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Chi sta attaccando le centrali elettriche in America?

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Le autorità federali stanno indagando su una serie di recenti atti di sabotaggio segnalati su società di fornitura elettrica. Lo riporta il network americano ABC, che cita fonti nelle forze dell’ordine.

 

Le indagini arrivano dopo i casi di strutture elettriche crivellate di proiettili nella Carolina del Nord che hanno lasciato decine di migliaia di persone senza elettricità per giorni.

 

Dopo l’incidente, le società di fornitura elettrica hanno contattato le autorità federali nei giorni scorsi per indagare, ha detto la fonte.

 

L’incidente nella Carolina del Nord è stato particolarmente allarmante. Verso le 19:00 di sabato sera scorso, sono stati esplosi colpi di arma da fuoco in due sottostazioni elettriche nella contea di Moore. I funzionari lo hanno definito «un attacco intenzionale e coordinato».

 

«La Duke Energy ha ripristinato l’energia elettrica a tutti i suoi clienti della Carolina del Nord mercoledì sera, quattro giorni dopo che 45.000 clienti erano rimasti al buio dopo quello che i funzionari hanno definito un attacco intenzionale e coordinato a due sottostazioni nella contea di Moore» scrive ABC. «Lo sceriffo della contea di Moore, Ronnie Fields, ha affermato che il movente dell’attacco non è noto. Inoltre, non è chiaro che tipo di misure protettive fossero in atto per prevenire un simile assalto».

 

Qualcuno sta cercando di incolpare imprecisati individui «di destra», che sarebbero stati disturbati da uno spettacolo di drag queen messo in piedi in un teatro locale da una «no profit LGBTQ». Tuttavia questa teoria non spiega il fatto che in altre zone degli USA si stanno ripetendo attacchi identici.

 

Solo pochi giorni prima del sabotaggio nella Carolina del Nord, due sottostazioni elettriche nell’area di Portland sono state attaccate. Entrambi gli incidenti hanno visto le strutture colpite da armi da fuoco mirati. Portland, nota bene, è in Oregon: cioè dall’altra parte del Paese, nella costa occidentale, sopra la California, mentre la Carolina e nella parte orientale degli USA.

 

Spunta fuori che le forze dell’ordine forse se lo stavano aspettando. Un promemoria delle forze dell’ordine federali ha rivelato che le sottostazioni nella zona del Pacifico nordoccidentale erano state oggetto di attacchi con «utensili manuali, incendi dolosi, armi da fuoco e catene di metallo, probabilmente in risposta a una chiamata online per attacchi a infrastrutture critiche».

 

«Nei recenti attacchi, gli attori criminali hanno aggirato le barriere di sicurezza tagliando i collegamenti della recinzione, accendendo fuochi nelle vicinanze, sparando all’attrezzatura a distanza o lanciando oggetti oltre la recinzione e sull’attrezzatura», si legge nel promemoria.

 

Il Department of Homeland Security, l’ente creato dopo l’11 settembre per rispondere alla minaccia dei terroristi, ciò sarebbe opera di «estremisti domestici», i quali hanno «piani specifici per attaccare le infrastrutture elettriche almeno dal 2020». Insomma, come sempre sarebbero i trumpiani, omofobi e antimascherine, oppure quei genitori che rifiutano l’indottrinamento gender e razziste nelle scuole dei figli – come noto, tali genitori sono stati definiti «terroristi» dal presente corso, con tanto di forze FBI impiegate per controllarli e reprimerli.

 

In realtà gli attacchi agli impianti elettrici sono cominciati prima di Trump e della polarizzazione tossica di società e politica americane.

 

Secondo NBC News, quasi 600 incidenti e disturbi di emergenza elettrica sono stati causati da attacchi fisici sospetti e confermati e atti di vandalismo sulla rete elettrica in quei nove anni. Ci sarebbero stati 106 attacchi o atti di vandalismo da gennaio ad agosto 2022, che è l’ultima traccia dei dati del Dipartimento dell’Energia. Tra gli anni recensiti da NBC News, il 2022 è il primo che ha raggiunto la tripla cifra e contiene solo otto mesi di dati.

 

Come riportato da Renovatio 21, il 9 aprile 2013, il satellite KMS-3 della Corea del Nord ha orbitato negli Stati Uniti sulla traiettoria perfetta per eludere i radar di allerta precoce e le difese missilistiche nazionali. E tutto mentre si trova all’altitudine e alla posizione ideali per lanciare un campo EMP sugli Stati Uniti continentali.

 

Un’arma EMP – cioè a impulso elettromagnetico – è in grado di «friggere» ogni apparecchio elettrico di una determinata area, rendendolo inutilizzabile.

 

Il 16 aprile 2013, lo hanno fatto di nuovo, questa volta in orbita attorno al satellite nel corridoio Washington-Nuova York.

 

È una bizzarra coincidenza che quello stesso giorno, sconosciuti armati di kalashnikov avevano attaccato la sottostazione di trasformazione Metcalf che serve anche la Silicon Valley.

 

C’è pure un video.

 

 

Né noi né nessuno ha idea di cosa stia succedendo.

 

Nell’involuzione mostruosa in cui ci troviamo, con le case fredde e lo spettro del crash economico globale e della fame, la fine della civiltà elettrica non è un ingrediente impensabile.

 

 

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Misteri

Un altro uomo armato fermato in Piazza San Pietro: prete ceco con coltelli e pistola cercava di entrare in Vaticano

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La mattina del 7 maggio, in piazza San Pietro, un parroco di 59 anni proveniente dalla Repubblica Ceca è stato fermato dalla polizia ai varchi di prefiltraggio.

 

L’uomo era in possesso di una pistola ad aria compressa, coltelli, un taglierino e un cacciavite. Il religioso è stato denunciato per porto abusivo d’armi.

 

Il sacerdote è stato controllato dalle forze dell’ordine mentre si trovava in piazza, vestito con l’abito talare, insieme a un gruppo di fedeli provenienti dalla Repubblica Ceca, arrivati in pullman. I poliziotti del commissariato Borgo hanno identificato anche il proprietario del borsello, un uomo di 60 anni. Durante il trasferimento in commissariato, il religioso ha dichiarato che le armi erano in suo possesso per motivi di difesa personale.

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Il parroco armato, arrivato dalla Repubblica Ceca insieme ad altri fedeli su un pullmanno, ha spiegato di avere le armi con sé per autodifesa. Di conseguenza, è stato denunciato per porto abusivo di armi.

 

L’episodio segue di pochi giorni dopo quello, ben più inquietante, del Foreign Fighter statunitense combattente in Ucraina fermato mentre, anche lui armato, tentava di entrare in Vaticano.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’uomo era nella lista dei super ricercati USA per trascorsi di violenza criminale a Nuova York. Bloccato dalla polizia italiana, il criminale americano avrebbe avuto con sé tre coltelli, di cui uno a doppia lama, di circa 20 centimetri.

 

Se si tratti, come taluni sussurrano, di «segnali» per l’Oltretevere mandati da qualcuno non sappiamo dirlo.

 

Tuttavia, Renovatio 21 sulla storia dell’uso di squilibrati durante guerre internazionali ha dato qualche ragguaglio.

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Immagine di Wknight94 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
 

 

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Misteri

Non siamo entrati in contatto con gli alieni perché sono stati tutti uccisi dai raggi gamma, dice lo scienziato

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Le civiltà aliene non sono ancora entrate in contatto con gli esseri umani perché potrebbero essere state annientate dai lampi di raggi gamma (GRB), ha riferito martedì il giornale britannico Daily Mail, citando Frederick Walter, un astronomo della Stony Brook University di New York.   Secondo la NASA, i GRB sono esplosioni di luce di breve durata che emettono un quintilione di volte la luminosità del Sole. Walter crede che la forza di un’esplosione sarebbe sufficiente per distruggere qualsiasi civiltà extraterrestre.   «È un raggio strettamente focalizzato. E, se fosse diretto attraverso il piano della galassia, potrebbe sostanzialmente sterilizzare circa il 10% dei pianeti della galassia», ha spiegato il professor Walter. L’astronomo ha osservato che, secondo le sue stime, in ogni galassia è presente un GRB ogni 100 milioni di anni circa.

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«In media, nell’arco di un miliardo di anni, ci si potrebbe aspettare che un numero significativo di civiltà venga sradicato, se esistessero… È solo una delle tante spiegazioni possibili, un po’ morbose, suppongo», ha detto.   Secondo le stime di Walter, la Via Lattea potrebbe aver visto circa 45 GRB nei 4,5 miliardi di anni di storia della Terra. Ha sottolineato, tuttavia, che qualsiasi sia potenziale minaccia per l’umanità derivante da questo tipo di eventi «non vale la pena preoccuparsi» perché «sono rari e sono diretti», e ciò rende improbabile che i GRB colpiscano la Terra.   La NASA descrive i GRB come «gli eventi più potenti dell’universo conosciuto».   Il fenomeno fu osservato per la prima volta nel 1967, tramite una coppia di satelliti Vela statunitensi progettati per rilevare test sulle armi nucleari. Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori afferma che i GRB sono più comuni nelle galassie distanti in cui si formano stelle e hanno meno probabilità di verificarsi nella Via Lattea.   Walter ha anche ipotizzato altre ragioni dietro l’incapacità del genere umano di rilevare la vita extraterrestre, suggerendo che altri mondi potrebbero essere pieni di forme di vita simili a specie acquatiche come balene e delfini. Per questo tipo di civiltà sarebbe impossibile sviluppare la tecnologia necessaria per i viaggi e le comunicazioni spaziali, ha affermato.   Il lettore può immaginare lo sconcerto di Renovatio 21 dinanzi alla prospettiva di un universo popolato di cetacei alieni.   Ha continuato dicendo che alcune civiltà aliene potrebbero semplicemente scegliere di non correre il rischio derivante dal contatto con altre forme di vita potenzialmente pericolose. Un’altra spiegazione, ha aggiunto, sostenuta da molti fisici e astronomi, è che forme di vita tecnologicamente avanzate su altri pianeti potrebbero essersi autodistrutte.   «Guardatevi intorno, stiamo inquinando l’atmosfera. Stiamo mettendo in dubbio se avremo una civiltà vitale tra un secolo, a meno che non facciamo qualcosa di drastico. Se le civiltà tendono ad evolversi nello stesso modo in cui hanno fatto sul nostro pianeta, ciò colpirà tutti», ha detto, avvertendo che al ritmo attuale «c’è il rischio che non riusciremo a superare altri… 150 anni». Si tratta della solita apocalittica da raccolta differenziata, di cui davvero non ne possiamo più, qui declinata in salsa Star Trek.

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Una teoria più interessante sull’assenza del contatto fu proposta anni fa da Elone Musk, impegnato come noto nella missione di far divenire l’umanità una specie multi-planetaria, e quindi in grado di sopravvivere a qualsiasi minaccia alla sua sopravvivenza. Il Musk ha dichiarato che probabilmente l’esplorazione spaziale un giorno scoprirà civiltà aliene «a pianeta singolo» morte, con società piegate su loro stesse magari a causa di simulazioni ricreative che distolgono gli individui dalla loro vita materiale, come è il caso attuale dei videogiochi e della realtà virtuale sempre più immersiva. Da notare che uno degli avversari principali del Musk, oggetto di continui sberleffi come di minacce di botte sul ring, sia il Mark Zuckerberg, che ha speso diecine di miliardi di dollari per far diventare il suo gruppo un first-mover nel campo del VR.   Di solito, quando ci si chiede perché non abbiamo ancora fatto contatto con gli extraterrestri, si fa riferimento al famoso «paradosso di Fermi», un concetto legato alla ricerca di vita aliena proposto per la prima volta dal fisico italiano Enrico Fermi nel 1950 durante una conversazione informale con i colleghi Emil Konopinski, Edward Teller e Herbert York. Nel corso degli anni, i tre hanno raccontato vari aneddoti riguardanti quella discussione storica.   Secondo la versione più diffusa, mentre si dirigevano verso la mensa, il gruppo discuteva dei recenti avvistamenti UFO e delle possibilità di viaggi spaziali più veloci della luce. Durante il pranzo, la conversazione si spostò su altri argomenti fino a quando Fermi esclamò: «Ma dove sono tutti?».   Anche se non sono note le esatte parole del fisico romano, questa frase è diventata celebre nel tempo. Il paradosso di Fermi mette in luce la contraddizione tra l’immensità dell’universo, che suggerisce la probabilità di vita extraterrestre, e la mancanza di prove o contatti con tali forme di vita.   Partendo dall’affermazione del fisico italiano, si può sviluppare il ragionamento: molte stelle, e quindi i loro pianeti, sono molto più antichi del nostro Sole. Se pianeti simili alla Terra sono comuni, alcuni potrebbero aver sviluppato forme di vita intelligente molto tempo fa. Anche con i limitati mezzi di viaggio interstellare attualmente previsti, la Via Lattea potrebbe essere attraversata in pochi milioni di anni. Considerando che molte stelle simili al Sole sono molto più vecchie di esso, la Terra avrebbe dovuto essere visitata da civiltà extraterrestri o dalle loro sonde. Tuttavia, non esistono prove convincenti a sostegno di quest’idea.   Il paradosso di Fermi ha dato vita a un vasto dibattito e a molte ipotesi per spiegare l’assenza di contatti con civiltà extraterrestri.   La cosiddetta «Rare Earth Hypothesis» («Ipotesi della Terra rara») suggerisce che le condizioni per la vita sulla Terra siano rare nell’universo.   La «Great Filter Hypothesis» («Ipotesi del grande filtro») suggerisce l’esistenza di un ostacolo insormontabile nel processo evolutivo delle civiltà, che impedisce loro di raggiungere lo stadio di comunicazione interstellare.   Vi è anche la «Zoo Hypothesis» («Ipotesi dello zoo»), secondo cui altre civiltà potrebbero osservare la Terra senza interferire, seguendo un «principio di non interferenza», simile a quello descritto nell’orrenda serie televisiva Star Trek, dove il contatto avviene solo quando una civiltà ha raggiunto la tecnologia del famigerato «motore a curvatura» («Warp Drive»), che come sappiamo ha dato il nome alla ricerca del programma vaccinale che ha disastrato il pianeta nel 2020 («Operazione Warp Speed»).   Vi sono inoltre teorie secondo cui le difficoltà tecniche e le differenze nelle modalità di comunicazione potrebbero rendere difficile rilevare segnali extraterrestri.

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Poi c’è l’«equazione di Drake», una formula matematica proposta nel 1961 dall’astrofisico statunitense Frank Drake. Questa equazione offre una stima del numero di civiltà extraterrestri nella nostra galassia, la Via Lattea, che potrebbero essere in grado di comunicare con noi tramite segnali radio.   Fu durante il primo incontro del progetto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) nei primi anni ’60 che Drake presentò la sua equazione, diventata un punto di riferimento nel dibattito scientifico sulla probabilità di esistenza di forme di vita extraterrestri intelligenti e capaci di comunicare.   L’equazione di Drake non stabilisce un numero fisso di civiltà nella Via Lattea, ma piuttosto fornisce una metodologia per stimare tale numero basata su una serie di parametri. Poiché i valori di questi parametri sono soggetti a incertezza e dibattito tra gli scienziati, il risultato finale può variare notevolmente. Quando Frank Drake presentò per la prima volta l’equazione, stimò che potessero esistere circa 10.000 civiltà comunicative nella Via Lattea. Tuttavia, a seconda dei valori assegnati ai parametri dell’equazione, le stime possono variare da un numero molto limitato di civiltà a milioni di civiltà nella nostra galassia.   Come riportato da Renovatio 21, gli scienziati da anni cercano modi di rilevamento delle civiltà aliene, per esempio osservando con i telescopi segni di inquinamento negli esoplaneti. Interessante: qui l’inquinamento, invece che veicolo di morte, è segno di vita…   Il noto astronomo harvardiano cacciatore di alieni Avi Loeb, noto alle cronache per sue affermazioni sorprendenti, lo scorso anno ha dichiarato potrebbero esservi fino a 4 quintilioni di astronavi aliene nel sistema solare.   Secondo un altro astrofisico, invece, le civiltà aliene avrebbero creato degli wormhole, peraltro già viste dagli umani.   Tali civiltà potrebbero, sempre secondo la scienza, non essere benevole. Negli scorsi anni un ricercatore spagnuolo aveva calcolato fino a quattro civiltà aliene malvagie nella nostra galassia. Avvertimenti contro di esse, in effetti, erano venute anche dal direttore dell’ente USA per la ricerca di forme di vita intelligenti nel cosmo, il SETI.

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Misteri

Il disastro di Baltimora come «evento cigno nero»

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Si assiste increduli alla portata del disastro del ponte di Baltimora, l’accesso ad uno dei porti più trafficati degli Stati Uniti.

 

La nave portacontainer Dali, battente bandiera singaporiana ma operata dal colosso norvegese Maersk. ha colpito il Francis Scott Key Bridge a Baltimora, facendo crollare in acqua quasi l’intera struttura stradale.

 

«La nave ha informato il Dipartimento dei trasporti dell’MD (MDOT) di aver perso il controllo della nave e che era possibile una collisione con il ponte», riporta l’emittente TABC citando la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency degli Stati Uniti, aggiungendo: «la nave ha colpito il ponte causando un collasso completo».

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Le immagini sono impressionanti. È un grande disastro collettivo, con distruzione massiva di infrastrutture, come visto l’11 settembre 2001.

 

 

 

 

 

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Kevin Cartwright, direttore delle comunicazioni dei vigili del fuoco della città di Baltimora, ha detto a Fox Baltimore che almeno 20 persone e diversi veicoli erano caduti nel fiume.

 

Oltre agli automobilisti caduti in acqua e dati per dispersi, si teme che il disastro possa avviare «uno sconvolgimento economico lungo la costa orientale degli Stati Uniti», scrive Bloomberg. «Nei giorni a venire si porranno domande difficili sugli effetti sulle imprese, sui pendolari, sui vacanzieri e sull’economia dell’intera regione».

 

La questione attuale ruota attorno a un’interruzione emergente nelle catene di approvvigionamento del Medio Atlantico. Il principale porto della costa orientale è ora paralizzato a causa del ponte distrutto che blocca l’unica corsia di navigazione in entrata e in uscita dal porto.

 

«Il porto di Baltimora – il più grande centro di movimentazione delle importazioni ed esportazioni statunitensi di automobili e autocarri leggeri – sembra essere fuori servizio a tempo indeterminato. Il conseguente collo di bottiglia potrebbe accelerare lo spostamento delle merci attraverso i porti della costa occidentale» continua la testata economica di Nuova York. «Un’altra domanda cruciale: quali altri porti hanno capacità inutilizzata per gestire le navi che trasportano automobili se Baltimora rimane chiusa per un periodo prolungato».

 

Bloomberg riferisce che la catena di fornitura automobilistica statunitense sarà interrotta. I dati mostrano che Mazda Motor e Mercedes Benz, Subaru of America, Mitsubishi Motors of North America e Volkswagen Group hanno la maggiore esposizione al porto.

 

Ulteriori questioni riguardano temi specifici, che ora divengono interessanti ed inquietanti, come quello del trasporto su strada del materiale pericoloso, che avveniva solo via ponte, perché non consentiti nella rotta alternativa che è via tunnel.

 

Ma cosa è accaduto davvero?

 

Un rapporto non classificato del DHS National Operations Center afferma che la nave portacontainer «ha perso la propulsione» prima di speronare il Francis Scott Key Bridge.

 

Su internet circolano analisi video che mostrano le luci della nave spegnersi poco prima dell’impatto. Altri video si avventurano in ipotesi fantasiose su cariche di esplosivo che sarebbero scattate lungo le giunture del ponte.

 

 

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Molti osservatori in rete hanno notato l’inadeguatezza delle apparizioni del sindaco della città e del governatore del Maryland davanti alla situazione. L’ultimo accenna perfino a sorrisi mentre parla alla stampa dell’immane catastrofe.

 

 

 

Nel frattempo, la Casa Bianca e le agenzie governative federali si sono affrettate a dichiarare che non si è trattato di un attacco terroristico.

 

In rete in molti parlano di un possibile attacco cibernetico come causa del disastro. Tra queste voci, quella della giornalista ex inviata di guerra Lara Logan.

 

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Come riportato da Renovatio 21, una scena con una nave hackerata che si arenava su una spiaggia della Costa Occidentale degli Stati Uniti era presente nello strano film Netflix Leave the World Behind, prodotto dai coniugi Obama, che qualcuno ha definito come un esercizio di predictive programming, cioè di rivelazione tramite film e romanzi dello scenario che il potere vuole concretizzare.

 

 

Il discorso più tetro lo ha fatto tuttavia il generale Michael Flynn, consigliere di Trump finito poi nelle pastoie di una persecuzione giudiziaria. Il Flynn negli scorsi giorni aveva parlato della possibilità di un «Black Swan Event» («evento cigno nero») in questi mesi prima delle cruciali presidenziali 2024. Il disastro di Baltimora, con le sue conseguenze economiche a breve, medio, lungo termine potrebbe rientrare nella categoria.

 

 

«Possiamo togliere dal tavolo l’idea che questo sia stato un attacco terroristico… e non possiamo assolutamente farlo», ha detto Flynn ad Alex Jones di Infowars in una intervista a caldo.

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In rete circola uno screenshot in cui la società di collocamento marittimo mostrerebbe che il capitano della nave portacontainer è ucraino. Utenti Twittter hanno rilanciato post in cui ipotetici utenti ucraini farebbero ironie sul crollo del ponte americano, lamentando il mancato arrivo dagli USA di armi con cui tirare giù il ponte di Crimea.

 

 

Siamo decisamente davanti ad un nuovo grande mistero della storia americana recente.

 

Tuttavia, ci sentiamo di dire, si tratta di un mistero che sembra già visto.

 

La nebbia che ora seguirà è il risultato di 23 anni in cui la versione ufficiale del disastro dell’11 settembre non si è spostata di un millimetro: era l’evento «cigno nero» di inizio millennio, il black swan che ha cambiato il mondo, con guerre internazionali e milioni di morti, e una catena di sangue e caos che ancora oggi non si è esaurita.

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Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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