Cina
Il presidente cinese va in Tibet mentre le inondazioni colpiscono milioni di persone nell’Henan
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
Visita per festeggiare i 70 anni dall’invio delle truppe per occupare la regione. Il presidente vuole promuovere stabilità, sviluppo e proteggere l’ambiente nell’area. Governo tibetano in esilio: Pechino distrugge la nostra identità, riapra il dialogo con il Dalai Lama. Proteste per le morti causate dalle alluvioni nella Cina centrale.
La visita in Tibet di Xi è la prima che compie da presidente, e la prima in 10 anni. Nel 2011 vi è andato da vice presidente; in quell’occasione egli aveva promesso di combattere le «attività separatiste» condotte dal Dalai Lama
Ieri e l’altro ieri il presidente cinese Xi Jinping ha visitato il Tibet, un tour per celebrare i 70 anni dall’invio delle truppe nella futura regione autonoma abitata da una consistente popolazione autoctona di fede buddista.
La visita in Tibet di Xi è la prima che compie da presidente, e la prima in 10 anni. Nel 2011 vi è andato da vice presidente; in quell’occasione egli aveva promesso di combattere le «attività separatiste» condotte dal Dalai Lama, la guida spirituale del buddismo tibetano, in esilio dal 1959. Tenzin Gyatso si è stabilito in India dopo che quell’anno l’esercito cinese ha sedato una rivolta dei residenti tibetani.
Lo scorso agosto Xi aveva dichiarato che la difesa del confine tibetano è una priorità nazionale. Due mesi prima, truppe di Pechino e Delhi si erano scontrate lungo la frontiera provvisoria che divide il Ladakh indiano e il Tibet: gli scontri hanno causato decine di morti, le prime dal 1975 in occasione di schermaglie frontaliere tra i due Paesi.
Secondo fonti citate dal South China Morning Post, nel suo viaggio tibetano Xi si è concentrato però su questioni interne: stabilità locale, sviluppo e protezione dell’ambiente. Alla popolazione del Tibet Xi ha detto di essere fiducioso che tutti i gruppi etnici locali «marceranno verso una vita felice».
Il nuovo leader del governo tibetano ha accusato il governo cinese di distruggere l’identità tibetana attraverso l’invio d’immigrati di origine han
Il nuovo leader del governo tibetano in esilio la pensa in modo diverso. In un’intervista pubblicata oggi da Nikkei Asia, Penpa Tsering ha accusato il governo cinese di distruggere l’identità tibetana attraverso l’invio d’immigrati di origine han (gruppo maggioritario in Cina). Egli ha denunciato la soppressione della libertà religiosa in Tibet, con le autorità cinesi che tengono sotto controllo i monasteri buddisti grazie al massiccio uso di sistemi di videosorveglianza.
Tsering ha invitato USA, Unione europea e le altre democrazie a unirsi per aiutare la causa tibetana. Il politico tibetano ha chiesto anche al governo cinese di riprendere il dialogo con il governo tibetano in esilio, fermo dal 2010, e di aprire negoziati diretti con il Dalai Lama.
Prima di arrivare in Tibet, Xi ha trovato il tempo per una fermata nel vicino Sichuan, dove ha visitato anche il sito archeologico di San Xing Dui.
Il presidente si è tenuto lontano dall’Henan, devastato da inondazioni seguite a piogge torrenziali
L’alluvione ha provocato finora 51 morti, la maggior parte nella capitale provinciale Zhengzhou. Il disastro ha colpito tre milioni di persone, molte delle quali sono rimaste intrappolate senza cibo e acqua potabile. Secondo la CCTV, la stima dei danni economici ammonta a 1,2 miliardi di yuan (160 milioni di euro).
Centinaia di migliaia di persone sono state evacuate. I soccorritori sono in azione per sgomberare interi villaggi. Intanto crescono le proteste dei residenti, che domandano alle autorità perché la metropolitana di Zhengzhou non sia stata chiusa di fronte alle violenti precipitazioni. Almeno 12 persone sono morte affogate nella metro cittadina.
L’alluvione ha provocato finora 51 morti, la maggior parte nella capitale provinciale Zhengzhou. Il disastro ha colpito tre milioni di persone
La situazione meteorologica in Cina potrebbe peggiorare nel fine settimana, quando è atteso l’arrivo sulla costa orientale del tifone In-fa.
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Immagine screenshot da Euronews YouTube
Cancro
Cina, indagata clinica che prometteva di curare il cancro con la medicina tradizionale
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Almeno 15 persone sono morte dopo essersi rivolte alla struttura, hanno spiegato le autorità. Il fondatore della clinica, Wu Pengfei, promuoveva le pratiche online e prescriveva ai pazienti medicinali contenenti erbe tossiche.
Una clinica di medicina tradizionale cinese della provincia centrale dell’Hubei è sotto indagine per la morte di 15 persone che erano alla ricerca di un trattamento per il cancro. Il fondatore della clinica, Wu Pengfei, sosteneva, in alcuni contenuti circolati online, di poter utilizzare la medicina tradizionale cinese per curare i tumori.
Un articolo pubblicato sul quotidiano Beijing News ha spiegato che tra il 18 aprile e il 31 maggio (data di apertura e chiusura della clinica), oltre 390 pazienti hanno visitato la struttura. Tra questi, 15 sono morti e 20 hanno visto le loro condizioni di salute peggiorare in maniera grave. Finora Wu Pengfei è stato sanzionato al pagamento di 417mila yuan, (oltre 57mila dollari) per aver commesso «atti illegali»: l’impiego di personale non sanitario per svolgere pratiche mediche e l’assenza di registri per gli acquisti e le prescrizioni di medicinali.
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In un video promozionale circolato online, un collega di Wu diceva di possedere «competenze mediche uniche» e di essere la «prima persona in Cina a curare il cancro utilizzando la medicina tradizionale cinese». Ma Hou Yuanxiang – questo il suo nome – era già stato in precedenza condannato per produzione e vendita di farmaci contraffatti. Nei video promozionali, Wu sosteneva anche che 3mila pazienti erano guariti dal cancro grazie alle pratiche di Hou, e la clinica godeva di tassi di guarigione di oltre l’80%.
Wang Xiaoying ha raccontato a Beijing News che suo fratello, Xiaobo, si era rivolto alla clinica dopo a febbraio che gli era stato diagnosticato un tumore al fegato. La famiglia era venuta a conoscenza della clinica grazie a un account online che ne promuoveva i servizi. Dopo aver pagato 18.620 yuan, Xiaobo è stato sottoposto per sette giorni a un trattamento di moxibustione, durante il quale un’erba chiamata moxa viene bruciata sulla pelle o vicino ad essa.
In seguito a un consulto di appena cinque minuti gli era inoltre stato prescritto un farmaco – ha continuato la sorella – che però non si è rivelato efficace: dopo due settimane di cure, il fratello aveva perso 5 chili di peso. Ricoverato in ospedale per un’ascite (un accumulo di liquido nell’addome), Xiaobo è morto un mese dopo.
Un medico che lavorava alla clinica e di cui Beijing News non riporta il nome, ha detto che nella preparazione dei medicinali veniva utilizzato l’aconito cinese, una radice tossica.
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La notizia ha generato una certa indignazione tra gli utenti cinesi. Alcuni hanno sottolineato l’arroganza del fondatore, che ha chiamato la clinica Yaowang Valley, che significa «valle del re della medicina», mentre altri hanno segnalato di diffidare di chi propone «medicine segrete tramandate da generazioni».
A inizio settimana le autorità cinesi hanno diramato un avviso con il quale affermano che sono in corso «indagini approfondite» sulle attività della clinica. I funzionari hanno inoltre ringraziato gli della rete per aver acceso i riflettori sulla questione, promettendo che i risultati dell’indagine saranno comunicati «in modo tempestivo».
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Immagine di Kristoffer Trolle via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Cina
Xinjiang e lavoro forzato: i «passi indietro» in Cina di Volkswagen e Uniqlo
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Cina
L’ex presidente della Bank of China condannato a morte
L’ex capo di una delle principali banche cinesi ha ricevuto una condanna a morte sospesa per corruzione, ha riferito martedì la l’agenzia stampa di Stato cinese Xinhua. Il verdetto arriva come parte di una vasta repressione anti-corruzione da parte delle autorità di Pechino.
Liu Liange è stato condannato a morte con una sospensione di due anni per aver accettato tangenti per un valore equivalente a quasi 17 milioni di dollari e per aver concesso prestiti illegalmente, secondo Xinhua. Liu è stato presidente della Banca di Cina per quattro anni fino alle sue dimissioni nel marzo 2023, diverse settimane prima che le autorità rivelassero che stava affrontando accuse di corruzione.
È stato arrestato nell’ottobre dell’anno scorso. Secondo la sentenza di martedì, tutti i beni personali di Liu saranno confiscati e tutti i suoi guadagni illeciti dovranno essere recuperati e consegnati alla tesoreria dello Stato.
La sospensione di due anni, concessa perché l’imputato ha collaborato con le autorità e ha mostrato rimorso, significa che la sentenza verrà eseguita solo se Liu commetterà altri crimini durante il periodo, ha riferito Reuters. Se la sospensione venisse concessa, il 63enne sconterebbe l’ergastolo.
Liu è l’ultima figura di alto profilo ad essere condannata a morte nell’ambito delle vaste misure anticorruzione ordinate dal presidente Xi Jinping e mirate al settore finanziario del Paese, che vale 60 trilioni di dollari.
L’ex vicegovernatore della banca centrale Fan Yifei è stato condannato a morte per corruzione in ottobre, con una sospensione della pena di due anni.
A maggio, Bai Tianhui, ex dirigente di una delle più grandi società di gestione patrimoniale controllate dallo Stato, è stato condannato a morte per aver accettato tangenti per un valore di quasi 152 milioni di dollari.
Xi ha fatto della lotta alla corruzione una questione politica chiave da quando è diventato presidente un decennio fa. La campagna gode di un notevole sostegno pubblico, sebbene i critici affermino che consente al presidente di consolidare il potere sostituendo i rivali con lealisti in posizioni chiave.
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Immagine di JHH755 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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