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Stefano Montanari sui casi di pertosse: «somministrare un vaccino in gravidanza significa mettere a rischio il feto»

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Dottor Montanari, ha seguito la tragica notizia delle due neonate morte di pertosse all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo?

Molto poco. Quando la notizia è uscita mi trovavo a Pesaro per due giorni, impegnato con il microscopio elettronico reduce da un intervento tecnico di riparazione. Qualcosa, però, è stato impossibile non sentire, stante la pubblicità che ne è uscita. La prima cosa che mi è venuta in mente è che ogni giorno, stando alle statistiche ufficiali italiane, a mio parere robustamente sottostimate, ogni giorno muoiono da 19 a 20 persone nel nostro paese per le malattie contratte in ospedale a causa della loro sozzura. Non parliamo di chi da quei luoghi esce con una malattia nuova. Di questo nessuno parla e non si spende un centesimo per ovviare alla strage. La seconda cosa che mi è venuta in mente è che ci troviamo al cospetto di un espediente molto poco onorevole escogitato da piazzisti di infimo ordine.

 

Le reazioni dei media non trova siano state stupefacenti, anche per il dovuto rispetto che si dovrebbe mostrare nei confronti delle famiglie in questo doloroso e delicato momento?

Noi continuiamo a stupirci di fatti del tutto normali. Viviamo in un regime dittatoriale sicuramente molto particolare e unico nella storia, ma un regime che condivide tanti aspetti con tutti quelli che l’hanno preceduto e che lo affiancano temporalmente. Lei mi parla di rispetto, ma che rispetto si ha, in genere, per degli animali da reddito?

 

Ancora più stupefacente però, se mi permette, è che gira che ti rigira, quello che trapela, è che la «colpa» sarebbe delle madri non vaccinate.

La novità è quella di far cadere la responsabilità sulle madri non vaccinate

Per prima cosa, da quanto mi pare di avere colto, non esiste nessuna evidenza autoptica che conforti la notizia della morte causata da pertosse. Tutto è possibile, naturalmente, ma di solito non c’è tanta fretta e, se si sente il bisogno di rendere pubblico un fatto come quello di cui si parla, si aspetta di avere un riscontro certo. La novità, quella sì stupefacente per la sua stravaganza, è quella di far cadere la responsabilità sulle madri non vaccinate. Una bizzarria simile, ovviamente non credibile da chiunque abbia un minimo di nozioni sull’argomento, si giustifica solo con la certezza di rivolgersi ad un pubblico totalmente impreparato culturalmente ma perfettamente addestrato a credere a qualunque cosa, non importa quanto fantasiosamente campata per aria, purché esca dalla bocca dell’addestratore.

 

Ora però i genitori dell’ultima bambina morta, secondo quanto riporta il Corriere, smentiscono facendo presente che ambedue erano vaccinati e sani: cosa può esser successo allora? 

Io non sono al corrente di ciò che sta accadendo e credo che pochi lo siano, ma non mi sorprenderò se qualunque informazione che possa mettere a rischio la tesi demenziale avanzata subirà la dovuta censura. E se le mamme avessero contratto la pertosse da bambine superando la malattia senza problemi come capita nella quasi totalità dei casi? È curioso che a nessuno sia passato per la mente di porsi la questione.

E se le mamme avessero contratto la pertosse da bambine superando la malattia senza problemi come capita nella quasi totalità dei casi? È curioso che a nessuno sia passato per la mente di porsi la questione.

 

La pertosse può colpire anche i neonati, persino quelli non ancora vaccinati. Burioni ci dice quindi che deve essere vaccinata la madre in gravidanza: le pare la giusta soluzione? 

Di Burioni preferisco non parlare. Siamo su livelli talmente diversi che non può esserci comunicazione e, comunque, io non voglio in alcun modo avere a che fare con lui se non attraverso quel confronto su basi esclusivamente scientifiche che lui da anni evita accampando scuse su cui non voglio pronunciarmi per pudore. Resta il fatto che vaccinare in gravidanza, e questo vale per qualunque vaccino, è inconcepibile se parliamo di medicina. Se parliamo di quattrini, la cosa cambia aspetto, ma qui io non c’entro più. Quando, quasi mezzo secolo fa, io sostenni l’esame di farmacologia, e per noi era un esame serio che non teneva conto delle esigenze, peraltro allora poco presenti, delle case farmaceutiche, se avessi detto di vaccinare una donna gravida il professor Luigi Molinengo, pur con la cortesia che era connaturata in lui, mi avrebbe giustamente mostrato la porta. Ora uno strafalcione simile finisce in pasto ai teledipendenti e diventa la verità indiscussa. Somministrare un vaccino in gravidanza significa mettere a rischio pesantissimo il feto. Inquinanti vari comprese le particelle che noi troviamo da 16 anni, antibiotici impossibili da somministrare a un bambino e, allora, figuriamoci ad un feto!, formaldeide, alluminio… Con i farmaci non si gioca, anche se ci sono tanti sodi in ballo.

Somministrare un vaccino in gravidanza significa mettere a rischio pesantissimo il feto. Inquinanti vari comprese le particelle che noi troviamo da 16 anni, antibiotici impossibili da somministrare a un bambino e, allora, figuriamoci ad un feto!, formaldeide, alluminio…

 

 Sempre il Corriere della Sera, invece, ci presenta un’altra soluzione: la «strategia del bozzolo»: «Se le neomamme non si sono vaccinate in tempo? «Possono farlo entro i tre mesi di vita del bambino: anche i famigliari stretti dovrebbero essere sottoposti a richiamo. È quella che si chiama “strategia del bozzolo”, permette di creare attorno al neonato una vera e propria zona di sicurezza».

Quando l’ignoranza sconfina … Prescindendo dalla follia di vaccinare una donna incinta, in particolare il vaccino antipertosse ha un’efficacia tutta da dimostrare e, comunque, rende il vaccinato un untore a vita per la malattia. Dunque, vaccinare la famiglia aggrava il problema.

 

È così che si risolverebbe il problema?

Dipende da che cosa s’intende per soluzione. Uno statista di nome Adolf Hitler parlava di soluzione finale ed era applaudito da decine di milioni di persone.

 

Può spiegarci bene cosa sia la pertosse e come mai il vaccino non rende immuni?

Si tratta di una malattia infettiva particolarmente contagiosa trasmessa da un batterio Gram-negativo chiamato Bordetella pertussis. La trasmissione avviene inalando le goccioline di saliva o di muco emesse dai malati. È una malattia comune che colpisce decine di milioni di persone ogni anno, specie bambini, con manifestazioni che possono andare dalla quasi inosservabilità a tossi violente con vomito e che di norma guarisce senza strascichi e senza terapie. Il vaccino usato ora sostituisce quello di un tempo che era particolarmente gravato da effetti indebiti ma la sua efficacia è scarsa. Per ovviare al problema si sottopone il soggetto a richiami ripetuti ma l’efficacia resta scarsissima se mai esiste. Non ci si deve stupire, però: i vaccini sono tutti poco efficaci, e se dico poco regalo loro più di qualcosa.

Per ovviare al problema della scarsa efficacia del vaccino per la pertosse si sottopone il soggetto a richiami ripetuti ma l’efficacia resta scarsissima se mai esiste. Non ci si deve stupire, però: i vaccini sono tutti poco efficaci, e se dico poco regalo loro più di qualcosa.

 

«Contrariamente ad altre malattie infettive, la pertosse può colpire anche i neonati di madre immune.  Sembra infatti che gli anticorpi materni che costituiscono le loro prime difese non siano in grado di proteggerli contro questa infezione». Questo è ciò che dice l’ISS. Corrisponde dunque al vero? Eppure Burioni sembra ignorare totalmente questa precisazione.  

Sì, è vero. Le ho detto che quello che dice Burioni non m’interessa.

 

Sempre Burioni, nelle ultime ore, si è lasciato andare a passaggi davvero illogici uniti quasi ad ammissioni insolite. Le riporto alcuni suoi passaggi uniti a qualche domanda in mezzo. «Fino agli anni 90 contro la pertosse abbiamo usato un vaccino estremamente efficace che era però gravato di alcuni effetti collaterali rari, ma non trascurabili». Burioni ammette il danno da vaccino? Di quali casi parla? Ma i vaccini non erano «i farmaci più sicuri che ci sono»?. «Dopo quel momento, siamo passati ad un vaccino detto “acellulare”, che è sicurissimo ma meno potente». Quindi quello precedente era insicuro?. «A causa di questa minore efficacia, e pure delle mancate vaccinazioni, i casi di pertosse stanno aumentando». Quindi il vaccino per la pertosse è inefficace? Si prende la pertosse anche se si è vaccinati per la pertosse?

Stiamo parlando di Burioni che va preso per quello che è.

 

Dott. Montanari, scusi la franchezza, ma siamo dinnanzi ad un altro passo nel mercato del farmaco? Cioè, dopo il vaccino venduto per il bambino appena nato, ora se ne venderà uno certo anche per la madre?

L’industria farmaceutica è riuscita in un’impresa commerciale che non ha uguali. Chissà se il povero Ippocrate sta in qualche modo cercando di uscire dall’aldilà armato di randello.

Chissà se il povero Ippocrate sta in qualche modo cercando di uscire dall’aldilà armato di randello

 

Questo passaggio non sembra allontanarsi molto dal modus operandi del nuovo Ministro alla salute Giulia Grillo, che proprio ieri, davanti alle Commissioni parlamentari preposte, a proposito del morbillo, ha fatto presente che bisognerà agire sulle fasce adulte, spesso scoperte da coperture vaccinali.   

Il mio vecchio professore di fisiologia ci diceva: «Nonostante le vostre cure, la maggior parte dei vostri pazienti guarirà». La ministra Grillo, mai eletta da nessuno e, dunque, seduta deve sta fuori dei confini della Costituzione, sarà uno degli elementi che metteranno alla prova la veridicità di quella frase. Se la Natura avrà interesse a salvare l’homo sapiens, scoverà qualcosa anche per difenderci dal ministro.

 

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Reazioni avverse

Cicatrici cardiache rilevate oltre 1 anno dopo la vaccinazione COVID-19: studi

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Cicatrici cardiache sono state rilevate più di un anno dopo la vaccinazione contro il COVID-19 in alcune persone che avevano sofferto di miocardite a seguito di un’iniezione, hanno riferito i ricercatori in nuovi studi. Lo riporta la testata americana Epoch Times.

 

La miocardite, come noto, è una forma di infiammazione del cuore, di cui molto si è parlato negli ultimi anni.

 

Un terzo dei 60 pazienti con imaging cardiaco di follow-up eseguito più di 12 mesi dopo la diagnosi di miocardite presentava un persistente potenziamento tardivo del gadolinio (LGE), che è, nella maggior parte dei casi, riflettente cicatrici cardiache, hanno riferito ricercatori australiani in una prestampa di un nuovo studio pubblicato il 22 marzo.

 

Il tempo mediano dalla ricezione di un vaccino all’imaging di follow-up è stato di 548 giorni, con l’intervallo più lungo di 603 giorni.

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«Abbiamo scoperto che l’incidenza della fibrosi miocardica persistente è elevata, osservata in quasi un terzo dei pazienti a più di 12 mesi dalla diagnosi, il che potrebbe avere implicazioni per la gestione e la prognosi di questo gruppo prevalentemente giovane», scrivono i ricercatori. «Le implicazioni cliniche a lungo termine della LGE in questa condizione sono ancora sconosciute, ma è stato dimostrato che la LGE conferisce una prognosi peggiore nella miocardite non associata al vaccino COVID-19, soprattutto se persiste oltre i sei mesi», hanno aggiunto in seguito, facendo riferimento a diversi documenti precedenti.

 

I ricercatori in uno degli articoli precedenti, ad esempio, hanno scoperto che l’LGE era un «potente prognostico» di esiti avversi nei pazienti con miocardite.

 

Prima del nuovo test, nove pazienti erano stati accertati come affetti da miocardite e 58 pazienti erano stati etichettati come probabilmente affetti da miocardite. I risultati di LGE persistente hanno portato a riclassificare 16 casi da miocardite probabile a miocardite certa.

 

Sono state esclusi i pazienti in gravidanza o allergici agli agenti utilizzati nei test del gadolinio.

 

Tra un sottogruppo di 20 pazienti sottoposti a imaging subito dopo la vaccinazione, 19 avevano LGE. Nell’imaging di follow-up, LGE non era più visibile in 10 di questi pazienti. In cinque è stato ridotto, ma in quattro è rimasto invariato.

 

Andrew Taylor, professore alla Central Clinical School della Monash University, e i suoi coautori hanno condotto lo studio reclutando pazienti a cui era stata diagnosticata una miocardite associata alla vaccinazione COVID-19 tra agosto 2021 e marzo 2022. I pazienti sono stati invitati a sottoporsi a imaging presso l’Alfred Ospedale o Royal Children’s Hospital di Melbourne, Australia.

 

La popolazione dello studio con imaging di follow-up comprendeva 44 adulti e 16 adolescenti. «La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto un’iniezione Pfizer-BioNTech. Una minoranza aveva ricevuto una vaccinazione Moderna o AstraZeneca. Le società non hanno risposto alle richieste di commento» scrive Epoch Times.

 

I limiti del documento, che è stato pubblicato prima della peer review, includevano possibili errori di selezione, poiché la partecipazione allo studio era volontaria. Gli autori non hanno elencato conflitti di interessi o finanziamenti.

 

In un altro articolo recente, ricercatori canadesi hanno riferito di aver riscontrato che circa la metà dei pazienti sottoposti a imaging a causa di una possibile miocardite post-vaccinazione presentavano LGE persistente nell’imaging di follow-up. Complessivamente, 60 pazienti sono stati inclusi nello studio retrospettivo. Di questi, sette hanno riportato sintomi persistenti.

 

In un sottogruppo di 21 pazienti per i quali erano disponibili risonanze magnetiche di follow-up, 10 avevano LGE persistente, hanno detto i ricercatori. D’altra parte, la funzione del ventricolo sinistro, che pompa il sangue, si era normalizzata in tutti i pazienti.

 

La persistente LGE «probabilmente riflette la fibrosi sostitutiva», o cicatrici cardiache, hanno scritto la dottoressa Kate Hanneman, del Dipartimento di imaging medico dell’Università di Toronto, e i suoi coautori, citando alcuni degli stessi articoli del gruppo australiano, incluso lo studio che ha rilevato che i pazienti con LGE persistente avevano un rischio più elevato di esiti avversi, nonché un articolo su ciò che rappresenta quando LGE viene rilevato alla risonanza magnetica in pazienti con miocardite.

 

«Tuttavia, il significato della LGE è incerto nei pazienti post-miocardite con recupero della normale funzione sistolica ventricolare sinistra», hanno affermato i ricercatori, che hanno quindi richiesto ulteriori studi per valutare i pazienti con LGE persistente e un ventricolo sinistro recuperato.

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«Lo studio ha incluso pazienti adulti che sono stati indirizzati a una rete ospedaliera con sospetta miocardite e che presentavano nuovi sintomi cardiaci come dolore toracico entro 14 giorni dalla vaccinazione COVID-19» scrive il giornale americano. «Tutti i pazienti hanno ricevuto l’iniezione Pfizer o Moderna».

 

I limiti dello studio, pubblicato dal Journal of Cardiovascular Magnetic Resonance, includevano la mancanza di miocardite confermata dalla biopsia.

 

Gli autori non hanno dichiarato alcun finanziamento e hanno elencato solo un interesse in competizione, ovvero che un autore è un editore associato della rivista.

 

Gli autori corrispondenti dei due articoli non hanno risposto alle richieste di commento.

 

«La mia preoccupazione nel leggere questi due studi è che il danno miocardico e le cicatrici sono presenti in un numero significativo di individui feriti da vaccino COVID fino a 18 mesi dopo la vaccinazione. Ciò suggerisce un potenziale danno cardiaco permanente derivante dai vaccini», ha dichiarato in una e-mail a Epoch Times la dottoressa Danice Hertz, responsabile della ricerca per il gruppo statunitense React19. «Le implicazioni a lungo termine non sono ancora note ma devono essere studiate attentamente».

 

I nuovi documenti si aggiungono a studi precedenti, che avevano scoperto che l’LGE persiste per mesi in alcune persone dopo un’iniezione di COVID-19.

 

Ricercatori nello stato di Washington hanno riferito nel 2022 che l’LGE persisteva nei bambini fino a otto mesi dopo la vaccinazione. Nello stesso anno, i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno affermato che più della metà dei 151 pazienti sottoposti a imaging di follow-up presentavano LGE residuo, che è stato descritto come «suggestivo di cicatrici miocardiche».

 

Ricercatori di Hong Kong nel 2023 avevano riferito di aver scoperto che circa la metà dei 40 pazienti sottoposti a risonanza magnetica di follow-up mesi dopo la vaccinazione avevano LGE.

 

I sintomi sono persistiti anche in alcuni pazienti con miocardite post-vaccinazione.

 

Il CDC, descrivendo i risultati preliminari aggiornati del suo studio a lungo termine, ha affermato all’inizio del 2023 che c’erano pazienti che soffrivano ancora di sintomi più di un anno dopo l’iniezione.

 

Ricercatori in Australia alla fine del 2023 hanno affermato che i sintomi persistevano almeno sei mesi dopo un’iniezione nella maggior parte dei pazienti seguiti.

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Come riportato da Renovatio 21, i dati dell’esercito americano confermano il picco di infiammazioni cardiache con l’introduzione del siero COVID. Già due anni fa uno studio sull’esercito americano confermava l’infiammazione cardiaca legata ai vaccini COVID. I dati tratti Defense Medical Epidemiology Database (DMED) pubblicati a marzo indicavano che le diagnosi della forma di infiammazione del cuore erano aumentate del 130,5% nel 2021 rispetto alla media degli anni dal 2016 al 2020.

 

La miocardite, che alcuni ritengono che in forma migliore può essere causata anche dall’infezione di COVID-19, è una malattia che può portare alla morte. Casi certificati di morti per miocardite da vaccino mRNA si sono avuti sia tra giovani che tra bambini piccoli.

 

La consapevolezza del ruolo del vaccino nella possibile manifestazione di questa malattia cardiaca, specie nei giovaniè diffusa presso praticamente tutte le istituzioni sanitarie dei Paesi del mondo.

 

Disturbo fino a poco fa abbastanza raro, abbiamo visto incredibili tentativi di normalizzare la miocardite infantile con spot a cartoni animati.

 

Alcuni casi suggeriscono che, anche anni dopo, persone affette da miocardite post-vaccinale non sono ancora guarite.

 

Come riportato da Renovatio 21, la miocardite nello sport è oramai un fenomeno impossibile da ignorare.

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Vaccini

Vaccini antinfluenzali collegati a un elevato rischio di ictus negli anziani: studio della FDA

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Alcune persone che hanno ricevuto un vaccino contro il COVID-19 erano a maggior rischio di ictus, ma un’analisi ha rilevato che il rischio era collegato alla vaccinazione antinfluenzale, hanno affermato i ricercatori della Food and Drug Administration (FDA) statunitense in un nuovo studio. Lo riporta la testata statunitense Epoch Times.   I ricercatori, analizzando i dati del programma sanitario pubblico americano Medicare, hanno rilevato un elevato rischio di ictus tra gli anziani a seguito della somministrazione di un vaccino bivalente contro il COVID-19 e disponibile dall’autunno del 2022 all’autunno del 2023.   Gli studiosi avrebbero scoperto che «c’era un rischio elevato di ictus non emorragico o attacco ischemico transitorio nelle persone di età pari o superiore a 85 anni dopo la vaccinazione bivalente Pfizer e nelle persone di età compresa tra 65 e 74 anni dopo la vaccinazione Moderna» scrive Epoch Times. I ricercatori hanno quindi esaminato quali persone hanno ricevuto un vaccino antinfluenzale contemporaneamente a un vaccino COVID-19 e avrebbero visto che il rischio elevato persisteva solo tra le persone che avevano ricevuto i vaccini contemporaneamente.

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I vaccini antinfluenzali ad alte dosi sono destinati principalmente agli anziani, mentre i vaccini antinfluenzali adiuvati sono un altro tipo di vaccino antinfluenzale.   «Il significato clinico del rischio di ictus dopo la vaccinazione deve essere attentamente considerato insieme ai benefici significativi derivanti dalla vaccinazione antinfluenzale», hanno affermato i ricercatori, aggiungendo in seguito che «sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio l’associazione tra vaccinazione antinfluenzale ad alte dosi o adiuvata e ictus».   Lo studio è stato pubblicato dal Journal of American Medical Association. In precedenza era stato archiviato come preprint.   Le limitazioni includono l’esclusione dei casi affetti da COVID-19 nei 30 giorni precedenti l’ictus nonché la limitazione dello studio alle persone vaccinate. Il metodo utilizzato dai ricercatori, una serie di casi autocontrollati, ha utilizzato le persone vaccinate sia come gruppo primario che come gruppo di controllo.   I ricercatori hanno considerato gli ictus verificatisi entro 42 giorni dalla vaccinazione come possibilmente collegati alla vaccinazione, mentre gli ictus verificatisi tra 43 e 90 giorni dopo la vaccinazione come non correlati alla vaccinazione.   Il documento includeva casi di ictus tra il 31 agosto 2022 e gennaio o febbraio 2023, a seconda del tipo di ictus. Dopo le esclusioni, sono stati inclusi 11.001 casi di ictus.   Gli unici conflitti di interesse elencati dai ricercatori riguardavano il fatto che alcuni di loro lavoravano per Acumen. Il documento è stato finanziato dalla FDA attraverso un accordo di cui Acumen è l’appaltatore. «La FDA ha avuto un ruolo nella progettazione e nella conduzione dello studio; interpretazione dei dati; preparazione, revisione o approvazione del manoscritto; e decisione di sottoporre il manoscritto per la pubblicazione. La FDA non ha avuto alcun ruolo nella raccolta, gestione o analisi dei dati», secondo lo studio.   Il possibile rischio di ictus per il vaccino bivalente della Pfizer e per gli anziani è stato segnalato per la prima volta all’inizio del 2023, scrive ET. La FDA e i Centri statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) hanno affermato che all’epoca era apparso un segnale di sicurezza in un sistema di monitoraggio del governo. Il CDC ha successivamente affermato che i dati del sistema suggerivano che il rischio elevato derivava dalla somministrazione di un vaccino antinfluenzale con un vaccino anti-COVID-19.   Ricercatori francesi hanno affermato di aver esaminato se la somministrazione di un vaccino bivalente fosse collegata a un tasso più elevato di ictus e di altri eventi cardiovascolari rispetto alle vecchie versioni del vaccino e hanno scoperto che la somministrazione del primo era in realtà collegata a un tasso inferiore, riporta sempre Epoch Times.   «A 21 giorni dalla dose di richiamo, non abbiamo trovato prove di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari tra i soggetti che hanno ricevuto il vaccino bivalente rispetto a quelli che hanno ricevuto il vaccino monovalente», hanno affermato in una lettera pubblicata dal New England Journal of Medicine.

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La dottoressa Kathryn Edwards e Marie Griffin della Vanderbilt University, che non erano coinvolte negli studi della FDA o in quelli francesi, hanno affermato in un editoriale pubblicato da JAMA questa settimana che i risultati della ricerca sono rassicuranti ma che il monitoraggio continuo dei vaccini antinfluenzali tra gli anziani «fornirebbe dati aggiuntivi sull’influenza rischio di ictus».   Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 è emerso che, secondo dati, vi sarebbe stato un numero di morti 45 volte superiore dopo le iniezioni COVID in soli 2 anni rispetto a tutti i decessi correlati al vaccino antinfluenzale dal 1990.   Il CEO di Moderna Stéphane Bancel un anno fa aveva ammesso pubblicamente che di fatto il vaccino mRNA COVID sarebbe diventato come l’antinfluenzale, con le persone «vulnerabili» che lo faranno ciclicamente.   La Casa Bianca di Biden due anni fa era arrivata a fare la grottesca raccomandazione teologico-vacccinale per cui «Dio ci ha dato due braccia: una per il vaccino antinfluenzale, una per il vaccino COVID».   In preparazione, da anni, c’è un vaccino «antinfluenzale universale».   La correlazione tra vaccinazione contro l’influenza e mortalità da COVID-19 è stata oggetto di speculazioni già nel 2020, con uno studio del Pentagono USA che asseriva che il vaccino antinfluenzale aumentava il rischio del coronavirus del 36%.   Riguardo al vecchio vaccino antinfluenzale vi è stato in questi anni qualche dubbio, qualche storia agghiacciantequalche lotto ritirato, qualche morte sospetta, tuttavia ovviamente con «nessuna correlazione».

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Vaccini

Imprinting immunitario per i vaccinati e risposte insolite ai booster mRNA: studio

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Le persone che hanno assunto almeno tre dosi della versione originale del vaccino mRNA COVID-19 hanno avuto un forte imprinting immunitario, ha scoperto uno studio dell’Università di Washington. Lo riporta Epoch Times.

 

Di conseguenza, quando vaccinati con i più recenti richiami dell’mRNA di COVID-19 XBB.1.5, i riceventi hanno prodotto pochi o nessun anticorpo specifico per la variante XBB.1.5.

 

L’imprinting immunitario si verifica quando precedenti infezioni o vaccinazioni lasciano una memoria immunitaria così forte che il corpo continua a produrre cellule immunitarie e anticorpi mirati alla precedente esperienza immunitaria, anche se esposto a una nuova variante o vaccino.

 

L’imprinting immunitario «potrebbe essere un problema se la persona non fosse in grado di innescare una risposta immunitaria utile contro una nuova variante», ha detto alla testata statunitense il dottor Stanley Perlman, immunologo e microbiologo dell’Università dell’Iowa. Non è stato coinvolto nello studio.

 

Anche se ciò non si è verificato in questo studio, la maggior parte degli anticorpi prodotti dopo la vaccinazione avevano come bersaglio la variante originale del COVID-19 e non XBB.1.5.

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«L’imprinting non è un concetto nuovo, ma la situazione che stiamo osservando sembra essere piuttosto unica», ha affermato David Veesler, che ha un dottorato in biologia strutturale, è professore e presidente del Dipartimento di Biochimica dell’Università di Washington e ricercatore con l’Howard Hughes Medical Institute, in un comunicato stampa.

 

L’imprinting immunitario è un fenomeno ben noto che può verificarsi con altre infezioni e virus. Nuove infezioni influenzali distinte dalle varianti precedenti possono superare l’imprinting derivante dalle vaccinazioni e dalle infezioni antinfluenzali.

 

Tuttavia, nello studio UW, l’imprinting immunitario persisteva anche tra i soggetti infettati dalle nuove varianti di omicron.

 

«È completamente diverso da ciò che sappiamo del virus dell’influenza», ha affermato Veesler.

 

«L’imprinting immunitario persiste dopo esposizioni multiple ai picchi di Omicron attraverso la vaccinazione e l’infezione, inclusa la vaccinazione di richiamo post XBB.1.5, che dovrà essere presa in considerazione per guidare la futura vaccinazione», scrivono gli autori dello studio.

 

Allo studio hanno partecipato più di 20 persone con una storia di tre o più vaccini mRNA della variante Wuhan. La maggior parte era stata infettata da infezioni da COVID-19 pre e post-omicron.

 

Oltre ai vaccini originali a mRNA, la maggior parte dei partecipanti ha assunto il richiamo bivalente o il richiamo XBB.1.5. Al momento dello studio, tutti i partecipanti avevano effettuato da quattro a sette iniezioni.

 

Gli autori hanno scoperto che la maggior parte degli anticorpi prodotti dopo l’inoculazione dell’mRNA XBB.1.5 erano i migliori nel neutralizzare la variante originale di Wuhan COVID-19.

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Gli anticorpi avevano la seconda maggiore potenza neutralizzante contro la variante BA.2.86 omicron. Gli anticorpi erano il terzo più potente contro XBB.1.5 nelle persone che avevano assunto il vaccino XBB.1.5.

 

Questi anticorpi erano cross-reattivi, nel senso che potevano anche legarsi ad altre varianti, comprese le varianti XBB.1.5. Tuttavia, erano presenti pochi o nessun anticorpo specifico per XBB.1.5.

 

Alcune persone hanno prodotto nuove cellule immunitarie che hanno riconosciuto solo XBB.1.5. Tuttavia, dei 12 partecipanti valutati, solo cinque avevano cellule immunitarie che riconoscevano XBB.1.5 ma non la variante Wuhan.

 

«La maggior parte degli anticorpi richiamati dai richiami vaccinali aggiornati sono cross-reattivi e aiutano a bloccare nuove varianti, il che è positivo. Tuttavia, potremmo fare un lavoro ancora migliore? La risposta è molto probabilmente sì», ha affermato Vessler.

 

Una possibile spiegazione è che il vaccino mRNA crea un effetto di imprinting immunitario più robusto rispetto ai vaccini precedentemente noti. Gli autori hanno citato un altro studio che ha scoperto che l’inoculazione con virus COVID-19 uccisi ha prodotto un effetto di imprinting ridotto negli esseri umani.

 

«I vaccini inattivati ​​inducono una risposta immunitaria più debole, quindi ci sono meno possibilità che la risposta sia influenzata» verso una variante, ha detto il dottor Perlman.

 

«I vaccini mRNA potrebbero essere stati così efficaci e suscitato risposte immunitarie così forti che l’imprinting potrebbe essere più forte di quello che siamo abituati a vedere con i vaccini per altri virus come quello dell’influenza», ha affermato Veesler.

 

L’imprinting immunologico, conosciuto anche come «peccato originale antigenico» (e noto anche come effetto Hoskins), si riferisce alla tendenza del sistema immunitario umano a fare affidamento sulla memoria immunologica anziché generare nuovi anticorpi in risposta a una seconda esposizione al patogeno, anche se questo presenta caratteristiche diverse rispetto a quello originario.

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Questo fenomeno costringe il sistema immunitario a utilizzare la stessa risposta immunitaria contro lo stesso antigene, impedendogli di sviluppare nuove risposte contro il patogeno (come virus o batteri) che nel frattempo può aver subito mutazioni. Il peccato originale antigenico è stato osservato in virus come l’influenza, la dengue, l’HIV e molti altri.

 

Questo principio fu per la prima volta formulato nel 1960 dal virologo ed epidemiologo Thomas Francis (1900-1969) nel suo articolo «On the Doctrine of Original Antigenic Sin» («Sulla dottrina del peccato originale antigenico»), e prese il nome per analogia con il concetto teologico del peccato originale.

 

«Nella vita, durante la prima infezione dal virus dell’influenza di tipo A, il bambino produrrà anticorpi diretti principalmente contro l’antigene dominante del patogeno» sosteneva, secondo Richard Krause, lo studioso che guidò lo sviluppo del vaccino polio con il suo studente Jonas Salk. «L’impronta del primo ceppo di virus nel sistema immunitario condizionerà le future risposte immunitarie. Questo è quello che intendiamo come “peccato originale antigenico”».

 

Detto anche primary addiction, il concetto sottolinea la propensione del sistema immunitario a utilizzare preferenzialmente la memoria immunologica basata su una precedente infezione quando viene incontrata una seconda versione leggermente diversa di quell’agente patogeno estraneo (ad esempio un virus o un batterio). Ciò lascia il sistema immunitario «intrappolato» dalla prima risposta che ha dato a ciascun antigene e incapace di innescare risposte potenzialmente più efficaci durante le infezioni successive. Gli anticorpi o le cellule T indotti durante le infezioni con la prima variante dell’agente patogeno sono soggetti al congelamento del repertorio, una forma di peccato antigenico originale.

 

Già in passato La relativa inefficacia del richiamo bivalente contro la variante SARS-CoV-2 Omicron nei pazienti che avevano precedentemente ricevuto vaccini COVID-19 è stata attribuita all’imprinting immunologico in un articolo («Vaccini bivalenti contro il Covid-19: un avvertimento») pubblicato nel febbraio 2023 dal prestigioso New England Journal of Medecine a firma dell’ultravaccinista Paul Offit.

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