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Geopolitica

Rapporto del Pentagono conferma: la Turchia ha inviato migliaia di mercenari in Libia

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Il rapporto trimestrale sulle operazioni antiterrorismo in Africa preparato dall’ispettore generale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti riporta che la Turchia ha inviato tra i 3.500 e i 3.800 combattenti siriani in Libia nei primi tre mesi di quest’anno.

 

Il rapporto aggiunge che la Turchia ha pagato e offerto la cittadinanza ai mercenari per combattere per il Governo di Accordo Nazionale (GNA) appoggiato dalla Turchia a Tripoli contro l’Esercito Nazionale Libico comandato dal generale Khalifa Haftar.

La Turchia ha inviato tra i 3.500 e i 3.800 combattenti siriani in Libia nei primi tre mesi di quest’anno

 

Il rapporto afferma che non hanno trovato prove che suggeriscano che i mercenari fossero affiliati a gruppi estremisti come lo Stato Islamico o al-Qaeda, ma erano «molto probabilmente» motivati ​​da generosi pacchetti finanziari piuttosto che da ideologia o politica, secondo un articolo dell’Associated Press pubblicato sul principale quotidiano inglese egiziano Al Ahram Online.

 

La Turchia ha pagato e offerto la cittadinanza ai mercenari per combattere per il Governo di Accordo Nazionale (GNA) appoggiato dalla Turchia a Tripoli contro l’Esercito Nazionale Libico comandato dal generale Khalifa Haftar

Il rapporto suggerisce inoltre che la Turchia continuerà ad aumentare il numero di mercenari inviati.

 

Il rapporto afferma inoltre che la Turchia ha dispiegato un «numero sconosciuto» di soldati turchi in Libia.

 

Nella precedente revisione trimestrale, il Pentagono riferiva che la Russia aveva portato centinaia di mercenari a sostenere Haftar attraverso il cosiddetto Gruppo Wagner. Il nuovo rapporto afferma che il gruppo Wagner ha aumentato il dispiegamento di combattenti stranieri, anche siriani, con stime che vanno da 800 a 2.500 mercenari, in risposta allo schieramento della Turchia.

 

La Turchia ha dispiegato un «numero sconosciuto» di soldati turchi in Libia

La Russia e il governo siriano hanno concordato di inviare tra i 300 e i 400 ex ribelli dell’opposizione dal villaggio siriano sudoccidentale di Quneitra in Libia in cambio di uno stipendio di 1.000 dollari al mese e clemenza del presidente Bashar Assad, afferma il rapporto.

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Geopolitica

Boris Johnson fotografato con in mano lo stendardo runico del Battaglione Azov

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L’ex primo ministro britannico Boris Johnson si è unito ai combattenti della famigerata unità neonazista ucraina Azov per posare per una foto mentre tiene in mano uno stendardo con un simbolo runico generalmente associato alle SS della Germania nazisa.

 

La controversia è scoppiata mercoledì quando diversi membri della brigata Azov, ampiamente nota per la sua ideologia descritta prima della guerra dai giornali occidentali (compresi quelli italiani) come di matrice neonazista, sono stati accolti dai parlamentari britannici nell’ambito di una tavola rotonda sul ritorno dei prigionieri di guerra dell’Azov nel Parlamento britannico.

 

Fondata come milizia neonazista nel 2014, il Battaglione Azov è stato un partecipante chiave nei combattimenti nel Donbass prima dello scoppio delle ostilità in piena regola nel 2022. Secondo rivelazioni, i suoi uomini sarebbero stati addestrati da istruttori NATO già nel 2021.

 

Durante questo periodo il Battaglione Azov, che en passant ricordiamo a Mariupol aver eretto un idolo al dio slavo del tuono Perun, è stato accusato dalle Nazioni Unite e da diverse organizzazioni per i diritti umani di ricorrere alla tortura, stupri e saccheggi, scrive il sito governativo russo RT. Con lo scoppio della guerra l’Azov è stato integrato nella Guardia nazionale ucraina e nel 2023 è stato ampliato a brigata militare vera e propria, al punto che il suo capo ha ricevuto una visita al fronte da Zelens’kyj l’anno scorso.

 

L’evento è stato presieduto dalla deputata Victoria Prentis, procuratore generale di Inghilterra e Galles. Johnson ha anche incontrato i combattenti della brigata Azov, definendoli «eroi» ed esortando l’Occidente a dare a Kiev più armi e l’autorità per effettuare attacchi «fuori dai propri confini», anche sul suolo russo.

 

«Contiamo interamente su eroi come le persone che sono qui stasera con noi, della brigata Azov», ha aggiunto.

 

Johnson ha anche posato per una foto con i combattenti dell’Azov mentre teneva in mano uno striscione giallo con le insegne del wolfsangel, la runa detta anche «dente del lupo». Il simbolo fu utilizzato da diverse divisioni tedesche durante la seconda guerra mondiale, inclusa la 2a divisione SS Panzer Das Reich, nota per i suoi crimini di guerra, in particolare contro le popolazioni ebraica e francese.

 


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Sebbene la fotografia sia stata ampiamente ignorata dai media britannici, ha causato una tempesta sui social media, con alcuni utenti che hanno accusato Johnson di insultare la memoria di centinaia di migliaia di inglesi morti combattendo l’ideologia nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

L’ambasciata russa a Londra ha denunciato quello che ha definito uno «spettacolo grottesco» nel Parlamento britannico, sottolineando il record di crimini di guerra di Azov.

 

È stato affermato da varie parti che Johnson è il responsabile del deragliamento i colloqui di pace russo-ucraini a Istanbul nella primavera del 2022. Funzionari russi hanno insistito sul fatto che i negoziati, che ruotavano attorno alla neutralità dell’Ucraina, inizialmente hanno fatto progressi ma poi sono falliti dopo che Johnson, piombato d’improvviso a Kiev, avrebbe consigliato al presidente ucraino Zelens’kyj di continuare nella guerra che sarebbe costata al Paese forse mezzo milione di ragazzi morti.

 

Dopo anni in cui la voce circolava, Johnson, davanti all’ennesima rivelazione a riguardo, ha negato l’accusa.

 

Come tutti i conservatori britannici, il Johnson, che è un classicista che parla il greco e ricorda i sette colli di Roma meglio del premier Draghi e del presidente della Repubblica Mattarella, deve avere il mito di Churchill e della Battle for Britain. E quindi, chissà quanti discorsi sull’uomo che ha fermato Hitler, quando oramai l’invasione dell’Inghilterra da parte delle truppe tedesche sembrava inevitabile.

 

A generazioni di britannici è stato ripetuta l’idea del Churchill salvatore della democrazia e della libertà, e dell’estremo sacrifizio di tante giovani vite (forse 450 mila) offerte dal Regno Unito come unico argine all’oscura barbarie nazista pronta ad attraversare la manica.

 

Ora, con una foto del genere, con un ex inquilino di Downing Street che impugna uno stendardo runico, è impossibile non vedere crollare l’intero edificio narrativo della democrazia liberale.

 

Siamo al momento in cui le maschere sono calate: la democrazia, il liberalismo sono solo paraventi dell’oligarcato e dei suoi demoni, che, raccontandoci le frottole della politica, chiedono all’umanità danari e sangue.

 

Questa verità non è mai stata più chiara che in questi giorni.

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Economia

La Tailandia chiede di entrare nei BRICS

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La Tailandia farà domanda per diventare membro del blocco economico BRICS, ha annunciato martedì il governo del paese del Sud-Est asiatico. Lo riporta RT.   Il governo di Bangkok ha approvato il testo della lettera ufficiale in cui si esprime l’intenzione della Thailandia di unirsi al gruppo, ha detto il portavoce del governo Chai Wacharonke in una dichiarazione citata dai media locali.   Secondo Chai, la lettera dichiara che la Tailandia comprende l’importanza della multipolarità e il ruolo crescente dei paesi in via di sviluppo negli affari internazionali.   La visione della Thailandia per il futuro è in linea con i principi BRICS e l’adesione apporterebbe benefici al paese in molti modi, tra cui il rafforzamento del suo ruolo sulla scena internazionale e l’opportunità di prendere parte alla definizione di un nuovo ordine mondiale, si legge nella lettera.

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I BRICS hanno invitato i paesi non membri che aspirano ad aderire a prendere parte al vertice del gruppo, previsto per la fine di ottobre a Kazan, in Russia. La partecipazione al vertice rappresenterebbe un’opportunità per la Thailandia per accelerare il processo di candidatura, ha affermato Chai.   Originariamente composti da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, i BRICS hanno aggiunto Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti all’inizio del 2024. Da allora, altri 15 paesi hanno segnalato interesse per l’ammissione, tra cui Bahrein, Bielorussia, Cuba, Kazakistan, Pakistan, Senegal e Venezuela.   I BRICS espansi rappresentano circa il 30% dell’economia globale e una popolazione di circa 3,5 miliardi, ovvero il 45% del totale mondiale. Rappresenta inoltre oltre il 40% della produzione mondiale di petrolio.   Secondo il Fondo Monetario Internazionale, i BRICS rappresentano attualmente circa il 36% del PIL globale in termini di parità di potere d’acquisto (PPP), rispetto a poco più del 30% per il G7. I BRICS mirano a superare il G7 in termini di Pil globale nominale nei prossimi quattro anni, ha dichiarato a febbraio il capo della Nuova Banca per lo Sviluppo (NDB), Dilma Rousseff.

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Immagine di Supanut Arunoprayote via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Arte

Rivista di moda cancella dalla foto la spilletta pro-Palestina dell’attore hollywoodiano

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L’edizione francese di Vanity Fair ha ritoccato l’immagine dell’attore Guy Pearce, rimuovendo una spilla palestinese che indossava al Festival di Cannes. La rivista è stata poi costretta a scusarsi dopo le accuse di censura.

 

La star australiana di film come Memento e LA Confidential ha camminato sul tappeto rosso con una spilla con la bandiera palestinese visibile sulla giacca. La stessa spilla era assente nella foto ritratto dell’attore realizzata da Vanity Fair France e pubblicata sul suo sito.

 

La modifica è stata segnalata per la prima volta dal giornalista Ahmed Hathout durante il fine settimana. «Così Guy Pearce ha mostrato solidarietà con la Palestina a Cannes indossando una spilla e Vanity Fair ha deciso di ritoccarla con Photoshop», ha scritto su X, sottolineando che l’attore indossava anche un braccialetto con i colori della bandiera palestinese.

 

 


La rivista è stata rapidamente accusata di censura dagli utenti dell’internet. Molti hanno sottolineato che Pearce è un convinto sostenitore dei palestinesi e ha etichettato il primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu «un tiranno vendicativo» per la condotta dell’IDF a Gaza. «I palestinesi vengono assassinati mentre parliamo. Sfollati, traumatizzati, rovinati», ha scritto martedì l’attore sui social media. «Tutto questo DEVE finire. VERGOGNA Netanyahu».

 


Lunedì Vanity Fair France ha risposto alle critiche. «Abbiamo erroneamente pubblicato sul sito una versione modificata di questa foto. La versione originale è stata pubblicata su Instagram lo stesso giorno», ha scritto la testata su X. «Abbiamo corretto il nostro errore e ci scusiamo».

 

Hathout ha ritwittato la dichiarazione della rivista, aggiungendo che «non è chiaro il motivo per cui esisteva una versione modificata».

 

Il Pearce altre volte si è fatto fotografare con i colori palestinesi.

 


Pearce non è stata l’unica celebrità a esprimere solidarietà alla Palestina a Cannes. L’attrice britannica Cate Blanchett è apparsa sul tappeto rosso con un abito che riprendeva i colori della bandiera palestinese.

 

 

Anche la modella palestinese-americana Bella Hadid indossava un abito ispirato alla sciarpa kefiah.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, la Hadid, che è di padre palestinese, ha già avuto a che fare con le polemiche della questione israelo-palestinese. Una casa di alta moda francese lo scorso novembre fu accusata di averla sostituita con una modella israeliana.

 

La sorella di Bella, Gigi Hadid, ad un certo punto presa di mira persino dallo stesso governo israeliano, che le scrisse su internet la minacciosa frase «ti vediamo».

 

Va ricordato l’impegno di altre vedette hollywoodiane, come la filopalestinese Susan Sarandon.

 

Temendo manifestazioni filo-palestinesi, le autorità locali di Cannes hanno vietato le proteste lungo l’iconico viale della Croisette e nei suoi dintorni per tutta la durata del festival.

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