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Deoband, l’Islam e i talebani

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Alessandra de Poli su gentile concessione di Asianews

 

 

La ricercatrice Tasnim Butt dell’Université Libre de Bruxelles spiega ad AsiaNews come il movimento religioso nato nel villaggio di Deoband si sia radicalizzato nel tempo. La visione rigorista dei talebani si intreccia con la cultura pashtun e il tribalismo, mentre la competizione strategica tra al-Qaeda e il sedicente Stato Islamico non ha niente a che fare con l’Islam.

 

 

A Deoband, in India, dove nel XIX secolo ha avuto origine il movimento religioso a cui si rifanno i talebani, sono stanchi di essere associati agli «studenti coranici» che hanno appena riconquistato l’Afghanistan e proclamato la nascita dell’Emirato islamico.

 

«Siamo una scuola religiosa ma siamo anche indiani. Dubitare della nostra integrità ogni volta che i Talebani diffondono il terrore è vergognoso», hanno affermato alcuni.

 

«Incolpare l’Islam per le loro azioni è ancora peggio», ha detto un contadino di 60 anni che ha sempre vissuto a Deoband. «Nessuna religione al mondo insegna a uccidere o mutilare; nemmeno l’Islam lo fa. I talebani hanno fatto cose terribili a donne e uomini che vanno contro gli insegnamenti islamici».

 

«I campi profughi erano gestiti da diverse organizzazioni religiose, tra cui quelle deobandi. È qui che si sono formati i futuri leader talebani»

In questa città che al tempo della colonizzazione britannica era solo un villaggio a 150 km dalla capitale indiana, nel 1867 fu fondata la madrasa di Dār al-ʿUlūm (o Darul Uloom), che ancora oggi accoglie ogni anno migliaia di studenti dell’Asia meridionale. Da qui si è diffuso il movimento religioso dei deobandi, che come spiega la ricercatrice Tasnim Butt dell’Université libre de Bruxelles, «all’inizio sorse come movimento riformista e fondamentalista che voleva purificare l’Islam dai prestiti culturali indù».

 

Oggi i deobandi, come movimento religioso e come partito politico, sono attivi soprattutto in Pakistan, nel quale si trasferirono dopo la partizione con l’India del 1947. Il loro legame con i talebani ha origini storiche. Quando nel 1979 l’Unione sovietica invase l’Afghanistan, ai mujaheddin si unirono diversi gruppi di combattenti, tra cui i deobandi pakistani.

 

«Nei dieci anni di guerra contro l’Urss, in Pakistan migrarono tra i 4 e i 6 milioni di profughi afghani. Dopo il 1989 molti tornarono in patria ma circa 2-3 milioni sono rimasti», spiega Butt.

 

«I campi profughi erano gestiti da diverse organizzazioni religiose, tra cui quelle deobandi. È qui che si sono formati i futuri leader talebani».

 

Sebbene in Pakistan i deobandi siano solo il 20% dei musulmani sunniti, essi controllano il 60% delle scuole coraniche

L’istruzione è rimasta fondamentale per l’Islam di Deoband in tutta l’Asia meridionale. Sebbene in Pakistan i deobandi siano solo il 20% dei musulmani sunniti, essi controllano il 60% delle scuole coraniche.

 

«Con il tempo i deobandi si sono radicalizzati. Si oppongono ai barelvi, sorti in India nello stesso periodo  [il loro nome deriva dal villaggio di Bareilly]. Contestano quindi l’Islam popolare e sufi, e in particolare la venerazione dei santi, perché secondo loro si tratta del peccato di shirk, cioè di associare qualcuno a Dio», continua la ricercatrice.

 

«Ancora oggi insistono su un ritorno all’Islam delle origini, quello del VII secolo in Arabia Saudita».

 

Sono quindi salafiti?

 

«La principale differenza sta nella scuola giuridica: i deobandi seguono la madhhab di Abu Hanifa, tant’è che “deobandi” e “hanafita” sono sinonimi in questa parte di mondo». I salafiti invece non seguono nessuna scuola giuridica e vedono nel Corano e negli hadith le uniche fonti di diritto per la codificazione della legge islamica.

 

A questo punto allora è importante ricordare che il rigorismo dei talebani si intreccia con il tratto etnico:

 

«A volte dimentichiamo che la società afghana è fortemente tribale. La lettura della religione che fanno i talebani è così severa perché è legata anche alla cultura pashtun. Per i talebani le donne non hanno diritto all’eredità e non hanno bisogno di studiare. Ma questo non deriva dall’Islam, secondo cui le donne possono ereditare il 50% dei beni di famiglia, deriva dal loro essere pashtun».

 

Quindi l’ideologia talebana si regge su due pilastri: quello dell’Islam di Deoband e hanafita, e quello della loro origine etnico-tribale pashtun

Quindi l’ideologia talebana si regge su due pilastri: quello dell’Islam di Deoband e hanafita, e quello della loro origine etnico-tribale pashtun.

 

La loro vittoria in Afghanistan ora galvanizzerà gli altri movimenti radicali e jihadisti della regione, perché hanno dimostrato che in vent’anni non solo si può vincere la guerra ma anche creare un altro Stato islamico (il primo sarebbe quello sciita della Repubblica islamica dell’Iran), che anche i talebani del Pakistan vorranno replicare nel loro Paese.

 

Alcuni rami di al-Qaeda (da sempre vicina agli «studenti coranici» e in competizione con lo Stato Islamico della provincia di Khorasan, ISKP) si sono congratulati per la nascita del nuovo Emirato.

 

Ora è probabile che i talebani cercheranno di sopprimere le cellule dello Stato islamico presenti in Afghanistan. Se e come ci riusciranno è tutto da vedere, ma “«n questo caso si tratta solo di competizione strategica per il controllo del Paese», precisa Butt.

 

«L’Islam qui non c’entra niente».

 

 

 

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Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.

 

L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.

 

«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.

 

Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».

 

Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.

 

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.

 

Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.

 

Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».

 

Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.

 

Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.

 

«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.

 

Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».

 

Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».

 

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.   Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.   «Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.   Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».   Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.   Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.   Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.

 

Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.

 

«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.

 

Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».

 

Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.

 

Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».

 

Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».

 

Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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