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Prevenire è meglio che curare? Così fu abolita la medicina

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Renovatio 21 pubblica questa riflessione spirituale sulla medicina preventiva di Isacco Tacconi, docente di religione e sostenitore di Renovatio 21.

 

 

 

 

 

«Ogni tentativo di rimediare con le proprie forze o con l’aiuto d’altri al dolore, al danno o al pericolo causato da infermità sopravvenute per varie cause visibili o invisibili, note o ignote, rientra nell’ambito della medicina» (Medicina Preventiva in “Enciclopedia Italiana” – Treccani, 1993). 

 

 

 

Questa dunque l’autentica natura di quella che Galeno definisce ars medica (gr. téchne iatrike) ovvero l’arte del prendersi cura laddove il male intacchi la salute del corpo. L’ars curandi dunque interviene come un «rimedio» al male sopraggiunto a turbare la vita degli uomini. Il suo perciò è un ruolo riparativo, ancillare, non di controllo ma di soccorso.

 

Non si mangia senza fame né ci si cura senza malattie. Pertanto il medico sta a bordo campo mentre la partita si svolge pronto ad intervenire quando il gioco è interrotto da un infortunio. Non impedisce (preventivamente) che i giocatori si colpiscano coi tacchetti, non impedisce che il pugile possa rompersi il setto nasale, non impedisce la corsa in bicicletta per evitare la caduta ma interviene quando il danno intacca il corpo sano

Potremmo dire che come il cibo diventa un’esigenza del corpo affamato così la cura medica diviene un’esigenza del corpo ammalato. Non si mangia senza fame né ci si cura senza malattie. Pertanto il medico sta a bordo campo mentre la partita si svolge pronto ad intervenire quando il gioco è interrotto da un infortunio. Non impedisce (preventivamente) che i giocatori si colpiscano coi tacchetti, non impedisce che il pugile possa rompersi il setto nasale, non impedisce la corsa in bicicletta per evitare la caduta ma interviene quando il danno intacca il corpo sano per riportarlo, se possibile, al suo stato naturale, seppur precario, che è la salute.

 

Al contrario il concetto di «medicina preventiva» affermatosi nel secolo XX ridefinisce la natura, l’azione e lo scopo dell’ars medica stabilendo una nuova dottrina iatrologica. Così l’Enciclopedia Treccani spiega che il campo di azione della medicina preventiva «è orientato al controllo dei settori dai quali può originare il rischio per la salute: ambiente, stile di vita, organizzazione sociale e biologica umana (Clark e Mac Mahon 1989)». Qualcosa di prossimo all’ingegneria sociale dunque ma nessun riferimento alla cura dei malati. La persona sembra scomparire nell’orizzonte della prevenzione, quello che conta sono le strutture e le sovrastrutture sociali che dovranno essere modificate al fine di impedire quanto più possibile che il male si manifesti.

 

Interessante notare poi che il termine più volte professato dall’enciclopedia è «propaganda». Proprio così. La cosiddetta medicina preventiva e l’instaurazione di un regime preventivo hanno bisogno di un vero e proprio apparato propagandistico. Oltracciò «la medicina preventiva si rivolge al soggetto sano allo scopo di conservare e potenziare lo stato di salute, e non al soggetto malato o inabilitato o invalido».

 

In questa professione programmatica si riassume tutta la hybris dell’immanentismo ateo che pretende di poter controllare la vita umana ridisegnando i contorni della sua esistenza. Creando nuove strutture sociali, recidendo i rapporti affettivi, decretando la fine di un’era, abolendo mestieri e professioni – guarda caso le più belle e umane (ristorazione, sport, danza, cinema, teatro ecc.) – stabilendo nuove tradizioni e riti profani. Una liturgia socio-sanitaria a cui i nuovi umani riformati alla salute, al benessere e alla prevenzione devono partecipare non soltanto con l’assenso esteriore ma anche con l’adesione interiore pena l’esclusione (o la soppressione) sociale.

Il concetto di «medicina preventiva» affermatosi nel secolo XX ridefinisce la natura, l’azione e lo scopo dell’ars medica stabilendo una nuova dottrina iatrologica

 

 

«Mentre l’atteggiamento del malato o dell’inabilitato è sostanzialmente di fiducia e disponibilità, quello del soggetto sano è per lo più di assenteismo e di diffidenza, fondato com’è sul concetto umanamente diffuso di non apprezzare lo stato di salute se non quando lo si è perso. Non infrequentemente l’interesse del soggetto sano verso la salute è motivato da situazioni verificatesi nel suo ambiente sociale immediato o da paura più che da consapevolezza nei riguardi dell’atteggiamento del medico» (Treccani).

 

Questo vien detto quasi fosse un atteggiamento superficiale se non addirittura di colpevole incoscienza da parte dell’uomo sano di non curarsi troppo della propria salute. Ma questa è proprio la conditio della vita spirituale: «Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? […] E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? […] Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,25.27.32-33).

 

Ma a differenza del medico ippocratico, quello vero, «il medico preventivo deve possedere una mentalità statistica e multidisciplinare volta all’interesse oltre che del singolo individuo anche della collettività, mentre il medico terapista possiede una mentalità e un orientamento prevalentemente indirizzato al singolo individuo e basato sul noto concetto che non esiste ”la malattia” in senso astratto bensì il ”singolo malato”» (Treccani). L’importanza di questo passaggio è cruciale.

 

Qui possiamo comprendere quale ribaltamento antropologico sia stato innescato dalle forze della Rivoluzione per condurci a tappe forzate verso un regime politico-sanitario in cui la parola d’ordine, quasi come un dogma diamantino, è «prevenzione».

Lo sappiamo tutti per esperienza come da decenni l’arte medica autentica nella quale il medico è un «guaritore» dedito al servizio dei sofferenti si sia tramutato in un «mestiere» fatto di burocrazia, prescrizioni ed esami di laboratorio. Non più guaritore o curatore bensì «operatore sanitario»

 

Lo sappiamo tutti per esperienza come da decenni l’arte medica autentica nella quale il medico è un «guaritore» dedito al servizio dei sofferenti si sia tramutato in un «mestiere» fatto di burocrazia, prescrizioni ed esami di laboratorio. Non più guaritore o curatore bensì «operatore sanitario». Un regolo fra tanti sulla linea di produzione ormai incapace di avvicinarsi al corpo piagato e languente perché diventato per lui qualcosa di sconosciuto, di alieno e addirittura di potenzialmente pericoloso (come tutto ciò che non si conosce d’altra parte).

 

L’atteggiamento da disertori di molti medici di fronte allo scenario sanitario contemporaneo lo ha manifestato con angosciosa drammaticità. I medici che si rifiutano di visitare i malati per paura del contagio non differiscono in nulla dal pompiere che ha paura del fuoco o di un bagnino che ha paura di affogare e si rifiuta per questo di fare il proprio dovere morale di mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella altrui. Verrebbe da suggerir loro di cambiar mestiere ma è esattamente di questi «operatori» che ha bisogno il Regime della Prevenzione. Persone che non si occupano più del «singolo malato», carne, ossa e sangue, ma della «malattia» con “«una mentalità statistica e multidisciplinare», spersonalizzata, astratta, analitica.

 

Insomma una figura più simile a quella di un analista bancario che a quella di Ippocrate. 

 

Una figura più simile a quella di un analista bancario che a quella di Ippocrate

Non più una vocazione alta, sacrale, oserei dire «religiosa» svolta con quella fondamentale compassione che «con-sente» col paziente (dal latino patiens = colui che patisce) ma il necessario esecutore sul territorio delle analisi e dei risultati prodotti e trasmessigli da un sistema di controllo, appunto, preventivo. Ciò che conta non è la «persona» ma la «malattia», vera o presunta poco importa purché tutti rispettino i protocolli sanitari divenuti il «nuovo decalogo» seguendo il quale potremo sperare di entrare nel «regno dei cieli». «Se vuoi avere la vita osserva i comandamenti» ripetono i nuovi profeti della medicina rivelata.

 

Ma l’Enciclopedia prosegue: «da rilevare che l’attuale programmazione universitaria degli studi medici privilegia in modo evidente lo studio della malattia e non della salute, della terapia, quindi, e non della prevenzione». Ma proprio questo è lo scopo della medicina: conoscere il male, le sue cause e i suoi effetti per poterlo estirpare liberando così l’infermo. Mentre l’inversione di questa tendenza acceleratasi nell’ultimo periodo sta portando all’imbarbarimento della scienza medica e all’oblio eziologico e terapeutico delle malattie più comuni. 

 

Non entrerò qui nella disamina dei concetti di prevenzione primaria e secondaria basti ricordare che «la prevenzione primaria opera sull’uomo sano o sull’ambiente, attraverso due tipi d’intervento: il potenziamento dei fattori utili alla salute e l’allontanamento o la correzione di tutte le possibili cause patogene (biologiche, chimiche, fisiche e sociali) che tendono a ridurre lo stato di benessere, cioè di tutti i fattori causali o di rischio delle malattie»

 

Ciò che conta non è la «persona» ma la «malattia», vera o presunta poco importa purché tutti rispettino i protocolli sanitari divenuti il «nuovo decalogo»

Infatti non dobbiamo dimenticarci che c’è una vera e propria «trimurti» nell’epifania transumanista sanitaria che è Salute-Prevenzione-Benessere. Un accostamento efficace per la riedificazione di un rinnovato pantheon prometeico in cui dio non è altro che l’«uomo sano», o meglio, l’«uomo immune».

 

Interessante notare infatti che la sorella di Vishnu (Il Preservatore) è Kali o Shakti (La distruttrice, La nera). L’uno archetipo idolatrico della prevenzione l’altra del benessere. Kali infatti è colei che consente la fruizione, seppur fugace, della realtà in senso orgiastico ed edonistico permettendo di squarciare temporaneamente il velo di Maya per accedere, mediante l’eros, al Brahman. «Il suo aspetto è terribile perché implica un cambiamento radicale, che tutto dissolve, concepito alla stregua di una distruzione del creato e del tempo e la potenza per cui si attua è simboleggiata dall’immagine spaventevole di Kali danzante» (Alberto Brandi, La Via Oscura, Ed. Atanor, pag. 100).

 

Una danza macabra, dunque, fatta di piacere e morte. Dissoluzione e benessere.

 

La via del potere infatti deve necessariamente passare attraverso un’alchemica mistura di piacere-dolore, luce-tenebre, eros-thanatos preparata anzitutto dall’oblio di sé, della propria origine e del proprio destino al fine di “perdersi” nelle spire di Shiva-Kali. Per prevenire, dunque, bisogna anzitutto distruggere.

C’è una vera e propria «trimurti» nell’epifania transumanista sanitaria che è Salute-Prevenzione-Benessere. Un accostamento efficace per la riedificazione di un rinnovato pantheon prometeico in cui dio non è altro che l’«uomo sano», o meglio, l’«uomo immune»

 

Non per nulla, come afferma sempre l’Enciclopedia Treccani, la cosiddetta medicina preventiva abolisce il ruolo ancillare e sussidiario della medicina per tramutarla in organismo di controllo e supervisione del vivere umano costantemente da monitorare e manipolare pretendendo di conservarlo in uno stato costante e immutabile. 

 

Mentre la medicina tradizionale, o terapeutica, vale a dire quella che mette al centro dei suoi interessi il malato muove da una considerazione sostanzialmente positiva dell’uomo e del suo stare al mondo considerando lo stato normale, abituale e comune dell’uomo quello della sanità, la medicina preventiva chiudendo gli occhi sul singolo malato finisce per non vedere più nemmeno l’uomo sano.

 

Chi è il sano? Esiste il soggetto sano? La risposta ovviamente non può che essere negativa. Il principio cardine del positivismo preventista è quello secondo cui «il sano non è altro che un malato che non sa di esserlo» o più comunemente un «potenziale malato». Da qui la spettrale minaccia del «positivo asintomatico», nuovo boogie man da agitare davanti ai bambini disobbedienti.

 

La cosiddetta medicina preventiva abolisce il ruolo ancillare e sussidiario della medicina per tramutarla in organismo di controllo e supervisione del vivere umano costantemente da monitorare e manipolare pretendendo di conservarlo in uno stato costante e immutabile

Quella preventista è in fondo una antropologia negativa che muove cioè da una sfiducia e da un disprezzo della vita umana in quanto umana, cioè creaturale, limitata. La pretesa e l’intento inconfessati è di riformare e «salvare» la sua natura ferita in maniera migliore di come possa e abbia fatto il Redentore.

 

In questo senso per recuperare l’altissima vocazione del «prendersi cura» dobbiamo urgentemente volgere lo sguardo verso colui che è al contempo Medico delle anime e dei corpi: colui che prende su di sé i mali degli altri, facendosi prossimo ai malati, ai sofferenti, ai piagati e agli abbandonati.

 

D’altra parte non è un caso che gli ospedali siano fioriti in seno alla christianitas mentre l’epoca cosiddetta moderna abbia inventato i manicomi. Gli uni per curare e assistere, gli altri per isolare e rinchiudere nell’oblio.

 

Gli uni sono l’espressione del principio cristiano secondo cui «si vince il male con il bene» gli altri sono l’espressione della resa disperata dinanzi al male, la sottomissione complice poiché al male – come dichiara il Saruman de Il Signore degli Anelli – non ci si può opporre realmente: bisogna unirsi a lui edificandogli dei templi.

 

Il principio cardine del positivismo preventista è quello secondo cui «il sano non è altro che un malato che non sa di esserlo» o più comunemente un «potenziale malato». Da qui la spettrale minaccia del «positivo asintomatico», nuovo boogie man da agitare davanti ai bambini disobbedienti

Analogamente in teologia c’è un concetto denominato «amartiocentrismo» tipico di quelle correnti di pensiero spesso risalenti al protestantesimo che pongono al centro della loro riflessione gli effetti devastanti del peccato (in greco amartìa) vale a dire l’aspetto distruttivo e negativo del male perdendo di vista l’essere umano ferito dal peccato e per questo bisognoso di misericordia e di cure come illustrato nella parabola del Buon Samaritano.

 

In entrambi i casi il male, spirituale o corporale, acquista una consistenza personificata in un dualismo manicheo. Pertanto all’amartiocentrismo che parte da una sfiducia nel bene che risiede nell’uomo per attribuire al male e al peccato un potere pervasivo, onnipresente e invincibile il positivismo medico preventista ha affiancato un altro sistema di antropologia negativa, il «nosocentrismo» (gr. nosos = malattia).

 

Al suo centro non vi è più l’uomo ferito nel corpo, umiliato e sofferente ma in sé buono  e perciò stesso degno di misericordia e compassione ma un male presentato come proveniente da nessun luogo, quasi fosse angelico, invincibile, ineluttabile. Una sola salvezza ci giungerà dalle altezze come un «sole che sorge dall’alto»: un’iniezione alchemica di veleno. Ed ecco che si chiude il cerchio della prevenzione con attesa e speranza degne dell’Avvento del Salvatore: il vaccino. Un battesimo rovesciato nella carne.

 

Paradossalmente quello della prevenzione è un concetto profondamente antivitale che antepone un progetto di controllo esistenziale con il preteso fine di garantire una protezione stabile e duratura, se non perpetua, da ogni male. Tuttavia il perseguimento di tale scopo, al contempo utopico e totalitario, necessita un sacrificio: il vivere inteso come condizione di rischio, di impegno e di espressione della cosa più cara che possediamo, il libero arbitrio.

La medicina preventista è in fondo una antropologia negativa che muove cioè da una sfiducia e da un disprezzo della vita umana in quanto umana, cioè creaturale, limitata. La pretesa e l’intento inconfessati è di riformare e «salvare» la sua natura ferita in maniera migliore di come possa e abbia fatto il Redentore

 

C’è al fondo un principio veramente comunistico e giacobino nell’idea di tutela della salute pubblica intesa come sovrastruttura sociale, in senso marxista, coercitiva e snaturante.

 

Una presunta collettività, in realtà disarticolata e informe che adeguatamente riplasmata e addestrata diviene capace di imbrigliare le forze della natura e a sconfiggere malattie e morte.

 

Tutto questo non può non richiamarci alla mente il concetto esoterico di eggregora ossia una forma-pensiero collettiva che si proietta in un essere sovrumano capace di guidarci alla salvezza. Vale a dire l’evocazione di un demonio che scaturisce dall’unione psichica di una comunità che proietta tutta sé stessa in quella forma-pensiero auto-redentiva. 

 

Ma l’ideologia preventiva è antivitale altresì perché contiene in sé un principio di tipo buddistico di rifiuto del dolore in quanto tale e, di conseguenza, della vita che dal dolore mai e poi mai sarà affrancata.

Non è un caso che gli ospedali siano fioriti in seno alla christianitas mentre l’epoca cosiddetta moderna abbia inventato i manicomi. Gli uni per curare e assistere, gli altri per isolare e rinchiudere nell’oblio

 

Ciò è dimostrato dal corollario antivitale che ha comportato l’aver sposato una mentalità preventista. L’attuale pandemonio lo ha svelato in maniera evidente. Pur di inseguire lo spettro della sicurezza e del diritto alla salute, del quale ancora mi resta ignoto colui che avrebbe il potere nonché il dovere giuridico, morale e taumaturgico di garantirlo, si è rinunciato agli affetti, al lavoro, allo svago, alla libertà, in una parola, alla vita.

 

Paradosso dei paradossi per avere in pegno una promessa di salute si rinuncia al vivere umano e, in nome di quella, si accetta di morire lentamente di inedia psico-affettiva.

 

Ma c’è dell’altro. Il concetto di medicina preventiva è una contraddizione nell’attributo (contradictio in adiecto) giacché come dicevo nell’introduzione la medicina autentica interviene soltanto quando sopraggiunge un male e non in sua assenza. Nell’esperienza quotidiana si chiama il medico o ci si reca dal medico quando si è malati poiché «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9,12).

 

Una sola salvezza ci giungerà dalle altezze come un «sole che sorge dall’alto»: un’iniezione alchemica di veleno. Ed ecco che si chiude il cerchio della prevenzione con attesa e speranza degne dell’Avvento del Salvatore: il vaccino. Un battesimo rovesciato nella carne

Dal punto di vista di un insegnante applicare il concetto di «prevenzione» nell’accezione ideologica del termine significherebbe voler correggere un errore prima ancora che venga commesso il che non avrebbe senso.

 

Peggio, vorrebbe dire trasmettere agli alunni più la nozione sbagliata che non quella giusta poiché si porrebbe l’accento più sul male da evitare che sul bene da compiere. E questo equivale a concepire il male in senso manicheo ossia come una forza giustapposta al bene mentre invece ciò che noi chiamiamo male in realtà non è altro che un’assenza o una privazione del bene (malum est privatio boni debiti).

 

Certo il bene si può e si deve rafforzare e questo consente di «prevenire» in una certa misura il male. Eppure tutto questo in realtà ha a che fare con la fallibilità e la passibilità umane. Nessun insegnante per quanto bravo egli sia potrà mai impedire o prevenire tutti gli errori dei suoi studenti, tenendo conto che egli anzitutto deve correggere i propri di errori e perciò egli stesso se vuole perfezionarsi è sottoposto ad un continuo discepolato e ad una costante emendazione. Per questo è scritto «uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,10).

 

Allo stesso modo un medico per quanto bravo nella sua arte mai potrà impedire o prevenire l’insorgere di malattie. Stando così le cose né si avrebbe più bisogno di insegnanti che riempiano il vuoto dell’ignoranza (privatio) con la sapienza (bonum) né di medici che risanino un corpo malato (privatio) restituendogli la salute (bonum). In effetti credo che nella fase storica presente non sia un caso che si stia procedendo speditamente verso l’abolizione di ogni autentica forma di insegnamento e parimenti verso l’abolizione di ogni forma di autentica cura.

 

Paradosso dei paradossi per avere in pegno una promessa di salute si rinuncia al vivere umano e, in nome di quella, si accetta di morire lentamente di inedia psico-affettiva

La farmacocrazia sta progressivamente sostituendo la medicina rendendo superflua l’arte e la vocazione del medico in quanto guaritore. D’ora innanzi la «scienza» avocherà a sé ogni facoltà di dispensare salute e sicurezza. Non più la medicina amara, contingente e passeggera ma necessaria per curare il male che incontriamo lungo il nostro cammino terreno ma l’elisir di lunga vita che rasserena le coscienze e restituisce libertà.

 

Non per nulla uno degli elementi più disumanizzanti dell’ideologia preventivista è la negazione del diritto ad ammalarsi. La malattia che diviene una colpa non solo personale bensì sociale.

 

L’uomo contemporaneo «non può» e «non deve» ammalarsi poiché la sua passibilità rivelerebbe agli occhi del mondo la sua creaturalità, il suo limite, il suo sostanziale niente. Non solo, renderebbe patente il suo bisogno di un medico che curi le ferite dei corpi e ancor più delle anime.

 

Infatti nella prospettiva cristiana è proprio questa peccabilità e passibilità umana la sola ed unica condizione mediante la quale può manifestarsi la misericordia di Dio. Scrive sant’Ambrogio: «Dio ha creato l’uomo per avere un essere cui rimettere i peccati, e a questo punto si è riposato».

 

La farmacocrazia sta progressivamente sostituendo la medicina rendendo superflua l’arte e la vocazione del medico in quanto guaritore. D’ora innanzi la «scienza» avocherà a sé ogni facoltà di dispensare salute e sicurezza. Non più la medicina amara, contingente e passeggera ma necessaria per curare il male che incontriamo lungo il nostro cammino terreno ma l’elisir di lunga vita che rasserena le coscienze e restituisce libertà.

La malattia – in questo caso il peccato – diviene cioè la condizione per meritare un grande e meraviglioso Medico ricevendo da lui la cura più inaspettata e benefica: la morte del medico che diviene vita del paziente. Questo Medico «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti»(Is 53,4-5).

 

D’altra parte noi sappiamo che l’unica creatura che ha potuto meritare di essere «prevenuta» e «preservata» in tutto e per tutto nel male è l’Immacolata Vergine e Madre di Dio.

 

Lei la sola che non è stata sfiorata dall’ombra del peccato, la sola ad essere «immune» al veleno del Serpente infernale; l’unica che per un disegno ineffabile della misericordia di Dio ha goduto di una «prevenzione» assoluta e totale da ogni patologia dell’anima. Un privilegio irripetibile ancorché inutile per il resto dei figli di Adamo poiché la salvezza come guarigione presuppone al contempo un malato da guarire (l’uomo) e un Medico (il Figlio di Dio) in grado di guarire.

 

Ma il preventismo gnostico ed esoterico vorrebbe spazzare via la necessità del Redentore negando la malattia alla sua radice e dichiarando di poter estendere a tutto il mondo il privilegio della prevenzione assoluta dell’Immacolata Concezione sostituendola con la sacrilega parodia dell’«immacolata vaccinazione» e sostituendo la Verginità perpetua con l’«immunità perpetua».

 

Non per nulla uno degli elementi più disumanizzanti dell’ideologia preventivista è la negazione del diritto ad ammalarsi. La malattia che diviene una colpa non solo personale bensì sociale.

In realtà, ogni pensiero eretico esprime in fondo un odio viscerale contro la Madre di Dio, perciò vediamo oggi la Scimmia di Dio rovesciare i dogmi della Redenzione per crearne di nuovi di segno opposto. D’ora innanzi più nessuno sarà toccato dal male e tutti potranno godere di salute e benessere senza fine. Ecco che la prevenzione diventa àncora di salvezza, porto di speranza, inizio e rinascita. Non dovremo più invocare Colei che è la Salus infirmorum poiché avremo eliminato e l’infermità e gli infermi. In tal senso prevenzione ed eutanasia manifestano la loro segreta gemellarità.

 

Parallelamente si sta procedendo verso una colpevolizzazione ed emarginazione sociale del malato. Chi si ammala è segno che non ha rispettato le norme talmudiche della purificazione rituale. C’è qualcosa di oscuramente legato al concetto del karma nell’approcciarsi alla sofferenza nel mondo contemporaneo. I toccati dal male diventano i nuovi intoccabili, i paria emarginati e ghettizzati. Il male che ti colpisce è il segno della tua ribellione, della tua «mancanza di rispetto».

 

Così alcuni personaggi dello spettacolo o sedicenti esperti che grottescamente minacciano di privare di ogni cura coloro che avversano l’idea di un vaccino obbligatorio. Quasi a dire: «se non credi non meriti la salvezza». Da questo conosciamo che siamo entrati in una nuova fase di quella «religione dell’uomo» di cui parlò con «immensa simpatia» papa Paolo VI

Così alcuni personaggi dello spettacolo o sedicenti esperti che grottescamente minacciano di privare di ogni cura coloro che avversano l’idea di un vaccino obbligatorio. Quasi a dire: «se non credi non meriti la salvezza». Da questo conosciamo che siamo entrati in una nuova fase di quella «religione dell’uomo» di cui parlò con «immensa simpatia» papa Paolo VI. 

 

Noi, invece, aspettiamo il Salvatore, il Medico delle anime e dei corpi che nella sua infinita bontà e sapienza non ha voluto eliminare il male e la sofferenza dal mondo né ci ha voluto rendere immuni dalla tentazione e dal peccato ma essendo «capace di compatire le nostre infermità» (cfr. Eb 4,15) ci ha offerto la medicina per sopportare il male e il rimedio per esserne guariti.

 

«Anch’io ero piagato dalle passioni – scrive sant’Ambrogio – ho trovato un medico, che abita in cielo ed effonde la sua medicina sulla terra: egli solo può risanare le mie ferite, perché non ne ha di proprie. Egli solo può cancellare il dolore del cuore, il pallore dell’anima, poiché conosce i mali nascosti» (Expositio evangelii secundum Lucam, V, 27).

 

 

Isacco Tacconi

 

 

 

 

 

 

Immagine di takomaibibelot via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0). Sono state applicate modifiche di filtro e di taglio dell’immagine. 

 

 

 

 

 

 

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Verso il liberalismo omotransumanista. Tucker Carlson intervista Dugin

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Il giornalista americano Tucker Carlson ha pubblicato una potente intervista con il filosofo russo Aleksandr Dugin. La conversazione è stata pubblicata lunedì sul sito Tucker Carlson Network e sul suo canale YouTube.

 

L’incontro è avvenuto durante in viaggio di Carlson a Mosca – città nella quale Dugin gli dà il benvenuto – per la notoria intervista che il californiano ha ottenuto con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

 

Come riportato da Renovatio 21, Dugin in un editoriale aveva sottolineato l’intervista di Carlson a Putin come un evento epocale in grado di riunire due anime della società russa, sia quella tradizionalista che quella filo-occidentale. Durante il suo soggiorno a Mosca – dove secondo alcuni sarebbe pure scampato ad un attentato, cosa di cui non vuole parlare – Tucker ha voluto incontrare Dugin, perché, racconta, curioso delle sue idee.

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Nella sua introduzione, il giornalista statunitense – dopo aver detto di credere ai servizi segreti americani quando dicono che la figlia di Dugin, Darja Dugina, è stata uccisa dagli ucraini – racconta di essere interessato a sentire qualcuno i cui libri sono stati proibiti dall’amministrazione Biden: quando lavorava ancora a Fox, Carlson fece un servizio sull’improvvisa sparizione dei libri di Dugin da Amazon, fenomeno notato da Renovatio 21 due mesi prima.

 

Parlando con il filosofo, ha quindi deciso di filmare i discorsi. Secondo Alex Jones, Carlson avrebbe filmato molto materiale, di cui è uscito questo segmento editato.

 

La conversazione pubblicata, della durata di 20 minuti, è stata particolarmente ricca di spunti di pensiero.

 

 

Carlson chiede a Dugin cosa sta succedendo nei paesi di lingua inglese: «gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Australia hanno deciso all’improvviso di rivoltarsi contro se stessi con questo grande tumulto. E alcuni comportamenti sembrano molto autodistruttivi. Da dove pensa, come osservatore, che provenga questo?»

 

«Credo che tutto sia iniziato con l’individualismo» risponde Dugin. «L’individualismo era una comprensione sbagliata della natura umana, della natura dell’uomo. Quando si identifica l’individualismo con l’uomo, con la natura umana, si tagliano tutti i suoi rapporti con tutto il resto. Quindi si ha un’idea molto particolare del soggetto, del soggetto filosofico come individuo».

 

Qui Dugin offre una visione in linea con quella del tradizionalismo cattolico: «tutto è iniziato nel mondo anglosassone con la riforma protestante e prima ancora con il nominalismo: l’atteggiamento nominalista secondo cui non esistono idee, ma solo cose, solo cose individuali» spiega il filosofo.

 

«Quindi l’individuo, era la chiave ed è tuttora il concetto chiave che è stato posto al centro di un’ideologia liberale e del liberalismo poiché, nella mia lettura, è una sorta di processo storico e culturale, politico e filosofico di liberazione, dell’individuo, di qualsiasi tipo di identità collettiva, collettiva o che trascenda quella individuale».

 

«Tutto è iniziato con il rifiuto della Chiesa cattolica come identità collettiva, dell’impero, dell’impero occidentale come identità collettiva. Successivamente si è trattato di una rivolta contro uno Stato nazionalista come identità collettiva a favore di una società puramente civile. Dopo quella guerra, nel XX secolo ci fu la grande battaglia tra liberalismo, comunismo e fascismo. E il liberalismo ha vinto ancora una volta. E dopo la caduta dell’Unione Sovietica è rimasto solo il liberalismo».

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«Francis Fukuyama ha giustamente sottolineato che non esistono più ideologie all’infuori del liberalismo… il liberalismo, cioè la liberazione degli individui da ogni tipo di identità collettiva» spiega Dugin, citando il politologo noto negli anni Novanta per la nozione di «fine della Storia» a seguito del crollo del blocco sovietico.

 

«Erano rimaste solo due identità collettive da cui liberarsi: l’identità di genere perché è identità collettiva. Sei un uomo o una donna collettivamente (…) Quindi una liberazione dal genere. E questo ha portato ai transgender, alla comunità LGBT e a una nuova forma di individualismo sessuale. Quindi il sesso è qualcosa di facoltativo».

 

«Questa non era solo una deviazione del liberalismo. Erano elementi necessari per l’attuazione e il vincitore di questa ideologia liberale. E l’ultimo passo non ancora compiuto è la liberazione dall’identità umana. L’umanità è facoltativa. E ora stiamo scegliendo te in Occidente. Stai scegliendo il sesso che vuoi, come vuoi».

 

«L’ultimo passo in questo processo di liberalismo, nell’attuazione del liberalismo, significherà proprio l’umano come opzionale. Quindi puoi scegliere la tua identità individuale per essere umano, e per essere non umano. Questo ha un nome. Transumanesimo. Postumanesimo. Singolarità. Intelligenza artificiale».

 

«Klaus Schwab, Harari, dichiarano apertamente che il futuro dell’umanità è inevitabile. Arriviamo così alla storica stazione terminale: cinque secoli fa, siamo saliti su questo treno ed ora stiamo finalmente arrivando all’ultima stazione. Quindi questa è la mia lettura».

 

«Tutti gli elementi, tutte le fasi di questo, tagliano la tradizione con il passato. Quindi non sei più protestante. Sei un materialista ateo laico. Non hai più lo Stato nazionale che servì ai liberali per liberarsi dall’impero. Ora lo Stato nazionale diventa a sua volta un ostacolo. Ti stai liberando dallo Stato nazionale. Infine, la famiglia viene distrutta a favore di questo individualismo».

 

«E poi l’ultima cosa, il sesso, che è già quasi superato. Sesso facoltativo. E nella politica di genere c’è solo un passo per arrivare agli estremi di questo processo di liberazione, di liberalismo, cioè l’abbandono dell’identità umana come qualcosa di prescritto. Quindi essere liberi dall’essere umani, avere la possibilità di scegliere tra essere e non essere umani».

 

«Questa è l’agenda politica, l’agenda ideologica di domani. Ecco perché, come vedo il mondo anglosassone che mi ha chiesto» dice Dugin a Carlson. «Penso che sia solo avanguardia, perché è iniziato con gli anglosassoni, l’empirismo, il nominalismo, il protestantesimo. E ora siete in vantaggio con gli anglosassoni che sono più prosciugati dal liberalismo rispetto agli altri europei».

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Carlson procede con una domanda di approfondimento: «quindi le opzioni – per come le concepivo crescendo – erano l’individuo che può seguire la propria coscienza, dire quello che pensa, difendersi dallo Stato contro lo statalismo, il totalitarismo incarnato nel governo contro cui si lottava: il governo sovietico. E penso che la maggior parte degli americani la pensi in questo modo. Qual è la differenza?»

 

«Penso che il problema risieda in due definizioni di liberalismo» puntualizza Dugin. «C’è il vecchio liberalismo, il liberalismo classico. E nuovo liberalismo. Quindi il liberalismo classico era a favore della democrazia. Democrazia intesa come potere della maggioranza, del consenso, della libertà individuale. Ciò dovrebbe essere combinato in qualche modo con la libertà dell’altro».

 

«Ora siamo già completamente nella prossima stazione, nella fase successiva: il nuovo liberalismo. Ora non si tratta del governo della maggioranza, ma del governo delle minoranze. Non si tratta di libertà individuale, ma di wokismo. Quindi puoi essere così individualista da criticare non solo lo Stato, ma anche l’individuo, la vecchia concezione dell’individuo. Quindi ora hai bisogno di essere invitato a liberarti dall’individualità per andare oltre in quella direzione».

 

Dugin ricorda di averne parlato con Fukuyama in TV, «Come ha già detto in precedenza, la democrazia significa il governo della maggioranza. E ora si tratta del dominio delle minoranze contro la maggioranza, perché la maggioranza potrebbe scegliere Hitler o Putin. Quindi dobbiamo stare molto attenti con la maggioranza, e la maggioranza dovrebbe essere tenuta sotto controllo e le minoranze dovrebbero governare sulla maggioranza. Non è democrazia, è già totalitarismo».

 

«Ora non si tratta della difesa della libertà individuale, ma della prescrizione di essere woke, di essere moderni, di essere progressisti. Non è un tuo diritto essere o non essere progressista. È tuo dovere essere progressisti e seguire questo programma. Quindi sei libero di essere un liberale di sinistra. Non sei più abbastanza libero per essere un liberale di destra. Devi essere un liberale di sinistra. E questo è una sorta di dovere. È una prescrizione. Il liberalismo ha lottato nel corso della sua storia contro ogni tipo di prescrizione. E ora è diventato a sua volta totalitario, prescrittivo e non più libero com’era».

 

«E le crede che questo processo sia stato inevitabile? Sarebbe comunque successo?» domanda il Tucker.

 

«Percepisco qui una sorta di logica. Quindi un tipo di logica che non è solo un ritorno o una deviazione. Inizi con uno scopo: vuoi liberare l’individuo. Quando arrivi al punto in cui è possibile, viene realizzato. Quindi è necessario andare oltre. Da questo momento inizia la liberazione dalla vecchia comprensione dell’individuo in favore di concetti più progressisti. Non ci si poteva fermare qui. Questa è la mia visione».

 

«Quindi se dici “Oh, preferisco il vecchio liberalismo”, direbbero, i progressisti, direbbero, non si tratta del vecchio liberalismo, ma di fascismo: divieni il difensore del tradizionalismo, del conservatorismo, del fascismo. Quindi fermati qui. O divieni progressista liberale o sei finito, o ti cancelleremo. Questo è ciò che osserviamo».

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«E vedere i sedicenti liberali bandire il suo libro, che non è un manuale per fabbricare bombe o invadere l’Ucraina» dice Carlson. «Sai, queste sono opere filosofiche. Ti dice che non è, ovviamente, non è liberale in alcun senso. Mi chiedo però, quando si arriva al punto in cui l’individuo non riesce più a liberarsi da nulla, quando non è nemmeno più umano. Qual è il prossimo passo?»

 

«Ciò è descritto nei film, nei film americani, nei film, in molti modi. Quindi penso che, sai, tutta la fantascienza, quasi tutta quella del XIX secolo, è stata realizzata nella realtà negli anni Venti. Quindi non c’è niente di più realistico della fantascienza. E se consideriamo Matrix o Terminator, abbiamo tantissime versioni del futuro più o meno coincidenti, il futuro con la situazione post-umana o umana opzionale o con l’Intelligenza Artificiale», replica Dugin.

 

«Hollywood ha realizzato molti, molti, molti film. Penso che rappresentino correttamente la realtà del prossimo futuro. Ad esempio, se consideriamo l’uomo, la natura umana, come una specie di animale razionale, allora con la nostra tecnologia si può produrli, così da poter creare animali razionali o combinarli o costruirli con l’Intelligenza Artificiale».

 

«È una specie di re del mondo. Direi che non solo può manipolare, ma creare realtà perché le realtà sono solo immagini, solo sensazioni, solo sentimenti. Quindi penso che il futurismo post-umanista sia non solo una sorta di descrizione realistica di un futuro molto possibile e probabile, ma anche una sorta di manifesto politico. Questo è un pio desiderio».

 

«Il fatto che i film non descrivono un brillante futuro tradizionale. Non conosco nessun film sul futuro e sull’Occidente che dipinga un ritorno alla vita tradizionale, alla prosperità, alle famiglie con molti figli… e tutto è abbastanza nell’ombra, abbastanza oscuro. Quindi, se sei abituato a dipingere tutto di nero soprattutto nel futuro, quindi questo futuro nero una volta arriva e penso che sia il fatto che non abbiamo altra scelta. O Matrix o Intelligenza Artificiale o qualcosa del genere o Terminator. Quindi la scelta è già fuori dai limiti dell’umanità. E questa non è solo fantasia, credo. Questo è una sorta di progetto politico. Ed è facile immaginarlo, poiché abbiamo visto i film, seguono più o meno da vicino questa agenda progressista, direi».

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Carlson procede con un’ultima domanda, chiedendo del fenomeno per cui «per oltre 70 anni un gruppo di persone in Occidente e negli Stati Uniti, liberali, hanno difeso efficacemente il sistema sovietico e lo stalinismo, e molti vi hanno partecipato personalmente spiando per Stalin, lo ha sostenuto nei nostri media» dice il giornalista. «Amavano Boris Eltsin perché era ubriaco. Ma nel 2000, la leadership di questo Paese è cambiata e la Russia è diventata il loro principale nemico. Quindi, dopo 80 anni e passa di difesa della Russia, si sono messi ad odiare la Russia. Che cosa è tutto questo? Perché il cambiamento?»

 

«Penso che, prima di tutto, Putin sia un leader tradizionale. Quando Putin salì al potere, fin dall’inizio, ha cominciato a sottrarre il nostro Paese, la Russia, all’influenza globale. Così ha iniziato a contraddire l’agenda progressista globale. E queste persone che sostenevano l’Unione Sovietica erano progressisti, che hanno avuto la sensazione di avere a che fare con qualcuno che non condivide l’agenda progressista e che ha tentato con successo di restaurare i valori tradizionali, la sovranità dello Stato, il cristianesimo, la famiglia tradizionale».

 

«Questo non era evidente fin dall’inizio, da fuori. Ma quando Putin ha insistito sempre di più su questa agenda tradizionale, direi, sulla particolarità e spiritualità della civiltà russa come un tipo speciale di regione del mondo che aveva e ha ora, pochissime somiglianze con i progressisti, gli ideali progressisti. Quindi penso che abbiano scoperto, abbiano identificato cosa esattamente è Putin. È una sorta di leader, un leader politico che difende i valori tradizionali».

 

Solo di recente, un anno fa, Putin ha emanato un decreto di difesa politica dei valori tradizionali. É stato un punto di svolta, direi. Ma gli osservatori del campo progressista in Occidente, penso che lo abbiano capito correttamente fin dall’inizio del suo governo. Quindi, questo odio non è solo casuale, qualcosa di casuale o uno stato d’animo. Non lo è… È metafisico».

 

«Quindi, se il tuo compito principale e il tuo obiettivo principale è distruggere i valori tradizionali, la famiglia tradizionale, gli stati tradizionali, le relazioni tradizionali, le credenze tradizionali e qualcuno con l’arma nucleare – questo non è l’argomento più piccolo, ma nemmeno il meno importante – può resistere e difendere i valori tradizionali che stai per abolire… Ecco, penso che ci sia qualche fondamento per questa russofobia e per l’odio per Putin. Quindi non è solo un caso. Non si tratta di un cambiamento irrazionale dal filosovietismo alla russofobia. È qualcosa di più profondo direi. Questa è la mia ipotesi».

 

Tanto, tanto materiale su cui riflettere.

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Immagine screenshot da Tucker Carlson Network

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Vi augurano buona festa del lavoro, ma ve lo vogliono togliere. Ed eliminare voi e la vostra discendenza

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Buona festa dei lavoratori! Ve lo ripetono da tutte le parti, del resto è una festa importantissima per la Repubblica: il Venerdì Santo, il giorno in cui Dio muore per l’umanità secondo quella che in teoria è la religione maggioritaria del Paese, si lavora. Il giorno dei morti, pure. Il Primo maggio, invece, no: vacanza.   Questo basterebbe a far comprendere qual è la vera religione che lo Stato italico vuole imporre alla sua popolazione – del resto, il suo libro sacro, la Costituzione, scrive al suo primo articolo che la Repubblica stessa è fondata sul lavoro – espressione incomprensibile, se non comprendendo la smania sovietica che avevano i comunisti e la sciocca acquiescenza dei democristiani che glielo hanno lasciato scrivere, accettando pure di lasciare fuori dalla Carta la parola «Dio».   Il dio della Costituzione, il dio della Repubblica è il lavoro?

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La divinizzazione politica di un concetto astratto, di un’attività umana, non solo l’indice della volontà di laicizzazione dello Stato. Poggia, essenzialmente, nel rigetto di avere per la cosa pubblica il fondamento del Cristianesimo.   Non è un caso che la festa del dio-lavoro avvenga l’indomani della notte di Valpurga, ritenuta nei secoli un momento di vertice dell’ attività del male sulla Terra – in genere, su Renovatio 21, facciamo ogni anno un articolo sull’argomento, annotando gli eventi concomitanti. La realtà è che la festa del Primo maggio è un tentativo di inculturazione, o meglio, di reintroduzione di usanze pagane – in particolare la festa celtica chiamata Beltane, di cui parla anche J.G. Frazer nel suo studio su magia e religione dell’antichità europea Il ramo d’oro.   La prima menzione di Beltane è nella letteratura irlandese antica dell’Irlanda gaelica. Secondo i testi altomedievali Sanas Cormaic (scritto da Cormac mac Cuilennáin) e Tochmarc Emire, Beltane si teneva il 1° maggio e segnava l’inizio dell’estate. I testi dicono che, per proteggere il bestiame dalle malattie, i druidi accendevano due fuochi «con grandi incantesimi» e guidavano il bestiame in mezzo a loro.   La vulgata progressista del Primo maggio, nata nel secondo Ottocento, si attacca quindi a questo sostrato antico, non cristiano, alla guisa di come ha fatto la Chiesa con alcune festività nel corso dell’anno.   Quindi: un nuovo dio, una nuova religione. Ma il problema è che neanche i suoi stessi sacerdoti ci credono. I loro discorsi – i loro incantesimi – sono inganni, sempre più infami, sempre più ridicoli.   Abbiamo sentito ieri il segretario generale CGIL Maurizio Landini dichiarare che «il governo Meloni difende il fossile e nega il cambiamento climatico, come si può pensare di cambiare modello di produzione?». Lo ha detto ad un evento dell’«Alleanza Clima Lavoro», di cui apprendiamo l’esistenza. Stendiamo un velo pietoso sull’attacco ai combustibili fossili, che fossili non sono (no, il petrolio non è succo di dinosauro!), che dimostra un allineamento con i gruppi ecofascisti più estremi e grotteschi visti negli ultimi anni – e pagati da chi, possiamo intuirlo.   Quindi: prima il «clima», poi i lavoratori. L’intero sistema industriale va cambiato per favorire l’ambiente, non l’uomo che lavora: conosciamo questa solfa, ora condita automaticamente dal terrorismo climatico. Si tratta di un’idea che avanza da tanto tempo, e si chiama deindustrializzazione.   Come abbiamo ripetuto tante volte su questo sito, la deindustrializzazione altro non è che deumanizzazione. Cioè, riduzione non dei lavoratori, ma della quantità stessa di esseri umani che camminano sul pianeta. Ciò era chiaramente esposto nelle opere di Aurelio Peccei e compagni oligarchi, quando l’élite – la stessa che stava dietro al Club di Roma, Club Bilderberg, WWF, etc. – cominciò a lavorare decisamente alla riduzione della popolazione.   Non è possibile diminuire il numero di esseri umani sul pianeta se si continua a produrre. Perché l’industria – il lavoro – dà cibo, e il cibo dà la vita, e la vita si moltiplica. La filiera dell’essere deve essere interrotta, molto prima. Niente industria, niente lavoro, niente vita. Niente persone. Niente umanità. Ora potete capire da dove vengono la povertà e la fame, che sembrano di ritorno anche nel Primo Mondo.   In alcuni testi risalenti a più di mezzo secolo fa, la cosa era messa nera su bianco: avrebbero creato deliberatamente un concetto prima sconosciuto, quello di inquinamento, per avere uno strumento di controllo del comportamento di popoli e Nazioni. Se ci pensate, anche questa è una scopiazzatura del cattolicesimo: non il peccato, ma l’impronta carbonica. Non il peccato originale, ma l’essere umano in sé, alla cui nascita c’è già un debito ecologico personale importante. Non la Santa Trinità, non l’Incarnazione, ma Gaia, dea terrifica che si fa pianeta.   Non ci sorprende, ma nondimeno continua a riempirci di orrore, vedere che chi è pagato per difendere i lavoratori è in realtà alleato delle forze che ne vogliono l’eliminazione. Lo aveva capito, con decenni di anticipo, il filosofo marxista Gianni Collu, che nel libro Apocalisse e rivoluzione notava che il paradigma non era più quello rivoluzionario della crescita operaia, cioè industriale, ma quello di una contrazione dell’intera società produttiva.   In pratica, Collu aveva compreso che stava venendo innestato, specie presso partiti, sindacati, intellettuali di sinistra, l’odio per l’uomo – in una parola, era stata avviata la Necrocultura. Non per niente il filosofo cominciò a scoprire, e rivelare, l’interesse crescente che molti circoli goscisti cominciavano a sentire verso un tema divenuto tabù nei millenni cristiani, cioè il sacrificio umano.

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Ora, guardate celebrare il vostro lavoro da chi è inserito, con stipendio, nel disegno per togliervelo – ed eliminare la vostra esistenza e la vostra discendenza. Non dobbiamo ricordare qui gli sforzi, fatti anche in sede europea, che i sindacati hanno fatto per il feticidio.   Nessuno dei vostri lavori è al riparo dal disegno mortale che avanza: se vi hanno detto che imparando a programmare avreste avuto sempre lavoro, provatelo a ripetere alle migliaia di licenziati alla IBM, come in tantissimi altri colossi tecnologici, sostituiti dall’Intelligenza Artificiale.   Nessuno è al sicuro: i grafici, cosa pensano di fare davanti alla presenza di incredibili programmi text-to-image, dove digiti cosa vuoi vedere e ti viene servito in un’immagine perfetta?   Attori, registi, produttori cinetelevisivi, cosa potranno di fronte ai software come Sora di ChatGPT, che promette di generare sequenze video a partire da semplici richieste? Sappiamo che l’ultimo sciopero ad Hollywood verteva su questo, e che già operano società di computer grafica talmente ultrarealista da aver disintermediato regioni immense della filiera.   Domani, cioè già oggi, tocca agli insegnanti. Ai bancari. Ai lavoratori dei fast food. A qualsiasi lavoratore. Alla realtà stessa.   Tuttavia, notatelo, nessun sindacato parla di fermare l’Intelligenza Artificiale. Vi parlano di cambiamento climatico, combustibili fossili, etc.   Lo fanno dopo aver assistito all’assassinio, con il green pass e l’obbligo al vaccino genico, dell’articolo 1 del loro libro sacro, il dogma primigenio della loro religione: ve lo abbiamo detto, non ci credono nemmeno loro.   E quindi, se anche quest’anno un boss sindacale, dinanzi al milione di ebeti ammassati per il concertone del Primo maggio, dovesse d’improvviso farsi scappare di nuovo l’espressione «Nuovo Ordine Mondiale», beh, sappiamo bene di cosa si tratta.   Non c’entrano le ricorrenze druidiche primaverili, qui siamo altrove nel calendario, in un’altra festa importante: sotto sotto, negli auguri ai bravi lavoratori, vi stanno dicendo che arriva il Natale. E che voi siete i tacchini.   Buon lavoro.   Roberto Dal Bosco

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Pensiero

I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo

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Ho sempre provato un certo disagio di fronte agli eroi di cartapesta creati dalla filiera economica della «cultura» nazionale. È l’apparato industrial-intellettuale che passa dai grandi editori (una volta soprattutto Feltrinelli, ma in realtà un po’ tutti, specie in era marinaberlusconiana), si innerva sui giornali (Repubblica, a seguire, come sempre il Corriere, e giù gli altri), corre per le librerie di tutta Italia (con incontri dove vanno, magari, trenta persone pensionate in tutto) e si riversa, oltre che nei teatri, nella TV pubblica a tutte le ore, soprattutto quelle notturne.

 

Avete presente: gli «intellettuali», gli «scrittori», quelli che hanno pubblicato un libro, a volte, tragicamente, un «romanzo». I giornalisti, i librai, gli enti teatrali, i dirigenti televisivi ve li indicano come persone da ascoltare, da seguire. Sono dei contenuti importanti, cui dovete dare la vostra attenzione.

 

Basta leggere qualche pagina delle loro opere per capire di trovarsi davanti al vuoto pneumatico, e quindi tornare con la mente all’ineludibile legge di Marshall McLuhan: il medium è il messaggio.

 

Cioè, qualsiasi «scrittore» vi propongano – in libreria, in televisione, al teatro comunale, sul giornale – non è che vogliano davvero portarvi un suo messaggio, una sua riflessione, un suo pensiero (di solito, anzi, non ce n’è traccia), ma vogliono semplicemente tenervi incollati al medium, cioè al sistema. Consuma questo importante autore di libri, ti dicono, ma in verità quello che stanno davvero chiedendo è che non cambi canale: resta con noi, non staccarti dal continuum dell’industria culturale nazionale.

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È una questione di rinforzo della dipendenza sistemica, camuffata da nobile impulso illuminista all’educazione: leggi qui, sarai migliore. O con più sincerità: fatti intrattenere da noi, è l’unica via.

 

Una questione di identità, di classe sociale. Ecco perché ci ritroviamo, tra i tanti scrittori che ci infliggono, un discreto numero di professori. Essi divengono la proiezione del famigerato «ceto medio riflessivo», cioè di quantità di insegnanti di elementari, medie e superiori (e università: vertice della sottocasta dell’istruzione statale) che si sentono migliori perché leggono i libri, e che sperano che, un giorno, leggendo Repubblica e collane Feltrinelli magari anche a loro un giorno daranno 15 minuti di gloria letteraria.

 

La cultura di sinistra – cioè la cultura italiana – vive di fatto su un grande ricatto identitario: se non consumi il prodotto culturale nazionale, se quindi non credi a tutti gli assiomi che vi sono inseriti (civili, storici, politici, religiosi, «laici»), se fuori dalla storia. Impresentabile, invisibile. Questa cesura, come in ogni altro campo della vita, si è rivelata in tutta la sua oscenità durante il COVID.

 

Ricordate, infatti, dove stavano gli intellettuali, durante il biennio di lockdown e sieri genici? Ricordate gli editoriali sui giornali? Gli inni al generale vaccinaro, e magari pure l’occhiolino fatto ad un possibile «golpe» pro-siero? Ricordate gli articoli in cui lo scrittore diceva, sconsolato, di aver trovato tra i suoi amici dei no-vax? Ricordate le preghiere dei saggi affinché nel Paese fosse realizzata l’apartheid biotica, che poi di fatto è stata concretata?

 

Per questo sul «caso Scurati», che tiene banco sui giornali ancora adesso, ho delle idee un po’ diverse da quelle che avrete letto in giro.

 

Diciamo intanto, che la figura dello Scurati ce la ho in qualche modo presente, perché rammento quando fu inserita nel circuito culturale ancora anni fa. Nel 2005, ad un premio letterario – il gateway per far entrare nel sistema-Paese nuovi personaggi cartonati con le loro idee sincero-democratiche – attaccò Bruno Vespa: di suo una cosa per cui, visti gli ultimi anni di mRNA e Zelens’kyj, sarebbe da stringergli la mano, ma il tono sarebbe stato un po’ pesante: «se dovessi uccidere qualcuno, questo sarebbe lei», avrebbe detto criticando il conduttore di Porta a Porta.

 

Il personaggio del resto pare essere focoso: nei giorni scorsi ha accusato, in un’intervista su un giornale straniero, il TG1, per poi scusarsi, e dare la colpa a tutta questa situazione che lo turba molto.

 

La simpatia a pelle che mi sale subito: le foto che lo ritraggono, alto e severo, mostrano questo sguardo duro e non centratissimo, e profili dove pare mancare il mento – cosa che potrebbe essere, in realtà, un preciso messaggio politico, ma è un pensiero che butto lì, come altro, per satira.

 

Perché l’uomo ha pubblicato una serie di libri sul mento più pronunciato del secolo – quello del Duce Benito Mussolini. Migliaia e migliaia di libri intitolati tutti grottescamente M., come se fosse M il Mostro di Duesseldorf, in realtà è uno dei babau assiomatici che servono al sistema culturale italiano per tenersi in piedi.

 

Eccerto: Roberto Saviano, uno dei principi del sistema culturale nazionale, scrive libri contro la Camorra, anche se gli effetti – visibili soprattutto in TV – hanno fatto esclamare a qualcuno che alla fine, eterogenesi dei fini, quello che si ottiene è la sua apologia.

 

Quindi: addosso – ancora – al cadavere appeso a Piazzale Loreto (che Renovatio 21 un anno fa ha modestamente chiesto di ribattezzare come «Piazzale Angleton»). Scriviamoci sopra un romanzo, anzi dei romanzi, una saga che Il Trono di Spade deve spostarsi. Ma quale banalità del male: fatecelo scrivere, fatecelo vendere, ‘sto male!

 

Mi viene in mente l’articolo di ferocia assoluta che gli riservò, sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia, che descrisse il suo senso di sgomento di fronte ad errori storici incredibili – perché provenienti da uno scrittore, un intellettuale, un editore, e la ridda di correttori di bozze, consulenti, editor del caso – contenuti nel testo.

 

Il Gallo della Loggia non fu tenero: «Voglio sperare che ancora oggi se a un esame di licenza liceale uno studente attribuisse a Carducci l’espressione «la grande proletaria» (invece che a Giovanni Pascoli, che la coniò per l’Italia che si accingeva a occupare la Libia ), e definisse Benedetto Croce un «professore» (lui che per tutta la vita gratificò di tutto il disprezzo immaginabile l’Università e i suoi professori, che fu l’antiaccademismo vivente), voglio sperare, dicevo, che lo sciagurato correrebbe seri rischi di essere bocciato».

 

Giù duro: «Non si tratta di due errori qualunque, infatti. Sommati significano in pratica non essere in grado di orientarsi nella storia culturale italiana della prima metà del Novecento. Non possedere alcuni punti di riferimento essenziali. Se poi il medesimo studente avesse pure sbagliato la data di Caporetto, avesse detto che Antonio Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, “porta sulla coscienza sei milioni di morti” (un antesignano pugliese di Hitler insomma), avesse poi definito Antonio Gramsci “un politologo”, avesse scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli «elettricisti» e che nel 1922 al Viminale ticchettavano «le telescriventi», e poi ancora, come se non bastasse, a commento della marcia su Roma avesse riportato alcune righe attribuendole a “Monsignor Borgongini Duca, ambasciatore inglese presso la Santa Sede” (!!) , e a commento della seduta della Camera sulla fiducia al governo Mussolini avesse citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922 (quando l’autore avrebbe avuto 105 anni!), beh: spero proprio che a questo punto il suddetto studente sarebbe sicuro di prendersi una solenne bocciatura».

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Tanta roba. Tuttavia soprattutto uno di questi inguardabili errori ci sembra interessante: nel suo romanzone mussoliniano, lo Scurati scrive che gli italiani morti durante la Prima Guerra Mondiale erano sei milioni. Secondo i calcoli storici, i morti sono stati – compresi quelli della pandemia della Spagnola (chiamata così anche se può darsi che venga, come tante altre epidemie, dai vaccini) – un milione. Tuttavia, come resistere alla coazione a ripetere la cifra fatale dei sei milioni? Difficile: l’industria culturale, i sei milioni te li ripete ogni cinque minuti.

 

Ma che importa, alla fine. Rileva – ribadiamolo bene – solo che il canale resti saldo. Qualche refrain, qualche tormentone piazzato magari anche in modo errato, fa giuoco alla tenuta dell’impianto di trasmissione. Tenetelo sempre a mente: il medium è il messaggio.

 

Ecco perché quando è scoppiato lo scandalo della RAI melonica che «censura» il tizio, non è che ci siamo scomposti più di tanto.

 

In primis, perché sappiamo da dove arriva, che cosa rappresenta, qual è il messaggio – cioè il medium. Il mezzo dell’industria cultura italiana deve ripetere i suoi triti dogmi (perché agli intellettuali non è richiesta la fantasia, né l’estro, né il genio: anzi) con cui è stata imbastita da quando, durante il famoso patto racconto da Ettore Bernabei nel libro L’uomo di fiducia, De Gasperi cedette la cultura a Togliatti e al PCI – e le banche a Mattioli e alla massoneria.

 

Che ci volete fare: mica la mela può cadere lontano dall’albero. Piante cresciute con decadi di letame «laico» e sincero-democratico, che frutti possono dare?

 

Il problema, quindi, è più profondo di un’eventuale museruola ad un intellettuale sistemico: è l’esistenza del sistema, e la sua persistenza nonostante qualsiasi governo di destra sperimentato dal 1994 ad oggi.

 

Non è questo, il punto che ci interessa sviluppare qui, purtuttavia.

 

La cosa che ci sconvolge, e vedere, a quattro anni dalla catastrofe di Wuhan, quanti anni luce il sistema politico-culturale sia distante dalla nostra visione – cioè dalla realtà. La politica, la storia, la letteratura dei normaloidi è a tal punto divorziata dalla sostanza dalle cose, che lo spettacolino delle sue beghe interne ci crea imbarazzo, malessere, se non ci fa vomitare punto e basta.

 

È stato ricordato che Scurati, quello della lettera «antifascista» da leggere alla TV pubblica, aveva scritto sul Corriere un editoriale in cui osannava il premier Draghi, lo implorava di tornare al suo posto: massì, il tecnocrate che nessuno aveva votato, calato per motivi imperscrutabili in luoghi fondamentali – il panfilo Britannia, dove salutò con affetto gli «Invisibili Britannici»; l’Eurotorre di Francoforte, luogo dove i tedeschi mai dovrebbero volere un italiano, e invece – piace tanto all’intellettuale antifascista.

 

Scommettiamo che, se lo sapesse, godrebbe anche al pensiero del ruolo primario del Draghi nel primo vero atto di guerra economica della storia umana, ovvero il congelamento dei beni della Banca di Russia detenuti all’Estero. Contro ogni legge internazionale, contro ogni decoro diplomatico (nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale…), contro ogni prospettiva a medio termine (l’effetto subitaneo: l’accelerazione della de-dollarizzazione): ma che importa, al cervello antifascistico? Bisogna applaudire i Draghi della palude, sempre, e spellarsi le mani.

 

Non solo. In una clip del novembre 2020 proveniente da La7 – lo sfogo televisivo del gruppo di via Solferino – lo Scurati affrontava di petto l’altra grande questione democratica degli ultimi anni. «Il 25% degli italiani, che secondo un sondaggio SVG sono complottisti o negazionisti» incalzava Lili Gruber. «Un dato assolutamente inquietante» replicava Scurati (mentre, a lato, l’idolo grillino Andrea Scanzi scuoteva la testa con vigore). Dice che il dato deve far riflettere «su cosa è stata l’Italia negli ultimo 10, 20 anni (…) su quale piccolo e significativo arretramento di civiltà abbiamo patito in questi decenni».

 

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L’esitazione davanti al siero genico sperimentale è un segno della decadenza della civiltà italiana – quella, di cui parlava imperialmente Mussolini, o quella della Costituzione, calpestata in ogni sua parte dall’obbligo vaccinale? Un attimo, questi ultimi sono pensieri nostri.

 

«Il discorso ha a che fare con l’educazione, con l’istruzione, con la cultura», dice ancora lo scrittore. Insomma, sei no-vax, perché sei ignorante – non hai studiato a scuola, né letto i libri propostiti dalla libreria, compresi magari quelli fondamentali dello stesso Scurati.

 

«Il fatto che un italiano su quattro stia arretrando su posizioni oscurantiste premoderne di ignoranza arrogante e professa, non nascosta, nella diffidenza dei riguardi dei vaccini, che sono una delle grandi invenzioni dell’umanità, nella diffidenza nei riguardi della scienza, ci deve far ricordare che la scuola, l’istruzione e l’educazione sono fondamentali per il Paese, non solo durante l’emergenza» continua lo Scurato.

 

Sì davvero: sta parlando della scuola, dove abbiamo visto ogni sorta di discriminazione biologica (il green pass anche per entrare nel sito dell’Università!), dove è penetrato il proselitismo omotransessualista più agghiacciante, dove ai bambini di otto anni vengono lette lettere anti-femminicidio sull’onda di casi di cronaca ancora tecnicamente irrisolti, dove sono in corso programmi rivoltanti di digitalizzazione tecnocratica della vita dei ragazzi?

 

Sta parlando sul serio di arretramento della civiltà, per poi tirare fuori, come esempio, la scuola, distruttrice della civiltà?

 

È così. Parlano per ritornelli sempreverdi («vaccini grande conquista»… «la scuola è importante»… «sei milioni di morti»), discorsi che non aggiungono nulla, non hanno un pensiero alcuno da offrire. Non dati, non riflessioni, né profondità di alcun tipo – niente.

 

È chiaro, soprattutto, che la nostra idea di civiltà è oramai incompatibile con quella che loro chiamano «civiltà», che per noi è invece dissoluzione, è anti-civiltà, è Cultura della Morte. E non è questione solo di idee – si tratta della nostra stessa esistenza quotidiana, della vita nostra, e di quella dei nostri figli.

 

Perché quelli che si dicono «democratici», quelli che ci vendono i loro discorsi «antifascisti», sono gli stessi che hanno inflitto alle nostre vite gli orrori più atroci, perfino a livello biomolecolare.

 

Gli «antifascisti», hanno spinto affinché la nostra esistenza personale e famigliare fosse devastata. Vi ritorna in mente? C’è chi ha perso il lavoro, c’è chi ha perso i parenti, c’è chi ha perso tutto – mentre tutti quanti perdevamo la libertà.

 

Però scusate: ma se la parola «fascista» è semanticamente riferibile a ciò che è autoritario, soverchiante, incapace di discutere, irriguardoso della dignità della persona, altamente discriminante (fino al razzismo), violento… allora, che cos’è, quella che abbiamo vissuto in pandemia, se non una piccola era fascista?

 

È meglio chiamarli con un termine più appropriato: essendo alla base dell’immane processo di sottomissione subìto un fattore biologico – la malattia, il siero genico sperimentale – è il caso di definirli, più che fascisti, «biofascisti». Gli antifascisti – come esattamente i fascisti ipoteticamente ancora in circolazione ed i postfascisti al governo – sono, esattamente, biofascisti.

 

Dal ventennio fascista, al biennio biofascista: che non è finito, perché nessuno, né al governo né all’opposizione, ha accettato di rivedere lo stupro della supposta democrazia popolare visto col COVID. Anzi: rilanciano, la Meloni firma a Bali per i passaporti vaccinali elettronici transnazionali, mentre masnade di operatori sanitari e trafficanti politici lavorano alacremente – pagati da voi – per l’approvazione sottotraccia del Trattato Pandemico OMS, che sarà un bel capitolo della fine certificata delle democrazie costituzionali.

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E già, la Costituzione. Gli intellettuali credono sia un testo importantissimo, ce lo hanno ripetuto ad nauseam, e il motivo è semplicissimo: avendo cacciato per ordine massonico il sacro dalla politica, non resta che basare lo Stato su un libro.

 

Abbiamo visto quanto ci credono: la Costituzione è stata tradita perfino nel suo primo, ridicolmente sovietico, articolo, quello della Repubblica fondata sul lavoro – se hai il green pass, ovvio, e i sindacati sono d’accordo con Draghi, gli scrivono lettere d’amore in concerto con i padroni di Confindustria, mentre dal palco, circondati da mascherine, i lider maximos sindacalisti parlano veramente di Nuovo Ordine Mondiale.

 

Diventa a questo punto definitivamente insopportabile guardare la pantomima «democratica» dei personaggi TV.

 

Palano di popolo, e sono quelli che una parte consistente del popolo italiano – qualcuno dice, dal 1978, sei milioni, sul serio – lo ha sterminato per legge, con l’aborto di Stato.

 

Parlano di democrazia, ma il popolo lo hanno chiuso in casa, sottomesso, capovolgendo lo Stato di Diritto: non più il cittadino latore di diritti, ma obbligato a coercizioni che riguardano la sua stessa biologia.

 

Parlano di Costituzione, e hanno tradito l’articolo 1, l’articolo 16, l’articolo 21, l’articolo 32 e tutti gli altri che il lettore vorrà aggiungere.

 

Parlano di antifascismo, dopo aver inflitto alla popolazione anni di terrore biofascista, dove se non accettavi di modificare la tua genetica cellulare non potevi entrare nei negozi – sì, come gli ebrei dopo le leggi razziali, come mostrano tutti quei filmetti strappalacrime come La vita è bella, che certamente in parte avete pagato sempre voi.

 

Parlano di antifascismo, e sono gli stessi che finanziano ed armano un regime dove i collaborazionisti del Terzo Reich sono celebrati pubblicamente come eroi (anche fuori dai confini: ricorderete il caso di Trudeau che porta l’ex SS al Parlamento canadese per farlo applaudire) e dove armi e danari finiscono a Reggimenti provenienti da gruppi dove la svastica e le lettere runiche sono la norma, come simbolo, come tatuaggio, come ideologia.

 

Gli antifascisti, oggi, sostengono i neonazisti. Lo spettacolo lugubre degli ultimi cortei 25 aprile con tripudi di bandiere ucraine e della NATO rimarrà negli annali per i posteri che giustamente si gratteranno la testa cercando di capire.

 

I biofascisti, del resto, non è che si tirano indietro nei confronti dei paradossi. Prendiamo, ad esempio, il grande tema «antifascista» della provetta. Un idolo, per la sinistra: libertà riproduttiva, che vuol dire che anche gli LGBT si possono produrre la prole che la natura non consentirebbe loro di avere – si chiama progresso, bellezza.

 

Arrivano, tuttavia, tante storie aneddotiche interessanti. Per esempio: coppie lesbiche che spesse volte si rivolgono a banche del seme… in Danimarca. Essì: il bimbo lo vogliono biondo dolicocefalo occhioceruleo, esattamente come prescritto da Zio Adolf, che, poverino, lui la biotecnologia per farlo non ce l’aveva, limitandosi nel fallito programma Lebensborn a fare montare ragazzotte di paese ben disposte a giovinotti dai chiari capelli scelti tra le SS, per poi ucciderli subito dopo gettandoli nella fornace della guerra. È così: infatti quello si chiamava, appunto, «nazismo», e non «bionazismo», come invece dobbiamo chiamarlo oggi.

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E chiedetevi pure anche, cari antifascisti biofascisti: quanti dei politici gay, magari con figlio prodotto via utero in affitto all’estero fatto entrare in Italia in spregio alla legge 40/2004 (i giudici, dove sono?), secondo voi hanno sfogliato un bel catalogo delle «donatrici» di ovulo, scegliendo magari una bella ragazza bionda e atletica, come ad esempio l’Ucraina – capitale mondiale della surrogata anche sotto le bombe – offre a bizzeffe?

 

È difficile rendersi conto di cosa si tratta? La parola è conosciuta, in verità: eugenetica.

 

È più arduo capire che l’eugenetica biofascista opera ogni giorno anche al di fuori dei casi arcobalenati: la selezione degli embrioni, compiuta dagli «esperti della fertilità» che ora sono pagati dal contribuente (la FIVET è nei LEA) è, molto semplicemente un’altra forma di eugenetica, solo che invece dei cataloghi delle «biobanche» qui si usa il microscopio.

 

La sostanza non cambia, ed è quello che andiamo da sempre ripetendo su Renovatio 21. La continuità tra il nazismo e la moderna società riprogenetica è assoluta. Hitler ha perso la guerra cinetica, ha vinto quella bioetica. O meglio: i padroni di Hitler – quelli che ne hanno finanziato l’ascesa – sono esattamente gli stessi che hanno, da più di un secolo, elargito danari affinché si instaurasse l’eugenetica in America, in Europa, perfino in Cina.

 

E sono gli stessi – un nome lo vogliamo fare: la famiglia Rockefeller – che hanno suscitato e foraggiato quantità di movimenti fondamentali per la sinistra antifascista, cioè biofascista: il femminismo, ad esempio, o il movimento globale per l’aborto.

 

Capite, cari lettori, che questa è una visione della Storia abissalmente distante da quella che possono avere Scurati o la Meloni e chiunque altro vi propongano TV e giornali.

 

Perché quello che possono fare, loro, è farvi rimasticare quello che è stato dato loro da masticare, ricordando che a nessuno di loro è stata chiesta originalità e profondità di pensiero. La Storia, vi dicono, è fatta così… i fascisti, gli antifascisti, etc.

 

Qui abbiamo una visione radicalmente diversa. L’unico modo possibile per vedere il mondo, l’universo stesso, è quello che ha al suo centro il fenomeno più fondamentale del cosmo tutto: la vita.

 

Non comprendere che la Storia si sta rivelando semplicemente come una danza, fisica e metafisica, tra la Vita e la Morte – con lo Stato moderno e le sue schiere a combattere per quest’ultima – significa non aver compreso nulla. E quindi, accettare ogni possibile angheria che l’Impero della Morte prepara: l’aborto, la provetta, il vaccino… tutte realtà che qui abbiamo dimostrato essere intimamente interrelate, tutte questioni che toccano direttamente, carnalmente, le vostre esistenze, e soprattutto quelle dei vostri figli.

 

Così, in questa ignoranza invincibile, quella per lo stesso dono più alto che si è ricevuti dal creatore, l’antifascismo può trasformarsi tranquillamente in biofascismo, e continuare la sua patetica sceneggiata di lamento contro il fascismo 1.0.

 

In un articolo per il 25 aprile di diversi anni fa («Quello che Mussolini non ha capito: il dominio della Cultura della Morte»), scrivevamo parole che ci va qui di ripetere.

 

«Non è il capitale, non è il danaro ad essere in gioco. Non è nemmeno la terra, lo spazio, la geopolitica che interessa ai potenti dell’universo, oggi come allora. Ai principi di questo mondo interessa la distruzione dell’uomo. La sua umiliazione, il suo controllo, la sua riduzione».

 

«Non è visibile, per chi pensa ancora con le categorie ideologiche pubbliche dell’Ottocento o del Novecento, il cambio del paradigma già avvenuto. Non siamo più in una fase espansiva dell’essere (la produzione dell’acciaio dei sovietici, il Lebensraum dei nazisti, il natalismo dei fascismi, il consumismo delle democrazie liberali) ma in una fase di contrazione programmata, forzata. Meno figli, meno lavoro, meno esseri umani: decrescita».

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«Mussolini non poteva capire che è l’ascesa del biopotere il vero verso della Storia; i suoi oppositori nemmeno: anzi, ora sono divenuti kapò di qualcosa di molto peggiore del fascismo, il biofascismo: tutti i tuoi diritti sono sospesi, perfino il lavoro, la censura è operata su tutti i livelli, ogni libertà, perfino quella di spostamento, perfino quella di vedere i famigliari, è distrutta».

 

Già, Mussolini non aveva capito che il fascismo non serviva più al programma: il signore del mondo non voleva controllare più solo gli imperi e le nazioni, ma il corpo umano stesso, perfino nel codice più sacro contenuto dentro le sue cellule. Il Duce non poteva capire che il fascismo andava sostituito con il biofascismo. Lo hanno fatto, tra bandiere arcobaleno e ghigni pannelliani, facendo pure continuare l’oscena commedia dell’antifascismo militante, televisivo, autistico – perché altre sceneggiature, con evidenza, non ne hanno, né ne saprebbero scrivere.

 

Il programma è più vasto, ad ogni modo, di quello visibile tra Mussolini e gli intellettuali prodotti dal sistema culturale nazionale. Il programma è contenuto in un grande bestseller, nell’ultimo testo che lo compone. Si chiama Sacra Bibbia, da leggersi soprattutto quello che è definito Il libro della Rivelazione. Ci rendiamo conto che pochi scrittori e professori lo hanno fatto, ancora meno ci hanno creduto, o anche lo hanno preso sul serio per un secondo.

 

Qui noi lo facciamo, eccome. Il programma finale non riguarda la politica partigiana, riguarda l’umanità, la vita e la morte, il mistero dell’iniquità, la catastrofe globale, la fine dei tempi – insomma la vostra anima, e il vostro corpo.

 

Non è che chiediamo a chicchessia di accettarne i segni – i nostri lettori già lo fanno, a giudicare dalle lettere che ci arrivano.

 

Quello che domandiamo, è: non prestate attenzione a nessuna polemica, né alla voce degli intellettuali di cartapesta, né a quella dei politici.

 

Pensate, piuttosto, quanto è lontana da loro, oramai, la vostra concezione del mondo, la vostra visione della Storia, la vostra percezione della realtà, la vostra fede nella Verità.

 

È così: scrittori, deputati, giornalisti, professori, ministri, editori, fascisti, antifascisti, non hanno capito un cazzo.

 

Evitate, cari lettori, di perderci tempo, e concentratevi su ciò che è importante: onorate il Vero, e, soprattutto, cercate la pace interiore – perché a breve, quando sarà la tribolazione, servirà davvero.

 

Roberto Dal Bosco

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