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Gender

Educazione sessuale: la farsa e la vergogna

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Questo non è un articolo, questo è uno sfogo. Perché non se ne può più.

 

Negli ultimi giorni impazza la polemica (una gigantomachia) sull’impiego del fondo da mezzo milione di euro che la legge di bilancio – accogliendo un emendamento proposto dal segretario di Più Europa Luca Magi ed evidentemente votato anche da più di qualcuno nella maggioranza – avrebbe stanziato per promuovere nelle scuole corsi di educazione sessuale e affettiva e salute sessuale.

 

Da qualche lustro a questa parte, con furia crescente, l’argomento sesso è diventato l’ossessione di tutti i benpensanti: radicali e clericali, estremisti e moderati.

 

Insomma, non sei una bella persona se non sali sul carro degli educatori aggiornati per i quali il sesso sta sopra ogni cosa e, soprattutto, rappresenta la prospettiva principe da inculcare il prima possibile a incolpevoli scolaretti in erba e poi, con virtuosismi all’altezza delle bassezze con cui già si stordiscono in rete, a ragazzini per lo più incapaci di intendere e di volere perché ignoranti di tutto il resto.

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È tragicamente esilarante osservare lo scontro in atto tra squadre di titani che manco si accorgono di portare acqua allo stesso identico mulino, ma strillano e si insolentiscono a vicenda. Come i proverbiali cecàti che fanno a pietrate.

 

Quelli del governo tuonano: «nessuno spazio nella scuola, né oggi né mai, per chi vorrebbe propagandare l’ideologia gender», e si premurano persino di rassicurare le mamme e i papà che l’educazione sessuale è nelle loro mani e non in quelle «di docenti politicizzati ed esperti esterni». Sorge spontanea la domanda: ma costoro dove vivono?

 

Qualcuno infatti dovrebbe spiegare al roboante onorevole incaricato di arringare il Parlamento come le scuole, tutte, siano invase da invasati che vi trovano praterie indifese da colonizzare perché nessuno ha più il coraggio di mettersi di traverso se non sussurrando piano piano all’orecchio del dirigente che, forse, sarebbe più adeguato evitare la promozione del sadomaso e fermarsi al capitolo precedente del prontuario.

 

Qualcuno dovrebbe anche riferire al gagliardo onorevole che il contagio della carriera alias corre ovunque indisturbato, dal momento che se non l’abbracci hai l’anello al naso o sei rimasto nel Medioevo, e invece oggi ogni virgulto deve decidere in libertà di cambiarsi il nome se per caso si sente altro da sé, perché il sesso è un’opinione.

 

Qualcuno dovrebbe far sapere inoltre, all’onorevole tonitruante, che i genitori e i docenti che hanno ancora la forza di guardare in faccia lo sfacelo sono completamente disarmati davanti all’onda di piena che ormai travolge ogni singola scuola con lezioncine desolanti di desolanti esperti certificati, reclutati a occupare fette sempre più estese dell’orario curricolare.

 

Qualcuno, se può, avvisi l’onorevole. Anche se basterebbe perlustrasse lui stesso la vetrina di qualche scuola a caso, per vedere a chi sono appaltati questi benedetti corsi, generalmente a scatola chiusa perché l’appaltatore si chiama «esperto» e degli esperti ci si deve fidare. Si accorgerebbe che il circo è gestito dalle associazioni più improbabili, come quelle composte «da professionist3 (non è un errore di battitura, ndr) della salute» che si autoqualificano come «queer, trans, neurodivergenti, non monogame, kinky», e chi non sa cosa significhi kinky è caldamente invitato ad andarlo a vedere.

 

In ogni caso, sappia l’onorevole che nel nostro piccolo possiamo fornirgli tonnellate di materiale degradante spacciato per programma educativo.

 

Ma torniamo alla gigantomachia.

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Sempre la maggioranza di governo, fingendo di non conoscere la realtà delle cose (o non conoscendola proprio: non si sa delle due quale sia l’ipotesi peggiore) cerca di tenere insieme la capra con i cavoli e decide che quei fondi, già approvati su iniziativa di Più Europa, saranno destinati a formare i docenti «in via prioritaria sulle tematiche della fertilità maschile e femminile, con particolare riferimento all’ambito della prevenzione dell’infertilità»; e solo in via subordinata serviranno alla salute sessuale e alla educazione sessuale.

 

Pensano in tal modo, e probabilmente a ragione, di tacitare gli strilloni in servizio permanente dalla galassia sedicente pro-life e clericale, i quali esulteranno perché finalmente abbiamo un governo che incentiva le nascite e non saranno sfiorati dall’idea che l’unico business pro vita che tira, nell’ora presente, è quello della vita sintetica: vale a dire provette per tutti (compresi i diversamente praticanti di cui sopra), commercio di gameti, selezioni e manipolazioni genetiche – ossia l’industria della riproduzione artificiale. Che è esattamente il traguardo auspicato dai tifosi del sesso alternativo a quello fertile secondo le insuperabili leggi della biologia; è esattamente agli antipodi del miracolo della vita.

 

Intanto l’opposizione, anch’essa fingendo di non capire un tubo (o davvero non capendolo), si strappa i capelli e grida all’operazione sporca della maggioranza, alla sconcertante retromarcia frutto di una «politica manipolatrice votata a soddisfare la fissazione sessuofobica di certa destra».

 

Insomma una sceneggiata, un manicomio a cielo aperto conteso tra (stando alle accuse incrociate) maniaci sessuali da una parte e sessuofobi dall’altra.
E non è finita. Infatti, nel mentre che quelli litigano (o fingono di litigare), il titolare del dicastero dell’istruzione firma nientemeno che un protocollo di intesa coll’intraprendente genitore – originale interprete del lutto – della povera Giulia, diventato d’improvviso fondazione.

 

Il fine dell’accordo tra il ministero della pubblica (si ribadisca: pubblica) istruzione e la neonata fondazione privata in sfolgorante carriera sarebbe quello di avviare una collaborazione «per la definizione di progettualità» volte ad «affermare la cultura del rispetto verso ogni persona e in particolare verso le donne» tra studentesse e studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Il che, come abbiamo visto, significa una cosa tanto semplice e chiara, quanto demenziale: convincere i maschi a sentirsi colpevoli di essere maschi, cioè ad essere fatti sbagliati.

 

Non che si tratti di una trovata nuova. Ricordiamo che, a ridosso del tragico fatto di cronaca e sulla spinta dell’inusitato clamore mediatico montatoci intorno, lo stesso titolare dello stesso ministero si era lanciato – sempre in applicazione (bisogna riconoscere, creativa) della logica della capra e dei cavoli, ovvero del diavolo e dell’acqua santa – nell’impresa surreale di piazzare una suora e una lesbica a capo dei programmi di educazione al rispetto e affettiva nelle scuole italiane. Ma siccome fu linciato da destra e da sinistra, dall’alto e dal basso, si rimangiò subito l’ideona.

 

Ancora, ben prima, ricordo anni fa quel mio figlio allora liceale che, dopo una delle istruttive psicolezioni della psicoesperta arruolata dalla scuola, tornò a casa comunicando la fine dell’epoca in cui uno nato maschio poteva provare a corteggiare una fanciulla (tipo regalandole un fiore, o dicendole che è bellissima, letteralmente) perché, nel nuovo orizzonte rispettoso di tutte di tutti e di tutt*, i gesti classici del corteggiamento sono inclusi d’ufficio nell’elenco delle offese capaci di integrare forme di implicita violenza nei confronti della destinataria, addestrata fin dalla culla e fino alla nausea a rivendicare la parità e l’uguaglianza, con le conseguenze del caso.

 

Non era un’iperbole, i maschi lo sanno. E in effetti, stando così le cose, si sentiva davvero la mancanza del nuovo protocollo Cecchettin.

 

Ma in democrazia, si sa, decidono i sondaggi e, come ci informano i giornaletti di regime, «il 78% dei giovani vorrebbe una maggiore presenza dell’educazione sessuale a scuola, che è considerata troppo ingessata sui programmi». Ma guarda tu che sorpresa. L’argomento è decisivo quasi quanto la preghiera di Lilli Gruber dal pulpito televisivo: «Per favore, politici, date l’educazione sessuale come materia obbligatoria nelle scuole italiane». Amen.

 

Come che sia, risultato della gigantesca operazione è che a scuola entrano esemplari di ogni genere a pontificare senza alcun controllo di sesso e dintorni, e di mille altre scemenze assortite, al riparo del loro patentino di esperti. Qualcuno nei palazzi, a buoi scappati, ricordandosi di aver vinto le elezioni con la promessa – tra le altre – di arginare la follia genderista, cerca tardivamente di metterci una pezza con la storia buffa del contrasto all’infertilità, ben sapendo che in ogni caso i rinforzi arrivano dalle retrovie col protocollo Cecchettin.

 

Ma ci chiediamo: tra tutti questi signori che, berciando e straparlando, decidono le sorti dei figli altrui, davvero a nessuno passa per la testa l’ovvia considerazione – peraltro dimostrata sia empiricamente sia scientificamente – che l’overdose di sesso ammannito in tutte le salse sortisca l’effetto paradosso di uccidere il desiderio e, in abbinata alla criminalizzazione dell’universo maschile, finisca per castrare in via definitiva una generazione intera? Si può dire vergognatevi tutti?

 

Anche perché in questo miserando teatrino fanno tutti finta di non sapere (o davvero non sanno?) che la scuola italiana – dove ormai si fa tutto fuorché scuola – versa in uno stato comatoso. E i poveri scolari arrivano alla maggiore età senza saper impugnare la penna, senza essere in grado di articolare una frase minima grammaticalmente corretta e munita di senso compiuto; di comprendere il significato di parole eccedenti un repertorio sempre più scarno (e sempre più squallido); di afferrare periodi complessi; di usare più di un modo verbale diverso dall’indicativo e di un tempo diverso dal presente; di distinguere un soggetto da un predicato, un aggettivo da un pronome. L’italiano letterario è diventato di fatto una lingua straniera, la geografia e la storia sono state abolite, la matematica non va oltre i test a crocette.

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La devastazione è sotto gli occhi di chiunque, eppure non si trova nulla di meglio da fare che incrementarla con carichi sempre nuovi di stronzate scolastiche vestite in ghingheri e accompagnate dalla colonna sonora di slogan precotti e irriflessi, quegli stessi che girano in TV e nei social che rintronano là fuori.

 

Il pretesto truffaldino di tenere la scuola al passo con i tempi – barbarie incluse – rimpinzandola di paccottiglia balorda e svuotandola del sapere, delle discipline e del ragionamento, serve a privare irreparabilmente le nuove generazioni delle chiavi di accesso a uno sterminato patrimonio culturale e spirituale sedimentato lungo un passato grande e maestro; un tesoro che per questa via viene correlativamente e fatalmente lasciato morire.

 

Invece è proprio entrando lì dentro che si impara il rispetto per le cose umane, levigato dal lungo flusso della vita e di un’esperienza tramandata, e immortalato in opere eterne; ed è precisamente questo il servizio fondamentale, e insostituibile, che una scuola degna del suo nome è chiamata a onorare.

 

Impedire a chi ci succede l’accesso a queste stanze è un crimine di portata epocale della cui responsabilità in molti porteranno il peso.

 

Elisabetta Frezza

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Gender

L’amministrazione Trump taglia la ricerca sulla salute LGBT

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L’amministrazione Trump ha accantonato ricerche per un valore di oltre 800 milioni di dollari sulla salute delle persone LGBTQ, abbandonando studi su tumori e virus che tendono a colpire i membri delle minoranze sessuali e ostacolando gli sforzi per contrastare la recrudescenza delle infezioni sessualmente trasmissibili. Lo riporta il New York Times.   «In linea con la sua profonda opposizione sia ai programmi sulla diversità sia all’assistenza che afferma il genere per gli adolescenti, l’amministrazione ha lavorato intensamente per sradicare la ricerca che riguarda misure di equità e salute delle persone transgender» scrive il giornale neoeboraceno, che sostiene che gli omobitransessuali sarebbero quasi il 10% della popolazione totale americana.   Delle 669 sovvenzioni che i National Institutes of Health avevano annullato in tutto o in parte all’inizio di maggio, almeno 323 (quasi la metà) erano legate alla salute LGBTQ, secondo un’analisi di ogni sovvenzione annullata effettuata dal NYT. «I funzionari federali avevano stanziato 806 milioni di dollari per i progetti annullati, molti dei quali avrebbero dovuto ricevere maggiori finanziamenti negli anni a venire».

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Decine di istituti di ricerca hanno perso i finanziamenti, un elenco che include non solo obiettivi della Casa Bianca come la Johns Hopkins e la Columbia, ma anche università pubbliche del Sud e del Midwest, come la Ohio State University e la University of Alabama a Birmingham.   Alla Florida State University sono stati annullati 41 milioni di dollari di ricerche, tra cui un importante sforzo per prevenire l’HIV tra gli adolescenti e i giovani adulti, che ogni anno registrano un quinto delle nuove infezioni negli Stati Uniti.   Nelle lettere di licenziamento degli ultimi due mesi, l’NIH ha giustificato i tagli affermando che gli scienziati il ​​loro lavoro LGBTQ «non ha più alcun impatto sulle priorità dell’agenzia». In alcuni casi, l’agenzia ha affermato che la ricerca annullata era «basata sull’identità di genere», il che ha portato a risultati «non scientifici» che ignoravano le «realtà biologiche».   In altre lettere di licenziamento gli scienziati hanno detto che i loro studi erano errati perché «basati principalmente su categorie artificiali e non scientifiche, tra cui obiettivi di equità amorfi».   I tagli sono il risultato di un’impennata dei finanziamenti federali destinati alla ricerca LGBT avvenuta nell’ultimo decennio e dell’attivo incoraggiamento da parte dell’NIH a presentare proposte di sovvenzioni incentrate sui gruppi di minoranze sessuali e di genere, iniziato durante l’amministrazione Obama.   Gli alleati del presidente Trump hanno sostenuto che la ricerca è intrisa di pregiudizi ideologici.   Oltre a interrompere gli studi, i funzionari federali hanno rallentato il processo di erogazione delle sovvenzioni rallentando i pagamenti, ritardando le riunioni di revisione delle sovvenzioni e riducendo le nuove assegnazioni di sovvenzioni.  
  L’ente sanitario nazionale americano (National Institute of Health, o NIH) ha dichiarato in una nota: «l’NIH sta prendendo provvedimenti per interrompere i finanziamenti per la ricerca che non sono in linea con le priorità dell’NIH e dell’HHS. Continuiamo a impegnarci per riportare la nostra agenzia alla sua tradizione di sostenere una scienza basata sull’evidenza scientifica e basata sui migliori standard».   I tagli alla comunità LGBTQ hanno messo fine all’autismo non diagnosticato nelle minoranze sessuali e su alcuni tumori della gola e di altro tipo che colpiscono in modo sproporzionato gli omotransessuali, scrive il quotidiano neoeboraceno.   Apprendiamo quindi che era in progetto anche una pillola anticoncezionale e anti-AIDS al contempo: «i tagli al programma hanno messo a repentaglio la sperimentazione in corso di un prodotto che preverrebbe sia l’HIV sia la gravidanza, nonché una seconda sperimentazione che mira a combinare la consulenza sulla salute sessuale con la terapia comportamentale per ridurre la diffusione dell’HIV tra i giovani uomini appartenenti alle minoranze sessuali che fanno uso di stimolanti».   L’NIH ha interrotto anche i lavori sulle altre malattie sessualmente trasmissibili.   Anche la ricerca sulla transessualizzazione è stata fortemente colpita: «i funzionari federali hanno annullato diversi finanziamenti per esaminare i potenziali rischi della terapia ormonale di genere. I progetti hanno esaminato se la terapia ormonale potesse, ad esempio, aumentare il rischio di cancro al seno, malattie cardiovascolari, alterazioni dello sviluppo cerebrale o HIV».

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«Sono state annullate cinque sovvenzioni (…), tra cui una che esaminava i tassi notevolmente elevati di nati morti tra le donne LGBTQ».   La ricerca sanitaria americana, in pratica, è nel panico.   «Gli scienziati affermano che i ricercatori più giovani stanno già perdendo il lavoro nella ricerca sulle minoranze sessuali e di genere e stanno cancellando dalle loro biografie online ogni prova che attesti di aver lavorato in quel campo».

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Gender

Papa Leone XIV e la questione omotransessualista: in passato ha attaccato i media il gender nelle scuole

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La posizione di papa Leone XIV riguardo l’omosessualità è sembrata chiara nel 2012, quando attaccò la cultura popolare rea di promuovere uno «stile di vita omosessuale» e le famiglie omosessuali.

 

In un discorso ai vescovi tenuto quell’anno tuonò contro i media occidentali che fomentavano «simpatia per credenze e pratiche in contrasto con il Vangelo» mostrando «famiglie alternative composte da partner dello stesso sesso e dai loro figli adottivi».

 

Al tempo in cui era vescovo a Chiclayo, l’attuale papa aveva respinto un piano del governo peruviano per insegnare il genere nelle scuole: «la promozione dell’ideologia di genere è confusa, perché cerca di creare generi che non esistono», ha dichiarato a un quotidiano locale, secondo il New York Times.

 

Prevost non ha appoggiato, né pienamente rigettato come fecero invece tanti altri a partire dai vescovi africani, il documento sulle benedizioni omosessuali Fiducia Supplicans.

 

Tuttavia, il gesuita filo-LGBT James Martin, del gruppo dei gesuiti di Nuova York dietro la rivisa America,  ha lodato la sua elezione.

 

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«Conosco Papa Leone XIV come un uomo gentile, aperto, umile, modesto, deciso, laborioso, schietto, affidabile e con i piedi per terra”, ha scritto Martin. “Una scelta brillante. Che Dio lo benedica» ha scritto su X il gesuita che  Bergoglio portava in un palmo di mano.

 


Il gesuita Martin dice di averlo conosciuto al suo tavolo dell’ultimo sinodo.

 

Il sito Infovaticana ha scritto che Prevost era il candidato di Martin.

 

Non è chiaro se le sue posizioni siano cambiate. Come su molti altri temi, non si sa davvero pochissimo del nuovo papa.

 

Va ricordato come Bergoglio avesse scaldato i cuori di conservatori, tradizionalisti ed oppositori generici del genderismo quando, all’elezione, fu ricordata la sua strenua opposizione, da arcivescovo di Buenos Aires, ai matrimoni omosessuali, accusandoli di «venire dal demonio». Poi da papa Bergoglio governò circondandosi di tanti omosessuali patenti e aprendo in maniera indiscriminata ai transessuali.

 

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Immagine di Eja Encontro Juvenil Agostiniano Agostiniano via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported 

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Gender

Veglia filo-omotransessualista alla Basilica di Lugano

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Una veglia di «dialogo» tra la comunità LGBT e la Chiesa cattolica ticinese presso la Basilica del Sacro Cuore di Lugano è stata indetta per il prossimo 21 maggio. Lo riporta Tio.ch.   L’annucio è di un nuovo gruppo chiamato La Porta Aperta – Spazi di Inclusione, il cui promotore spiega che «la veglia sarà ecumenica e verrà celebrata da uno o due sacerdoti cattolici, dal pastore della Chiesa evangelica riformata nel Sottoceneri e dalla parroca della Chiesa cattolica cristiana della Svizzera».   «Le veglie per il superamento dell’omobitransfobia si tengono già da tanti anni in svariati Paesi sensibili a questa tematica», ha precisato al quotidiano ticinese, stupendo quanti non avevano ancora veduto l’aggiuta del bi nella parola progressivamente componibile con suffisso -fobia. «Sono delle veglie in cui ci si ritrova tutti insieme, con i rappresentanti di diverse chiese cristiane, e si prega per portare l’attenzione sul problema ancora molto attuale dell’omobitransfobia».

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«Si prega per tutte le persone che a livello mondiale vengono ancora discriminate, aggredite, torturate e uccise per quello che sono e le persone che amano. E anche in Svizzera le discriminazioni, nonostante i numerosi diritti di cui godiamo, esistono ancora. Tutt’oggi infatti molte persone hanno paura a fare coming out, e per quanto concerne la mentalità c’è ancora tantissima strada da fare».   «Per la prima volta in Ticino una veglia di questo genere si terrà all’interno di una chiesa cattolica e con la partecipazione di sacerdoti cattolici. Don Italo Molinari è infatti stato così gentile da offrirci ospitalità alla Basilica del Sacro Cuore» continua il virgolettato del sito di informazione elvetico italofono, raccontando che il promotore ritiene l’occasione «speciale» poiché» rappresenta l’apertura di un dialogo con la Chiesa cattolica ticinese».   «È un bisogno che abbiamo colto a partire da un incontro organizzato lo scorso novembre dall’associazione Azione Cattolica Ticinese», racconta il promotore dell’incontro catto-omofilo. «La serata si intitolava “Gay o cattolico? Chi sono io per giudicare?” e riprendeva la famosa frase detta da papa Francesco in una delle sue prime interviste, con la quale mise l’accento sul fatto che si può essere omosessuali, trans, intersex, queer e anche cattolici».   «Durante questa serata ho portato la mia esperienza in quanto credente omosessuale» (…) poi si è parlato, si è dibattuto, e abbiamo colto la necessità di creare uno spazio per le persone della comunità LGBTQIA+ che vogliono avvicinarsi, o, come spesso è il caso, riavvicinarsi, alla Chiesa cattolica». Uno spazio, questo, «in cui ci si può proiettare in maniera sicura, senza giudizi e discriminazioni, dove si è liberi di venire come si è e come ci si identifica, senza che nessuno dica “sei sbagliato” o “sei da curare”».   Il giornale ticinese afferma che il progetto «è stato presentato anche ad Alain De Raemy, amministratore apostolico della Diocesi di Lugano». «Gli abbiamo parlato e non ha avuto nessuna obiezione di sorta, si è dimostrato interessato all’iniziativa e ha detto che effettivamente sarebbe l’occasione di instaurare un dialogo» ha commentato l’organizzatore.   Come noto, gli incontri in chiesa degli LGBT, in una fumosa prospettiva di «dialogo» (parola di sapore sempre massonico) abbondano in moltissime diocesi. Progetti di questo tipo hanno scandalizzato i fedeli, anche in Italia.  
  Uno dei dertici di tali progetti è stato raggiunto con il pelligrinaggio giubilare LGBT approvato da Bergoglio, quando a settembre gli omotransessualisti si troveranno nella sontuosamente decorata chiesa del Gesùa Roma, la chiesa madre dell’ordine dei Gesuiti. Il suo utilizzo da parte del pellegrinaggio LGBT sarebbe dovuto al fatto che l’evento stesso è stato ideato da un sacerdote gesuita di Bologna, Padre Pino Piva, che ha portato l’idea al papa.   Secondo Il Messaggero, il papa gesuita ha approvato l’idea, che ha ricevuto anche il sostegno del cardinale Matteo Zuppi (ora nella lista ristretta dei papabili), presidente della conferenza episcopale italiana. Non solo, ma anche padre Arturo Sosa, superiore generale dei gesuiti, ha sostenuto il piano come «una buona cosa». Inoltre è scritto che sarebbero stati presi «accordi con l’arcivescovo Rino Fisichella, organizzatore dell’Anno Santo». Il Vaticano tuttavia in seguito ha rimosso l’evento dal calendario degli eventi giubilari.   Non è la prima volta che il giubileo viene accusato di essere sempre più tendente all’omotransessualismo. Osservatori criticarono il logo del Giubileo ancora nel 2022, mentre quest’anno alcuni hanno accusato il fatto che alcuni personaggi creati per l’evento sarebbero stati creati da un illustratore vicino ai Gay Pride.   Come riportato da Renovatio 21, danze e bandiere arcobaleno già si sono registrate nelle chiese dei gesuiti.   Al di là della serata arcobalenata in Basilica, colpisce lo slancio ecumenico, con, oltre a luterani a caso, una «parroca» invitata a mettere piede in uno dei luoghi più sacri del cattolicesimo ticinese. Come dire, ecumenismo e omotransessualismo hanno lo stesso contesto, la stessa radice, lo stesso progetto.  

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Immagine di Amin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  
 
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