anni è morto dopo aver contratto l’epatite a causa del vaccino AstraZeneca.
«Questo articolo presenta un giovane che ha sviluppato un’epatite fulminante pochi giorni dopo la vaccinazione con la prima dose del vaccino AstraZeneca COVID-19″, si legge nell’abstract dello studio. «Ha ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca COVID-19 8 giorni prima. È stato ricoverato in ospedale con un disturbo principale di dolore addominale. Al momento del ricovero e a causa dei suoi alti D-dimeri, della bassa conta piastrinica e del basso livello di fibrinogeno, è stata sospettata una trombosi immunitaria trombocitopenica indotta dal vaccino, che è stata esclusa in seguito».
«Quindi, dopo un aumento dei suoi test di funzionalità epatica, una diminuzione delle piastrine e test di coagulazione anomali, è stata presa in considerazione un’epatite fulminante per questo paziente» prosegue il paper. «Sono state quindi sospettate diverse eziologie batteriche, virali e autoimmuni, tutte escluse. Pertanto, è stata confermata un’epatite fulminante secondaria al suo vaccino AstraZeneca COVID-19».
Il secondo caso di studio ha documentato come un uomo abbia contratto l’epatite in seguito alla somministrazione del vaccino COVID della farmaceutica cinese Sinopharm.
«Questo studio presenta un caso di epatite innescata dal vaccino Sinopharm per COVID-19. Un uomo di 62 anni si è presentato con ittero, perdita di peso ed enzimi epatici elevati tre giorni dopo aver ricevuto la seconda dose di vaccino COVID-19. Le sezioni microscopiche hanno mostrato un modello di lesione epatitica con infiammazione sia portale che lobulare e marcata infiltrazione di eosinofili», scrive la presentazione della ricerca.
È interessante notare che, mentre è stato dimostrato che i vaccini mRNA e quelli a vettore virale contro il COVID causano l’epatite, lo stesso vale per il vaccino Sinopharm contro il COVID, nonostante sia un vaccino classico.
«Sono stati segnalati diversi casi di epatite dopo i vaccini COVID-19, ma quasi tutti sono stati diagnosticati come epatite autoimmune, innescata da vaccini mRNA COVID-19 o vettori virali, ma il caso attuale è uno dei primi casi di epatite segnalati dopo il vaccino Sinopharm, un vaccino COVID-19 a virus inattivato. La diminuzione spontanea dei livelli degli enzimi epatici, senza terapia con corticosteroidi, è contraria alla diagnosi di epatite autoimmune in altri casi segnalati», afferma lo studio.
In un terzo caso di studio, la sua epatite autoimmune, in remissione, si è riattivata in una donna di 35 anni dopo la somministrazione del vaccino anti-COVID della Pfizer.
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«Una donna asiatica di 35 anni con una pertinente storia clinica passata di epatite autoimmune si è presentata con una recidiva acuta di epatite autoimmune due settimane dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer-BioNTech a RNA messaggero (mRNA) contro la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19). Sono stati segnalati nove casi di epatite autoimmune dopo la somministrazione del vaccino COVID-19, ma questo è il primo caso documentato di una riattivazione di epatite autoimmune in remissione», leggiamo nell’abstract della ricerca.
In un archivio sarebbero quindi presenti 35 casi di studio sul fenomeno: «sono riassunte le caratteristiche cliniche di un totale di 35 casi attualmente segnalati di AIH [epatite autoimmune] dopo la vaccinazione contro il COVID-19 e si suggerisce che i pazienti con malattie autoimmuni potrebbero essere a più alto rischio di sviluppare AIH dopo la vaccinazione».
Come riportato da Renovatio 21, circa due anni fa fu riscontrata una strana crescita dei casi di epatite tra i bambini europei ed americani. Tra le prime spiegazioni, vi fu la possibile causa del sistema immunitario compromesso dal lockdown. Tuttavia, altri ipotizzarono correlazioni con il virus COVID e con i vaccini.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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