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Economia

Blackout previsti in Danimarca e in Svezia

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Si moltiplicano gli allarmi per i blackout previsti per il primo autunno della crisi energetica che stiamo vivendo.

 

Un funzionario dell’ente energetico danese ha parlato apertis verbis del problema.

 

«C’è un rischio maggiore di mancanza di energia questo inverno», ha detto a TV2 Klaus Winther, vicedirettore di Energinet, l’operatore nazionale danese del la rete elettrica e del gas naturale.

 

Winther ha sostenuto che la crisi aprirà una nuova era di consumo di energia basato sul razionamento per prevenire i blackout.

 

Una «tempesta perfetta» di prezzi in rialzo, un’estate calda e secca e un crollo della fiducia nella sicurezza energetica significano che i guasti alla rete elettrica sono ora una possibilità reale.

 

«La produzione di elettricità non riesce a tenere il passo con la domanda e questo aumenta la probabilità di un’interruzione di corrente», ha affermato Winther.

 

Pur insistendo sul fatto che «le interruzioni di corrente sono l’ultimo strumento in assoluto che abbiamo nel cassetto», Winther ha avvertito che le singole società di distribuzione potrebbero essere costrette a interrompere le forniture di elettricità per ore per evitare blackout più lunghi.

 

Nel frattempo, Brian Vad Mathiesen, professore di pianificazione energetica all’Università di Aalborg, ha affermato che i danesi potrebbero dover adottare una mentalità da crisi petrolifera degli anni ’70 e abituarsi a vivere in case sempre più fredde.

 

«Dobbiamo creare campagne di risparmio energetico su una scala che non possiamo immaginare e tutti devono assumersi la responsabilità».

 

In Svezia la possibilità di blackout prolungati è passata da «bassa» a «reale», con le aree più popolate del Paese esposte ad un maggior rischio, riporta Summit News.

 

«Questo inverno, nel momento più freddo, c’è il rischio reale che dovremo interrompere il consumo di elettricità in alcune parti della Svezia meridionale», ha dichiarato Erik Ek, manager delle operazioni strategiche per l’operatore di rete elettrica svedese Svenska Kraftnät, Erik Ek.

 

Come riportato ripetutamente da Renovatio 21, annunci di blackout energetici si susseguono in Europa e nel mondo da un anno – con blackout effettivi capitati dappertutto.

 

Come noto, in Italia sono stati colpite Milano e Torino.

 

Lo scorso mese abbiamo riportato dei continui blackout in Texas.  Da mesi si prevedono interruzioni di corrente in tutti gli USA. Ora blackout sono annunziati in California.

 

La Svizzera si sta preparando ai blackout, anche se è appena nato un comitato politico per evitarli.

 

Vi sono stati Blackout in Cina, dove le aziende occidentali si chiedono abbia senso quindi investire. Per paura di nuove interruzioni, la Cina sta ordinando un aumento dell’uso di carbone.

 

Due mesi fa intere zone di Sydney, in Australia, sono andate al buio.

 

Blackout anche in Pakistan, con annessa chiusura delle fabbriche – mentre la società collassa e scivola verso la guerra civile.

 

La Gran Bretagna si prepara a blackout invernali.

 

Blackout, ovviamente, anche in uno dei laboratori del Nuovo Ordine Mondiale, lo Sri Lanka, senza carburante, cibo né elettricità.

 

Blackout in Giappone. Blackout a Taiwan. Blackout in Kazakistan Uzbekistan, Kirghizistan. Blackout in Turchia.

 

Blackout minacciati in Indonesia, dove non vogliono più quindi esportare carbone per timore di non avere energia sufficiente per la rete elettrica.

 

Blackout paventati nei mesi scorsi in Austria e Romania, e in Germania con spot apocalittici. Blackout pure  in Canada, dove però riescono simpaticamente ad incolpare i castori.

 

Secondo uno studio a breve un miliardo di persone nel mondo sono a rischio blackout.

 

Di rischio blackout, il 13 gennaio di quest’anno, ha riferito alle presidenze del Parlamento italiano il COPASIR, Il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, cioè l’organo del Parlamento della Repubblica Italiana che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti.

 

I blackout, come vaccini e green pass, sono un ulteriore strumento di controllo della popolazione, che si piegherà a qualsiasi cosa (e rinunciare in caso a qualsiasi diritto) pur di stare al caldo con la luce elettrica.

 

I blackout, soprattutto, decimeranno l’economia, distruggendo il tessuto produttivo delle aziende: un’ulteriore catastrofe che renderà il cittadino sempre più suddito dello Stato.

 

Lo abbiamo sentito al World Economic Forum di Davos di quest’anno, quando la a manager norvegese Kjerstin Braathen ha parlato della necessità di spiegare alle masse che «dobbiamo accettare che ci sarà dolore nel processo»,  e vi saranno «carenze di energia» e «pressioni inflazionistiche».

 

 

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Economia

Orban: i burocrati di Bruxelles corrono in giro come polli in preda al panico

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha aspramente criticato Bruxelles, accusando la leadership dell’UE di una gestione fallimentare in settori cruciali come l’economia, l’immigrazione e la sicurezza.

 

In un discorso tenuto presso i Digital Civic Circles, una rete di gruppi digitali che promuovono valori conservatori in Ungheria, ha dichiarato che il blocco UE è sull’orlo del collasso a causa delle carenze dei suoi attuali leader.

 

Sabato, il primo ministro ha descritto un quadro drammatico, parlando di «montagne di debiti, folle di migranti, violenza di strada, l’ombra sempre più oscura della guerra, licenziamenti di massa, costi dei servizi pubblici alle stelle, famiglie impoverite e burocrati di Bruxelles che corrono in giro come polli in preda al panico», elencando i problemi dell’UE.

 

Secondo Orban, l’UE non è riuscita a imporsi come una potenza globale credibile. Invece di affrontare queste sfide, l’Unione è diventata un simbolo di debolezza, indecisione e caos interno, ha sostenuto.

 

Il premier magiaro criticato quello che ha definito il «tragico» accordo commerciale con gli Stati Uniti firmato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aggiungendo che le politiche verdi dell’UE stanno «uccidendo l’industria europea». I prezzi dell’energia, ha osservato Orban, sono «da tre a quattro volte più alti» rispetto agli Stati Uniti, mentre Paesi come la Francia si avvicinano a livelli di debito insostenibili.

 

«L’Europa, come l’abbiamo conosciuta e amata, è finita», ha avvertito Orban. «Se lo neghiamo, perdiamo tempo. Se lo diciamo ad alta voce, guadagniamo tempo».

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Il politico ha contrapposto l’approccio di Budapest a quello di Bruxelles, evidenziando controlli più rigidi sull’immigrazione, una politica familiare legata all’occupazione e un sistema fiscale che, a suo dire, sostiene chi cerca lavoro.

 

Le critiche dell’Orbano, pur espresse in modo incisivo, si inseriscono in preoccupazioni più ampie condivise da economisti e analisti. Esperti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno avvertito che l’UE rischia una stagnazione a lungo termine.

 

Il FMI prevede una crescita dell’area dell’euro di appena lo 0,8% nel 2025 e dell’1,2% nel 2026, mentre il debito pubblico rimane vicino al 90% del PIL e i deficit superano il 3%, ben oltre i livelli pre-pandemia.

 

Come riportato da Renovatio 21, Orban aveva parlato di un possibile «collasso» dell’Unione Europea ancora due settimane fa, descrivendo una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e avvertendo che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».

 

«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban ad un picnic civico annuale a Kotcse, proponendo di trasformare l’UE – definita sempre da lui due mesi fa come «debole e ridicola» – in «cerchi concentrici».

 

Ancora la scorsa estate fa Orban aveva denunciato come il bilancio di Brusselle potrebbe distruggere l’intero euroblocco, notando pure, in un’altra occasione, l’esistenza di un piano «progressista» per l’Europa di «sostituire il cristianesimo e la nazione».

 

Il premier di Budapest aveva altresì chiesto, con un tweet ironico, la defenestrazione del presidente della Comissione UE Ursula Von der Leyen all’altezza del voto di sfiducia dello scorso luglio.

 

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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia ripubblicata secondo indicazioni.

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Economia

L’UE ha speso 8,7 miliardi di euro in importazioni dalla Russia in tre mesi

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Nei primi tre mesi del 2025, gli Stati membri dell’UE hanno importato merci russe per 8,7 miliardi di euro (10,2 miliardi di dollari), secondo i dati dell’Istituto economico tedesco riportati dalla testata germanica Bild.   Nel primo trimestre, la bilancia commerciale UE-Russia ha favorito leggermente Mosca, con l’Unione che ha acquistato più di quanto ha venduto. Le principali importazioni, indicate dalla Bild, includono gas naturale per 4,4 miliardi di euro e petrolio greggio per 1,4 miliardi di euro.   Dopo l’escalation del conflitto in Ucraina nel febbraio 2022, l’UE ha annunciato l’intenzione di tagliare i legami economici con Mosca. Sebbene le importazioni di gas e petrolio russi siano diminuite, diversi Paesi UE continuano a dipendere dalla Russia per l’energia.   Alcuni Stati membri hanno visto le loro industrie perdere competitività globale passando a fonti energetiche più costose. Secondo la Bild, tra i principali prodotti importati nel 2025 ci sono anche fertilizzanti russi, ferro, acciaio e nichel.

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A inizio anno, la Commissione europea ha proposto la RePowerEU Roadmap, che prevede l’eliminazione graduale delle importazioni energetiche russe entro il 2027.   Ungheria e Slovacchia, fortemente dipendenti dall’energia russa, si sono opposte al piano, sostenendo che metterebbe a rischio la loro sicurezza energetica. A inizio settembre, il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha accusato alcuni Stati membri di «ipocrisia», affermando che acquistano «petrolio russo di nascosto» tramite intermediari asiatici.   Ad agosto, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha ammesso che la Germania «non sta solo affrontando un periodo di debolezza economica, ma una crisi strutturale», citando il calo dei profitti delle case automobilistiche tedesche.   Ad aprile, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha commentato le difficoltà economiche dell’UE, definendole «il vero costo dell’agenda anti-russa dell’UE». «La russofobia è un’ossessione costosa», ha dichiarato la diplomatica moscovita.   Come riportato da Renovatio 21, sette mesi fa era emerso che, ancora una volta, le importazioni UE di gas russo aumentano grandemente.   Il Cremlino ha lamentato a fine 2024 che gli USA avrebbero tentato di bloccare le esportazioni di gas russo verso la UE, che non ha mai in verità fermato gli acquisti. Diverse nazioni dell’UE, tra cui Austria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Italia, continuano a fare affidamento sul gas russo per soddisfare il loro fabbisogno energetico e non hanno smesso di acquistare la materia prima nonostante le pressioni dei pari all’interno del blocco – vi sarebbe anche vari casi in cui la quantità di gas russo importato è, invece che diminuita, aumentata, con panico di personaggi come certi deputati neerlandesi.   Il Regno di Spagna rimane uno dei principali importatori di gas russo. Secondo il vice ministro russo Aleksandr Novak, la Russia triplicherà le esportazioni di gas entro il 2030.

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Come riportato da Renovatio 21, il Regno del Belgio ha chiesto che la UE vieti del tutto l’idrocarburo di Mosca. L’Austria ha invece richiesto una revisione del divieto europeo del gas russo; alcuni politici tedeschi pure.   La settimana scorsa è giunto l’ultimatum del presidente americano Donald Trump che ha intimato agli alleati NATO di non più comprare petrolio dalla Federazione russa.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa è emerso che gli USA acquistavano petrolio russo nonostante il divieto di importazione.   Due settimane fa il presidente ucraino Zelens’kyj ha dichiarato che non consentirà il transito verso la Slovacchia di petrolio e gas nella tratta ucraina degli oleodotti qualora essi fossero di origine russa.  

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Immagine © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International  
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Economia

Peggiora la bolla dell’economia USA

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L’ultimo rapporto del Bureau of Labor Statistics del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, caduto in disgrazia, sull’inflazione dei prezzi al consumo ad agosto, pubblicato il 10 settembre, ha completato il quadro dell’economia americana in stagflazione; il dollaro è in calo del 10% rispetto alle principali valute nel 2025; e con non una, ma diverse grandi bolle del debito che crescono rapidamente verso quella che sembra una vera grande esplosione, che nel gergo finanziario usa chiamano bust, in opposizione a boom.

 

La questione che si pongono alcuni è che se la Casa Bianca di Trump voglia davvero questa discesa verso la recessione, per costringere la Federal Reserve ad abbassare i tassi di interesse. Il momento è delicato: le principali nazioni dei BRICS e della SCO stanno sfidando le pressioni economiche di Washington e stanno iniziando a costruire un sistema alternativo di commercio, credito e sviluppo

 

L’inflazione dei prezzi al consumo ha continuato la sua lenta ma costante crescita nel 2025: l’aumento complessivo dello 0,4% di agosto è stato il più grande di tutti i mesi dell’anno, così come l’inflazione su base annua, al 2,9% fino ad agosto.

 

Il contesto è caratterizzato da una crescita occupazionale media di sole 30.000 unità al mese nel secondo e terzo trimestre, dal continuo calo dell’occupazione nel settore manifatturiero e da un’improvvisa impennata delle richieste di disoccupazione di 40.000 unità, a 263.000 ad agosto.

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Per quanto riguarda l’inflazione, questa è sembrata in parte correlata ai dazi, con i prezzi di abbigliamento, generi alimentari e automobili che ad agosto sono aumentati dello 0,5-0,6%.

 

Tra gli altri fattori principali figurano le bollette elettriche, che sono aumentate improvvisamente a un tasso annuo del 5-6% nel 2025; e il settore immobiliare, in crescita dello 0,5% ad agosto. È scoppiata una bolla azionaria tecnologica, che ora sta crescendo in modo maniacale in previsione di importanti tagli dei tassi di interesse.

 

I cosiddetti Magnifici 7 giganti della tecnologia – Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Meta, Nvidia, and Tesla – hanno registrato un aumento del 45% della capitalizzazione azionaria nel secondo e terzo trimestre dell’anno; l’indice complessivo dei titoli tecnologici è salito del 12%, raggiungendo i 25.000 miliardi di dollari, la metà dell’intero S&P 500; mentre il resto dei titoli dell’S&P 500 è salito solo dell’1% nel secondo e terzo trimestre.

 

Questa bolla tecnologica sta eguagliando il tasso di crescita della bolla del debito federale da 37,5 trilioni di dollari e della bolla dei prezzi immobiliari da 22 trilioni di dollari.

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