Cina
Il giornale del Partito Comunista Cinese dice che la guerra asiatica andrà oltre l’Iran
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Il Global Times, giornale in lingua inglese del Partito Comunista Cinese, ha pubblicato un editoriale il 4 febbraio dal titolo «Perché gli Stati Uniti continuano a creare guerre mentre dicono di non cercarle?»
Il pezzo inizia osservando che sia gli Stati Uniti che l’Iran «hanno affermato di non avere intenzione di entrare in guerra tra loro», per poi scrivere che «abbiamo tutte le ragioni per credere che questo sia vero, ma entrambe le parti si stanno ancora avvicinando sempre più al conflitto diretto e persino alla guerra».
La testata house organ del PCC è particolarmente duro riguardo l’escalation in corso.
«Ciò che deve essere riconosciuto è che gli Stati Uniti e l’Iran sono padroni geopolitici, ma la situazione si sta sviluppando verso un possibile conflitto diretto. Se permettiamo che ciò si sviluppi, la situazione nella regione assumerà uno slancio intrinseco di deterioramento autoaccelerato».
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«A quel punto, né gli Stati Uniti né l’Iran saranno in grado di controllare la situazione, e nessuna delle due parti potrà modellare il modello secondo la propria volontà. Inoltre, è probabile che la portata dell’impatto non sia limitata solo tra gli Stati Uniti e l’Iran, perché qualsiasi conflitto in Medio Oriente ha un effetto di ricaduta molto forte».
«Più gli Stati Uniti dicono che non stanno portando avanti un conflitto, più è immerso in uno» è l’amara conclusione dell’editoriale, che si conclude con il tipico eufemismo cinese: «dobbiamo sottolineare che il dilemma strategico affrontato dagli Stati Uniti è diventato un problema regionale e globale significativo».
Come riportato da Renovatio 21, il nuovo ministro della Difesa britannico Grant Shapps tre settimane fa in un sorprendente avvertimento ha dichiarato che ci si deve preparare alla guerra con Russia, Cina, Iran e Corea del Nord.
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Immagine di Official U.S. Nav Page via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Cina
La Cina accusa: la NATO trae profitto dal conflitto in Ucraina
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Cina
Pechino dà più autonomia fiscale agli enti locali in piena crisi finanziaria
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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Tra le decisioni adottate del terzo Plenum del Partito tenutosi nei giorni scorsi, il via libera a una «maggiore capacità fiscale autonoma» per far fronte al pesante squilibrio tra entrate e uscite. Su prefetture e contee gravano debiti ingenti che l’esplosione della bolla immobiliare in Cina ha reso ancora più insostenibili. Intanto la Banca centrale ha ritoccato nuovamente al ribasso i tassi per stimolare la crescita al di sotto delle attese.
Di fronte all’ammontare del debito delle amministrazioni locali in Cina – che secondi i dati ufficiali (da molti analisti indipendenti ritenuti addirittura sottostimati) ammonta a ben 5.600 miliardi dollari – il Partito Comunista Cinese intende dare più poteri ai governi locali nell’imposizione e nella gestione delle entrate fiscali.
È la decisone più significativa che compare tra le risoluzioni adottate dall’atteso terzo Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese, tenutosi la scorsa settimana e ce aveva al centro proprio il rallentamento della crescita economica cinese che continua anche ormai finita la fase della pandemia.
Nelle oltre quaranta pagine del comunicato pubblicato domenica 21 luglio dall’agenzia statale Xinhua – nel quadro di una «chiara divisione delle responsabilità», si dice verrà concessa ai governi locali una maggiore «capacità fiscale autonoma», consentendo loro di aumentare le fonti fiscali e di espandere «in modo appropriato» la loro autorità di gestione in materia di tasse.
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La crisi finanziaria degli enti locali è uno dei problemi principali che gravano oggi sull’economia cinese. Da questi enti dipendono i servizi pubblici ai cittadini, come l’istruzione e la sanità, e dunque le loro difficoltà finanziarie possono portare a tagli che indirettamente riducono la capacità di spesa delle famiglie, rallentando così anche i consumi interni.
Da quando Pechino ha avviato le riforme del mercato, oltre quarant’anni fa, la tassazione e le riforme dei rapporti tra centro e territori sono state costantemente uno degli elementi più spinosi.
La riforma della ripartizione fiscale del 1994, lanciata dall’allora premier Zhu Rongji, ha alleviato il deficit di entrate del governo centrale, ma è stata accusata di aver causato l’aumento degli oneri per i governi locali. Di conseguenza, le amministrazioni locali si sono rivolte alla vendita all’asta dei diritti di utilizzo dei terreni per ottenere maggiori entrate. Ma l’esplosione della bolla immobiliare in questi ultimi anni gli si è ritorta contro.
Secondo i dati ufficiali del ministero delle Finanze, l’anno scorso le entrate fiscali dei governi locali hanno rappresentato il 54% del totale nazionale, a fronte di una spesa che è pari all’86% del totale. Uno squilibrio dovuto al rallentamento economico post-pandemia che ha aumentato le preoccupazioni per i rischi di stabilità finanziaria delle oltre 300 prefetture e delle circa 3.000 contee della Cina, alcune delle quali si trovano impantanate in un debito gravoso.
In questo quadro il Plenum del Partito ha deciso di istituire un «meccanismo a lungo termine» per disinnescare il rischio di debito nascosto e un’espansione «ragionevole» del denaro raccolto attraverso obbligazioni speciali emesse dai governi locali. Tra le misure in cantiere figurano anche l’aumento dei trasferimenti generali dal governo centrale alle autorità locali, il passaggio della riscossione dell’imposta sui consumi ai governi locali e il miglioramento della ripartizione delle entrate fiscali condivise, come l’imposta sul valore aggiunto.
Nel frattempo oggi la banca centrale cinese ha nuovamente ritoccato oggi due tassi di interesse di riferimento che erano già ai minimi storici per il Paese, nel tentativo di rilanciare la crescita economica che resta al di sotto del 5% indicato come obiettivo.
Il tasso prime sui prestiti a un anno, che costituisce il parametro di riferimento per i tassi più vantaggiosi che le banche possono offrire a imprese e famiglie, è stato ridotto dal 3,45% al 3,35%, dopo essere stato abbassato l’ultima volta in agosto.
Il tasso a cinque anni, il parametro di riferimento per i prestiti ipotecari, è stato ridotto dal 3,95% al 3,85%, dopo la riduzione di febbraio.
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Immagine di edward stojakovic via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Cina
Test di gravidanza obbligatori nelle aziende cinesi
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