Pensiero
Attacco in Libano, quale tecnologia per far esplodere cercapersone walkie-talkie?

L’attacco che ha sconvolto il Libano martedì e mercoledì, con l’esplosione simultanea prima di migliaia di cercapersone e il giorno dopo di walkie-talkie, segna un punto importante nella storia moderna.
Considerazioni sul cambiamento radicale della postura di alcuni Stati-nazione nei conflitti – con la trasformazione di strumenti civili in armi militari, e quindi della guerra in terrorismo sempre più puro – devono ancora essere del tutto ragionate da analisti ed osservatori, che in molti casi sottovalutano la portata dell’evento.
Tuttavia, l’interrogativo più importante, al momento, è quello tecnologico. Come è stato possibile portare un attacco simile? Come si è potuto far detonare simultaneamente quelle migliaia di batterie al litio?
Sostieni Renovatio 21
La domanda non è di poco conto, anche per chi scrive e per chi legge: impossibile non pensare che, a questo punto, ciascuno di noi può essere in pericolo, se una qualche forza da remoto può trasformare il suo smartphone in una bomba personalizzata.
Forse per questo, sono cominciate a fioccare, da subito, storie sul fatto che i dispositivi di una partita presumibilmente intercettata dagli israeliani sarebbero stati manomessi con microcariche esplosive. Una versione che non regge, perché è altamente improbabile che tali sostanze (si è perlato di PETN, cioè tetranitrato di pentaeritritolo) rimangano stabili per mesi e non vi sia un cercapersone, tra i migliaia, che non sia scoppiato anzitempo a causa di urti o temperature elevate, in modo che avrebbe reso evidente il sabotaggio collettivo.
Come riportato da Renovatio 21, la vulgata dei cercapersone «corretti» è ancora abbracciata dai giornali mainstream occidentali, con un articolo del New York Times che, citando fonti anonime, rivela addirittura che la società che ha venduto ad Hezbollah gli apparecchi sarebbe controllata dal Mossad stesso…
Abbiamo ritenuto giusto, quindi, andare in direzione contraria, e cercare di capire come sia stato possibili generare gli scoppi senza uso di esplosivo.
Abbiamo chiesto dunque ad un collaboratore di Renovatio 21, il quale, in aggiunta alla laurea in ingegneria, ha profonde e certificate conoscenze della tecnologia radio.
«Le ipotesi sono due, a mio parere: o c’è un software, che ovviamente è raggiungibile via radio, oppure è una radiofrequenza che eccita le batterie (il concetto è lo stesso del microonde)» ci racconta la nostra fonte. «Alla fine ci vuole “poco”: un satellite che irradia un segnale su di una zona, tipo segnale televisivo. In entrambi i casi – software o eccitazione – l’effetto è lo stesso. I dispositivi sensibili al segnale saltano nello stesso istante».
Qui si apre un altro fronte: vi sono state notizie per cui anche altri oggetti tecnologici sarebbero saltati: «quello che più fa impressione è che sono saltate le batterie di elettrodomestici e di scooter, quindi dispositivi che in teoria non hanno antenne riceventi… In realtà le antenne sono cose microscopiche». Non è ancora chiaro, al momento, se sono davvero esplosi anche motorini ed altri dispositivi, e in che quantità.
Poi ci mostra un’immagine di un dispositivo aperto, si vedono le schede e un bottoncino minuscolo, che ci dice essere un’antenna GPS: «è una antenna, che prende anche in casa e in auto. Se arriva un segnale e il software lo decodifica, puoi fargli fare di tutto».
«Un affare del genere lo puoi benissimo piazzare su una batteria, saranno 2 mm di diametro» teorizza. «Se si fa surriscaldare via software il gioco è fatto».
Iscriviti al canale Telegram
«L’ipotesi di esplosivi nascosti nei vari apparati non è credibile per vari motivi» ci conferma, «perché sono saltati anche normali elettrodomestici ed impianti fotovoltaici, batterie di scooter e automobili».
Quindi potrebbe esserci stata «una sovraeccitazione “elettromagnetica” delle batterie: tramite una opportuna onda elettromagnetica la batteria verrebbe surriscaldata fino a scoppiare. Un esempio di azione simile è quella del forno a microonde, che eccitano le molecole d’acqua dei cibi col risultato di scaldarli».
«Tecnicamente una cosa simile è possibile. Esiste infatti un metodo di eccitazione delle batterie, allo studio almeno dal 2018 che consente, tramite un dispositivo a film sottile inseribile anche in batterie commerciali per smartphone, di analizzare lo stato della batteria in ogni istante».
«Questa ipotesi è anche la più inquietante, perché se fosse vera vorrebbe dire che ogni batteria al litio potrebbe essere potenzialmente una piccola bomba che teniamo accanto a noi».
Si passa quindi all’ipotesi ulteriore, quella di un intervento che ha attivato un comando nascosto nei sistemi di controllo che tutti i dispositivi con batterie al litio hanno – i cosiddetti Battery Management Systems, BMS, oppure circuiti PCM – Protection Circuitry Module.
Bisogna considerare che «le batterie al litio sono molto delicate: hanno bisogno di un controllo continuo per garantire funzionalità e sicurezza. Per questo motivo nei nostri dispostivi alimentati con batterie al litio è sempre presente un componente software e hardware BMS, vero e proprio sistema di gestione della batteria».
«Compito del BMS è quello di controllare continuamente il corretto funzionamento della batteria, di modo che questa sia sempre in sicurezza (ad esempio la temperatura sia entro limiti ben precisi) ed efficiente. Inoltre il BMS gestisce la ricarica della batteria, di modo che non si abbiano fenomeni di sovraccarica e/o di sovratempertura (overheating) durante la ricarica».
Procediamo con lo scenario.
«Immaginiamo che qualcuno abbia inserito all’interno del BMS del codice che, dato un opportuno comando, possa mandare in cortocircuito la batteria. Immaginiamo poi che questo codice sia attivabile tramite un comando radio – perché in fondo inserire una piccola antenna in un circuito elettronico è molto semplice, ancora di più se il dispositivo stesso è già dotato di antenna perché è, ad esempio, un walkie-talkie, oppure il circuito stesso, per come è disegnato, funge da antenna».
Terza ipotesi: «un’alternativa all’hackeraggio del BMS, potrebbe essere una semplice app, di quelle che si autoinstallano nel telefono con il sistema operativo, che opportunamente attivata porta la batteria al surriscaldamento e conseguente esplosione. Questa ipotesi però non spiegherebbe l’esplosione delle batterie di semplici elettrodomestici o degli scooter». Una voce, questa delle esplosioni anche di motorini ed altri dispositivi che, ripetiamo, va ancora verificata.
L’ingegnere ci passa quindi un video YouTube con scene di smartphone che esplodono.
Aiuta Renovatio 21
Veniamo quindi edotti del fatto che hacker iraniani avrebbero dichiarato che si tratterebbe di un lavoro di BMS hacking, cioè quindi di una manomissione remotata via software. Nessuna conferma, ovviamente, nemmeno di questo.
Come sempre nella cyber-guerra: nebbia totale, si naviga a vista, anzi, neanche quello, non si vede proprio nulla. Chi ha sparato? Da dove? Come? Perché? Domande a cui è talvolta difficile rispondere anche nel campo della guerra cinetica, impossibili da comprendere in quello della guerra cibernetica.
Ora, la cosa da comprendere, tuttavia, è che la guerra non è solo in Libano: è ovunque c’è del litio, e la nostra vita ne è zeppa, e quindi è in prima linea di questa nuova guerra svelata all’umanità dallo Stato Ebraico.
Per cui, chiudiamo con un consiglio: Robert F. Kennedy, da sempre critico delle radiazioni telefonico-informatiche (Wi-Fi, 5G etc.), qualche giorno fa durante un podcast ha detto che, visto il rischio di cancro, il cellulare non dovrebbe mai essere portato all’orecchio.
Ora vi forniamo un altro motivo per non farlo: perché al momento in cui dite pronto potrebbero farvi saltare la testa.
Quindi: cuffiette e via. Ma attenzione: quelle wireless sono giocoforza connesse alla rete e contengono litio…
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Renovatio 21 saluta Giorgio Armani. Dopo di lui, il vuoto che inghiottirà Milano e l’Italia

Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese

Per chi è stato in viaggio in Giappone il nome APA hotels potrebbe risultare familiare. La catena di alberghi dalla caratteristica insegna arancione è onnipresente nel Paese del Sol Levante, possiede circa 900 strutture alberghiere e in alcune zone urbane la loro densità è incredibile: così a memoria direi che ce ne sono almeno 5 nella zona tra Asakusa e Asakusabashi (due fermate di metro o mezz’ora scarsa a piedi).
La catena ha anche già iniziato la sua espansione nell’America settentrionale, con 40 strutture tra Stati Uniti e Canada.
Di recente ho avuto l’occasione di provare per la prima volta un hotel APA a Kanazawa, dove la catena è nata nei primi anni ottanta. Il giudizio complessivo è positivo: pulito, molto pratico da usare, al netto di stanze piuttosto anguste (ma nella norma nipponica) non posso dire che mi sia mancata alcuna comodità.
Anzi, le stanze dispongono del «bottone buonanotte» (oyasumi botan) cioè un pulsante vicino al comodino che spegne tutte le luci in un colpo solo. Di questo sono particolarmente grato perché mi ha risparmiato la classica caccia agli interruttori che contraddistingue le serate passate negli alberghi meno recenti qui in Giappone – in alcuni ryokan ci sono persone che si rassegnano a dormire con le luci accese per la disperazione, spossati dalla caccia all’interruttore nascosto.
Sostieni Renovatio 21
Un’altra caratteristica degli hotel APA è l’onnipresenza dell’effigie della presidentessa dell’azienda, la buffa Fumiko Motoya, sempre accompagnata da uno dei suoi vistosissimi cappelli (la sua collezione ne conta circa 240).

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0
Insegne, pubblicità, bottiglie di acqua minerale, confezioni di curry liofilizzato: non c’è posto da cui non spunti il sorriso della nostra Fumiko, il tutto ha una lieve sfumatura di culto della personalità da regime totalitario.
Ma quello che porta ripetutamente questa azienda al centro di aspre polemiche non sono i vistosi copricapo del suo presidente, né tanto meno la folle varietà di ristoranti ospitati dagli alberghi APA (a seconda della località mi è capitato di vedere ristoranti italiani, indiani, singaporiani, coreani, caffè in stile europeo, letteralmente la qualsiasi). Si tratta, invece, della cifra politica della catena alberghiera.
Ogni stanza d’albergo ha in dotazione almeno un paio di copie degli scritti del fondatore dell’azienda, Toshio Motoya, storico e ideologo di orientamento decisamente patriottico.
Gli scritti in questione innescano periodicamente polemiche furibonde: il picco era stato raggiunto tra 2016 e 2017, quando il volume che si trovava nelle stanze degli alberghi conteneva una revisione storica del massacro di Nanchino (1937). Apriti cielo: il clima allora era meno liberticida di adesso, si era agli albori dei social media totalitari come li conosciamo oggidì, ma le polemiche in Asia e occidente furono furibonde.
Il bello è che l’autore e l’azienda hanno fatto quello che oggi nessuno fa: nessun passo indietro, nessuna scusa, soltanto ribadire le proprie ragioni in maniera più articolata. In un mondo come quello in cui viviamo, in cui la gogna internettiana ha reso tutti ominicchi, quaquaraquà e, d’altronde love is love, un po’ invertiti, un atteggiamento del genere si può forse definire eroico.
Cotale attitudine mi ha ricordato l’epoca d’oro del movimento ultrà italiano, quando ancora dalle curve, allora libere da qualsiasi controllo da parte di partiti politici, malavita e istituzioni, si alzava il coro liberatorio: «Noi facciamo il cazzo che vogliamo!».
La pagina in inglese dell’azienda usa uno stile revisionistico che in Europa sarebbe ragione sufficiente per arresto, condanna e detenzione. Ve la ricordate la libertà, voi europei? Pensate che brivido trovare in albergo letteratura che rivede il dogma riguardo agli eventi accaduti nei primi anni quaranta tra Polonia, Germania e Austria…
Di fronte alle furiose contestazioni, l’azienda continua imperterrita a fare trovare in ogni camera delle copie di Theoretical modern history (理論近現代文学), i volumi che raccolgono gli scritti del fondatore della catena Motoya. Durante il mio soggiorno a Kanazawa ho avuto modo di leggere alcuni articoli che mi hanno dato una prospettiva diversa della storia giapponese.
Aiuta Renovatio 21
L’insegnamento della storia nel Giappone post bellico ha frequentemente preso l’aspetto di una forma di autoflagellazione (sotto la guida dell’occupante statunitense). Questa colpevolizzazione del paese a scapito di tutte le altre forze coinvolte nel conflitto mondiale raggiunge picchi disturbanti nelle prefetture più sinistrorse del Paese, le così dette H2O (Hiroshima, Hokkaido, Oita).
Ci sono stati casi di genitori che hanno protestato dopo avere sentito che ai figli veniva insegnato che «le bombe atomiche ce le siamo meritate». Dopo decenni di scuse a capo chino, non c’è da stupirsi che parte del Paese inizi a manifestare insofferenza verso questo clima culturale e a volersi riconciliare con la propria storia, senza intenti necessariamente autoassolutori.
L’articolo che riporto nella foto riguardo al pilota suicida (quelli che l’occidente chiama kamikaze, ma che in Giappone sono tokkoutai, 特攻隊、le squadre speciali d’assalto), mi ha ricordato il manifesto elettorale del partito Sanseito, in cui due piloti «kamikaze» sono raffigurati abbracciati e con le lacrime agli occhi, un’immagine dei cosiddetti kamikaze diversa da quella che solitamente ci viene mostrata.
Passare una notte all’APA hotel è stata l’occasione per capire una volta di più che al popolo del Giappone, come a quelli d’Europa, è stato messo sulle spalle il giogo di un senso di colpa che impedisce loro di esistere in quanto tali, costringendoli ad abiurare sé stessi quotidianamente.
Adesso basta, noi facciamo il katsu che vogliamo.
Taro Negishi
Corrispondete di Renovatio 21 da Tokyo
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Mr.ちゅらさん via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Geopolitica
«L’era dell’egemonia occidentale è finita»: parla un accademico russo

Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
-
Spirito2 settimane fa
Vescovo messicano «concelebra» la messa con una «sacerdotessa» lesbica anglicana «sposata» che ha ricevuto l’Eucaristia
-
Armi biologiche1 settimana fa
I vaccini COVID «sono armi biologiche» che «hanno provocato danni profondi»: nuovo studio
-
Spirito1 settimana fa
Leone punisca l’omoeresia: mons. Viganò sull’udienza papale concessa a padre Martin
-
Vaccini1 settimana fa
Vaccino COVID, mentre Reuters faceva «fact-cheking sulla «disinformazione» il suo CEO faceva anche parte del CdA di Pfizer
-
Spirito2 settimane fa
Don Giussani, errori ed misteri di Comunione e Liberazione. Una vecchia intervista con Don Ennio Innocenti
-
Gender2 settimane fa
Transessuale fa strage in chiesa in una scuola cattolica: nichilismo, psicofarmaci o possessione demoniaca?
-
Geopolitica2 settimane fa
Mosca conferma attacchi missilistici ipersonici contro l’Ucraina
-
Salute2 settimane fa
I malori della 35ª settimana 2025