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Tribunale USA: Google è un monopolio illegale

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Il colosso tecnologico americano Google ha infranto la legge stabilendo un monopolio sulle ricerche online, ha stabilito lunedì un giudice federale.

 

La decisione è considerata una grande vittoria per le autorità antitrust statunitensi, che hanno intentato diverse cause legali contro le grandi aziende tecnologiche nel tentativo di rafforzare la concorrenza nel settore, ha osservato Reuters.

 

Il caso, avviato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nel 2020, sosteneva che Google ha mantenuto la sua posizione dominante nel mercato della ricerca creando barriere all’ingresso per altri fornitori.

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«Dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove, la corte giunge alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio», afferma la sentenza emessa dalla Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto di Columbia.

 

Google «gode di una quota di mercato dell’89,2% per i servizi di ricerca generale, che aumenta al 94,9% sui dispositivi mobili», si legge nella sentenza. Il colosso di Mountan View ha pagato miliardi di dollari ai produttori di dispositivi per assicurarsi il suo posto come motore di ricerca predefinito su smartphone e browser, ha affermato il giudice Amit Mehta.

 

Il Dipartimento di Giustizia ha salutato la decisione come «una vittoria storica per il popolo americano», sottolineando che «nessuna azienda, non importa quanto grande o influente, è al di sopra della legge».

 

La sentenza «riconosce che Google offre il miglior motore di ricerca», ha affermato Kent Walker, presidente degli affari globali presso la società madre di Google, Alphabet, in una dichiarazione su X. La società ha in programma di fare ricorso, ha aggiunto Walker.

 

Non è chiaro quali sanzioni dovrà affrontare Alphabet. Secondo Reuters, potrebbe essere tenuto un secondo processo per determinare possibili soluzioni, tra cui forse una rottura del gigante della tecnologia.

 

L’azienda sta affrontando un’altra causa legale sulla sua tecnologia pubblicitaria, il cui processo dovrebbe iniziare a settembre. Anche Google ha ricevuto multe per miliardi di euro in casi di monopolio nell’UE.

 

Anche altre grandi aziende tecnologiche, tra cui Meta Platforms, proprietaria di Facebook, Amazon e Apple, sono state citate in giudizio dalle autorità antitrust federali per presunta gestione di monopoli illeciti.

La causa, iniziata nel 2020, si è poi estesa a più stati e territori, incapsulando la gravità e la portata dell’esame legale a cui Google è sottoposta. All’inizio del processo, l’avvocato del governo Kenneth Dintzer ha affermato che i procedimenti avrebbero influenzato in modo significativo il futuro della governance di Internet.

 

Le procedure in gran parte private del processo hanno scatenato le critiche dei sostenitori della trasparenza, che hanno accusato Google di cercare di ridurre al minimo la supervisione pubblica e l’esposizione mediatica. Google aveva sostenuto con successo che la piena apertura del processo avrebbe rischiato di esporre segreti commerciali sensibili.

 

Nella sua sentenza dettagliata, il giudice Mehta ha evidenziato che le prove e le testimonianze esaminate durante il processo hanno portato alla conclusione inequivocabile che Google stava attuando pratiche monopolistiche.

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Il caso, che segna una delle sentenze antitrust più significative degli ultimi decenni, è stato il risultato di una grande sfida legale avviata dal Dipartimento di Giustizia. Riflette uno sforzo governativo e internazionale più ampio per regolamentare il potere espansivo delle principali entità tecnologiche.

 

Il procedimento iniziò nel settembre dell’anno precedente e subì una pausa significativa, consentendo al giudice Mehta di deliberare prima di concludersi all’inizio di maggio.

 

Durante il processo, i procuratori federali hanno sostenuto che Google ha mantenuto la supremazia sui motori di ricerca in modo illecito, sfruttando ingenti accordi finanziari con aziende come Apple e Samsung. Ciò ha consentito a Google di imporsi come motore di ricerca predefinito su numerosi dispositivi, un vantaggio che il giudice Mehta ha ritenuto limitasse ingiustamente la concorrenza.

La portata finanziaria di questi accordi è stata notevole: nel 2021 Google ha sborsato oltre 26 miliardi di dollari per garantirsi lo status di default su vari dispositivi, una pratica che il tribunale ha criticato per mancanza di legittima giustificazione.

 

Nel difendere le proprie pratiche, Google ha affermato che i suoi servizi di ricerca erano superiori a quelli dei concorrenti come Bing di Microsoft, sostenendo che i suoi accordi sui motori di ricerca predefiniti non violavano le leggi antitrust.

 

Inoltre, il team legale di Google ha sollecitato un’interpretazione più ampia del mercato della ricerca, suggerendo che Google è una delle tante piattaforme che facilitano le ricerche online, tra cui giganti della tecnologia come TikTok e Amazon.

 

Un altro aspetto significativo del processo è stato l’esame delle pratiche di comunicazione interna di Google. Il gigante della tecnologia è stato criticato per non aver conservato i registri delle chat, che il governo ha affermato potrebbero contenere prove dannose per la difesa di Google. Sebbene il giudice Mehta abbia espresso delusione per le pratiche di conservazione dei documenti di Google, ha scelto di non sanzionare l’azienda per queste azioni.

 

Guardando al futuro, entro la fine dell’anno Google dovrà affrontare un’altra causa del Dipartimento di Giustizia incentrata sulle sue tecniche pubblicitarie e sui presunti comportamenti monopolistici nella tecnologia pubblicitaria.

 

Elon Musk e Twitter nel frattempo ha iniziato una grande causa contro gli inserzionisti pubblicitari per il boicottaggio di X.

 

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Alla causa di Musk si è aggiunta Rumble, la piattaforma video creata in alternativa a YouTube e alle sue insostenibili censure.

 

Musk invita «tutti coloro che sono stati boicottati» ad «intentare una causa in ogni Paese in cui sono stati boicottati».

 

«Incoraggio vivamente qualsiasi azienda che sia stata sistematicamente boicottata dagli inserzionisti a intentare una causa» ha scritto il CEO di Tesla in un ulteriore post. «Potrebbe anche esserci responsabilità penale tramite la legge RICO».

 

La legge RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations) fu creata per punire la criminalità organizzata e fu utilizzata dal procuratore Rudolph Giuliani contro le famiglie mafiose di Nuova York negli anni Ottanta.

 

Come riportato da Renovatio 21, contro i monopoli di Big Tech si è espresso il candidato vicepresidente JD Vance.

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Immagine di Grendelkhan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported 

 

 

 

 

 

 

 

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Internet

Incredibili video realizzati con l’IA lanciata da pochi giorni

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Il generatore di video basato sull’Intelligenza Artificiale Sora 2 di OpenAI ha debuttato la scorsa settimana e ha conquistato i social media con clip incredibilmente iperrealistiche che hanno fatto sì che gli spettatori si interrogassero su ciò che vedono online e hanno fatto sbiancare gli studi di Hollywood.   Gli utenti sembrano averci preso gusto a fare video sul defunto fisico tetraplegico Stephen Hopkins, anche crudelmente.      

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Un altro modulo molto popolare è quello di esseri che vengono fermati dalla polizia – il filmato è come da una bodycam delle forze dell’ordine – e scappano via subito: ecco un gatto, Spongebob, Mario, un ammasso di prosciutto a fette.    

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Il CEO di OpenAI Sam Altman viene beccato a rubare in un negozio, tutto visto da una telecamera di sorveglianza. L’uomo poi cucina Pikachu alla griglia.    

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Animali che rubano alimentari nei supermercati.    

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Piace Hitler che fa stand-up comedy con l’altrettanto (teoricamente) defunto Tupac, rapper ammazzato una trentina di anni fa ma che tutti per qualche ragione ricordano.   Lo Hitlerro dimostra di saperci fare con lo skateoboardo, e pure di saper rispondere a muso duro a Michael Jackson in un ambiente che ricorda le trasmissione trash di Jerry Springer.  

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Pare che SoraAI abbia messo un filtro che impedisce di creare episodi di South Park, che gli utenti hanno generato automaticamente a bizzeffe.     Non manca la finta pubblicità degli anni ’90 per un giocattolo basato sull’isola dei pedofili di Jeffrey Epstein, con l’action figure del miliardario e di altri personaggi orrendi – l’aereo privato Lolita Express è incluso.  

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Ecco, infine, il futuro: le fake news, ma nel senso vero. Telegiornali fatti con l’IA. Un motivo in più per non credere nemmeno a quelli veri.     Quindi: non è solo Hollywood che sarà sostituita, disintermediata, distrutto: è tutto quanto. È la realtà stessa che sta per venire divorata da simulacri iperreali eruttati ad ogni minuto dall’IA.

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Cina

Pechino condanna a morte 16 gestori dei centri per le truffe online in Birmania

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il tribunale di Wenzhou ha giudicato colpevoli 39 imputati della famiglia Ming, originaria dello Stato Shan nel nord del Myanmar. Le accuse comprendono frode e traffico di droga con proventi stimati in oltre 10 miliardi di yuan. Tra i condannati a morte figurano il figlio e la nipote del patriarca Ming Xuechang, morto in circostanze controverse durante l’arresto. L’operazione si inserisce nella più ampia repressione di Pechino contro i gruppi criminali che operano in Myanmar.

 

Un tribunale cinese ha condannato a morte 16 membri della famiglia Ming, potente gruppo criminale della regione Kokang, nello Stato Shan del nord del Myanmar, coinvolto nei commerci illeciti legati ai centri per le truffe online, una questione a cui Pechino da tempo sta rispondendo con una dura repressione.

 

Secondo i media cinesi, il Tribunale intermedio di Wenzhou, nella provincia orientale di Zhejiang, ha riconosciuto colpevoli 39 imputati per 14 reati, tra cui frode, omicidio e lesioni volontarie. Le condanne sono state differenziate: 11 imputati hanno ricevuto la pena capitale immediata, cinque la condanna a morte con sospensione di due anni, 11 l’ergastolo e gli altri pene comprese tra i cinque e i 24 anni di carcere.

 

Per alcuni sono state inoltre disposte anche multe e la confisca dei beni.

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L’accusa ha ricostruito che, a partire dal 2015, la famiglia Ming ha sfruttato la propria influenza nella regione Kokang per costituire una fazione armata e creare diversi «parchi» composti da edifici dediti alle truffe online. I gruppi armati hanno stretto alleanze con altre bande per fornire protezione alle attività illecite del clan: truffe telefoniche, traffico di droga, prostituzione, gestione di casinò e giochi d’azzardo online. I proventi stimati da frodi e gioco d’azzardo superano i 10 miliardi di yuan, circa 1,4 miliardi di dollari, secondo l’accusa.

 

Al centro del processo è finita in particolare la «Crouching Tiger Villa», una base utilizzata per le truffe online di proprietà di Ming Xuechang, patriarca della famiglia. Il 20 ottobre 2023 le guardie del complesso aprirono il fuoco contro lavoratori che cercavano di fuggire: fra le vittime vi furono 14 cittadini cinesi, alcuni dei quali – secondo indiscrezioni non verificate – erano agenti di sicurezza sotto copertura inviati da Pechino.

 

Tra i condannati a morte figurano anche il figlio di Ming Xuechang, Ming Xiaoping (noto anche come Ming Guoping), e la nipote, Ming Zhenzhen. Non compare invece la figlia, Ming Julan, il cui arresto era stato annunciato in un primo momento ma non confermato nella successiva comunicazione ufficiale da parte della giunta birmana.

 

Il patriarca Ming Xuechang, 69 anni, era stato arrestato nel novembre 2023 insieme ad altri membri della famiglia, nel quadro della pressione esercitata da Pechino sul Myanmar per smantellare i sindacati criminali del Kokang.Secondo le autorità di Naypyidaw, Xuechang si sarebbe sparato durante l’arresto ed è morto in seguito per le ferite riportate. In passato era stato membro della Zona a statuto speciale del Kokang e deputato del parlamento statale dello Shan per l’Union Solidarity and Development Party (USDP), partito legato ai militari birmani.

 

Il caso della famiglia Ming si inserisce nella vasta campagna lanciata da Pechino contro le truffe telefoniche transnazionali. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dichiarato che, solo nel periodo del 14° Piano quinquennale (2021-25), la polizia cinese ha risolto 1,74 milioni di casi di frode, smantellato oltre 2mila centri di truffe all’estero e arrestato più di 80mila sospetti.

 

In parallelo, anche la milizia legata a Pechino che controlla il Wa State, un’area anch’essa al confine tra Cina e Myanmar, ha di recente intensificato i rimpatri forzati verso la Cina: solo negli ultimi nove mesi sono state deportate 448 persone sospettate di frodi online, in una dozzina di operazioni coordinate con Pechino.

 

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Internet

Israele paga gli influencer 7000 dollari a post sui social media USA

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Israele ha finanziato influencer per pubblicare contenuti sui social media al fine di migliorare la propria immagine negli Stati Uniti. Lo riporta la testata online Responsible Statecraft.   Come riportato da Renovatio 21, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha recentemente evidenziato l’importanza dei creatori di contenuti per mantenere il supporto allo Stato Ebraico, incontrando, a margine della sua problematica apparizione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, gli influencer filosionisti.   Martedì, Responsible Statecraft ha riportato che documenti presentati in conformità al Foreign Agents Registration Act (FARA) degli Stati Uniti hanno svelato i dettagli di una «campagna di influencer» gestita da una società di consulenza con sede a Washington che collabora con il ministero degli Esteri israeliano.   Le fatture inviate ad un gruppo mediatico tedesco, che coordina la campagna, indicano un finanziamento di 900.000 dollari tra giugno e novembre 2025 per un gruppo di 14-18 influencer. I documenti stimano tra 75 e 90 post in quel periodo, con un costo per post tra 6.143 e 7.372 dollari, secondo Responsible Statecraft. Non è stato reso noto quali influencer siano coinvolti.

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La società statunitense avrebbe coinvolto un ex portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) e un ex rappresentante della società israeliana di spyware NSO Group, produttrice del celeberrimo software-spia per smartphone Pegasus.   La settimana scorsa, Netanyahu ha dichiarato in una conferenza stampa che è essenziale rafforzare la «base di sostegno di Israele negli Stati Uniti» attraverso gli influencer, soprattutto su piattaforme come TikTok – di cui si è beato per l’acquisto da parte del miliardario filo-israeliano Larry Ellison – e X, posseduto dall’«amico» Elone Musk.   La campagna d’immagine di Israele si colloca in un contesto di diminuzione del sostegno negli Stati Uniti, in particolare riguardo alla guerra di Gaza. Un recente sondaggio del New York Times ha rivelato che il 60% degli americani ritiene che Israele debba porre fine al conflitto, e più della metà si oppone a ulteriori aiuti economici e militari allo Stato degli ebrei .   Alcuni legislatori, come la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, hanno definito la situazione a Gaza un «genocidio» e si sono opposti a ulteriori aiuti a Israele.   Come riportato da Renovatio 21, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, pur continuando a sostenere Israele, ha recentemente ammesso che l’influenza della lobby israeliana, che un tempo aveva un «controllo totale» sul Congresso, è diminuita.  

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