Geopolitica
Il conflitto in Ucraina potrebbe essersi concluso nella primavera del 2022: parla il parlamentare ucraino a capo del partito di Zelens’kyj
La Russia era pronta a fermare i combattimenti se l’Ucraina avesse accettato di rimanere neutrale, ma l’Occidente ha consigliato a Kiev di andare avanti, ha ammesso venerdì il capo della fazione parlamentare del presidente Volodymyr Zelens’kyj – e capo negoziatore dei colloqui di pace di Istanbul – David Arakhamia, noto anche con lo pseudonimo di David Braun.
Già negoziatore anche al primo round di incontri al confine con la Bielorussia (con il collega Denis Kireev, poi trucidato per strada a Kiev), l’uomo guida il gruppo parlamentare di Servitore del popolo, il partito di Zelens’kyj dal nome della popolare serie TV che lo ha lanciato.
Arakhamia ha dichiarato al canale televisivo 1+1 che Mosca aveva offerto a Kiev un accordo di pace nel marzo 2022, ma la parte ucraina non si fidava della Russia.
«L’obiettivo della Russia era esercitarci pressione affinché assumessimo la neutralità. Per loro la cosa principale era questa: erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo accettato la neutralità, come fece una volta la Finlandia, e ci impegnassimo a non aderire alla NATO. Questa era la cosa principale», ha detto Arakhamia.
Tuttavia, accettare la neutralità e rinunciare all’adesione alla NATO avrebbe richiesto la modifica della costituzione dell’Ucraina, ha spiegato Arakhamia. «In secondo luogo, non c’era fiducia nei russi che avrebbero fatto una cosa del genere. Ciò potrebbe essere fatto solo con garanzie di sicurezza», ha detto a 1+1, il canale che trasmise la serie in cui Zelens’kyj era presidente – emittente posseduta dall’oligarca Igor Kolomojskij, considerato un tempo puparo dell’attuale presidente, oggi invece perseguito dalle autorità di Kiev.
Durante i colloqui, ha aggiunto l’Arakhamia, l’allora primo ministro britannico Boris Johnson arrivò a Kiev e disse ai funzionari ucraini di continuare a combattere e di non firmare alcun accordo con Mosca. La rivelazione conferma quanto si sapeva da mesi, e riportato da Renovatio 21 già a inizio settembre 2022.
Il ruolo di Johnson nel far naufragare i colloqui di pace a Istanbul è stato rivelato nel maggio 2022 dal quotidiano Ukrayinska Pravda e successivamente da un articolo della rivista statunitense Foreign Affairs, che citava fonti nello Stato USA.
Tuttavia, né il politico britannico – che fu estromesso dalla carica di primo ministro nel giugno di quell’anno e alla fine ottenne un lavoro presso un think tank americano – né il governo degli Stati Uniti hanno mai riconosciuto ufficialmente di aver esercitato pressioni su Kiev affinché rinnegasse la bozza di accordo, che lo stesso Arakhamia aveva firmato con i russi.
Anche Kiev non si era mai pronunciata ufficialmente sulla questione – almeno fino ad ora.
Ad un forum a San Pietroburgo cinque mesi fa, il presidente russo Vladimir Putin aveva rivelato ai leader africani che Mosca e Kiev avevano firmato un progetto di accordo «sulla neutralità permanente e le garanzie di sicurezza per l’Ucraina» durante i colloqui ospitati da Ankara.
Non appena la Russia ha ritirato le sue truppe dalle vicinanze di Kiev, l’Ucraina, come gesto di buona volontà, ha rinnegato l’accordo, ha accusato Putin.
Il ritiro russo fu presentato dai governi e dai media occidentali come una vittoria militare ucraina e iniziarono a inviare armi pesanti ed equipaggiamenti al governo di Zelenskyj, alimentando il conflitto per i successivi 18 mesi, un’ecatombe che potrebbe aver portato a più di mezzo milione di morti.
Questa settimana Putin ha ribadito pubblicamente che «la Russia non ha mai rinunciato ai colloqui di pace con l’Ucraina».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Missili Hezbollah contro basi israeliane
⚡️⭕️#LEBANON, Hezbollah :
The Israeli Meron air base and its surroundings are being subjected to the strongest targeting operation so far. Iron dome seems to be absent, rockets are landing and there are reports of precise targeting on the base (probably ATGMS). pic.twitter.com/EvnavJ6BZP — Middle East Observer (@ME_Observer_) April 27, 2024
⚡️ #Hezbollah statement :
In response to the #Israeli enemy’s attacks on the steadfast southern villages and civilian homes, especially the towns of Al-Qozah, Markaba, and Serbin, the Mujahideen of the Islamic Resistance bombed the Meron settlement and the surrounding… pic.twitter.com/om5HpMkXPQ — Middle East Observer (@ME_Observer_) April 27, 2024
Ieri l’aeronautica israeliana ha condotto una serie di attacchi aerei nei villaggi di Al-Quzah, Markaba e Sarbin, nel Libano meridionale, presumibilmente prendendo di mira le «infrastrutture terroristiche e militari» di Hezbollah. Venerdì l’IDF ha colpito anche diverse strutture a Kfarkela e Kfarchouba. Secondo quanto riferito, gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno tre persone, tra cui due combattenti di Hezbollah. I media libanesi hanno riferito che altre 11 persone, tra cui cittadini siriani, sono rimaste ferite negli attacchi. Il gruppo armato sciita ha ripetutamente bombardato il suo vicino meridionale da quando è scoppiato il conflitto militare tra Israele e Hamas lo scorso ottobre. Anche la fondamentale base israeliana di sorveglianza aerea sul Monte Meron è stata attaccata in diverse occasioni. Hezbollah aveva precedentemente descritto la base come «l’unico centro amministrativo, di monitoraggio e di controllo aereo nel nord dell’entità usurpatrice [Israele]», senza il quale Israele non ha «alcuna alternativa praticabile».🔴 And then Hezbollah rockets hit Israel pic.twitter.com/bm0Fsrna6A
— S p r i n t e r F a c t o r y (@Sprinterfactory) April 27, 2024
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Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
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