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Geopolitica

Evo Morales racconta la «politica dell’impero, cultura della morte» degli angloamericani dietro il golpe del 2019

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L’ex presidente boliviano Evo Morales ha concesso lo scorso 14 luglio una densa intervista a Declassified UK, un sito web di giornalismo investigativo

 

A Morales di commentare la notizia che lo stesso autore dell’intervista Matt Kennard aveva pubblicato nel marzo 2021, secondo cui l’ambasciata britannica a Laz Paz e l’Ufficio degli esteri e del Commonwealth (FCO) britannico sarebbero coinvolti nel colpo di Stato del novembre 2019 contro Morales e nelle successive attività.

 

Come riportò Renovatio 21, si trattò di quella che alcuni hanno chiamanto «la prima guerra del litio».

 

Morales ha detto a Kennard che quando ha appreso per la prima volta del coinvolgimento britannico nel colpo di Stato, esposto da Kennard  in modo molto dettagliato in un articolo declassificato nel Regno Unito l’8 marzo 2021 utilizzando i documenti FCO ottenuti dalla sua pubblicazione, era convinto che il colpo di Stato fosse correlato alla questione della lotta di classe.

 

Tuttavia, Moralese dice di aver poi capito che si trattava anche di «un attacco al nostro modello economico, un modello che appartiene al popolo, non all’impero, non al Fondo monetario internazionale», un modello economico, invece, basato sul controllo sovrano della Bolivia sulle sue risorse naturali attraverso la nazionalizzazione.

 

La nazionalizzazione delle risorse è la via per il controllo sovrano per industrializzare e sviluppare Il Paese. Questo è stato il modello stabilito da Morales durante i suoi 13 anni da presidente, e questo, dice nell’intervista, è ciò che l’impero non può accettare o perdonare . L’impero non può tollerare «che esista un altro modello migliore del neoliberismo, che un altro mondo è possibile, che un’altra Bolivia è possibile».

 

Nel suo exposé del 2021, Kennard aveva dimostrato che il colpo di stato contro Morales era uno sforzo anglo-americano. Chiaramente su ordine del Foreign Office, l’Ambasciata britannica a La Paz si era coordinata con le reti finanziarie e di Intelligence britanniche e anche con il Dipartimento di Stato americano e con l’Organizzazione degli Stati Americani per gettare le basi per il colpo di Stato.

 

Il governo britannico aveva appoggiato pienamente Janine Áñez, insediata illegalmente dopo la cacciata di Morales, dopo di che l’ambasciata del Regno Unito si è dichiarata «partner strategico» della Áñez.

 

Secondo EIRN, ci sarebbe quindi stato un «lavoro di coordamento con la “nave madre” a Londra per promuovere il coinvolgimento delle società britanniche nello sfruttamento del litio e di altre vaste risorse naturali della Bolivia».

 

Morales ha trovato «incomprensibile» che il Ministero degli Esteri abbia dichiarato che «non c’è stato alcun colpo di Stato» quando Kennard lo ha contattato in merito alla sua indagine

 

«Questa è una mentalità totalmente coloniale», ha detto Morales. «Pensano che alcuni paesi siano proprietà di altre nazioni. Pensano che Dio li abbia messi lì, quindi il mondo appartiene agli Stati Uniti e al Regno Unito. Ecco perché le ribellioni e le rivolte continueranno».

 

Morales, dopo essere stato informato che l’ambasciatore britannico Jeff Glekin aveva ospitato un tea party in maschera a tema «Downton Abbey» appena tre settimane dopo che l’esercito boliviano aveva compiuto due massacri di sostenitori indigeni di Morales, questi ha osservato: «siamo molto dispiaciuti che gli inglesi stavano celebrando la vista dei morti. Ho rispettato alcuni paesi europei per la loro liberazione dalle monarchie, ma c’è una continuazione a pensare all’oligarchia, alla monarchia e alla gerarchia che non condividiamo».

 

Per gli inglesi, «la superiorità è così importante per loro, la capacità di dominare. Siamo persone umili, povere, questa è la nostra differenza. È riprovevole che non abbiano un principio di umanità… sono invece schiavi delle politiche di dominio» sostiene Morales. Quanto al rapporto con il Regno Unito, ha commentato, «ci sono profonde differenze ideologiche, programmatiche, culturali, di classe, ma soprattutto di principi e di dottrina».

 

L’ex presidente ha toccato altri argomenti, compreso il suo appello a una mobilitazione internazionale per mostrare «che cos’è la NATO e come eliminarla», definendola uno strumento degli Stati Uniti: «la NATO non è una garanzia per l’umanità o per la vita».

 

Morales ha poi fornito la sua visione sul conflitto in Est Europa: «tra la Russia e l’Ucraina vogliono raggiungere un accordo e [gli USA] continuano a provocare la guerra, l’industria militare statunitense, che è in grado di vivere grazie alla guerra, e provocano guerre per vendere le loro armi. Questa è l’altra realtà in cui viviamo».

 

Infine, Morales tocca un tema caro a Renovatio 21, quello della Necrocultura e del suo impero.

 

«In politica dobbiamo chiederci: siamo con il popolo o siamo con l’impero? Se siamo con la gente, facciamo un Paese; se siamo con l’impero, guadagniamo. Se siamo con la gente, lottiamo per la vita, per l’umanità; se siamo con l’impero, siamo con la politica della morte, la cultura della morte, gli interventi e il saccheggio del popolo».

 

«Questo è ciò che ci chiediamo come esseri umani, come leader: “Siamo al servizio del nostro popolo?”»

 

 

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Geopolitica

I jihadisti raggiungono la periferia di Damasco. Assad è fuggito?

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Gruppi jihadisti in Siria hanno raggiunto la periferia di Damasco nell’ambito di un’offensiva in rapida evoluzione che ha travolto alcune delle più grandi città della Siria, ha scritto sabato l’Associated Press, citando i leader dell’opposizione e un comandante islamista.

 

La presidenza siriana ha smentito le voci secondo cui il presidente Bashar Assad avrebbe lasciato Damasco, aggiungendo che falsi resoconti della sua partenza dalla capitale siriana sono stati diffusi da organi di informazione stranieri nel tentativo di «ingannare e influenzare» la popolazione del Paese. Tuttavia, video non verificati di questi ultimi minuti mostrerebbero i miliziani islamisti entrare nei palazzi presidenziali e il primo ministro del Paese si sarebbe detto pronto a lavorare con gli insorti.

 

Con i jihadisti di Hayat Tahrir-al-Sham (HTS) e altre forze antigovernative che si sono spostate verso sud dalle province di Aleppo e Idlib nell’ultima settimana, l’esercito siriano si è ritirato ripetutamente dalle roccaforti chiave, tra cui Aleppo, Hama e diverse città a nord di Homs, nel tentativo di ristabilire le linee difensive e trattenere l’avanzata dei terroristi.

 

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Secondo l’agenzia Associated Press, sabato elementi terroristici avrebbero sfondato queste linee e raggiunto la periferia di Damasco: è la prima volta dal 2015 che i jihadisti invadono la capitale.

 

 

Mentre HTS avanzava rapidamente, l’ufficio della presidenza siriana ha annunciato sabato che «alcuni media stranieri stanno diffondendo voci e false notizie sul fatto che il presidente Bashar al-Assad stia lasciando Damasco o facendo rapide visite in un paese o nell’altro».

 

«La presidenza della Repubblica araba siriana nega tutte queste voci e sottolinea i loro palesi obiettivi e conferma che non sono una novità, ma piuttosto che questi organi di stampa hanno già seguito questo schema di tentativi di fuorviare e influenzare lo Stato e la società siriana nel corso degli ultimi anni di guerra», continua la dichiarazione.

 

Assad sta ancora svolgendo i suoi «doveri nazionali e costituzionali dalla capitale, Damasco», ha concluso.

 

In un articolo che cita fonti anonime, ieri il quotidiano britannico Telegraph ha affermato che la famiglia di Assad era fuggita in Russia e che non era «chiaro» se il presidente stesso sarebbe rimasto in Siria. Molteplici fonti occidentali hanno affermato che Egitto e Giordania stanno esortando Assad a fuggire dal Paese e a istituire un governo in esilio.

 

Riguardo ad Assad, il New York Times nelle ultime ore ha scritto che «aumenterebbero le prove che sia fuggito». Tuttavia, «Sebbene i ribelli abbiano affermato che il signor al-Assad se n’era andato, la loro affermazione non ha potuto essere verificata in modo indipendente e non si sa dove si trovi».

 

«La principale coalizione ribelle ha annunciato domenica sul suo Telegram di aver preso Damasco e che le forze siriane si stavano ritirando» scrive il NYT. «Il primo ministro della Siria, Mohammad Ghazi al-Jalali, ha detto che sarebbe rimasto nel Paese ed era pronto a lavorare con chiunque i siriani avessero scelto di guidarlo. Le sue dichiarazioni non hanno potuto essere immediatamente verificate».

 

«Il principale gruppo ribelle ha affermato che avrebbe lavorato con il signor Ghazi e ha invitato le forze militari a Damasco a tenersi lontane dalle istituzioni pubbliche, che, ha affermato, rimarranno sotto la supervisione del signor Ghazi fino a quando non saranno formalmente consegnate».

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Guidata da un ex comandante di Al-Qaeda e precedentemente nota come Jabhat al-Nusra, HTS era una delle numerose fazioni jihadiste che si opponevano al governo di Assad durante la guerra civile siriana. HTS avrebbe interrotto i legami con Al Qaeda nel 2016, ma gli Stati Uniti continuano a considerarla un’organizzazione terroristica.

 

Mentre i ribelli avanzano, stanno prendendo il controllo di molte delle famigerate prigioni in cui il regime di Assad ha imprigionato, torturato e giustiziato prigionieri politici per decenni. I video che emergono dal nord di Damasco mostrano gruppi di uomini che camminano per le strade della città di notte, presumibilmente dopo essere stati liberati dalla prigione di Sednaya, che i ribelli hanno preso secondo testimonianze di osservatori.

 

Un video in live streaming su Instagram dal centro di Damasco mostra una scena di festa mentre le forze islamiste entrano in città. Le persone fuori dal Dar al-Assad Center for Culture and Arts hanno calpestato immagini in fiamme del presidente Bashar al-Assad e hanno tentato di rovesciare una statua di suo padre, l’ex presidente siriano Hafez al-Assad. Non sono riusciti a rimuovere la statua, ma hanno lasciato un bidone della spazzatura sulla sua testa.

 

Una statua di Assad padre era stata tirata giù ieri ad Hama, altra città chiave presa dai terroristi nelle scorse ore.

 

Tra tripudi di «Allahu akbar» e colpi di kalashnikov sparati in aria, le statue del fondatore della Repubblica baathista stanno venendo tirate giù in tutto il Paese.

 

 

 


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In una chiara manifestazione degli equilibri geopolitici e religiosi in giuoco, sono state attaccate anche effigi di sciiti come i defunti Nasrallah e Soleimani.

 

 

Un video non verificato che circola in questi minuti mostrerebbe miliziani islamisti dentro la residenza presidenziale.

 

 

 

Nel frattempo, filmati non verificati mostrano reazioni di giubilo in Turchia.

 

 

Assad aveva giurato di «eliminare» i jihadisti che stanno imperversando in Siria e di punire i loro «sponsor e sostenitori». Aerei da guerra russi e siriani hanno effettuato attacchi aerei quasi costanti contro le posizioni di HTS da quando è iniziata l’offensiva terroristica la scorsa settimana, uccidendo decine di militanti a nord di Homs sabato, secondo l’agenzia statale siriana SANA, che ha affermato che 2.500 jihadisti sono stati uccisi dall’inizio di dicembre.

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Geopolitica

I terroristi islamisti sono entrati anche nella città siriana di Hama

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Sono apparse online delle riprese che mostrano i militanti del gruppo terroristico Hayat Tahrir-al-Sham (HTS) mentre entrano nella città siriana di Hama, abbandonata dalle forze governative.   L’esercito siriano ha annunciato il suo ritiro da Hama giovedì, in mezzo a un’offensiva a sorpresa dei jihadisti. Ha affermato che dopo diversi giorni di «feroci battaglie» è stata presa la decisione di ritirarsi per «preservare la vita dei civili» e non coinvolgerli nei combattimenti. Secondo l’esercito, i militanti hanno subito «gravi perdite» nella loro avanzata sulla città.       Gli islamisti hanno abbattuto e trascinato per la città la statua del fondatore della Repubblica siriana Hafez Assad, padre di Bashar.

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Alcuni abitanti del posto sono stati ripresi mentre applaudivano e salutavano i militanti mentre passavano in auto.   Hama, che ha una popolazione di poco meno di un milione di persone, è situata in una posizione strategica nella Siria centrale, sull’autostrada Aleppo-Damasco, circa 200 km a nord della capitale Damasco e a circa 50 km da un’altra città importante, Homs.   I terroristi hanno lanciato il loro attacco la scorsa settimana dalla provincia settentrionale di Idlib, cogliendo di sorpresa l’esercito siriano e prendendo rapidamente il controllo della seconda città più grande del Paese, Aleppo, avanzando nel frattempo in altre aree.   L’esercito russo, che ha aiutato Damasco dal 2015, ha precedentemente riferito di aver condotto attacchi su postazioni HTS, che hanno affermato di aver ucciso centinaia di militanti. Mosca sta analizzando la situazione per determinare il livello di assistenza di cui la Siria ha bisogno per affrontare l’offensiva jihadista, ha affermato giovedì il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.   Venerdì l’ONU ha dichiarato che circa 280.000 persone sono state sfollate dall’inizio dell’avanzata terroristica. Samer AbdelJaber, che dirige il coordinamento delle emergenze presso il World Food Program (WFP) dell’ONU, ha avvertito che il numero di rifugiati potrebbe alla fine raggiungere 1,5 milioni.

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Geopolitica

Missili ipersonici Oreshnik in Bielorussia: Putin e Lukashenko discutono

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I missili balistici ipersonici russi Oreshnik all’avanguardia, capaci di volare a una velocità fino a dieci volte superiore a quella del suono, saranno dislocati in Bielorussia quando il sistema entrerà pienamente in servizio, ha affermato il presidente Vladimir Putin.

 

Durante l’incontro, i due leader hanno firmato un trattato sulle garanzie di sicurezza reciproche, che consente a entrambi i paesi di utilizzare tutte le forze e i mezzi a loro disposizione. Alla luce di questo documento, Putin ha dichiarato che l’impiego dei sistemi Oreshnik sul territorio della Bielorussia è «possibile».

 

Putin ha fatto l’annuncio venerdì a Minsk durante un incontro con il suo omologo bielorusso Alexander Lukashenko.

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«Questi sistemi saranno consegnati alle Forze missilistiche strategiche russe e saranno dispiegati parallelamente sul territorio della Bielorussia», ha affermato Putin.

 

Lukashenko aveva chiesto di poter ottenere alcuni degli Oreshnik, sottolineando che la Russia ha già schierato armi nucleari in Bielorussia e ha esteso il suo ombrello nucleare al suo alleato Stato dell’Unione.

 

«Abbiamo luoghi in cui possiamo schierare queste armi. A una condizione: che gli obiettivi siano determinati dalla leadership politico-militare della Bielorussia e che gli specialisti russi si occupino dello schieramento delle armi», ha detto Lukashenko.

 

Putin ha concordato e ha affermato che i missili potrebbero essere schierati nella seconda metà del 2025.

 

«Ci sono una serie di questioni tecniche qui che devono essere risolte dagli specialisti, vale a dire, la determinazione della portata minima, tenendo conto delle priorità per garantire la sicurezza della Bielorussia», ha detto a Lukashenko.

 

L’arma più recente della Russia è un missile balistico a raggio intermedio che trasporta testate cinetiche che colpiscono a velocità ipersoniche. Secondo Putin, è in grado di raggiungere velocità di Mach 10 e non può essere contrastato da nessun sistema di difesa aerea esistente. Putin ha osservato che più breve è la distanza percorsa dal missile, maggiore è la potenza delle sue testate, aggiungendo che la Bielorussia ha già le capacità per svolgere questo lavoro e ha osservato che l’impiego dell’Oreshnik e la preparazione delle infrastrutture necessarie in Bielorussia richiederebbero «costi minimi».

 

Il missile, soprannominato Oreshnik, cioè in russo «nocciola», è stato testato in combattimento il mese scorso contro il complesso militare-industriale ucraino Yuzhmash a Dnepropetrovsk. Sia Putin che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov – che lo ha appena ripetuto in una lunga, densa intervista con Tucker Carlson – hanno affermato che il test era un messaggio all’Occidente per fermare l’escalation del conflitto in Ucraina.

 

Il presidente ha ricordato che l’Oreshnik «non ha analoghi al mondo» e che se l’arma viene utilizzata in un attacco di gruppo, la sua potenza è simile a quella di un’arma nucleare, ma senza le conseguenze delle radiazioni.

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Putin ha quindiosservato che il nuovo sistema ipersonico non è un’arma di distruzione di massa. A differenza delle armi nucleari, ha spiegato Putin, l’Oreshnik è un’arma di precisione e non colpisce aree, ma ottiene risultati attraverso l’accuratezza nel colpire il bersaglio.

 

Come riportato da Renovatio 21, una settimana fa il presidente russo aveva paragonato il nuovo missile ipersonico ad un meteorite, dicendo che potrebbe essere usato per colpire Kiev.

 

Le immagini degli attacchi di missili ipersonici Oreshnik a Dnepropetrovsk (Dnipro per gli ucraini) ha allarmato il Pentagono, stando alle dichiarazioni della portavoce Sabrina Singh. L’ex presidente Medvedev, commentando i video, ha chiesto: «è quello che volevate?»

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

 

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