Cina
Pechino vuole gas russo per ridurre dipendenza da USA e Australia
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Il gigante cinese importa quasi la metà del gas che consuma. La maggior parte è in forma liquida e arriva da forniture statunitensi e australiane. A oggi esiste solo un gasdotto che collega Russia e Cina; tre sono in cantiere. Aiuteranno i cinesi, ma non serviranno a compensare le perdite russe dal mercato europeo.
La Cina punta sul gas russo per ridurre la crescente dipendenza dalle forniture del rivale USA e del suo alleato australiano: i cinesi non vogliono trovarsi nella stessa condizione degli europei, in conflitto con la Russia per la sua invasione dell’Ucraina, ma dipendenti dal gas russo.
È quanto ha rivelato un insider cinese del comparto energetico a Nikkei Asia.
Il gigante cinese importa quasi la metà del gas che consuma. Due terzi arrivano in forma liquida, e di questi il 40% (la porzione maggiore) dall’Australia e il 10% dagli Stati Uniti – la Cina è il primo acquirente mondiale di gas liquido, dopo aver superato il Giappone.
Al momento c’è solo un gasdotto che porta gas russo in Cina: il Power of Siberia, che ha una capacità di 38 miliardi di metri cubi (bcm) all’anno, ma che nel 2021 ha pompato solo 10 bcm: secondo gli esperti per problemi logistici attribuibili ai russi.
Pechino e Mosca progettano nuove condotte. Una è quasi terminata e collega l’isola russa di Sakhalin con la provincia nordoccidentale cinese dell’Heilongjiang. Un secondo progetto è il Power of Siberia 2, che passerebbe per la Mongolia; il terzo è il gasdotto Altai attraverso lo Xinjiang, la regione autonoma cinese sotto osservazione della comunità internazionale per la repressione della minoranza uigura.
Nel complesso, questi nuovi gasdotti porterebbero sulla carta le forniture russe alla Cina a 100 bcm all’anno: un toccasana per la diversificazione cercata dalla Cina, ma troppo poco per permettere ai russi di compensare le perdite dall’Europa, che in media importa ogni anno tra i 170 e i 200 bcm di gas dalla Russia.
Per il Cremlino lo spostamento dal mercato europeo a quello cinese richiederebbe poi pesanti investimenti infrastrutturali.
Il gas esportato nel Vecchio continente è estratto in aree diverse da quelle che riforniscono la Cina, e non ci sono gasdotti che le collegano.
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Cina
La Cina scarica quantità record di asset in dollari
La Cina ha venduto un numero record di obbligazioni statunitensi nel primo trimestre di quest’anno, evidenziando l’allontanamento del paese dalle attività in dollari, rivelano gli ultimi dati del Dipartimento del Tesoro americano.
Secondo i dati, Pechino ha disinvestito un totale di 53,3 miliardi di dollari in titoli del Tesoro e obbligazioni di agenzie messe insieme nei primi tre mesi dell’anno, aumentando allo stesso tempo i suoi acquisti di oro e altre materie prime.
Alcuni analisti hanno suggerito che questa riduzione delle riserve valutarie potrebbe essere parte della più ampia strategia della Cina volta a diversificare dalle attività denominate in dollari statunitensi in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti.
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Alcuni esperti hanno sottolineato l’impatto economico delle sanzioni occidentali sulla Russia in seguito al conflitto in Ucraina, affermando che la Cina cerca di mitigare rischi simili.
«La gestione delle riserve russe da parte degli Stati Uniti e di altri paesi del G7, comprese le minacce di espropri e sanzioni, probabilmente ha spinto la Cina a ridurre la sua esposizione alle attività del Tesoro americano per evitare di essere presa di mira allo stesso modo», ha detto al settimanale americano Newsweek in riferimento al sequestro di beni russi Craig Shapiro, consulente macroeconomico di LaDuc Trading.
Dall’inizio del conflitto in Ucraina, l’Occidente ha congelato circa 300 miliardi di dollari in fondi sovrani russi. Come sa il lettore di Renovatio 21, tale atto, considerato come il primo vero evento di guerra economica della storia, è stato ideato con grande iniziativa di Mario Draghi, allora premier italiano forte di tanta esperienza al vertice della Banca Centrale Europea.
Secondo Bloomberg, la società di regolamento delle transazioni in titoli Euroclear con sede a Bruxelles, spesso vista come custode delle partecipazioni cinesi, ha ceduto 22 miliardi di dollari in titoli del Tesoro statunitense durante il periodo in esame.
Essendo il secondo più grande detentore estero di titoli del Tesoro statunitense dopo il Giappone, la svendita della Cina potrebbe potenzialmente turbare il mercato dei titoli del Tesoro e aumentare i costi di finanziamento degli Stati Uniti, hanno sostenuto alcuni economisti.
«Dato che la Cina sta vendendo entrambi nonostante il fatto che siamo più vicini a un ciclo di tagli dei tassi da parte della Fed, dovrebbe esserci una chiara intenzione di diversificare rispetto alle partecipazioni in dollari USA», ha affermato Stephen Chiu, capo stratega dei tassi e dei cambi asiatici presso Bloomberg.
«La vendita di titoli statunitensi da parte della Cina potrebbe accelerare con la ripresa della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, soprattutto se Trump tornasse presidente», ha affermato.
Mentre la Cina vende asset in dollari, le sue riserve di oro sono aumentate nelle riserve ufficiali del Paese, riporta RT. Secondo la Banca popolare cinese, ad aprile la quota del metallo prezioso nelle riserve è salita al 4,9%, il livello più alto da quando sono iniziate le registrazioni nel 2015.
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Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa l’allora primo vice primo ministro russo Andrej Removich Belousov, da poco divenuto ministro della Difesa, aveva dichiarato che la de-dollarizzazione Russia-Cina era quasi completa.
La Cina è certamente uno dei Paesi che più può trarre benefizio dalla fine del dollaro come valuta di scambio globale. La quantità di Banche Centrali che ha iniziato ad aumentare le riserve in renminbi (o yuan, la valuta cinese) ne è prova. La Banca Centrale israleliana ha comprato yuan. Così come la Banca Centrale brasiliana, che nel 2021 ha aumentato le sue riserve di moneta della Repubblica Popolare cinese. La Birmania ha dichiarato che userà lo yuan come valuta di scambio.
In Cina, già due anni fa, si parlava di de-dollarizzazione accelerata. Nel 2022 il Global Times (testata in inglese diretta emanazione del Partito Comunista Cinese) quattro mesi fa aveva pubblicato un articolo che enucleava alcune proteste tecniche di de-dollarizzione.
Come riportato da Renovatio 21, altri Paesi che stanno attuando politiche di allontanamento dal dollaro l’India, l’Indonesia, il Bangladesh, la Malesia, lo Sri Lanka, il Pakistan la Bolivia, l’Argentina e altre Nazioni del Sud del mondo (con timidi accenni perfino in Isvizzera) stanno seguendo si stanno sganciando dal dollaro. A inizio anno la Banca Centrale Irachena ha annunciato che consentirà scambi con la Cina direttamente in yuan cinesi, senza passare dal dollaro, mentre il Ghana si è rivolto non alla moneta statunitense, ma all’oro per stabilizzare la propria valuta nazionale.
Sei mesi fa Arabia Saudita e Cina hanno stipulato un accordo per il commercio senza dollari.
Come ha avuto a dire il presidente russo Vladimiro Putin nel 2023, il processo di de-dollarizzazione è ormai irreversibile.
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Cina
Condanna finita, ma nessuna notizia della blogger che raccontò la pandemia a Wuhan
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Cina
Le Filippine vicine all’espulsione dei diplomatici cinesi
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Cina questa settimana ha diffuso una presunta conversazione telefonica risalente a gennaio durante la quale un ammiraglio filippino accetta di fare delle concessioni ai funzionari cinesi. Il consigliere per la sicurezza nazionale ieri ha sottolineato che in questo modo Pechino sta violando le leggi locali.
Continuano le tensioni nel Mar cinese meridionale tra la Cina e le Filippine. Il consigliere per la sicurezza nazionale Eduardo Ano ha chiesto l’espulsione dei diplomatici cinesi dopo che questi hanno rilasciato la presunta conversazione telefonica di un ufficiale militare filippino: «i ripetuti atti da parte dell’ambasciata cinese di creare e diffondere ora rilasciando trascrizioni o registrazioni fasulle di presunte conversazioni tra funzionari del Paese ospitante – non dovrebbero essere consentiti senza autorizzazione o senza gravi sanzioni», ha affermato ieri il consigliere per la sicurezza nazionale.
La presunta conversazione, che risalirebbe a gennaio, è stata diffusa questa settimana. Nell’audio, un diplomatico cinese e un ammiraglio filippino di nome Alberto Carlos, discutono della disputa nel Mar cinese meridionale, dove Pechino ripetutamente invade le acque territoriali non solo delle Filippine, ma anche di altri Paesi del sud-est asiatico, per ottenere il controllo delle risorse ittiche e marine.
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Il militare filippino avrebbe accettato di «allentare la tensione ad Ayungin», un isolotto sommerso (chiamato Second Thomas Shoal a livello internazionale) parte delle Isole Spratly, dove un piccolo contingente di militari filippine vive a bordo del relitto di una nave da guerra fatta intenzionalmente arenare da Manila nel 1999 per promuovere le proprie rivendicazioni territoriali. Oggi viene utilizzata come appoggio per i rifornimenti. Carlos avrebbe promesso di limitare il numero di navi filippine che si recano alla base e fornire un preavviso alla Cina.
Il ministero degli Esteri cinese ha subito risposto alle dichiarazioni di Ano di ieri, affermando di «chiedere solamente che le Filippine garantiscano ai diplomatici cinesi di poter svolgere normalmente i loro compiti».
Le relazioni tra i due Paesi continueranno a essere tese, secondo gli osservatori, nonostante a gennaio entrambi avessero promesso di voler migliorare le comunicazioni per gestire le tensioni. Dall’inizio dell’anno ci sono stati tre scontri diretti tra la Guardia costiera filippina e la Marina cinese, ha fatto sapere Manila.
Nelle ultime settimane la Cina ha anche più volte fatto riferimento ad un presunto «accordo segreto» stipulato con il precedente presidente Rodrigo Duterte, effettivamente più filo-cinese rispetto all’attuale Ferdinand Marcos Jr. In base al presunto accordo, Manila avrebbe promesso di non riparare o costruire strutture a Second Thomas Shoal, ma il ministro della Difesa filippino ha dichiarato di non essere a conoscenza di nessun trattato di questo tipo.
Don McLain Gill, analista e docente presso l’Università De La Salle di Manila, ha spiegato al Nikkei che nel caso in cui le Filippine decidano di espellere i diplomatici cinesi, Pechino risponderebbe alla stessa maniera. Al momento la questione resta senza una vera risoluzione.
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Immagine screenshot da YouTube
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