Pensiero
Camillo Langone sulla discriminazione della Messa in latino: «altro che inclusione»

Lo scrittore Camillo Langone è intervenuto sul quotidiano Il Foglio riguardo alla persecuzione delle messe tridentine da parte del Vaticano alla luce delle parole di totale indifferentismo pronunziate da Bergoglio negli scorsi giorni.
«Se tutte le religioni sono uguali, come ha detto Papa Francesco a Singapore, perché un messale è meno uguale degli altri? Il messale di San Pio V (per intenderci: il messale in latino) è discriminato dall’attuale Pontefice che ha relegato i suoi celebranti praticamente nelle catacombe. Altro che inclusione» scrive l’autore parmigiano.
Langone riconosce il fascino che nel deserto cattolico postconciliare promana la cristianità ortodossa.
«Eppure la messa tridentina frena l’uscita di tanti cattolici in direzione dell’ortodossia. L’ortodossia, per chi è sensibile alla bellezza, è una tentazione continua. Ma ora, almeno, chi è disgustato dai preti vestiti da protestanti (clergyman) o da sindacalisti (maglione) può andare dai preti vestiti da preti (abito talare)».
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«Ora, almeno, chi è stomacato dalle chitarre e dai tamburelli delle messe postconciliari, cocciutamente beat a sessant’anni dal beat, può passare ai canti in latino della messa tradizionale. Di messe in latino ce ne sono parecchie e sempre più frequentate: alcune sono clandestine, celebrate da sacerdoti diocesani che temono le rappresaglie dei feroci vescovi bergogliani, altre sono (di malavoglia) autorizzate e il loro elenco si trova sui siti appositi» continua il letterato.
«Ma perché angariare dei cristiani quando si fanno sorrisoni a buddisti e maomettani? Se tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio, si riconosca nella messa in latino un cammino per arrivare a “quella Roma onde Cristo è romano”».
La «Roma onde Cristo è romano» è un verso del Paradiso della Divina Commedia di Dante, canto 32: «Qui sarai tu poco tempo silvano; e sarai meco sanza fine cive di quella Roma onde Cristo è romano» (vv.99-102). Qui l’Alighieri sembra connettere indissolubilmente la Città Eterna – e la sua lingua, il latino – alla religione cristiana.
Tale pensiero millenario, tuttavia, sembra essere rifiutato ora proprio da Roma stessa – a riprova del fatto che la Santa Sede si trova di fatto in stato di occupazione da parte di forze esteriori, contrarie a Roma, e quindi contrarie a Cristo.
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Immagine di Matthew Doyle via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
Pensiero
Il ritorno della diplomazia vaticana. A papa morto

President Trump sat down to meet privately with Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy in St. Peter’s Basilica in Vatican City this morning. pic.twitter.com/QChPiZRKzM
— The White House (@WhiteHouse) April 26, 2025
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Qualcuno dirà: la solita trovata, perfetta, di Trump. Optics. Look. PR – è comunicazione visuale, lui è un maestro, a partire dall’insistenza diacronica per il ciuffo sintetico, inconfondibile, immediato. Non saprei dire: l’ultima volta che aveva saputo ingenerare un’immagine di tale potenza forse Dio stesso gli aveva dato una mano: quando gli spararono e lui alzò il pugno al cielo col volto rigato di sangue e la bandiera USA che garriva sopra di lui. Il Vaticano quindi pare essere tornato, brevemente, estemporaneamente, involontariamente, il vero luogo della diplomazia, e della pace globale. Dio, la tradizione cattolica – quella per cui questa micrologica monarchia teocratica, per quanto acciaccata, è ancora nella mente e nel cuore di tutta l’umanità e dei suoi leader – lo hanno permesso. Una preghiera acciocché torni quel tempo dove il centro del mondo coincideva con il centro del suo spirito. Solo da lì si può ricostruire l’equilibro. Solo ricostruendo la Chiesa si potrà avere la vera pace. Make Vatican Great Again. Ma sul serio. Roberto Dal BoscoBehind Scenes, Vatican City—President Trump sat down to meet privately with Volodymyr Zelenskyy of Ukraine this morning in St. Peter’s Basilica… pic.twitter.com/zzC78AgbNh
— Dan Scavino (@Scavino47) April 26, 2025
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Pensiero
Buon San Marco: il leone per i nostri lettori, l’asino della favola di Angleton per tutti gli altri

Oggi, 25 aprile, auguriamo Buon San Marco a tutti i lettori. Come ogni anno.
I non veneti potrebbero non saperlo: la cosiddetta «Festa della liberazione» ha di fatto occupato l’antica festa dell’Evangelista del Leone. A dire il vero, anche molti veneti dell’entroterra oggi lo ignorano.
Meteo permettendo, auguriamo a chi ci legge di passare una splendida giornata con chi amano (la festa di San Marco, a Venezia, ha una tradizione romantica fatta di bócołi di rosa scambiata tra innamorati, una storia che tra origine dalla tragica leggenda di Tancredi che per sposare Maria partì a combattere i mori in Ispagna con Orlando: una tragedia che Romeo e Giulietta, levàteve) e con i famigliari e gli amici tutti. Vai di grigliate, vai di passeggiate, scampagnate, zainetto e picnicco – e pomiciate sotto l’albero per tanta giovenù dal cuor leggero.
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Sappiamo tuttavia che tanti nel nostro Paese ignorano la bellezza della Festa del Leone di San Marco perché ancora sotto l’incantesimo comu-repubblicano: festeggiano la «liberazione» dal male di tutti i mali, quel totalitarismo che spingeva il Paese ad una guerra per cui non era pronto, impediva la libertà di parola, obbligava alla vaccinazione causando morti, etc. (Se non vi fischiano le orecchie, non le avete, ma nemmeno gli occhi, la bocca, il naso).
L’inno alla partigianeria prosegue nonostante i partigiani siano oramai quasi tutti morti: come un tulku tibetano, un residuo spirituale vagante, o come un’accisa sulla benzina per il terremoto dell’Irpinia.
Ebbene, ci toccherà anche quest’anno il frusto rito del 25 aprile con la sua marcetta milanese dal luogo del sacrifizio regicida, che epperò nelle ultime edizioni è stato di grande intrattenimento: vedere sfilare falce e martello a fianco della Rosa dei Venti NATO, i sedicenti discendenti partigiani tra le bandiere ucronaziste (qualcuno non c’è stato – risuona ancora l’urlo del comunista rimasto tale: «Azovdimmerda!»).
A costoro vogliamo raccontare, tuttavia, di un altro leone, e dell’asino
È una favola da Fedro, I secolo d.C. Si intitola «Leo senex, Aper, Taurus et Asinus», ma per tutti è, semplicemente, la storia del «calcio dell’asino».
Defectus annis et desertus viribus
leo cum iaceret spiritum extremum trahens,
aper fulmineis spumans venit dentibus,
et vindicavit ictu veterem iniuriam.
infestis taurus mox confodit cornibus
hostile corpus. asinus, ut vidit ferum
inpune laedi, calcibus frontem extudit.
at ille exspirans «Fortis indigne tuli
mihi insultare: te. Naturae dedecus,
quod ferre certe cogor bis videor mori».
La nostra traduzione:
Avanti con gli anni e abbandonato dalle forze
il leone giaceva lì, esalando l’ultimo respiro,
Il cinghiale arrivò schiumando con denti fulminei,
e vendicò con un colpo una vecchia offesa.
Il toro feroce trafisse subito il corpo del nemico con le sue corna.
L’asino, quando vide la bestia selvaggia
ferita impunemente, tirò un calcio sulla fronte.
Il leone mortì. Ma prima disse: «Amaro fu l’assalto di quei forti.
Ma dopo il tuo, viltà della natura,
mi sembra di morire anche due volte»
La notissima favola, poi ripresa da La Fontaine, talvolta invece che il discorso del leone che muore amareggiato e umiliato, riporta il vanto dell’asino, che, essendo stato l’ultimo a colpire – un calcetto, e basta – rivendica di aver ucciso lui il re della foresta.
È una favola pure quella dei partigiani che vincono da soli il fascismo – quasi che gli angloamericani, con il loro saturation bombing che ha devastato le nostre città (case, chiese, basiliche, tutto), con le loro truppe sbarcate in massa sulle nostre coste, con le loro basi di occupazione militare che tutt’ora sono presenti nel territorio, non fossero mai esistiti.
La possiamo chiamare la favola di Angleton, da James Jesus Angleton (1917-1987), la «madre» della CIA, l’uomo che – cresciuto a Milano – organizzò la trama non solo dello sbarco alleato in Sicilia, per il quale, come noto, fece un patto con la mafia, finito – è la nostra ipotesi – con i fatti di Castelvetrano, dove nel 1944 ci era Roosevelt con tutto lo Stato maggiore USA e anni dopo Matteo Messina Denaro come tranquilissimo superlatitante.
No: Angleton gestì la guerra e il dopoguerra, creò la Repubblica (con il referendum) e la Democrazia Cristiana, con l’immissione del pensiero cattodemocratico (cioè è, anglo-sintetico) di Maritain, pensatore nutrito dalle università americane da cui Angleton proveniva all’interno di una panchina di uomini tenuti a bagnomaria dalla Chiesa, come De Gasperi, ma anche Andreotti etc.

James Jesus Angleton. Immmagine CC0 via Wikimedia
Angleton, detto anche Kingfisher («il martin pescatore», o, più in linea con i suoi interessi letterari, «il re pescatore»), è il vero «liberatore» dell’Italia e fondatore della Repubblica italiana: e nessuno, oggi, gli rende omaggio, nemmeno una parola per il suo animo sensibile di laureato in poesia, che scriveva lettera di ammirazione a Ezra Pound (mentre lo teneva in prigione…), che definiva la sua condizione di uomo a capo delle percezioni più importante del suo Paese (il controspionaggio) con un’espressione toccante e magnifica presa da T.S. Eliot: «il deserto degli specchi».
Il «deserto degli specchi», infine, lo fece impazzire: i russi, che avevano piantato talpe clamorose nei servizi occidentali, lavorarono per farlo diventare paranoide oltre ogni limite. Non una storia a lieto fine, a differenza della favola della guerra.
Più che al partigiano Johnny, noi italiani moderni dobbiamo tutto a James Jesus. Renovatio 21 lo ricorderà sempre. Anche quando l’Italia come la conosciamo potrebbe non esserci più.
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Dalla storia che stiamo raccontando, ad un certo punto, qualcuno potrebbe trarre conclusioni abissali: una repubblica fondata su un calcio dell’asino, è una repubblica asinina? Una società che gode nell’uccidere i leoni, a cosa somiglia? Uno Stato creato da asini calciatori, ha prodotto e continua a produrre asini e calciatori, fino a quale limite di sostenibilità?
Non rispondiamo: le fiabe sono per i bambini, gli adulti invece, proprio come la superspia che conosceva La terra desolata, dovrebbero leggere poesie e pensieri profondi.
Quindi: buon Angleton Day agli asini delle favole.
E le ali del Leone di San Marco per tutti i nostri lettori!
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Voi che uccidete Dio. E noi che lo permettiamo

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