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Terrorismo

Gli USA dicono di aver ucciso un comandante ISIS in Africa

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Un alto comandante del gruppo terroristico Stato islamico (IS, ex ISIS) è stato ucciso in un raid delle forze speciali statunitensi in Somalia, ha affermato il Pentagono, aggiungendo che il militante ha svolto un ruolo importante nella raccolta di fondi per la famigerata cellula jihadista.

 

Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin ha annunciato l’operazione giovedì, affermando che si è svolta nel nord della Somalia un giorno prima e che «ha provocato la morte di un certo numero di membri dell’ISIS», tra cui il leader regionale Bilal al-Sudani e altri 10 combattenti.

 

Il comandante era «responsabile di promuovere la crescente presenza dell’ISIS in Africa e di finanziare le operazioni del gruppo in tutto il mondo, compreso l’Afghanistan», ha affermato Austin, sostenendo che al-Sudani fosse un «facilitatore chiave» nella «rete globale» dello Stato Islamico.

 

Il capo del Pentagono ha continuato affermando che la missione statunitense non ha provocato vittime civili, mentre l’Africa Command (AFRICOM) dell’esercito ha notato che il raid è stato effettuato in una “località remota” ed è improbabile che abbia ferito non combattenti. Nessun soldato americano è stato danneggiato, secondo un alto funzionario anonimo citato dalla CNN.

 

Lo stesso funzionario ha aggiunto che mentre le forze statunitensi erano pronte a catturare al-Sudani, la risposta «ostile» del suo gruppo le ha costrette a reagire che ha provocato la sua morte. È stato sanzionato per la prima volta dal Tesoro degli Stati Uniti nel 2012 per aver presumibilmente aiutato combattenti stranieri a recarsi in un campo di addestramento in Somalia e per aver assistito gruppi jihadisti con finanziamenti.

 

Il presidente Donald Trump ha ritirato la maggior parte dei 700 soldati statunitensi di stanza in Somalia nel 2020. Biden ha ridistribuito le truppe l’anno scorso per continuare le operazioni contro i militanti locali, citando l’autorizzazione militare approvata dal Congresso dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.

 

Secondo la Brown University of War, quell’autorizzazione è stata invocata per giustificare missioni di «antiterrorismo» in almeno 85 paesi , fungendo effettivamente da assegno in bianco per l’intervento militare statunitense in tutto il mondo.

 

Gli USA hanno assassinato un supposto leader dell’ISIS, Maher al-Agal in Siria sette mesi fa. Cinque mesi prima aveva ucciso un altro supposto leader ISIS nell’area della Siria occupata da Turchia e forze di al-Qaeda.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione Biden a metà 2022 aveva sanzionato una rete di cinque mediatori finanziari dell’ISIS accusati di assistere il gruppo terroristico nel traffico di bambini dai campi profughi per il reclutamento come combattenti

 

L’ISIS in Afghanistan sta tornando a far sentire la sua presenza, bombardando il mese scorso un hotel a gestione cinese e attaccando la diplomazia russa nel Paese. Attività ISIS sono segnalate anche nell’area curdo-siriana.

 

La presenza di forze legate allo Stato Islamico in Africa è sempre più massiccia, e mette in pericolo anche l’interesse nazionale italiano, oltre che le vite dei nostri missionari, come il caso di Suor Maria, trucidata in Mozambico l’anno passato.

 

Nel frattempo, l’Intelligence russa accusa gli USA di addestrare militanti ISIS per la guerra in Ucraina, mentre vi sono accuse simili riguardo alla Francia che supporterebbe i gruppi terroristici operanti nell’Africa francofona.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Somalia è la terra allo sbando dove dominano le milizie fondamentaliste islamiche di al-Shabaab, alle quali lo Stato italiano ha pagato il riscatto per la cooperante rapita due anni fa. Dopo il pagamento con il danaro del contribuente italiano, gli Shabaab hanno condotto massacri massivi.

 

In Somalia con gli Shabaab operava anche Samantha Lethwaite, detta «la vedova bianca», britannica convertita al jihadismo e imprendibile primula rossa del terrorismo internazionale che, si disse, aveva pure un piano per creare altre europee come lei.

 

 

 

 

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Terrorismo

Attentati contro gli investimenti cinesi in Pakistan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

In sette giorni tre attacchi hanno colpito i progetti infrastrutturali in Pakistan finanziati da Pechino. Il premier Shehbaz Sharf dovrebbe recarsi in Cina il prossimo mese per consolidare l’agenda economia ma è probabile che il lancio di nuovi progetti subirà un arresto, sostengono gli analisti. Nonostante l’ultimo attentato suicida non sia stato rivendicato, diversi gruppi hanno motivi per colpire i cinesi.

 

Il 26 marzo cinque ingegneri cinesi e un autista pakistano sono stati uccisi in un attentato suicida a Besham, una città a circa 270 chilometri a nord-ovest da Islamabad nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa. L’attacco, il terzo in sette giorni contro gli interessi cinesi, va a sommarsi a una serie di episodi simili avvenuti negli ultimi anni che rischiano di mettere a repentaglio gli investimenti di Pechino in Pakistan.

 

Gli ingegneri cinesi vittime dell’attentato si stavano dirigendo verso Dasu, dove è in costruzione di una diga da 4,2 miliardi di dollari parte del corridoio economico tra Cina e Pakistan (CPEC), che a sua volta rientra nella Belt and Road Initiative lanciata da Pechino nel 2013.

 

I portavoce del ministero degli Esteri cinese hanno condannato l’attacco, ribadendo allo stesso tempo l’importanza delle relazioni tra i due Paesi, che non sono solo «partner cooperativi strategici» ma anche «fratelli»: «la Cina chiede al Pakistan di indagare tempestivamente sull’episodio, di compiere ogni sforzo per arrestare i responsabili e assicurarli alla giustizia, e di adottare misure pratiche ed efficaci per proteggere la sicurezza dei cittadini cinesi» ha dichiarato il ministero, aggiungendo anche che «qualsiasi tentativo di indebolire la cooperazione sino-pakistana non avrà mai successo».

 

Il Pakistan, che dipende dagli investimenti cinesi (pari a 62 miliardi di dollari per il CPEC) a causa della mancanza di liquidità, ha formato un comitato che avrà il compito di indagare sull’accaduto. Anche perché, a differenza del passato, nessun gruppo – né i talebani pakistani, né gli indipendentisti beluci, né le cellule locali dello Stato islamico – ha rivendicato l’attacco di Besham.

 

Ragione per cui, secondo diversi analisti, l’attentato è probabilmente stato compiuto da «terroristi mercenari»: si tratta di militanti che «si spostano da un’organizzazione all’altra, raramente perseguono il jihad per ragioni ideologiche», ha spiegato il ricercatore Khuram Iqbal. «Piuttosto, agiscono in modo pragmatico, molto spesso per incentivi finanziari».

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La diga di Dasu era già stata presa di mira nel 2021: in un attentato attribuito ai Tehreek-e Taliban Pakistan (TTP, i talebani pakistani) erano morti 13 cittadini cinesi e 4 pakistani, che anche in quel caso stavano viaggiando in autobus verso il progetto infrastrutturale.

 

La settimana scorsa, invece, un attacco al porto di Gwadar (considerato il fiore all’occhiello del corridoio economico tra Cina e Pakistan) e un successivo attentato a una base navale nel sud-ovest del Pakistan sono stati perpetrati dagli indipendentisti beluci, che si sentono depredati delle loro risorse da parte di Pechino.

 

Non è una novità: l’Esercito di liberazione del Belucistan aveva già compiuto una serie di attentati contro i cinesi, colpendo anche obiettivi slegati dagli investimenti.

 

Ad aprile 2022, per esempio, una donna kamikaze si era fatta esplodere appena fuori dall’Università di Karachi uccidendo tre insegnanti cinesi e il loro autista pakistano. Ma anche lo Stato islamico ha le proprie ragioni per colpire Pechino: secondo l’analista Zaigham Khan, i militanti dell’Isis si oppongono agli abusi contro gli uiguri, la minoranza turcica di fede islamica che abita la provincia autonoma dello Xinjiang, localizzata al confine con la regione pakistana del Gilgit-Baltistan.

 

Indipendentemente dai mandanti, i continui attentati contro i cittadini cinesi sono un problema anche per Islamabad. Il prossimo mese il primo ministro Shehbaz Sharif dovrebbe andare in Cina per rafforzare i legami commerciali con Pechino, ma è probabile che questi passeranno in secondo piano.

 

«I cinesi non porteranno avanti alcun importante impegno economico con il Pakistan», secondo Muhammad Shoaib, professore all’Università Quaid-i-Azam di Islamabad. «La Cina è anche preoccupata per l’instabilità politica in Pakistan».

 

Un’opinione condivisa anche da Michael Kugelman, direttore del South Asia Institute del Wilson Center.  Le tensioni in Pakistan probabilmente impediranno «il lancio di nuovi grandi progetti. L’idea è di finire ciò che è già stato iniziato», ha commentato, aggiungendo che Pechino potrebbe chiedere l’intervento di personale cinese per garantire la sicurezza dei propri cittadini, una richiesta che Islamabad aveva più volte rifiutato in passato: «potrebbe non passare molto tempo prima che la Cina chieda di far intervenire il proprio personale di sicurezza, il che sarebbe motivo di imbarazzo per il Pakistan», ha proseguito Kugelman.

 

Il recente attacco «potrebbe intensificare quello che è stata a lungo una rara questione di tensione bilaterale».

 

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Terrorismo

La Russia risponde alle rivendicazioni dello Stato Islamico dietro l’attacco terroristico di Mosca

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I tentativi occidentali di diffondere la tesi che la sparatoria alla sala concerti di Crocus City sia stata organizzata dall’ISIS senza attendere la conclusione delle indagini appaiono estremamente sospetti, ha detto l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Anatolij Antonov. Lo riporta RT.   I servizi di sicurezza russi hanno arrestato quattro presunti autori del massacro di Mosca che erano fuggiti dalla scena, identificati come tagiki, nella regione di Bryansk, non lontano dal confine ucraino.   Il presidente russo Vladimir Putin ha descritto i sospettati come «islamici radicali», affermando che sono stati sorpresi a fuggire «verso l’Ucraina dove, secondo i dati preliminari, era stata preparata una finestra per attraversare il confine».   Gli Stati Uniti, insieme a molti dei loro alleati, hanno insistito sul fatto che l’ISIS è responsabile della sparatoria e che Kiev non ha nulla a che fare con ciò, fornendo allo stesso tempo un massiccio sostegno militare all’Ucraina nel suo conflitto con la Russia.   Commentando la posizione dei paesi occidentali riguardo alla sparatoria al Crocus City Hall di martedì, Antonov ha osservato che «una cosa è allarmante: stanno cercando di determinare in anticipo se l’IS è responsabile della tragedia nel nostro Paese».

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«Una domanda semplice che chiunque, qualunque cittadino russo potrebbe porre: perché queste persone, questi banditi, hanno tentato di fuggire da Mosca verso il confine ucraino?» ha chiesto l’ambasciatore.   Secondo Antonov, questo dettaglio suggerisce che «il regime Zelens’kyj è diventato terrorista se accoglie questi terroristi». Ha aggiunto che questo fatto da solo «richiede un’attenzione e un’indagine speciali».   Antonov ha aggiunto che lui e gli altri diplomatici russi erano fiduciosi che le forze dell’ordine di Mosca avrebbero condotto un’indagine e avrebbero rivelato «chi c’era dietro quegli assassini che ci hanno inflitto una ferita molto grave», aggiungendo che «siamo fermamente convinti che tutti questi degenerati debbano essere puniti».   Ieri, parlando con il giornalista russo Pavel Zarubin, il capo del servizio di sicurezza russo FSB Aleksandr Bortnikov ha affermato che attualmente si ritiene che i quattro stragisti fossero attesi in Ucraina e che la parte ucraina potrebbe essersi preparata ad aprire una «finestra» per consentire loro di attraversare il confine.   «Vi svelerò un piccolo segreto. D’altro canto dovevano essere accolti come eroi», ha detto Bortnikov. Martedì, in altre dichiarazioni rilasciate ai media, il capo dell’FSB ha anche affermato che, secondo le informazioni del suo servizio, l’Ucraina era stata coinvolta nell’addestramento di combattenti in Medio Oriente.   Anche il segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa Nikolaj Patrushev ha fatto dichiarazioni sulle responsabilità del regime Zelens’kyj.   «Certo, l’Ucraina», ha risposto Patrushev ad un giornalista che gli chiedeva se dietro al massacro vi fosse la Kiev oppure lo Stato Islamico.   Il computo della strage è attualmente salito a 139 morti.

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Immagine di Mosreg.ru di Mosca via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0  
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Stragi della Pasqua 2019 in Sri Lanka: l’ex presidente dice di conoscere i «veri responsabili»

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L’ex presidente – già condannato per non aver saputo prevenire gli attentati che causarono 273 morti – ora si dice disposto a rivelare in un’udienza a porte chiuse in tribunale i segreti che ha tenuto nascosti sulla vicenda ancora senza giustizia. Padre Rohan Silva: «se il governo avesse coraggio dovrebbe farlo arrestare immediatamente».

 

«Sono pronto a fare luce sui veri responsabili delle stragi della domenica di Pasqua del 2019». Nuove dichiarazioni dell’ex presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, rilanciano la sete di giustizia delle vittime di questa tragedia che il 21 aprile 2019 costò la vita a 273 persone, oltre al ferimento di altre 500.

 

Parlando con alcuni giornalisti a Kandy, Sirisena – condannato dalla Corte Suprema all’inizio del 2023 al pagamento di un risarcimento per non aver saputo prevenire le stragi – si è detto disposto a rivelare circostanze finora tenute segrete.

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«I sospetti che sono attualmente in custodia cautelare in relazione agli attentati – ha dichiarato – sono delinquenti minori. I veri colpevoli sono ancora in libertà. Sono pronto a fare luce sugli autori degli attacchi della domenica di Pasqua e a rilasciare una dichiarazione speciale se sarò convocato in tribunale», ha proseguito aggiungendo però sibillinamente che avendo finora tenute nascoste queste informazioni “è indispensabile che poi anche i giudici le tengano nascoste».

 

Le nuove dichiarazioni dell’esponente politico sono state colte come una sfida dai movimenti che sostengono la richiesta di giustizia dei familiari delle vittime. «Se il governo attuale avesse realmente coraggio, l’ex presidente Maithripala Sirisena dovrebbe essere arrestato immediatamente» ha commentato in una conferenza stampa padre Rohan Silva, direttore del Center for Social and Religions. «Cogliete queste opportunità per rendere giustizia e non tradire le famiglie dei 500 feriti e dei 273 morti che stanno ancora soffrendo».

 

Padre Silva ha anche ricordato che la Chiesa cattolica e gli altri gruppi che sostengono le vittime hanno sempre sostenuto «che ci sono delle menti dietro queste stragi. Era un gruppo che ha messo in atto un programma pianificato con un movente politico. Se una persona comune avesse fatto la stessa dichiarazione di Maithripala Sirisena, sarebbe già stata arrestata, ma lui è ancora libero».

 

La leadership cattolica dello Sri Lanka ha chiesto un’indagine indipendente sull’attacco e ha affermato che la carneficina di Pasqua ha chiaramente favorito la vittoria dell’ex presidente Gotabaya Rajapaksa alle presidenziali del 2019.

 

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