Geopolitica
PERCHÉ NON VOGLIONO MARCELLO FOA?

La reazione alla nomina di Marcello Foa a Presidente RAI è stata rivelatrice di tante, tantissime cose.
Non sappiamo nemmeno da dove iniziare, ma ci proviamo lo stesso, perché quest’isteria, questo infojamento totalmente imprevisto, ci racconta di tante trame diverse: partitiche, geopolitiche, financo industrial-sanitarie.
Colpisce il linciaggio a cui è stato costretto il Foa. Dalle connazionali corpulente che su Twitter schizzano felicemente bile perché si leva dall’Isvizzera, alle accuse di essere un «ebreo fascista», più le vignette di ogni sorta, come quella, anche divertente, in cui la sigla del TG1 invece che mostrare il globo terrestre mostra una terra piatta. Se non l’avete vista, non vi preoccupate: gira solo sulle «bubble» di quelli di sinistra, cioè il continuum social distinto, per algoritmo, da quello di destra: proprio così, oramai la società non ha più nessun comune denominatore mediatico, e questo è parte del problema di vera guerra ideologica civile che stiamo vivendo.
Questo infojamento totalmente imprevisto, ci racconta di tante trame diverse: partitiche, geopolitiche, financo industrial-sanitarie
In molti hanno dettagliato l’arrivo di una tempesta che travolgerà Salvini permettendo infine la nascita di un ircocervo renzusconiano – quello che in pratica PD e Forza Italia erano convinti di trovarsi pronto a marzo e per il quale apparecchiarono la presente legge elettorale. Forza Italia lavora già per questa prospettiva, basta vedere la copertina di Panorama di questa settimana, il giornale da cui deriva uno dei principali frondisti forzisti (l’altro è l’indicibile Gasparri) anti-Foa, Mulè: L’Italia è indemoniata. E non si capisce se Salvini sia l’esorcista o il demone stesso.
Renzi e Berlusconi, sussurravano tutti qualche mese fa, avrebbero pronto un partito, baciato in fronte da Verdini e dalla Massoneria. Tale agglutinazione del vecchio sistema dovrebbe tornare a prendersi il potere dopo lo sfascio programmato del governo pentaleghista.
La tempesta, dicono, arriverà anche per tramite dei giudici: uno strumento che sia il PD che Berlusconi, per opposti motivi, conoscono benissimo. Il riciclo coatto dello scandalo dei fondi alla Lega di Bossi sarebbe solo l’antipasto.
Giudici e scandali: io credo vi sia per la questione un algoritmo statistico. Se andate con la memoria indietro di una diecina di anni, rammenterete la primavera 2009. Berlusconi era atteso da Putin a Mosca per quella che era la più grande missione mai organizzata dall’Istituto del Commercio Estero (ICE). Io ero colà, ma Berlusconi non lo vedemmo: in quella ore vi fu il terremoto dell’Aquila, e Silvio vi si precipitò senza indugi. Tra foto che lo ritraevano triste a guardare il finestrino dell’elicottero e momenti di commozione con le vecchiette (oltre che a qualche barzelletta bestemmiosa su Rosi Bindi) la sua popolarità scattò alle stelle. Ad un anno dalla elezione a premier, Berlusconi aumentava di popolarità invece che calare.
Scattò il piano che tutti ricordiamo: apparve Noemi Letizia, la minorenne al cui compleanno presenziò Berlusconi, poi la escort pugliese (beccata poi con milioni di euro a Dubai), poi la moglie che si separa con una lettera su Repubblica, poi il bunga bunga, Fini che gli punta il dito contro e scinde il PDL, Ruby Rubacuori, il processo eterno per i diritti TV, e poi ancora lo spread, le risatine tra Sarkozy e la Merkel…
La popolarità di Berlusconi, raggiunta una certa soglia di allarme, fu abbattuta; la sua carriera politica pure.
Ora è la stessa fazione berlusconiana che vuole servire la stessa minestra a Matteo Salvini, reo di quello che – dati alla mano – è il più grande capolavoro di crescita partitica post-elettorale. Dal 17% delle elezioni ora Salvini avrebbe oltrepassato il 30%, praticamente un raddoppio, andandosela a giocare con il M5S come primo partito.
Dinanzi a questo disegno, vi state chiedendo ancora se fosse possibile mettere in testa alla RAI un uomo onesto come Foa?
Quando si fa un golpe, anche chi non ha letto il manuale per il Colpo di Stato di Luttwak lo sa, bisogna sempre prendere i mezzi di informazione.
Alla campagna per la distruzione della candidatura Foa, quindi, hanno concorso varie ragioni – che qui analizzeremo in dettaglio – con tutti gli strumenti di cui si può disporre.
Assenza delle Wikipedia wars
Qualcuno ha notato che è stata «manomessa» la pagina di Wikipedia relativa al Foa, tuttavia qui voglio spiegare un paio di cose in base all’esperienza diretta. Personalmente, io non mi scandalizzo, se mai rifletto sull’immaturità mediatica del governo. Il sottoscritto negli anni ha partecipato mercenariamente a diverse campagne elettorali, producendo spot televisivi e pure qualche altra operazione.
In un caso di oramai qualche lustro fa, intuii il potere che stava assumendo Wikipedia, che stava divenendo silenziosamente quello che è oggi: la carta moschicida del giornalista, la fonte da cui puoi copiare impunemente, riducendoti il lavoro di ore, senza nessuna conseguenza. Feci aggiungere alla relativa pagina di Wikipedia una semplice riga che indicava una particolarità del candidato avversario che era stata ampiamente riportata dai giornali, ma che nessuno voleva tenere a mente…
Patatrac, quando l’avversario sciolse i dubbi e si candidò, i giornalisti si fiondarono su Wikipedia, e trovarono anche quel piccolo dato controverso (molto controverso, e documentato) che davano il giusto spin alla nostra contro-campagna.
Come si ottiene una cosa del genere? Beh, bisogna conoscere dei wikipediani. Ossia, i volonterosi estensori delle voci di Wikipedia, un club dove si è registrati e dove vale l’anzianità, etc. I wikipediani, un tempo creature di nerditudine inarrivabile, sono aumentati a dismisura, ed è facile comprendere come molte forze della società ne abbiano infiltrato le fila. Il Vaticano, si diceva, avrebbe i suoi agenti wikipediani. Così come una reale europea, beccata a far cambiare la voce che la riguardava.
Infatti, passati due anni, ritentai con un altro candidato di cui stavo seguendo i contenuti, in una elezione molto più importante: trovai un fuoco sbarramento mai visto prima, con wikipediani che accusavano i miei wikipediani di «propaganda politica», anche negli argomenti in cui questa proprio non vi era.
Sono le cosiddette wikipedia wars: ricordo ancora quella che io e un amico dovemmo subire quando immettemmo la voce «Bar Basso», storico locale di Milano dove venne inventato il Negroni Sbagliato.
Ora, è chiaro quindi che né la Lega né i 5 stelle (il partito di internet e della tecnologia, come no) hanno una forza wikipediana a loro favore, mentre il PD di pasdaran nell’enciclopedia mondiale ne ha frotte.
Come insegnano i veri giornalisti d’inchiesta negli USA – quelli che i giornaloni non vogliono più, come Wayne Madsen o il celebratissimo quanto emarginato Seymour Hersh – mai credere a quello che scrive Wikipedia. Mai: perché è già precotto da altri, da «uffici stampa» (una volta li chiamavano così) di potenze che hanno intelligenza e danaro per far trovare a chi si vuole informare una pappa pronta apparentemente incontrovertibile.
Wikipedia, essendo il primo risultato che dà Google ad ogni ricerca, è la spina dorsale della conoscenza mondiale. È vitale esservi dentro, è vitale dirigerla, tanto più che essa ha l’aria di essere «libera», «spontanea», pura come l’acqua minerale della pubblicità, che sgorga meravigliosamente dalla montagna della vita.
L’informazione mondiale è manipolata, e dall’elezione di Donald Trump l’ha capito il mondo intero.
Non è così. L’informazione mondiale è manipolata, e dall’elezione di Donald Trump l’ha capito il mondo intero.
Di questo si è pure occupato lo stesso Foa, che ha scritto per Guerrini e Associati (un editore «tecnico», specializzato in comunicazione) il libro Gli Stregoni della Notizia. Da qualche anno, egli portava avanti lo studio degli spin doctor, concetto conosciuto negli USA ma ancora un po’ oscuro in Italia…
Questo ci porta ad un altro motivo della violenta ripulsa per Foa.
Il controllo delle fake news di Stato
Non serve un genio per capire che una figura come Foa, il giornalista italiano più visibilmente smaliziato nei confronti dei sistemi di informazione moderni, avrebbe potuto cominciare a nuocere alle narrative che ogni giorno raggiungono le case degli italiani nell’unico mezzo che si salva dalla bubble dei social media (che tramite gli algoritmi ci imprigionano nelle nostre stesse opinioni, perché sono quelle dei nostri amici…).
Vi sono delle narrative che devono essere portate avanti dalla TV di questo Stato europeo, stato a sovranità limitata.
Vi sono delle narrative che devono essere portate avanti dalla TV di questo Stato europeo, stato a sovranità limitata.
In particolare, le narrative a cui la TV di Stato deve fare da cassa di risonanza sono:
– La Russia è cattiva. Prendete la notizia recente degli «estremisti di destra simpatizzanti della Lega» che combattono per Putin in Donbass, con la magistratura italiana ad indagare su una cosa talmente pacificamente risaputa che Le Iene ci fecero pure un servizio tre anni fa, con nomi e cognomi degli stessi che collaboravano volentieri. Si noti invece come chi va a fare il foreign fighter per lo Stato Curdo (molto celebrato dal residuale mondo dei centri sociali e dal gruppo Espresso) si becca invece interviste elogiative. Di Putin, comunque, parliamo più sotto.
– Gli immigrati scappano dalla guerra e dobbiamo accoglierli. L’immigrazione è inarrestabile, immodificabile, è un dogma, è una legge della termodinamica: va accettata e basta. In questo, non è possibile non vedere come la RAI sia la cassa di risonanza dell’immane, ed antico, piano di invasione meticciante espressosi prima con l’assassinio di Gheddafi e poi con l’elezione di bergoglio, il vero principe dei contenuti immigrazionisti da rilanciare varie volte al giorno.
– I vaccini fanno bene e chi li critica è un mostro. Anche su questo diremo due parole più sotto.
Si tratta quindi di assicurare l’incolumità sulla narrativa principale, cioè sulle fake news – perché queste sono bufale, come si diceva una volta, o meglio ancora manipolazioni politiche di alto livello – di Stato, trasmesse non solo in Italia.
Non è possibile accettare qualcuno che metta in pericolo la versione ufficiale; non è possibile perché, avrete visto, il potere mediatico è capace di cose incredibili come produrre bufale per coprire bufale: avete visto il caso di Josefa, la signorina africana ripescata in mare a favore di telecamera, che casualmente giaceva distrutta sul ponte della nave ONG con le unghie colorate. Quando questa stranezza è emersa, ci hanno detto che il colore alle unghie era in pratica parte del protocollo del salvataggio, e si aspettano pure che ci caschiamo.
Il Foa, a giudicare dai suoi interventi sul Giornale così come sul suo blog e i suoi account nei social network, può rappresentare una prima linea programmatica contro questa oscena, continua manipolazione.
Chi ha l’ordine di mantenere intatta la narrativa mondialista ha giocoforza i suoi agenti in tutti i partiti. Compreso il partito un tempo principe del centrodestra, Forza Italia.
Non escludiamo che il disegno fosse proprio questo: il decoupling definitivo tra la Lega e il partito oramai minoritario e nano Forza Italia.
Forza Italia in mano agli eurogangster
Il centrodestra, scrivono i giornali, è in frantumi. Non escludiamo che il disegno fosse proprio questo: il decoupling definitivo tra la Lega e il partito oramai minoritario e nano Forza Italia.
Varie indiscrezioni uscite sui giornali hanno parlato di una divisione interna: Ghedini era contrario alla barricata contro Foa, e parrebbe anche Berlusconi, che pure ha il dente avvelenato perché Salvini ha accettato di piazzare la delega alle Telecomunicazioni (tanto importante per l’impresa di famiglia) ad un grillino invece che ad un leghista («una sola cosa gli avevo chiesto!»).
Neppure Berlusconi, nel cui Giornale lavora da decenni il Foa oggi caporedattore degli Esteri, pareva insomma volere opporsi. E invece, colpo di scena: Forza Italia si allinea al PD, incurante del fatto che il gesto la apparenta definitivamente non con la parte politica vitale ma con il partito-zombie per antonomasia, quello rifiutato con disprezzo dal Paese e votato oramai solo da feudi nostalgico-cooperativi chiusi in un paio di regioni catatoniche.
Parrebbe quindi che ad organizzare il raid siano stati, scrive il Corriere, i «Tajani Boys», cioè a la cricca partitica che ruota intorno all’attuale Presidente del Parlamento Europeo, già Commissario Europeo ai Trasporti e all’Industria, in pratica da una decade nella stanza dei bottoni di Borsella (che è l’italiano di Bruxelles, consentiteci di usare questo nome, che rende bene una certa idea).
Tajani è un figuro particolare: trombatissimo nell’elezione a sindaco di Roma, viene immediatamente ripescato e premiato con questi mega-ruoli nel comando centrale dell’Europa Unita.
È possibile pensare che quando Berlusconi prima delle elezioni incontrò l’ebbro-sciatalgico Juncker (l’uomo che dal suo Lussembrugo ha permesso ad Amazon e alle altre multinazionali mondialiste di evadere tasse europee per miliardi di euro), ad organizzare l’incontro fosse stato Tajani. La meccanica della cosa era semplice, e sempre più comune nei momenti pre-elettorali italiani: i capi coalizione volano oltralpe (Bersani e Renzi dalla Merkel, li ricordate?) e si fanno benedire dai poteri extranazionali che ammorbano il nostro Paese.
Il significato era: nonostante tutto, visto il rischio di un governo populista, ti riprendiamo tra noi Silvio; mettiti con Renzi, va benissimo, ma non mandare al potere Salvini che è in sostanza quello che è la Le Pen in Francia, cioè la minaccia assoluta per l’Eurocrazia a trazione tedesca. In ballo c’era anche la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che può rendere Berlusconi di nuovo candidabile; cosa avvenuta comunque.
Tajani è con evidenza il garante dell’euroganga in Forza Italia, e quindi non può che agire in modo totalmente contrario a quello che oramai nel gergo politico mondiale è chiamato «sovranismo».
Il lavoro di Foa rappresenta proprio questo: una minaccia sovranista, in quanto possibile megafono rispettabile (poco attaccabile, perfino ebreo!) delle idee nazionali ed internazionali di Salvini.
Il «sovranismo», nella politica estera mondiale, si traduce con un nome solo: Vladimir Vladimirovič Putin.
Putin Connection
Qualcuno può pensare che sia il filoputinismo il motivo di questa inconsulta reazione profonda contro Foa, inviato per anni a Mosca.
Foa non ha mai nascosto le sue simpatie per l’assetto geopolitico internazionale agito da Putin – ultimo garante di Westphalia, ha detto qualcuno, cioè garante della sovranità degli Stati e dei loro popoli – e in questo non è solo, né in Italia né nel mondo. Difficile per un analista di politica estera non rimanere ammirato, e infine convinto, dal disegno perseguito lucidamente e vittoriosamente dalla Russia: una geopolitica del rispetto, che tratta le altre nazioni non come colonie (vecchio vizio angloide duro a morire, per l’Occidente) e che è in grado di rovesciare lo scacchiere con giocate geniali, e piuttosto pulite, come l’annessione della Crimea o l’intervento in Siria.
Possibile che Forza Italia avesse in mente il filoputinismo di Foa? Io dico di no. Perché è vero che c’è il Tajani euroide e quindi di suo nemico della Russia, ma è altrettanto vero che il capo del partito che ha bocciato Foa è il miglior amico che Putin abbia fuori dalla Russia.
Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, lo credo davvero, hanno un rapporto di amicizia vero e persistente. Qualcuno ricorda le elezioni del 2008? Prima ancora che il vincitore Berlusconi si insediasse, Putin si materializzò a Villa Certosa, tenuta sarda di Silvio, dove elogiò in conferenza stampa congiunta il futuro premier. Qualcuno ricorda forse anche che poco dopo, quando nel colpo di coda neocon dell’era Bush la Georgia attaccò i russi di Ossezia e Abcasia, Berlusconi si schierò apertamente con Putin. Quando in altre conferenze stampa congiunte chiesero a Putin della repressione in Cecenia (che la stampa mondiale, come il Partito Radicale, in mancanza di meglio crede ancora una spina nel fianco eterna di Mosca) rispose lo stesso Berlusconi, buttandosi interamente a difesa dell’amico Vladimir.
Qualcuno ricorda quando pochi anni fa Berlusconi volò nella Crimea ridivenuta russa a passeggiare con Vladimir? Io me lo ricordo perché ero a Kiev. La stizza del governo d’Ucraina (dove Berlusconi, come ovunque nel mondo russofono, dal Turkmenistan alla Siberia, è un mito) fu tale che vollero procedere legalmente per il fatto che Vladimir e Silvio si erano scolati una bottiglia di vecchio cherry. Anche qui, Berlusconi si mise in posizioni estreme – cioè, collidenti con quelle occidentaliste e americane – per amicizia con Vladimir, il quale, annunciò Silvio tanti anni fa, sarebbe stato docente alla sua «Università della Libertà» da aprirsi in una delle sue ville (una promessa mai materializzatasi: Silvio ne ha fatte tante, dalla volontà di non voler nemmeno più prendere un caffè con Bossi, al film su Mandrake quando fondò la Penta Film, a Nesta al Milan che giurò di non voler acquistare davanti ai ciellini del Meeting di Rimini).
No, Foa non è stato punito per il suo putinismo, anche se chi segue la politica interna americana sa che a Washington è in corso un nuovo truce maccartismo in cui Vladimir è accusato di ogni nefandezza possibile.
No, Foa non è stato punito per il suo putinismo
La nomina di Gennaro Sangiuliano al TG1 ne è la prova: Sangiuliano, amico di Salvini, è autore di una celebrata agiografia letteraria del presidente Putin.
Rimane, di fatto, un ingrediente preciso che può fornire una spiegazione alla poderosa reazione avversa contro Foa.
Vaccini e simia dei
Da uomo in grado di discernere il sistema di fake news in cui viviamo immersi, il Foa non poteva non vedere come attorno alla storia dei vaccini vi sia uno strano spin.
C’è quindi una narrativa globale inviolabile, che comprende ovviamente anche la neochiesa, riguardo ai vaccini. Una narrativa granitica quanto sfacciata, impudica, creata schiacciando chiunque osi opporvisi.
Così, si lasciò andare, anche pubblicamente, a qualche pur timida rimostranza nei confronti della legge Lorenzin: 12 vaccini, disse, sono troppi, e poi l’obbligo in Svizzera non c’è, e pure tutto va bene. Notate che la Svizzera, che obbliga alla leva militare i suoi maschi una volta l’anno, è un paese che degli obblighi non ha paura.
Quindi, alla RAI (dove peraltro lavora come direttore delle relazioni istituzionali e internazionali l’Alessandro Picardi, marito della regina dei vaccini Beatrice Lorenzin) ci può andare un vaccino-scettico? Dico: stiamo parlando della RAI, che dai telegiornali ai programmi di inchiesta (ho in mente certe cose raccapriccianti viste su RAI3) mai ha mancato di far avere alla vaccinazione universale (vecchio pallino massonico dell’Ottocento) la sua dose di propaganda spintissima…
Il lettore deve capire che la questione dei vaccini è forse più grande di quello che sembra. Non è una questione nazionale, e nemmeno è una questione sanitaria.
Chi tocca i vaccini, anche con il minimo scetticismo, resta fulminato.
Chi tocca i vaccini, anche con il minimo scetticismo, resta fulminato.
È eclatante il caso di Andrew Wakefield, il primo medico che, inconsapevolmente, toccò questo cavo dell’alta tensione. Nel 1998 pubblicò con altri 12 un articolo scientifico in cui ipotizzava una correlazione tra l’autismo (misteriosa malattia che è in crescita esponenziale, senza che del fenomeno vi sia spiegazione alcuna) e il vaccino MPR, ossia quello del morbillo parotite rosolia.
Come noto, Wakefield negli anni fu radiato, combattuto, sputtanato in ogni modo possibile, sino a che dovette cambiare Paese. A differenza di altri colleghi, che dopo anni di angherie si defilarono, lui mantenne la sua idea.
È molto difficile trovare su Repubblica o sul Corriere il suo nome non accompagnato da parole come «discreditato» «truffatore» «fabbricatore di ricerche fasulle» et similia.
Ebbene, anche a livello della politica nostrana, accadde pochi mesi fa qualcosa di stranissimo. Wakefield era in Italia per presentare il suo documentario sull’autismo e i vaccini, come sempre ostracizzato dai grandi circuiti e sostenuto solo da famiglie di volonterosi. I giornali certo non facevano a gara per metterlo in prima pagina.
Incredibilmente, praticamente in simultanea con la presenza di Wakefield a Roma, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sentì di attaccare pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini
Incredibilmente, praticamente in simultanea con la presenza di Wakefield a Roma, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sentì di attaccare pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini: «Le affermazioni di chi li critica sono sconsiderate e prive di fondamento»).
Mattarella non fece nomi, eppure il riferimento alla giornata italiana di Wakefield (che non è un Presidente della Repubblica, è un medico radiato che vive in Texas lontano da tutto, un insetto) era incontrovertibile.
Mi sono chiesto: ma come è possibile che il Presidente si muova per una inezia del genere? Per una quessione di una nicchia insignificante di lunatici?
La risposta che mi sono dato è semplice: i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.
La risposta che mi sono dato è semplice: i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.
Non è accettabile per nessuna figura di potere dimostrare il minimo cedimento nei confronti dell’imperativo vaccinista. Potete, se volete prendere il caso del M5S e del loro ministro della Salute Giulia Grillo: votata in massa dai no-vax, la Grillo sta ribadendo, anche con insistenza, che di fatto la legge Lorenzin non la cambierà, perché i vaccini fanno bene, e le coperture vaccinali sono necessarie alla Nazione e al progresso.
Come noto, l’Italia divenne capofila di un programma mondiale di ultra-vaccinazione obbligatoria dopo che Beatrice Lorenzin, uomo del partito dei vescovi NCD e ministro della Salute, firmò l’impegno dell’Italia in tal senso a Washington, esattamente nove mesi prima (settembre 2014) di dare alla luce una coppia di gemelli eterozigoti (può sembrarvi gossip, non lo è; certo, può sembrarvi un’altra storia, ma solo fino ad un certo punto).
Né seguì la legge di obbligo vaccinale più draconiana del pianeta, con programmatica esclusione dei bambini non vaccinati dagli asili. La neochiesa diede una mano, rassicurando con un comunicato congiunto della CEI, della SIR e della Pontificia Accademia per la Vita (cioè, Mons. Paglia) che i vaccini, pure contenendo cellule derivate da aborti, erano da farsi, perché quei sacrifici di bambini necessari per produrre i vaccini erano episodi lontani del tempo…
Lo stesso Bergoglio, durante un suo viaggio in Messico si è prestato al lancio di una campagna per la vaccinazione della polio.
C’è quindi una narrativa globale inviolabile, che comprende ovviamente anche la neochiesa, riguardo ai vaccini. Una narrativa granitica quanto sfacciata, impudica, creata schiacciando chiunque osi opporvisi.
Foa, fors’anche inconsapevole, ha avuto la bella idea di farlo, e la modifica di Wikipedia riguardava anche questo.
Per chi non crede ancora nella centralità del dogma vaccinale per il potere mondialista, possiamo solo indicare superficialmente i miliardi versati per i programmi di immunizzazione mondiale dal Bill Gates o dalla Rockefeller Foundation – sì, la dinastia ultra-antinatalista Rockefeller, quella osannata pubblicamente sempre dal nostro caro presidente Mattarella…
Per chi ha la Fede, indichiamo invece, un po’ più in profondità, la natura di un piano che vuole inoculare a tutta la popolazione planetaria pezzi di aborto; o, in altri casi, pezzi di scimmia (in particolare la scimmia verde giapponese) con i quali si fanno, per esempio, il vaccino esavalente Glaxo oggi obbligatorio in Italia.
Secondo alcuni l’SV40, un virus contenuto in tali cellule di scimmia usate nei vaccini, scoperto solo anni dopo le inoculazioni, potrebbe essere alla base della comparsa AIDS. Altri ricercatori lo ritengono come una possibile causa degli aumenti di cancro: si tratta di un virus silente nelle scimmie, ma attivo una volta trasferitosi dalle scimmie all’uomo.
Ma teorie a parte, iniettare in un essere umano un pezzo di scimmia è, oltre che un calembour biologico darwiniano, un lucido scherzo della simia dei.
… un piano che vuole inoculare a tutta la popolazione planetaria pezzi di aborto; o, in altri casi, pezzi di scimmia (in particolare la scimmia verde giapponese) con i quali si fanno, per esempio, il vaccino esavalente Glaxo oggi obbligatorio in Italia.
Il lettore che mi ha seguito fin qui ha capito che ci troviamo dinanzi ad un sistema, politico, geopolitico, economico, metafisico, preternaturale che non può tollerare alcun disturbo, nemmeno da una mosca come Foa.
Ha ragione Panorama. L’Italia è indemoniata.
Tuttavia, pensiamo a quello che fece il Signore, quando incontrò l’«uomo della città posseduto dai demòni» (Luca 8, 30-32)
«“Qual è il tuo nome?”. Rispose: “Legione”, perché molti demòni erano entrati in lui. E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell’abisso. Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise. I demòni uscirono dall’uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò».
I demòni, e i loro porci, annegheranno.
Roberto Dal Bosco
Geopolitica
Macron capitola alle richieste del Niger

La Francia ritirerà i suoi militari e diplomatici dal Niger dopo un colpo di Stato riuscito da parte delle forze antifrancesi, ha detto il presidente Emmanuel Macron domenica 24 settembre.
La decisione comporterà la partenza di circa 1.500 soldati entro la fine dell’anno.
«La Francia ha deciso di ritirare il suo ambasciatore. Nelle prossime ore il nostro ambasciatore e diversi diplomatici torneranno in Francia», ha detto domenica Macron alla televisione France 2.
«Metteremo fine alla nostra cooperazione militare con le autorità del Niger», ha continuato, aggiungendo che le truppe francesi torneranno a casa «nei mesi a venire».
La giunta golpista aveva chiesto in agosto che l’ambasciatore francese Sylvain Itté se ne andasse e aveva revocato la sua immunità diplomatica quando Parigi si era rifiutata.
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La settimana scorsa, Macron aveva affermato che l’esercito nigerino teneva Itté «in ostaggio» bloccando le consegne di cibo all’ambasciata francese.
Inizialmente Parigi aveva respinto anche il ritiro delle truppe francesi, dichiarandosi anche pronta a sostenere un’azione militare dell’ECOWAS. Il Niger aveva accusato la Francia di pianificare un’aggressione.
La giunta di Niamey ha inoltre sospeso le vendite di uranio ai francesi, che utilizzano il minerale estratto in Niger per coprire il 30% del fabbisogno per la produzione di energia atomica, che viene peraltro venduta anche all’Italia, che ne è dipendente per il 6%.
Come riportato da Renovatio 21, anche gli USA avevano deciso di chiudere le basi militari, una delle quali per droni, sul territorio nigerino, tuttavia pare che negli ultimi giorni sia arrivato un contrordine, e gli americani resteranno.
Il Niger e altri Paesi del Sahel stanno subendo in queste settimane attacchi da parte del terrorismo jihadista, d’improvviso riapparso.
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Immagine di US Africa Command via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Geopolitica
Le forze di pace NATO hanno dato al Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi: parla il presidente serbo Vucic

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Geopolitica
Hillary Clinton: Putin ci odia. Spieghiamo invece il vero motivo per cui lei odia Putin

L’ex candidata presidenziale americana Hillary Clinton ha detto all’ex portavoce della Casa Bianca Jennifer Psaki che il presidente russo Vladimir Putin «odia» gli Stati Uniti. L’ex candidata presidente battuta da Donald Trump ha inoltre affermato che Mosca interferirà nelle elezioni del 2024, ripetendo accuse mai provate del 2016 e del 2020.
«I russi hanno dimostrato di essere piuttosto abili nell’interferire e se [Putin] avrà una possibilità, lo farà di nuovo», ha insistito Clinton durante l’intervista di domenica alla MSNBC, sottolineando che il leader russo, che la sua campagna ha notoriamente accusato di sostenere il suo rivale repubblicano, Donald Trump, nel 2016, «odia la democrazia».
«Odia particolarmente l’Occidente, e odia soprattutto noi», ha detto, sostenendo che Putin era dietro una strategia deliberata per «danneggiare e dividere» gli Stati Uniti. Il candidato, due volte bocciato, ha invitato gli americani a resistere alla presunta tirannia del «dittatore autoritario» della Russia, così come ai suoi «apologisti e facilitatori».
«Dobbiamo respingere una sorta di fascismo strisciante di persone che sono veramente pronte a cedere il loro pensiero, i loro voti ad aspiranti dittatori», ha aggiunto Clinton.
Psaki, conduttore di MSNBC da quando ha lasciato la Casa Bianca l’anno scorso, ha rivelato tristemente al pubblico che l’amministrazione del presidente Joe Biden stava tentando di controllare la narrativa del COVID-19 sui social media nel 2021, ammettendo che il governo stava «segnalando i post problematici per Facebook». Successivamente è emerso che diversi enti governativi avevano rappresentanti che si incontravano regolarmente con le piattaforme di social media per richiedere la rimozione dei contenuti, il divieto degli utenti e la promozione di contenuti considerati più favorevoli a Washington.
All’Eastern Economic Forum all’inizio di questo mese, Putin ha denunciato l’amministrazione Biden come irrimediabilmente corrotta e impegnata nella persecuzione politica del predecessore repubblicano del presidente, sostenendo che la campagna legale contro Trump ha messo in luce «il marciume del sistema politico americano, che non può pretendere di insegnare altri democrazia», scrive RT.
Il presidente russo ha ricordato al pubblico che le accuse di collusione russa mosse contro Trump da Clinton e altri – in seguito rivelate essere basate su mandati di sorveglianza illegali, informazioni fasulle e prove falsificate – erano «assolute sciocchezze».
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Il procuratore speciale del Dipartimento di Giustizia John Durham ha ritenuto che le indagini dell’FBI sui presunti legami di Trump con la Russia fossero enormemente viziate, concludendo in un rapporto pubblicato all’inizio di quest’anno che l’agenzia «non è riuscita a sostenere la propria missione di rigorosa fedeltà alla legge» basandosi su informazioni di dubbia provenienza.
Le agenzie di Intelligence statunitensi hanno ribadito le loro accuse di ingerenza elettorale del 2016 con un rapporto in cui insistevano sul fatto che Mosca aveva manipolato il voto del 2020 a favore di Trump. Tuttavia, non è mai stata condotta alcuna indagine ufficiale su tali accuse e lo stesso rapporto alla fine ha ammesso che non era stato effettivamente fatto alcuno sforzo per interferire con i totali dei voti.
La ruggine fra la Clinton e Putin è antica, e più profonda di quanto non si creda, perché non riguarda la sola Hillary ma la matrice di potere da cui proviene.
L’insulto più noto risale ad anni fa. La Clinton, in un incontro pubblico, se la prese con George W. Bush – un teatrino di facciata, certo, perché sappiamo come lui la consideri un membro della famiglia Bush, e abbia operato appena eletto a elargire grazie ai collaboratori di Clinton che potevano scoperchiare certi vasetti di Pandora lasciati dal Bill – accusandolo di ingenuità. Quest’ultimo aveva dichiarato che aveva guardato negli occhi di Putin, dicendo poi di averne visto l’anima e quindi di potersene fidare. La Clinton disse, facendo ridere il suo pubblico idiota, che era impossibile, perché Putin è una spia del KGB, quindi «Putin non ha un’anima». (La Clinton, ricordiamo, è moglie del grande amico di Jeffrey Epstein Bill Clinton; la coppia è omonima di quel Clinton Body Count che è sicuramente una teoria cospirazionista per malati di mente diffusori di fake news).
Putin di suo nel 2014 aveva affermato in un’intervista che Hillary è «debole», aggiungendo che l’ex segretario di Stato «non è mai stata troppo aggraziata nelle sue dichiarazioni».
La realtà è che la Clinton non può che essere una continuazione del mondo da cui proviene il marito Bill, che è quello descritto dal professor Carrol Quigley, che di Bill fu professore a Georgetown, nel suo libro Tragedy and Hope, un libro volume di oltre 1000 pagine che per anni fu tolto dal commercio.
Quigley aveva ottenuto il permesso di lavorare agli archivi del Council for Foreign Relations, think tank rockefelleriano che dirige le scelte di politica estera (e quindi di guerra) degli USA. L’accademico se ne era uscito con questo enorme saggio sulla storia del gruppo che, a suo dire, davvero controlla la storia, che lui chiama «l’establishment anglo-americano». Tale gruppo di potere, che rappresenta una continuazione della strategia dell’impero britannico, vorrebbe sottomettere l’intero globo al dominio anglo-americano e del suo oligarcato – e quindi del neoliberismo, e più avanti, di un socialismo capitalista («fabiano») di cui vediamo i prodromi in Cina e nelle allucinazioni del World Economic Forum.
Di qui la necessità di eliminare chiunque, difendendo sovranità di qualsiasi tipo davanti al progetto mondialista, possa rappresentare un ostacolo all’attuazione del piano di omogeneizzazione mondiale dell’establishment di cui parla Quigley, il quale vedeva pure il fenomeno sotto una luce positiva.
È noto che Clinton citò almeno una volta direttamente Quigley in un suo discorso.
Questa storia che vi stiamo raccontando è in qualche modo specchiata nel libro di Robert Harris, poi divenuto film di Roman Polansky, Ghost Writer (), che si pensa sia ispirato a Tony Blair e a suoi moglie (secondo la finzione, il vero collegamento con il gruppo dell’establishment) ma che si può trasporre anche al caso dell’omologo americano Bill Clinton, protagonista con lo scozzese del cosiddetto «Ulivo mondiale» di fine anni Novanta che ha devastato i Balcani, di fatto iniziando a far retrocedere gli alleati di Mosca e avanzare la NATO.
La creazione stessa dell’Ucraina, una realizzazione dei Clinton, va in questa direzione.
L’odio di Hillary per Putin non è quindi una questione ideologica, né personale: è molto di più, è un odio metapolitico, metastorico, legato ad antichi progetti di immane portata per il destino del mondo.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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