Cina
Taiwan: «Pechino potrebbe invaderci entro il 2025»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
Ministro taiwanese della Difesa: la situazione tra le due parti è la «più seria» da 40 anni. Negli ultimi 5 giorni aerei da guerra cinesi hanno compiuto 150 incursioni vicino all’isola. Esperto USA: Le sortite della Cina sono un espediente per mascherare una vera aggressione in futuro. Taipei impreparata a un’invasione. Possibile attacco anche subito dopo le Olimpiadi di Pechino.
La Cina ha già la capacità di invadere Taiwan e sarà in grado di lanciare un attacco su «vasta scala» contro l’isola entro il 2025. Lo ha dichiarato oggi al Parlamento nazionale il ministro taiwanese della Difesa Chiu Kuo-cheng: una prospettiva drammatica per Taipei, che secondo diversi osservatori potrebbe essere anche ottimistica.
Parlando delle crescenti tensioni con Pechino, Chiuo ha detto che la situazione attuale è la più seria da quando 40 anni fa è entrato nelle Forze armate. Il ministro ha spiegato che un errore di valutazione potrebbe far scoppiare subito un conflitto lungo lo Stretto di Taiwan. Il suo riferimento è alle ripetute incursioni dell’aviazione cinese nella zona d’identificazione aerea difensiva di Taipei. Negli ultimi cinque giorni velivoli militari della Cina hanno compiuto 150 sortite, con una punta record di 56 il 4 ottobre.
Pechino considera Taiwan una «provincia ribelle», e non ha mai escluso di riconquistarla con l’uso della forza.
L’isola è di fatto indipendente dalla Cina dal 1949; all’epoca i nazionalisti di Chiang Kai-shek vi hanno trovato rifugio dopo aver perso la guerra civile sul continente contro i comunisti, facendola diventare l’erede della Repubblica di Cina fondata nel 1912.
Analisti taiwanesi sostengono che i raid aerei della Cina servono a dimostrare le capacità combinate di combattimento della sua aeronautica.
Secondo Lyle Goldstein, prossimo direttore dell’Asia Engagement for Defense Priorities, c’è molto di più.
«Una volta che a Taiwan o altrove sarà normale vedere grandi formazioni aeree cinesi nelle vicinanze, ciò aiuterà [Pechino] a mascherare un vero attacco. È un espediente classico»
«Senza alcun dubbio – dice l’esperto militare ad AsiaNews – l’Esercito popolare liberazione sta testando e mettendo sotto pressione le difese taiwanesi». Per Goldstein, vi è anche un motivo più cupo: «Una volta che a Taiwan o altrove sarà normale vedere grandi formazioni aeree cinesi nelle vicinanze, ciò aiuterà [Pechino] a mascherare un vero attacco. È un espediente classico».
Di recente il governo taiwanese ha ammesso che durante un tentativo d’invasione la Cina potrebbe mettere fuori uso i sistemi di comunicazione dell’isola in tempi rapidi.
In un articolo a sua firma pubblicato da Foreign Affairs, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen scrive che il suo governo ha lanciato una serie di iniziative per ammodernare e riorganizzare le proprie Forze armate.
Oggi Chiu ha presentato un piano quinquennale di spese militari extra-budget da 240 miliardi di dollari taiwanesi (7,4 miliardi di euro): risorse che saranno impiegato soprattutto per navi da guerra e missili. Per la prima volta egli ha ammesso anche l’esistenza dello Yun Feng, un missile di medio raggio capace di colpire obiettivi nella Cina continentale a 1.500 km di distanza.
Goldstein ha però poco fiducia nella capacità di Taiwan di controbattere un blitz armato della Cina: «Pechino ha quasi completato la propria preparazione, mentre in termini comparativi i taiwanesi hanno fatto poco per organizzarsi».
In caso di tentativo di riconquista da parte della Cina, l’obiettivo minimo per l’esercito di Taipei è quello di rallentare l’avanzata cinese per permettere il soccorso degli Stati Uniti. Ieri in un colloquio telefonico il presidente USA Joe Biden e quello cinese Xi Jinping hanno detto che i loro Paesi devono rispettare «l’accordo su Taiwan».
L’espressione usata è poco chiara, ma dalle spiegazioni della Casa Bianca essa dovrebbe riferirsi alla «politica dell’unica Cina», secondo cui Washington continuerà a mantenere legami diplomatici ufficiali con Pechino, ma senza accettare la posizione cinese che Taiwan è parte della Cina.
Con il Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti hanno promesso di difendere Taipei, in particolare con forniture militari. Adottato nel 1979 dopo il formale riconoscimento diplomatico della Cina comunista, il provvedimento non specifica l’effettiva natura dell’impegno di Washington: una «ambiguità strategica» che produce continue tensioni con il governo cinese.
Secondo Goldstein è una previsione del tutto corretta. Egli pensa che il tentativo d’invasione cinese possa arrivare anche prima, dopo le Olimpiadi invernali di Pechino del prossimo febbraio.
«Per paradosso, i passi presi per riempire i spazi vuoti nelle difese di Taiwan potrebbero spingere Pechino ad attaccare», spiega l’accademico.
«Ad esempio, nel 2023 e nel 2024 Taipei riceverà un’importante fornitura di missili anti-nave dagli Stati Uniti. I cinesi potrebbero attaccare prima che questi sistemi d’arma diventino operativi? Sì potrebbero».
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Cina
La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.
Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.
L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.
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Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.
Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.
Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.
L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico
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Cina
La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale
In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.
Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.
Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».
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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».
La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.
Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.
Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».
L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.
Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.
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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).
Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.
Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».
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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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