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Geopolitica

Caso Epstein, il Dipartimento di Giustizia USA vuole interrogare il Principe Andrea d’Inghilterra. Lui rifiuta.

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Gli avvocati del principe Andrew hanno confutato le dichiarazioni di non essere stato collaborativo con i pubblici ministeri statunitensi che indagano sui complici di Jeffrey Epstein, affermando in una dichiarazione del lunedì che il principe si è offerto di aiutare il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) tre volte quest’anno. Lo scrive l’agenzia Reuters.

 

«Sfortunatamente, il DOJ ha reagito alle prime due offerte violando le proprie regole di riservatezza e affermando che il Duca non ha offerto alcuna collaborazione» ha affermato Blackfords, avvocato di Andrews. «In tal modo, stanno forse cercando pubblicità piuttosto che accettare l’assistenza offerta».

 

Il Dipartimento di Giustizia ha formalmente richiesto al governo britannico di consegnare al principe Andrew per interrogarlo sul suo rapporto con il defunto pedofilo Jeffrey Epstein

Gli avvocati sostengono che il DOJ ha richiesto l’aiuto di Andrew solo il 2 gennaio e che non è mai stato un obbiettivo delle loro indagini. I procuratori federali hanno reagito più tardi lunedì, con l’avvocato americano Geoffrey Berman che ha dichiarato che Andrew ha «inequivocabilmente» rifiutato di essere interrogato nell’ambito delle sue indagini sui crimini sessuali di Epstein.

 

Andrew ha «inequivocabilmente» rifiutato di essere interrogato nell’ambito delle sue indagini sui crimini sessuali di Epstein

Il Dipartimento di Giustizia ha quindi formalmente richiesto al governo britannico di consegnare al principe Andrew per interrogarlo sul suo rapporto con il defunto pedofilo Jeffrey Epstein, racconta il tabloid britannico The Sun.

 

La richiesta, presentata a nome dei pubblici ministeri per il distretto meridionale di New York, costringerebbe il sessantenne Andrew ad aiutare i pubblici ministeri a indagare sui complici di Epstein. Il DOJ ha presentato domanda di «assistenza giudiziaria reciproca»(Mutual Legal Assistance, o MLA) direttamente al Ministero degli Interni britannico, aggirando Buckingham Palace.

A differenza della regina Andrea non gode dell’immunità da ogni accusa

 

Come osserva The Sun, le richieste di MLA sono utilizzate solo in casi penali ai sensi di un trattato legale con il Regno Unito, che se concesso avrebbe richiesto formalmente la partecipazione di Andrew al tribunale dei magistrati della città di Londra di Westminster per testimoniare oralmente o per iscritto sotto giuramento mentre gli avvocati del DOJ lo interrogano.

 

Il punto importante da tenere a mente è che fino ad ora, si pensava che Andrew avrebbe dovuto al massimo rispondere alle vittime di Epstein nei tribunali civili degli Stati Uniti, non al governo degli Stati Uniti

Se rifiuta, il Duca potrebbe essere costretto a partecipare per convocazione. La sessione potrebbe essere tenuta privatamente, a porte chiuse, senza il pubblico o la stampa presenti.

 

A differenza della regina Andrea non gode dell’immunità da ogni accusa. Andrew poteva, tuttavia, invocare il quinto emendamento della Costituzione Americana,  che garantisce all’interrogato di evitare l’autoincriminazione.

 

Il punto importante da tenere a mente è che fino ad ora, si pensava che Andrew avrebbe dovuto al massimo rispondere alle vittime di Epstein nei tribunali civili degli Stati Uniti, non al governo degli Stati Uniti.

Secondo il  Sun, la richiesta – che deve ancora essere affrontata dai funzionari britannici– potrebbe provocare una disputa diplomatica con gli Stati Uniti.

«È un’enorme dichiarazione di intenti da parte degli Stati Uniti e spinge Andrew nel regno di un’indagine criminale. È anche francamente un incubo diplomatico».

 

«È un’enorme dichiarazione di intenti da parte degli Stati Uniti e spinge Andrew nel regno di un’indagine criminale» ha detto una fonte, aggiungendo: «È anche francamente un incubo diplomatico».

 

 

 

Immagine di  Thorne1983 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

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Geopolitica

Trump si chiede «che diavolo» ci facesse Zelens’kyj in Sudafrica

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha espresso sorpresa per la visita di Volodymyr Zelens’kyj in Sudafrica durante un incontro con il suo omologo sudafricano Cyril Ramaphosa alla Casa Bianca mercoledì.

 

Trump ha dichiarato di aver telefonato a Zelens’kyj durante la sua visita di aprile e di avergli chiesto «che diavolo» stesse facendo in Sudafrica. Ramaphosa ha spiegato che il Sudafrica aveva condiviso alcune «lezioni» sulla costruzione della pace con il leader ucraino. «Questo è ciò che ci ha insegnato Nelson Mandela: se volete raggiungere la pace nel Paese, fatelo incondizionatamente, sedetevi e parlate», ha detto il presidente sudafricano, sfruttando l’icona internnazionale dell’ex terrorista filosovietico assurto al ruolo di «santo» intoccabile del mondialismo.

 

La visita di Zelens’kyj a Pretoria ha scatenato ampie critiche da parte dei commentatori politici e degli attivisti sudafricani a causa del suo atteggiamento sprezzante nei confronti dell’iniziativa di pace del 2023 guidata da Ramaphosa.

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I due presidenti hanno anche discusso delle preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alle presunte violenze contro gli afrikaner bianchi e alle politiche di riforma agraria del governo sudafricano. Trump avrebbe chiesto chiarimenti sul genocidio della minoranza bianca, di fatto umiliando il vertice dello Stato sudafricano mostrandogli un video che raccoglieva prove del massacro in atto.

 

Nel video mostrato alla Casa Bianca erano visibili i comizi razzisti con incitamenti al genocidioKill the boer! Kill the farmer!»: un canto che la Corte Suprema sudafricana non ritiene essere incitamento all’odio) del leader del partito para-comunista EFF (scissosi dall’ANC di Mandela) Julius Malema, nonché le immagini strazianti della fila infinita di croci per i boeri ammazzati.

 

 

Curiosamente, sarebbe da ricordare che è proprio il Sudafrica che ha portato le carte all’Aia per dichiarare Israele perpetratore di genocidio.

 

Ramaphosa ha respinto le accuse, ribadendo i valori democratici del Sudafrica e respingendo l’idea che la terra venisse confiscata illegalmente. «No, no, no, no», ha risposto quando gli è stato chiesto della confisca delle terre. «Nessuno può prendere la terra», ha aggiunto.

 

Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il partito dell’ex presidente sudafricano Jacob Zuma MK ha presentato una denuncia per tradimento contro un gruppo della minoranza afrikaner.

 

L’amministrazione Trump aveva negli ultimi tempi  sospeso gli aiuti al Sudafrica. La scorsa settimana, dopo tanti annunci, gli USA hanno accolto un primo gruppo di rifugiati boeri. Sul «genocidio bianco» in atto non ha dubbi Elon Musk, che ha recentemente anche sostenuto che il suo servizio Internet satellitare Starlink non può funzionare in Sudafrica perché «non è nero».

 

La delegazione sudafricana era in visita per presentare un quadro rivisto per il commercio e gli investimenti, volto a rafforzare la cooperazione economica bilaterale. Parks Tau, Ministro del Commercio, dell’Industria e della Concorrenza del Sudafrica, ha confermato che la proposta è stata presentata durante i colloqui con il Rappresentante Commerciale degli Stati Uniti.

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Tau ha affermato che il commercio è al centro della nuova proposta. «Abbiamo anche discusso di dazi doganali e tariffe con la parte americana», ha osservato. Ha sottolineato che quasi il 77% delle merci statunitensi importate in Sudafrica entra in esenzione doganale, mentre una quota analoga delle esportazioni sudafricane, principalmente materie prime, beneficia anch’essa di esenzioni fiscali. Tau ha aggiunto che il Sudafrica ha evidenziato la crescente carenza di gas e ha manifestato interesse per l’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti, un’iniziativa accolta positivamente sia dall’ambasciatore statunitense che dai rappresentanti della Casa Bianca. “È uno dei settori su cui daremo seguito», ha affermato.

 

Mentre lasciava la Casa Bianca, il presidente Ramaphosa ha detto ai giornalisti che i colloqui erano andati «molto bene».

 

In questi anni, ad ogni modo, abbiamo assistito al collasso del Sudafrica da ogni punto vista, dai disordini civili con caos e razzie ai blackout – dove si innesta la storia oscura di un possibile tentato assassinio nei confronti del capo della società elettrica nazionale.

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Economia

Assistenzialismo geopolitico-militare: l’Ucraina vuole una percentuale fissa del PIL dell’UE

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L’Ucraina ha proposto che gli stati membri dell’UE destinino una quota fissa del loro PIL al finanziamento delle forze armate del paese. I leader dell’Unione hanno promesso di continuare a sostenere militarmente Kiev nonostante il cambio di politica del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a mediare una tregua.   Secondo un post su Facebook pubblicato giovedì, il ministro delle Finanze Serhiy Marchenko ha illustrato al mondo la proposta di assistenzialismo geopolitico-militare durante la riunione dei ministri delle finanze del G7 tenutasi questa settimana in Canada.   «Quello che proponiamo è la partecipazione dei partner al finanziamento delle Forze armate ucraine, il che le integrerebbe di fatto nella struttura di difesa europea», ha scritto.

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Marchenko ha aggiunto che il costo «rappresenterebbe solo una piccola parte del PIL dell’UE» e potrebbe essere ripartito tra i paesi che desiderano aderire all’iniziativa. Kiev intende lanciare il nuovo programma nel 2026, con contributi conteggiati negli obiettivi di spesa per la difesa della NATO.   L’appello di Marchenko giunge in un momento in cui l’Ucraina è alle prese con la crescente pressione fiscale e con un’incerta prospettiva sugli aiuti esteri. Martedì, il parlamentare Yaroslav Zheleznyak ha dichiarato che il bilancio del Paese per il 2025 include un deficit di 400-500 miliardi di grivne (9,6-12 miliardi di dollari) per il finanziamento delle forze armate.   La collega deputata Nina Yuzhanina ha avvertito che il sostegno militare ha raggiunto un livello critico e ha chiesto tagli drastici al bilancio interno per ridistribuire le risorse.   Anche il crescente debito ucraino ha destato allarme. Il debito pubblico totale si avvicina ai 171 miliardi di dollari, con un debito prossimo al 100% del PIL. All’inizio di questo mese, Marchenko ha dichiarato che il Paese non sarà in grado di ripagare i creditori esteri per i prossimi 30 anni, ma intende continuare a indebitarsi.  
  Dall’escalation del conflitto con la Russia nel 2022, l’Ucraina ha ricevuto miliardi di dollari in aiuti militari, finanziari e umanitari e prestiti dagli Stati Uniti, dall’UE e da altri donatori. L’approccio di Bruxelles ha suscitato critiche da parte di alcuni Stati membri dell’UE, tra cui Ungheria e Slovacchia.   Gli Stati Uniti, il principale donatore dell’Ucraina, si sono mossi per recuperare gli aiuti finanziari all’Ucraina firmando un accordo sulle risorse naturali con Kiev. L’accordo, promosso da Trump, garantisce agli Stati Uniti un accesso preferenziale alle risorse minerarie ucraine senza fornire garanzie di sicurezza.   Trump, che ha ripetutamente chiesto una rapida risoluzione del conflitto, si è impegnato a mediare una tregua piuttosto che espandere il supporto militare. I legislatori ucraini hanno avvertito che il pacchetto di aiuti militari approvato dall’ex presidente Joe Biden si esaurirà entro l’estate e non sono attualmente in corso trattative per ulteriori forniture statunitensi.   La Russia ha sempre condannato le spedizioni di armi occidentali all’Ucraina, dichiarando che non faranno altro che prolungare il conflitto senza cambiarne l’esito e che rappresenteranno anche un ulteriore onere economico per i contribuenti comuni.

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Geopolitica

Israele spara contro la delegazioni di diplomatici stranieri

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Soldati israeliani hanno sparato nei pressi di un gruppo di diplomatici stranieri in visita al campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata, spingendo i rappresentanti di oltre 20 paesi e i giornalisti al seguito a cercare riparo, secondo i video ripresi dalla scena.

 

Il tour, organizzato dall’Autorità Nazionale Palestinese, coinvolgeva delegati provenienti da decine di paesi, tra cui Regno Unito, Canada, Francia, Italia, Spagna, Cina, Giappone, Messico, Egitto e altri. Non sono stati segnalati feriti, ma le riprese video hanno mostrato i diplomatici fuggire in preda al panico mentre si scatenavano gli spari intorno alle 14:00 ora locale.

 

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno affermato che la delegazione aveva deviato dal percorso precedentemente approvato ed era entrata in un’area non autorizzata, da loro descritta come una «zona di combattimento attiva».

 


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«Secondo una prima indagine, la delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area non autorizzata. I soldati dell’IDF che operavano nella zona hanno sparato colpi di avvertimento per allontanarli», ha dichiarato l’IDF, esprimendo rammarico per il «disagio causato».

 

 

Il ministero degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese ha descritto la sparatoria come una violazione del diritto internazionale, affermando che la delegazione era in missione ufficiale per valutare la situazione umanitaria nel contesto delle crescenti critiche internazionali alle operazioni militari israeliane a Gaza e in Cisgiordania.

 


I leader internazionali hanno prontamente condannato l’incidente. Francia e Italia con il ministro Antonio Tajani hanno convocato gli ambasciatori israeliani per chiedere spiegazioni. Il vice primo ministro irlandese ha definito l’evento «totalmente inaccettabile», mentre il Canada ha chiesto un’indagine approfondita. Anche l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Kaja Kallas, ha definito «inaccettabile» l’atto di sparare vicino ai diplomatici e ha chiesto che si assuma la responsabilità.

 

Della delegazione, in cui vi erano anche giornalisti, faceva parte il vice console italiano Alessandro Tutino, uscito illeso. Il diplomatico italiano ha parlato subito con il Tajani.

 

 

«Ho appena parlato con Alessandro Tutino il vice console d’Italia a Gerusalemme che sta bene e che era fra i diplomatici che sarebbero stati attaccati a colpi di arma da fuoco vicino al campo profughi di Jenin. Chiediamo al governo di Israele di chiarire immediatamente», ha dichiaro su X il ministro degli Esteri. Il vice console sarebbe rientrato a Gerusalemme.

 

Tajani ha quindi convocato l’ambasciatore israeliano a Roma: «ho appena dato disposizione al Segretario generale del Ministero degli Esteri di convocare l’Ambasciatore di Israele a Roma per avere chiarimenti ufficiali su quanto accaduto a Jenin» ha scritto sui social il Tajani.

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L’incidente, va notato, a poche dalla decisione UE di aprire una revisione dell’accordo di associazione con Israele.

 

Il ministero degli Esteri egiziano ha affermato che l’incidente «viola tutte le norme diplomatiche», mentre il ministero degli Esteri turco ha «fermamente condannato» gli spari di avvertimento contro i suoi diplomatici.

 

Il caso dovrebbe riportare alla memoria l’attacco che l’IDF ha portato contro i nostri soldati attivi in Libano con le forze di pace UNIFIL – con Netanyahu che arrivò a minacciare direttamente il corpo ONU di peacekeeping nel Libano meridionale, accusato di «fornire uno scudo umano ai terroristi di Hezbollah»

 

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