Economia
Blackout, l’Indonesia vieta l’esportazione di carbone

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Preoccupato che una carenza sul mercato interno possa provocare blackout, il governo indonesiano ha vietato l’export del combustibile fossile per tutto il 2022. Imprenditori: i costi della nuova misura saranno altissimi.
La Camera di commercio indonesiana (Kadin) e l’Associazione degli esportatori di carbone (APBI) hanno criticato la recente decisione del governo di impedire l’export di carbone a partire dal primo gennaio 2022.
La misura dovrebbe restare in vigore un anno ed è stata imposta per i timori legati all’approvvigionamento interno.
Ridwan Djamaluddin, direttore generale al ministero dell’Energia e delle Risorse Minerarie ha dichiarato che un aumento della domanda di elettricità rischia di provocare blackout diffusi in tutto il Paese, lasciando al buio almeno 10 milioni di cittadini.
Un aumento della domanda di elettricità rischia di provocare blackout diffusi in tutto il Paese, lasciando al buio almeno 10 milioni di cittadini
L’Indonesia è tra i maggiori esportatori di carbone al mondo: nel 2020 ha venduto all’estero circa 400 milioni di tonnellate di combustible.
Il ministero ha spiegato che il nuovo divieto è in accordo con il cosiddetto obbligo del mercato interno indonesiano, in base al quale i produttori di carbone devono fornire il 25% della loro produzione annuale alla Perusahaan Listrik Negara, la compagnia elettrica statale, a un massimo di 70 dollari per tonnellata, prezzo ben al di sotto di quelli di mercato.
Secondo produttori ed esportatori di carbone, il governo ha preso una decisione sproporzionata. Entrambe le categorie hanno sollecitato il ministero a rivedere la propria politica.
Arsjad Rasjid, presidente della Kadin ha commentato dicendo che senza il settore imprenditoriale non sarà possibile una ripresa dell’economia nazionale: «Il divieto di esportazione del carbone avrebbe dovuto essere discusso con noi prima di essere adotatto». Secondo Rasjid nei prossimi giorni è prevista una discussione tra gli imprenditori.
Anche Pandu Sjahrir, capo dell’Apbi, ha espresso le proprie preoccupazioni riguardo la nuova politica e invitato il governo e revocare il divieto: «questo regolamento avrà un grave impatto sull’industria mineraria del carbone», ha detto.
«Il volume di produzione subirà una riduzione di 38-40 milioni di tonnellate e l’Indonesia perderà almeno 3 miliardi di dollari al mese».
Anche le compagnie di navigazione saranno impattate, senza un revisione della legge: «agli esportatori di carbone indonesiani saranno addebitati tra i 420 e i 440mila dollari al giorno per nave a causa dei costi di controstallia [operazioni di imbarco o sbarco]».
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Economia
Il nervosismo di Londra e Wall Street per la nuova banca BRICS

Aumenta la pressione sul sistema finanziario occidentale per la creazione dell’istituto di credito internazionale del gruppo dei Paesi BRICS.
L’Arabia Saudita è interessata ad entrare a far parte della Nuova Banca di Sviluppo (NBD) istituita dai BRICS, secondo quanto riportato dal Financial Times.
«In Medio Oriente, attribuiamo grande importanza al Regno dell’Arabia Saudita e siamo attualmente impegnati in un dialogo qualificato con loro», ha dichiarato l’NDB al quotidiano della City di Londra in un comunicato.
Secondo quanto riferito, anche l’Arabia Saudita ha presentato istanza di adesione ai BRICS e, come ricorda il Financial Times, «sta anche perseguendo relazioni più strette con la Cina» – un fenomeno oramai rivelato da un anno che, tra accordi bilaterali e annunci al World Economic Forum di Davos, si pone come pietra miliare della de-dollarizzazione in corso
La NDB è stata fondata nel 2015 dalle cinque nazioni BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Altri tre paesi: Bangladesh, Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, da allora sono entrati a far parte della banca.
L’adesione dell’Uruguay è stata approvata, ma il suo ingresso attende il deposito del documento richiesto.
I ministri delle finanze dei Paesi membri, che compongono il Consiglio dei governatori dell’NDB, si incontreranno per la loro riunione annuale questo martedì e mercoledì (30-31 maggio) presso la sede della banca a Shanghai.
La questione sul tavolo è come la NDB possa svolgere un ruolo attivo nel plasmare il nuovo sistema finanziario internazionale necessario per sostituire il sistema occidentale.
Fino ad ora, l’NDB dipendeva dal finanziamento in dollari per il suo capitale e si limitava a concedere prestiti in dollari ai paesi membri. Di conseguenza, i finanziamenti della NDB per qualsiasi nuovo progetto in Russia, ad esempio, sono stati congelati da quando sono state imposte sanzioni occidentali a quel Paese, una situazione sollevata dal primo ministro russo Mikhail Mishustin quando ha incontrato il 23 maggio il nuovo presidente della NDB, Dilma Rousseff (una figura che non ha nascosto le sue previsioni sulla de-dollarizzazione dell’economia globale e la sua idea per cui le sanzioni USA saranno la causa della fine della supremazia della valuta statunitense).
C’è poi la questione dell’Argentina, Paese impantanato con il Fondo Monetario Internazionale, che spinge per entrare nei BRICS e sta tessendo rapporti economici sempre più stretti con due Paesi fondatori, Brasile e Cina, sempre lontani dal dollaro.
Alla fine della scorsa settimana, il quotidiano brasiliano O Globo ha riferito con soddisfazione che il ministro delle finanze brasiliano Fernando Haddad, che doveva svolgere un ruolo di primo piano in quelle discussioni, non potrà partecipare di persona, sebbene possa partecipare virtualmente. Il motivo: il governo è in una dura lotta con il Congresso per approvare un’importante legislazione economica interna, e Haddad è l’uomo che gestisce quei negoziati.
Il quotidiano pro-occidentale (cioè pro-Wall Street e pro-City di Londra) O Estado de São Paulo, , ha pubblicato il 25 maggio un veemente attacco in cui avvertiva di «un effetto interno devastante» qualora i paesi membri della NDB concedessero garanzie per il commercio estero dell’Argentina con le società brasiliane, come Lula sta proponendo. O Estado scrive, tuttavia senza citare fonti, che la proposta di Lula per l’NDB di emettere prestiti di liquidità incontra «una forte resistenza» da parte di altri all’interno della banca, ed è improbabile che venga accettata.
Se l’Argentina ottiene aiuto, l’India potrebbe richiedere lo stesso per lo Sri Lanka, il Sudafrica per lo Zimbabwe, etc., segnando uno scollamento di vasta parte del mondo dalle istituzioni finanziarie internazionali, che parrebbero puntare – come discusso all’incontro annuale tra FMI e Banca Mondiale – verso la moneta digitale globale.
Come riportato da Renovatio 21, una nuova moneta BRICS potrebbe essere annunciata al Summit di agosto in Sud Africa.
Secondo alcuni calcoli, nel 2022 il PIL dei BRICS sarebbe divenuto maggiore di quello dei Paesi G7.
Come riportato da Renovatio 21, anche l’Algeria, l’Argentina, Egitto, oltre all’Arabia Saudita hanno significato il loro interesse ad entrare nei BRICS, un ente dove non c’è la caccia al russo (anzi, c’è aperta critica alla NATO) e dove si preparano valute alternative al commercio mondiale.
Immagine di Donnie28 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Economia
Gli Stati occidentali continuano ad acquistare petrolio e gas russi

Le nazioni occidentali non hanno smesso di acquistare energia russa nonostante le sanzioni senza precedenti imposte dagli Stati Uniti e dall’UE contro Mosca, ha affermato il ministro dell’Energia russo Nikolay Shulginov.
Vari Paesi sono passati a «soluzioni alternative» per procurarsi le importazioni russe, ha detto al canale televisivo Rossja 1.
Quando gli è stato chiesto se i Paesi occidentali stessero ancora acquistando petrolio e gas russi ma attraverso percorsi alternativi, Shulginov ha detto che questa informazione era «corretta». Tuttavia, non ha specificato quali rotte specifiche vengono utilizzate per fornire energia russa ai clienti occidentali.
Nel dicembre 2022, l’UE, le nazioni del Gruppo dei Sette e i loro alleati hanno introdotto un divieto collettivo sulle esportazioni di petrolio russo per via marittima, insieme a un prezzo massimo di 60 dollari al barile.
Un altro embargo che vieta quasi tutte le importazioni di prodotti petroliferi russi, oltre all’introduzione di limiti di prezzo sul diesel e altri prodotti petroliferi, è entrato in vigore il 5 febbraio, scrive RT.
Sebbene i gasdotti della Russia non siano stati soggetti a restrizioni, le sue esportazioni di gas verso l’UE sono state drasticamente ridotte a seguito del sabotaggio nel settembre 2022 dei gasdotti sottomarini Nord Stream 1 e 2 che li ha resi inutilizzabili. Secondo Politico, a metà maggio non era ancora stato raggiunto un consenso nell’UE sull’opportunità di sanzionare i gasdotti russi.
Lo scorso marzo Bloomberg aveva riferito che alcune nazioni dell’UE avevano acquistato attivamente gas naturale liquefatto (GNL) russo, con la Spagna in cima alla lista degli acquirenti all’inizio del 2023. Le importazioni spagnole di GNL russo erano aumentate dell’84% dall’inizio del conflitto in Ucraina.
Anche la Francia è emersa come uno dei principali importatori russi di GNL, acquistando 1,9 milioni di tonnellate di carburante nel 2022. È stata seguita dalla Spagna, che ha acquistato 533.800 tonnellate, e dal Belgio, che ha acquisito 310.000 tonnellate nello stesso periodo, secondo Bloomberg.
La Spagna è stata anche il più grande importatore di combustibili fossili russi tra il 1° gennaio e il 9 marzo di quest’anno, scrive la testata americana, con Belgio e Bulgaria a seguire.
All’inizio di maggio, l’UE ha suggerito di vietare alle navi che hanno violato le sanzioni sul petrolio russo di entrare nei porti e nei corsi d’acqua dell’UE come parte di un nuovo pacchetto di sanzioni.
Successivamente, il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha invitato l’euroblocco a vietare il carburante indiano prodotto dal petrolio russo.
Le importazioni di greggio dell’India dalla Russia sono aumentate di dieci volte nell’anno finanziario conclusosi il 31 marzo, ha dichiarato a maggio Bank of Baroda, il secondo più grande prestatore del settore pubblico della nazione. Giappone e India hanno deciso di andare comunque avanti con il progetto russo per petrolio e gas da Sakhalin, nell’Estremo Oriente siberiano.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina ha rivenduto il gas russo in Europa, facendo il giro del mondo e con un sovraprezzo poi ripercossosi sulle bollette impazzite servite ai cittadini. La Francia è passata a comprare GNL direttamente da Pechino in yuan due mesi fa.
Gli USA quest’anno ha quindi sostituito la Russia come principale fornitore di petrolio alla UE, che ha rinunciato anche alle importazioni del petrolio venezuelano.
Tra le sanzioni occidentali, la Russia ha reindirizzato le sue esportazioni di petrolio in altre parti del mondo, in particolare in Asia e America Latina.
A inizio conflitto la Slovacchia aveva espresso un netto rifiuto all’embargo del petrolio russo.
Il caos sul tetto al prezzo dell’oro nero piazzato da Bruxelles ha creato caos con petroliere occidentali bloccate sul Bosforo.
L’Europa sta commettendo un «suicidio energetico», aveva dichiarato nella primavera 2022 Igor Sechin, il capo del colosso petrolifero russo Rosneft.
Economia
Le sanzioni sui diamanti russi potrebbero sconvolgere il mercato globale della gioielleria

Le sanzioni sulle esportazioni di diamanti russi che sono state discusse dai paesi del G7 per più di un anno potrebbero far salire i prezzi delle gemme a livello globale, Lo riporta il canale americano CNBC.
Finora, l’importazione di diamanti grezzi russi è stata vietata dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, Washington importa ancora gemme estratte in Russia se sono state sostanzialmente alterate in altri Paesi. Il Regno Unito, il Canada e la Nuova Zelanda hanno seguito l’esempio, adottando misure simili contro il gigante minerario russo Alrosa.
L’Unione Europea e il G7 hanno cercato nuovi modi per bandire ai diamanti russi oltre confine. Tuttavia, il passo proposto è fortemente osteggiato dai principali importatori di gemme, come il Belgio, che ospita il più grande hub mondiale per il commercio di diamanti ad Anversa.
Secondo i dati dell’Osservatorio sulla complessità economica, la Russia, il più grande produttore mondiale di diamanti grezzi, ha incassato circa 4,7 miliardi di dollari dalle esportazioni di pietre preziose, diventando così l’ottavo esportatore mondiale.
«Il dibattito va avanti da tempo perché esiste un chiaro rischio che la Russia possa semplicemente dirottare le sue esportazioni verso paesi non partecipanti», ha detto alla CNBC Edward Gardner, economista delle materie prime presso Capital Economics. «Se le sanzioni fossero attuate in un modo che rendesse difficile l’elusione, però, allora potremmo vedere una minore offerta russa sul mercato e prezzi più alti».
Gli oppositori della misura sostengono inoltre che l’imposizione di sanzioni senza costruire un sistema globale per rintracciare le gemme sarebbe inutile, poiché il commercio potrebbe facilmente spostarsi verso altri mercati, come India e Cina, allo stesso modo del greggio russo.
È improbabile che l’ultimo pacchetto di sanzioni relative all’Ucraina attualmente in discussione da parte dell’UE riguardi i diamanti russi, scrive RT.
Il circuito dei diamanti di Anversa coinvolge per lo più famiglie ebree ortodosse, che hanno ramificazioni anche a Nuova York e in Israele.
Nel 2003 un venditore di gemme del distretto di diamanti di Manhattan fu accusato di essere legato ad uno schema di transazioni che avrebbero aiutato il finanziamento del terrorismo jihadista. internazionale. L’uomo, di nome Abraham, era un membro prominente della comunità ebraica di Rego Park. Tuttavia «questo anziano signore in cattive condizioni di salute ha contribuito in modo significativo a mediare la vendita di un missile terra-aria», aveva affermato l’assistente procuratore degli Stati Uniti.
I pubblici ministeri hanno dichiarato alla corte federale che Abraham aveva facilitato i terroristi fornendo i mezzi per finanziare l’acquisto di missili attraverso un sistema di trasferimento di denaro informale, noto come hawala, comune in Medio Oriente e metodo di finanziamento preferito dai terroristi.
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