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Bioetica

Melania si dichiara abortista: «diritto fondamentale». È una manovra elettorale?

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In un libro di memorie intitolato Melania che verrà pubblicato un mese prima delle elezioni, la moglie del presidente Melania Trump si è dichiarata favorevole all’aborto come «diritto fondamentale». Lo riporta il giornale britannico Guardian, che ha ottenuto una copia delle memorie.

 

«È fondamentale garantire che le donne abbiano autonomia nel decidere la loro preferenza di avere figli, in base alle proprie convinzioni, libere da qualsiasi intervento o pressione da parte del governo. Perché qualcuno diverso dalla donna stessa dovrebbe avere il potere di determinare cosa fare con il proprio corpo?» scrive Melania nel libro, usando un puro, frusto linguaggio femminista.

 

«Il diritto fondamentale di una donna alla libertà individuale, alla propria vita, le garantisce l’autorità di interrompere la gravidanza se lo desidera. Limitare il diritto di una donna di scegliere se interrompere una gravidanza indesiderata equivale a negarle il controllo sul proprio corpo. Ho portato questa convinzione con me per tutta la mia vita adulta».

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Il libro si concentra principalmente sull’infanzia in Slovenia e sul lavoro come modella di Nuova York, per cui la dichiarazione pare introdotta quasi a forza. Tuttavia la posizione è molto articolata, toccando tutti i noti punti della propaganda feticida.

 

Nonostante sia cattolica, scrive che il suo sostegno all’aborto fa parte del suo «insieme di principi fondamentali» che includono «libertà personale» e «libertà individuale», e aggiunge che su queste questioni, non c’è «spazio per la negoziazione».

 

«Ho sempre creduto che sia fondamentale per le persone prendersi cura di sé stesse per prime. È un concetto molto semplice; infatti, nasciamo tutti con una serie di diritti fondamentali, tra cui il diritto di goderci la vita. Abbiamo tutti il ​​diritto di mantenere un’esistenza gratificante e dignitosa. Questo approccio di buon senso si applica al diritto naturale di una donna di prendere decisioni sul proprio corpo e sulla propria salute».

 

Dopo aver elencato le numerose ragioni per cui ritiene che l’aborto legale sia necessario, tra cui stupro, incesto, «difetti congeniti alla nascita», «gravi condizioni mediche» o pericolo per la salute della madre, continua a difendere anche l’aborto tardivo, ripetendo quasi alla lettera i punti standard del discorso di Planned Parenthood:

 

«È importante notare che storicamente, la maggior parte degli aborti condotti durante le fasi avanzate della gravidanza erano il risultato di gravi anomalie fetali che probabilmente avrebbero portato alla morte o alla morte in utero del bambino. Forse anche alla morte della madre. Questi casi erano estremamente rari e si verificavano in genere dopo diverse consultazioni tra la donna e il suo medico. Come comunità, dovremmo abbracciare questi standard di buon senso. Ancora una volta, la tempistica è importante».

 

La posizione della bella First Lady non è quindi distinguibile da quella di Kamala Harris, Hillary Clinton e ogni altro avversario del marito.

 

«Molte donne optano per l’aborto per preoccupazioni mediche personali. Queste situazioni con implicazioni morali significative pesano molto sulla donna e sulla sua famiglia e meritano la nostra empatia. Si consideri, ad esempio, la complessità insita nella decisione se la madre debba rischiare la propria vita per partorire. Quando si trovano di fronte a una gravidanza inaspettata, le giovani donne spesso provano sentimenti di isolamento e stress significativo. Io, come la maggior parte degli americani, sono a favore del requisito che le minorenni ottengano il consenso dei genitori prima di sottoporsi a un aborto. Mi rendo conto che questo potrebbe non essere sempre possibile. La nostra prossima generazione deve essere dotata di conoscenza, sicurezza, protezione e conforto, e lo stigma culturale associato all’aborto deve essere rimosso».

 

La decisione di Melania di sostenere la posizione democratica sull’aborto è un altro colpo per i pro-life, e un’ulteriore prova che la famiglia Trump non è mai stata pro-life, nota LifeSite. «È vero che Donald Trump ha onorato il suo accordo con il movimento pro-life nel 2016; è anche vero che Eric Trump ha detto alla stampa durante la Convention Nazionale Repubblicana che suo padre era sempre rimasto a favore dell’aborto, nonostante tutto. Anche la moglie di Eric, Lara, attuale co-presidente della Convention nazionale repubblicana, è fermamente nel campo pro-aborto. Quando è stato chiesto loro di esprimere le loro opinioni, Donald Jr. ed Eric hanno fatto attenzione a condannare solo l’aborto tardivo».

 

Lo stesso Donald Trump pare aver invertito la sua carica pro-life, che lo aveva portato ad essere il primo presidente americano a parlare alla March for Life di Washington. Sulla scia del dibattito vice-presidenziale ha affermato, in una dichiarazione in maiuscolo su X, che porrà il veto a qualsiasi legge federale sull’aborto che gli capiti sulla scrivania.

 


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«Se la famiglia Trump continua a dirigere il Partito Repubblicano, sembra chiaro che intendono trasformare il GOP in un partito pro-aborto. Melania ha certamente sostenuto questa tesi» scrive Jonathon Von Maren.

 

La situazione potrebbe essere più complessa di così, ed avere ragioni politiche, e non solo.

 

Grossa parte del Partito Repubblicano USA è convinta che le ultime elezioni midterm, che erano stata annunciate come una red wave, cioè una vittoria a valanga dei repubblicani, abbiano penalizzato il Partito a causa del rovesciamento della sentenza Roe v. Wade (1973) che garantiva l’aborto come diritto federale in tutti gli Stati. Secondo vari analisti, a rivoltarsi contro il partito di Trump sarebbero state le donne borghesi di mezza età che vivono nelle periferie dove usa risiedere la classe media americana – in pratica le stesse che, effettivamente, possono guardare positivamente a Melania come esempio di donna elegante e moglie perbene.

 

Che il libro di Melania non contenga manovre elettorali da spendere proprio in questi giorni, con l’uscita che coincide con le elezioni, è ingenuo pensarlo.

 

Così come è impossibile non riconoscere che, dopo decenni di presidenti repubblicani (Reagan, i Bush), la fine di Roe v. Wade, cioè del libero aborto in tutta l’America, è arrivata con Trump, o appena dopo, secondo i giudici della Corte Suprema da lui scelti.

 

Non ha torto chi si domanda: forse Trump è uno strumento più grande delle sue stesse idee, della sua stessa persona, della sua stessa famiglia?

 

I numeri dei bambini salvati dall’aborto in questi anni potrebbero dare risposta affermativa.

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Immagine di pubblico dominio via Flickr

Bioetica

La Corte internazionale latinoamericana respinge fermamente l’aborto come «diritto umano»

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Il 23 gennaio, tuttavia, la Corte interamericana dei diritti umani, una corte internazionale con sede a San José, in Costa Rica, ha respinto il tentativo della lobby dell’aborto di stabilire un «diritto all’aborto» in America Latina. Lo riporta LifeSite.   Questa sentenza crea un precedente legale che aiuterà il PRI e altri gruppi pro-life a difendere la vita innocente non ancora nata dal concepimento nei 25 Paesi membri, inclusa la regione in generale» ha scritto Carlos Polo, il capo dell’ufficio latinoamericano del Population Research Institute (PRI).   Al centro del caso della lobby dell’aborto, scrive Polo, c’era una falsità fondamentale, una che gli attivisti dell’aborto hanno usato più e più volte in un Paese dopo l’altro, con grande successo. Questa tattica è stata usata con successo in Irlanda, dove la tragica morte di Savita Halappanavar è stata usata per legalizzare l’aborto; è fallita di recente a Malta, dopo che una colossale spinta pro-life è riuscita a mantenere il divieto di aborto in quel paese.

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Gli attivisti per l’aborto «hanno sostenuto che un “aborto terapeutico” avrebbe salvato la vita di una giovane donna salvadoregna, Beatriz, in una gravidanza ad alto rischio. Hanno sostenuto che le leggi di El Salvador, che riconoscono il diritto alla vita del nascituro e proibiscono l’aborto, hanno impedito ai dottori di salvarle la vita. La verità è che, proprio come Jane Roe non è mai stata violentata, Beatriz non è morta per complicazioni legate alla sua gravidanza o alla presunta mancanza di un aborto. Piuttosto, Beatriz è morta più di quattro anni dopo la nascita del suo bambino in un incidente motociclistico non correlato».   Il caso Beatriz è iniziato nel 2013, quando la ventiduenne affetta da lupus era incinta per la seconda volta. I dottori «le hanno suggerito la sterilizzazione» dopo la nascita del bambino, ma Beatriz ha rifiutato, sperando di avere altri figli. Diversi anni dopo, ha scoperto di essere di nuovo incinta, ancora una volta una gravidanza voluta. Le è stato detto, tuttavia, che il suo bambino era affetto da anencefalia, una «malformazione congenita che impedisce lo sviluppo del cervello». Il suo bambino non sarebbe sopravvissuto a lungo, le è stato detto. La lobby dell’aborto è prontamente intervenuta, dicendo a Beatriz che «sarebbe morta se avesse continuato la gravidanza».   «Il loro vero obiettivo era usare la sua situazione come pretesto per promuovere la legalizzazione dell’aborto, prima in El Salvador e poi presso la Corte interamericana» scrive Polo.   La Corte Suprema di El Salvador ha concluso che la vita di Beatriz non era in pericolo e che quindi un aborto non era necessario. Il perinatologo Rafael Varaona, medico di Beatriz durante la sua seconda gravidanza, ha detto alla corte che «il suo lupus eritematoso sistemico era completamente sotto controllo durante la gravidanza e che la sua vita non era mai stata a rischio».   Un fattore complicato è stato che l’intervento cesareo a cui era stata sottoposta per far nascere il suo secondo bambino non era guarito correttamente e quindi il suo terzo figlio è nato tramite taglio cesareo a sei mesi. «Sua figlia è nata e si è chiamata Leylani. È nata viva, ha ricevuto molto amore da sua madre ed è morta naturalmente poche ore dopo a causa della sua anencefalia”. Beatriz si è ripresa completamente» continua Polo.   Quattro anni dopo la morte della figlia, Beatriz morì in un incidente motociclistico, e la lobby dell’aborto vide la sua occasione. Sostennero che era morta perché non era riuscita a procurarsi un aborto mentre era incinta di Leylani, e che la sua morte era la prova che il «diritto umano all’aborto» era fondamentale. Nonostante l’inganno clamoroso, riuscirono a portare il caso, che era già stato deciso dalla Corte Suprema di El Salvador, alla Corte interamericana.   Il consenso prevalente era che le opinioni pro-aborto di diversi membri della Corte interamericana avrebbero portato a una vittoria per la lobby dell’aborto. Ma come a Malta, il movimento pro-life ha reagito. «Un coro di organizzazioni pro-life in tutta la regione ha alzato la voce per mesi, esponendo il modo in cui la lobby dell’aborto stava distorcendo i fatti del caso, per non parlare del coinvolgimento in vere e proprie falsità», scrive Polo.   La sentenza della Corte interamericana è una sconfitta definitiva per la lobby dell’aborto, scrive LifeSite. Non solo hanno concluso che le leggi pro-life di El Salvador non hanno portato alla morte di Beatriz né violato i suoi diritti umani, ma sono andati oltre.

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Bioetica

La Camera USA approva la legge per proteggere i bambini nati vivi dopo aborti falliti

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Il 23 gennaio la Camera ha approvato, seguendo le linee del partito, un disegno di legge che stabilisce gli standard di cura per i bambini nati vivi dopo un aborto fallito. Lo riporta Epoch Times.

 

La votazione, con 217 voti favorevoli e 204 contrari, è avvenuta al termine di un acceso dibattito in aula, durante il quale i repubblicani hanno sottolineato che il disegno di legge non riguardava l’aborto, ma i bambini che sopravvivono alla procedura.

 

«Come medico, va oltre la mia comprensione che qualcuno non intervenga per salvare una vita umana innocente e indifesa», ha affermato il deputato repubblicano Gregory Murphy, difendendo il disegno di legge alla Camera. «La negligenza è dannosa. La negligenza è immorale. L’aborto non è il problema».

 

Il Born-Alive Abortion Survivors Protection Act impone ai professionisti medici presenti alla nascita di un neonato sopravvissuto a un aborto di fornire al neonato lo stesso livello di assistenza salvavita che verrebbe offerto a qualsiasi altro neonato prematuro della stessa età gestazionale.

 

Il disegno di legge impone il trasferimento di questi neonati in un ospedale per ulteriori cure e stabilisce anche requisiti di segnalazione per le violazioni. Le sanzioni per la violazione della legge potrebbero includere multe e fino a cinque anni di prigione, sebbene la madre del bambino sarebbe protetta dall’azione penale.

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I democratici, tuttavia, hanno sostenuto che l’infanticidio è già illegale e che il disegno di legge è quindi inutile. «Questo disegno di legge non risolve un problema», ha affermato il rappresentante Kelly Morrison, un ostetrico, prima di votare contro la misura alla Camera.

 

«I dottori sono già onorati e obbligati a fornire cure appropriate ai loro pazienti. È illegale uccidere un neonato in tutti i 50 Stati».

 

Dal 2019 al 2021 nello stato d’origine di Morrison, il Minnesota, ci sono stati almeno otto casi segnalati in cui i neonati sopravvissuti all’aborto sono morti dopo la nascita, secondo il Dipartimento della Salute del Minnesota. In cinque di quei casi, non è stata segnalata alcuna misura presa per salvare la vita dei bambini. Negli altri tre casi, è stata fornita «assistenza di conforto».

 

Altri democratici hanno sostenuto che il disegno di legge avrebbe consentito al governo di interferire nelle decisioni relative alla salute riproduttiva delle donne e avrebbe privato i genitori della possibilità di confortare i loro bambini morenti.

 

L’approvazione del disegno di legge alla Camera arriva un giorno dopo che i democratici si sono opposti all’unanimità al suo avanzamento al Senato. Con una maggioranza di 60 voti necessaria per invocare la chiusura, o limitare il dibattito, su un disegno di legge, il voto procedurale è fallito 52-47.

 

Se i democratici riconoscessero l’umanità di un bambino vivo, nato in una clinica per l’aborto dopo un aborto fallito, potrebbero essere costretti a riconoscere l’umanità del bambino non ancora nato nella stessa clinica, ha affermato il leader della maggioranza del Senato John Thune.

 

I repubblicani americani hanno tentato numerose volte negli ultimi anni di approvare una legge che protegga la vita dei neonati sopravvissuti all’aborto. Tali sforzi sono stati bloccati dai democratici.

 

Come riportato da Renovatio 21, alla vigilia della Marcia per la Vita di Washington del 24 gennaio Trump ha graziato 23 attivisti pro-life imprigionati dall’amministrazione Biden.

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Ron Cogswell via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

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Bioetica

Trump grazia 23 pro-life imprigionati da Biden a poche ore dalla Marcia antiabortista di Washington

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Il presidente Trump ha graziato i pro-life imprigionati durante la presidenza di Joe Biden. Lo riporta LifeSiteNews.   Giovedì pomeriggio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ufficialmente graziato i ventitre pro-life incarcerati dal Dipartimento di Giustizia di Biden per i loro tentativi di salvare i bambini non ancora nati.   Prima di firmare la grazia, Trump ha commentato che nessuno dei ventitre pro-life avrebbe dovuto essere «perseguito», aggiungendo che firmare la grazia è un «grande onore».   I pro-life ora graziati sono: Joan Bell, Coleman Boyd, Joel Curry, Jonathan Darnel, Eva Edl, Chester Gallagher, Rosemary «Herb» Geraghty, William Goodman, Dennis Green, Lauren Handy, Paulette Harlow, John Hinshaw, Heather Idoni, Jean Marshall, Padre Fidelis Moscinski, Justin Phillips, Paul Place, Bevelyn Beatty Williams e Calvin, Eva e James Zastrow.  

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In precedenza, nel corso della giornata, era stata diffusa la notizia che la grazia sarebbe stata concessa al «Law of Life Summit» dagli avvocati che rappresentano la Thomas More Society.   La testata Daily Wire aveva riferito che Trump avrebbe graziato «gli attivisti pro-life imprigionati dal Dipartimento di Giustizia di Biden entro pochi giorni».   I giornalisti avevano sostenuto che due fonti anonime avevano assicurato al loro giornale che la «situazione» dei prigionieri pro-life è «una priorità immediata per il team di Trump» e che «probabilmente saranno graziati entro pochi giorni».   La notizia galvanizzerà sicuramente i partecipanti alla March for Life di oggi 24 gennaio, durante la quale Trump dovrebbe parlare ai partecipanti al raduno tramite video. Trump è stato il primo presidente a parlare dal palco della marcia antiabortista pochi anni fa. Quest’anno il vicepresidente JD Vance, convertito al cattolicesimo, dovrebbe parlarvi di persona.   In precedenza, oggi, il senatore Josh Hawley del Missouri ha menzionato su X di aver parlato con il presidente Trump dei pro-life imprigionati:   «Stamattina ho avuto una bella conversazione con [Donald Trump] sui prigionieri pro-life ingiustamente perseguitati e imprigionati dalla corrotta amministrazione Biden», ha scritto, riferendosi all’account X del presidente. «L’ho esortato a perdonarli rapidamente».

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Durante le audizioni per la conferma della nomina del nuovo segretario del Dipartimento di Giustizia Pam Bondi lo Holloway ha chiesto se permetterà che si ripeta una situazione come quella dell’attivista pro-life Mark Houck, sette figli, che si è visto entrare in casa una squadra d’assalto dell’FBI armata fino ai denti, per eseguirne l’arresto in un raid di violenza terrificante.   Lo Houck aveva la colpa di avere difeso il figlio piccolo in un alterco con un attivista abortista.   Durante la scorsa amministrazione si è visto come attacchi a centri per la Vita, con incendi ed altro, non sono stati minimamente perseguiti dalla Giustizia americana. Perfino le minacce al giudice della Corte Suprema Brett Kavanaugh, coinvolto nella storica sentenza che ha defederalizzato l’aborto in America Dobbs v. Jackson, sembrano essere state prese sul serio dalle autorità.   Come riportato da Renovatio 21, sotto Biden l’FBI aveva inoltre programmato di infiltrare le messe in latine, perché ritenute fucine di «terrorismo domestico».

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Immagine screenshot da YouTube
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