Morte cerebrale
Malori e predazioni degli organi: continua la strage operata dalla «Morte Cerebrale»

Procede senza soluzione di continuità la stagione dei malori improvvisi, a tutto vantaggio della fiorente industria dei trapianti di organi vitali, com’è ormai noto ai lettori di Renovatio 21.
L’ennesimo episodio è accaduto intorno al giorno di Natale: secondo la stampa locale, una quarantenne di Oristano, la quale non aveva apparenti problemi di salute, si sarebbe sentita male mentre si trovava in casa con il compagno, il quale ha tentato di rianimarla senza ottenere successo. Solamente l’arrivo degli operatori del 118 avrebbe consentito di strappare alla morte la giovane donna, la quale però pochi giorni dopo il trasferimento in elicottero all’ospedale di Nuoro, per l’esattezza il 31 dicembre scorso, è stata dichiarata cerebralmente morta ed espiantata degli organi. Le cronache riferiscono che l’attività cerebrale della quarantenne oristanese si sia pian piano ridotta fino ad arrivare a non darle più alcuna possibilità di ripresa.
Ora, oltre alla solita velocità con cui le strutture sanitarie tendono ad attivare le procedure per la dichiarazione di Morte Cerebrale (MC), è possibile constatare come il nuovo criterio di accertamento della morte fondato sui soli parametri neurologici costituisca una grave minaccia per la vita di ciascuno di noi.
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Infatti, anche nel caso in cui il paziente in coma non rientri tra i potenziali donatori, una volta dichiarata la MC la sua sorte è segnata: egli viene trattato alla stregua di un cadavere e privato dei sostegni vitali e delle cure che lo mantengono in vita, come prescritto dalla legge.
Pertanto, è quanto mai opportuno e urgente interrogarsi circa la veridicità di un criterio di accertamento della morte che sembra affondare le sue radici nell’ideologia piuttosto che nella scienza, nell’artificiosità della tecnica piuttosto che nella naturalità della morte.
La MC è vera morte? Le diagnosi di MC sono veramente affidabili al di là di ogni ragionevole dubbio?
Abbiamo già avuto modo in altre occasioni di mettere in evidenza come la pretesa di identificare in un organo, in particolare nel cervello, il principio vitale dell’essere umano non ha alcun riscontro scientifico e si fonda su una concezione della vita meramente meccanicistica.
La tesi secondo cui la vita umana richiede un cervello funzionante è già confutata dal fatto che a livello embrionale il cervello è l’organo che si sviluppa più tardi; è chiaro quindi che la vita è presente indipendentemente dal funzionamento cerebrale. Come può un organo che si forma relativamente tardi svolgere il ruolo di integratore centrale dell’organismo umano?
Non solo, se il cervello è la «centralina» che regola tutte le funzioni dell’individuo come mai i pazienti in MC mantengono inalterate le funzioni di base? Nella persona dichiarata morta, infatti, la circolazione sanguigna, il controllo della temperatura, il sistema metabolico e immunitario funzionano perfettamente, così come lo scambio gassoso nei polmoni che permette al paziente di respirare (ossia di metabolizzare l’ossigeno).
Addirittura, le donne che aspettano un bambino possono portare a termine la gravidanza; ciò non è la dimostrazione più lampante dell’esistenza di interazioni molto complesse tra gli organi, ossia che ci sia integrazione?
Evidentemente, la MC non costituisce la fine dell’unità biologica dell’organismo come un tutto. Del resto, è la stessa medicina dei trapianti a trarre vantaggio dalla mantenuta unità biologica del potenziale donatore, dal momento che per essa è di fondamentale importanza che gli organi da prelevare rimangano interconnessi e vivi.
Solamente la sospensione del sostegno vitale fa sopraggiungere la (vera) morte della persona e avvia il processo di decomposizione del corpo.
Tuttavia, ammesso e non concesso che il mancato funzionamento del cervello equivalga alla morte dell’individuo, rimarrebbe comunque da stabilire se nella MC tutte le funzioni cerebrali siano effettivamente compromesse e se lo siano in modo irreversibile. Per rispondere a questi interrogativi potrebbe tornare utile capire se le conoscenze finora acquisite dalle neuroscienze circa il funzionamento del cervello siano complete ed esaustive e se le tecniche utilizzate per stabilire l’irreversibilità delle funzioni cerebrali siano a prova di errore.
Per quanto riguarda il primo punto, è evidente che malgrado la ricerca scientifica abbia compiuto grandi passi in avanti nello studio del cervello essa è ben lontana dall’aver acquisito la completa conoscenza di questo meraviglioso organo. Sono gli stessi addetti ai lavori a dichiarare che benché si conosca molto a livello molecolare e cellulare si sia rimasti sostanzialmente ignoranti circa le proprietà dei circuiti che fanno funzionare l’enorme e estremamente complesso meccanismo cerebrale. Si parla infatti di milioni di cellule che formano tra loro miliardi di connessioni contemporaneamente.
Nel 2017 la rivista Current Biology ha reso noto un esperimento scientifico condotto dalla neuroscienziata Angela Sirigu, la quale è riuscita a recuperare la coscienza di un paziente in stato vegetativo attraverso una serie protratta nel tempo di elettrostimolazioni del nervo vago. La particolarità dell’esperimento effettuato dalla ricercatrice italiana è dovuta al fatto che il paziente non aveva più alcun contatto con il mondo esterno da ben 15 anni e la sua condizione era considerata irreversibile.
Anche secondo la neurologa Silvia Marino, la quale è riuscita attraverso la somministrazione di stimoli di vario genere a far passare un certo numero di pazienti dallo stato cosiddetto vegetativo a quello di minima coscienza, il termine irreversibile applicato ai disturbi della coscienza non è più utilizzabile.
Per quanto riguarda le procedure atte a stabilire la MC, esse sembrano, ad una attenta analisi, artificiose e prive di validità scientifica.
Innanzitutto, secondo i teorizzatori della MC la presunta irreversibilità del danno cerebrale sarebbe comprovata quando una particolare serie di funzioni cerebrali rimane per qualche tempo clinicamente non individuabile. Tuttavia, è ormai noto che la funzione neurale può essere soppressa solo temporaneamente quando l’apporto di sangue al cervello diminuisce fino ad un certo livello. Questo fenomeno è noto come penombra ischemica.
Il riconoscimento di tale fenomeno (tra l’altro, sostanzialmente sconosciuto al tempo della stesura del rapporto di Harward) grazie alle moderne tecniche di diagnostica per immagini è la dimostrazione che lo stato di assenza di riflessi cefalici non corrisponde necessariamente alla MC. Inoltre, la valutazione clinica della diagnosi di MC richiede la sospensione temporanea del supporto respiratorio meccanico allo scopo di aumentare la concentrazione di anidride carbonica nel sangue e verificare quindi la presenza del riflesso respiratorio nel paziente.
Tuttavia, questa procedura diagnostica, nota come test di apnea, riduce la pressione sanguigna e aumenta la pressione intracranica e può causare alla persona in coma danni fatali. Pertanto, il fatto che il suddetto test venga utilizzato prima di dichiarare la MC e in vista di essa costituisce una chiara violazione dei diritti del malato in quanto viola le più fondamentali linee guida per la gestione delle gravi lesioni cerebrali, causando ipercapnia, ipotensione e ipossia. In pratica, il test di apnea spesso rappresenta il colpo di grazia che giustifica poi il prelievo degli organi.
Altro punto critico è la sorprendente aleatorietà dei criteri atti a stabilire la MC, i quali possono variare da paese a paese: in Italia, ad esempio, la valutazione dell’encefalo tramite EEG è obbligatoria ai fini della dichiarazione di MC; diverso è il caso inglese dove tale esame non viene ritenuto necessario. In linea teorica, un paziente può essere dichiarato morto oppure no a seconda del criterio diagnostico che sceglie di seguire un determinato medico.
D’altra parte, le attività della corteccia cerebrale non possono essere valutate clinicamente se il paziente versa in stato di incoscienza. Per lo stesso motivo, non può essere valutata l’attività del cervelletto mediante esame clinico o elettrofisiologico. In realtà, nessun criterio diagnostico è in grado di dimostrare l’assenza di tutte le attività cerebrali e cerebellari nel paziente in coma. Com’è possibile dunque affermare con assoluta certezza che l’attività cerebrale di un soggetto in coma sia talmente ridotta da non dargli più alcuna possibilità di ripresa, come vediamo in continui casi anche recenti?
Ad ogni modo, la cessazione di funzione, sia reversibile che irreversibile, non implica necessariamente la distruzione totale dell’encefalo e dunque men che mai la morte della persona. In effetti, l’irreversibilità in quanto tale non è un concetto empirico, non è una condizione osservabile. Considerare l’irreversibilità del funzionamento cerebrale come sinonimo di morte o di distruzione dell’encefalo equivale a identificare i sintomi con la loro causa.
Il paziente dichiarato cerebralmente morto conserva responsività agli stimoli e può anche mostrare dei movimenti spontanei come il cosiddetto fenomeno di Lazzaro, durante il quale il presunto cadavere compie dei movimenti anche ben coordinati che lasciano supporre il coinvolgimento del cervelletto e delle aree superiori dell’encefalo.
Inoltre, vengono spesso rilevate nel soggetto in MC delle risposte che di norma sono mediate dal tronco encefalico, come l’aumento della frequenza del battito cardiaco e della pressione sanguigna sia all’inizio che nel corso dell’intervento per la rimozione degli organi.
La presenza di movimenti spontanei nella persona che viene sottoposta all’espianto è tale che durante l’operazione è sempre necessario paralizzarla. Per di più, la maggior parte degli anestesisti somministra al «morto» la stessa dose di anestesia generale che viene impiegata per un paziente vivo. Eppure, per i fautori del nuovo criterio di morte i segni vitali chiaramente riscontrabili nel paziente in MC non sono altro che riflessi spinali.
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Sembra evidente che la MC sia un’invenzione, un costrutto pseudo scientifico atto a dichiarare morti i pazienti in coma, aprendo la strada alla predazione degli organi o semplicemente all’eliminazione del malato o dell’incosciente.
Del resto, sono gli stessi addetti ai lavori ad ammettere che la MC non ha alcuna base naturale o scientifica e che il suo vero fine è stabilire per legge chi deve essere sacrificato a Moloch.
Infatti, nel Manuale MSD riservato agli operatori sanitari, alla voce Morte Cerebrale, si legge: «La determinazione che la morte cerebrale/morte per criteri neurologici (ossia, la cessazione totale della funzione cerebrale integrata, in particolare quella del tronco encefalico) costituisce la morte di una persona è stata accettata legalmente e culturalmente nella maggior parte dei Paesi».
«Accettata», come si accetta una convenzione. E non da tutte le nazioni e le famiglie. Sicuramente non da noi.
Alfredo De Matteo
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Immagine di Ericneuro via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International;immagine modificata.
Morte cerebrale
La Littizzetto all’anagrafe per convincere i cittadini a farsi espiantare gli organi

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Morte cerebrale
Vescovo tedesco contesta la morte cerebrale

In una lettera al settimanale cattolico Die Tagespost, il vescovo emerito di Fulda, Monsignor Heinz Josef Algermissen, ha pubblicamente messo in discussione il concetto di morte cerebrale come criterio neurologico di morte, secondo quanto riportato dal sito web CNA Deutsch. In questa lettera affronta il dibattito sulla validità del criterio neurologico di morte.
Per porre il problema, mons. Algermissen spiega che «l’essere umano in stato di morte cerebrale si trova in un transitus [passaggio] interrotto da misure esterne di medicina intensiva. Gli viene impedito di completare il processo di morte che è già iniziato».
«Questo stato, indotto artificialmente dalle risorse della terapia intensiva, presenta caratteristiche sia della vita – come la regolazione della temperatura o certi riflessi – sia della morte, il che rende estremamente difficile determinarne lo status ontologico e morale», ha affermato il presule.
Ne deduce una domanda: «siamo davvero di fronte a un cadavere che assomiglia semplicemente a un essere umano vivente? O non dovremmo piuttosto pensare al paziente con morte cerebrale come a qualcuno condannato a morte, ma non ancora del tutto morto?» La domanda è davvero cruciale.
Secondo il vescovo emerito, la ricerca neurologica «suggerisce che non si dovrebbe attribuire al cervello la funzione di integrare l’organismo nel suo insieme, il che rende plausibile dichiarare la morte di persone le cui funzioni cerebrali sono state irrimediabilmente perse».
Infine, il vescovo Algermissen conclude: «Un trapianto di organi non è una semplice riparazione consistente nella sostituzione di una parte difettosa. Gli esseri umani non hanno solo un corpo, ma sono anche corpi permeati di spirito. Parlare di queste questioni richiede sincerità».
Il filosofo tedesco Josef Seifert, che si oppone all’attuale concetto di morte cerebrale, ritiene che la pratica dell’espianto di organi in caso di morte cerebrale debba essere urgentemente rivista da una prospettiva filosofica ed etica. «Mettiamo in guardia contro il pericolo di trattare l’essere umano come un mezzo per raggiungere un fine e di negare la sua dignità fondamentale», ha affermato.
Una citazione di Giovanni Paolo II
La CNA Deutsch si oppone a loro con un testo di Giovanni Paolo II, risalente al 2000, in cui si afferma che «il criterio attualmente adottato per stabilire la morte, vale a dire la cessazione completa e irreversibile di ogni attività cerebrale, non contrasta con gli elementi essenziali di un’antropologia razionale, purché venga applicato con perfetto rigore». Ma questa citazione non basta.
Almeno per comprendere il vero pensiero del papa polacco. Infatti, mentre la Pontificia Accademia delle Scienze, riunitasi nell’ottobre 1985 per studiare l’esatta determinazione del momento della morte, aveva concluso adottando la definizione di morte del famoso rapporto di Harvard, egli ordinò una nuova riunione nel dicembre 1989, alla quale partecipò anche la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Le conclusioni rimasero sostanzialmente le stesse, ma con l’accento sul fatto che non si poteva determinare il momento della morte (in fieri), ma cercare i segni della morte avvenuta (in facto esse); nonché la cautela richiesta per affermare questa diagnosi e il necessario affinamento dei metodi. Per il resto, e a queste condizioni, la tassa potrebbe essere ammessa.
Visibilmente preoccupato per l’argomento, Giovanni Paolo II ha insistito sulla certezza della morte da acquisire prima di togliere una vita: «Più precisamente, esiste una reale probabilità che la vita la cui continuazione è resa impossibile dall’asportazione di un organo vitale sia quella di una persona vivente, mentre il rispetto dovuto alla vita umana ne proibisce il sacrificio».
Due anni dopo, durante un discorso al congresso internazionale della Society of Organ Sharing, il 20 giugno 1991, Giovanni Paolo II ricordò la necessità del consenso informato (in contrapposizione al consenso presunto); Non fece alcun riferimento all’accertamento della morte, ma ricordò che qualsiasi riscossione doveva essere effettuata dopo la morte.
Nel 1999, in occasione del V incontro della Pontificia Accademia per la Vita, si tornò a discutere di morte cerebrale e donazione di organi, e tra i medici cattolici emerse una netta divisione su questo tema, anche se gli oppositori sembravano essere una minoranza.
Nel 2004 – quindi dopo il discorso del 2000 sopra riportato – Giovanni Paolo II convocò una nuova riunione della Pontificia Accademia delle Scienze per riesaminare il concetto di morte cerebrale e di trapianto, dal titolo: I segni della morte. Si affermò l’atteggiamento contrario al concetto di morte cerebrale. Dopo l’incontro, quando gli Atti erano pronti per la stampa, il «Vaticano» fermò tutto.
Inoltre, la stessa Accademia organizzò l’anno successivo, sotto Benedetto XVI, un nuovo convegno, dallo stesso titolo «I segni della morte», con la partecipazione quasi esclusiva di personalità favorevoli al concetto di morte cerebrale. Gli atti furono pubblicati nel marzo 2007. La riunione del 2006 approvò pienamente il concetto di morte cerebrale.
I protagonisti contrari alla definizione data di morte cerebrale hanno risposto pubblicando i loro interventi nel libro Finis Vitae edito grazie al sostegno di Roberto de Mattei e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di cui è stato vicepresidente.
Questa esposizione dei fatti dimostra che la situazione non era affatto chiara nel pensiero di Papa Giovanni Paolo II, il quale metteva costantemente in discussione il concetto di morte cerebrale. Va aggiunto che Josef Ratzinger, in qualità di cardinale e prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha rilasciato diverse dichiarazioni in cui ha manifestato il suo scetticismo, se non addirittura la sua contrarietà, al concetto.
Conclusione
Vale la pena di notare attentamente questa citazione di Pio XII, tratta dal Discorso ai membri dell’Istituto Italiano di Genetica Gregorio Mendel sui problemi della rianimazione, del 24 novembre 1957: «le osservazioni generali ci permettono di credere che la vita umana continua finché le sue funzioni vitali – a differenza della semplice vita degli organi – si manifestano spontaneamente o anche con l’aiuto di processi artificiali».
«Un buon numero di questi casi sono soggetti a dubbio insolubile, e devono essere trattati secondo le presunzioni di diritto e di fatto, di cui abbiamo parlato». Ha detto a questo proposito: «in caso di dubbio insolubile, si può anche ricorrere a presunzioni di diritto e di fatto. In generale, ci concentreremo sulla questione della permanenza della vita, perché è un diritto fondamentale ricevuto dal Creatore e che deve essere dimostrato con certezza per essere perso».
È proprio questo che si può concludere: come dice mons. Algermissen, proprio per il fatto stesso della rianimazione praticata, sembra decisamente dubbio che si possa applicare un qualsiasi criterio di morte a una persona in coma profondo. E poi il dubbio deve essere risolto a favore della vita.
La strada è quindi aperta solo ai trapianti da donatori viventi.
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Animali
Trapiantato fegato di maiale su un paziente in morte cerebrale

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