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Economia

Crosetto: terre rare, acqua e Intelligenza Artificiale saranno i motori dei futuri conflitti globali

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Le guerre del futuro saranno combattute per i giacimenti di terre rare e per le fonti d’acqua, ha affermato il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto.

 

Nei prossimi anni dovremo affrontare guerre che hanno come obiettivo i giacimenti di terre rare e di litio, ha affermato durante la conferenza stampa al termine della riunione dei ministri della Difesa del G7 a Napoli, trasmessa dalle emittenti televisive italiane.

 

Il Crosetto ha aggiunto che i conflitti militari saranno combattuti anche per l’acqua e la produzione di energia e che l’Intelligenza Artificiale avrà un ruolo importante nel determinare chi vorrà controllare il mondo.

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Il ministro ha sottolineato la sua preoccupazione per la guerra ibrida, dicendo che le nazioni soffrono ogni giorno di non meglio specificati «attacchi cyber», asserendo che in alcuni Paesi vi sono test in atto per influenzare l’opinione pubblica tramite l’AI.

 

«Come voi sapete, minore è la privacy di un Paese, maggiore è la possibilità di inserire elementi nell’Intelligenza Artificiale per testarli ed essere più veloci nella manipolazione» ha dichiarato il ministro. «Questa è una sfida tecnologica, non psicologica. E chi non ha regole, soprattutto di privacy, ha una capacità di acquisire elementi che le nazioni occidentali, le nazioni democratiche, non hanno».

 

Crosetto ha quindi ribadito la «sfida delle catene di approvvigionamento», o come questa sarà non solo un tema di sicurezza, ma un vero motivo per i conflitti del futuro prossimo

 

«Noi avremmo nei prossimi anni una guerra che non si combatterà magari per conquistare pezzi di territorio, ma che avrà come obiettivo giacimenti di terre rare, giacimenti di litio. Avremo nei prossimi anni un aumento di richiesta di energia, perché è sfuggito ai più che i data center e l’Intelligenza Artificiale hanno un consumo di energia superiore a qualsiasi altra attività industriale, e si portano dietro un’altra cosa tipica di questi sistemi, che è il consumo di acqua» ha dichiarato il ministro.

 

«Per cui tra le sfide di cui parleremo nei prossimi anni, su cui si combatteranno queste guerre ibride ci saranno le terre rare, alcuni materiali specifici, tra cui anche l’acqua e la produzione di energia».

 

Il governo italiano, ha detto il ministro parlando di queste guerre ibride, «prenderà una linea che in qualche modo dovrà indicarci come affrontare il futuro, noi garantiamo la nostra sicurezza pensando oggi agli scenari che ci potremmo trovare davanti tra venti o trenta anni. Ma come oggi abbiamo bisogno di una tale profondità di visione».

 

«Perché mai come oggi i cambiamenti sono repentini possono trasformare il mondo in cui viviamo e rendere quindi uno dei Paesi che tra i primi al mondo come economia, come reddito pro-capite, come ricchezza… trasformarlo in modo velocissimo» ha aggiunto oscuramente il vertice del dicastero della Difesa.

 

«Ho detto l’altro giorno alla NATO che una persona disse qualche anno fa: “il Paese che saprà per primo utilizzare l’Intelligenza Artificiale sarà il Paese leader nel mondo”. La disse Vladimir Putin, questa frase…».

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Come riportato da Renovatio 21, le terre rare, materiale necessario per la produzione di tanta della tecnologia contemporanea, sono in larga parte controllate dalla Cina, che gestisce riserve anche al di fuori del Paese. Per paradosso, nel 2024 i profitti per il settore delle terre rare sarebbero calati.

 

Per quanto riguarda il litio, necessario alla produzione delle onnipresenti (dagli smartphone ai veicoli elettrici) batterie ricaricabili – connesse anche alla solarizzazione della produzione energetica – sappiamo che già da anni si parla di geopolitica del litio, con tanto di una prima «guerra del litio», che corrisponde al golpe in Bolivia che defenestrò il presidente Evo Morales nel 2019.

 

Le miniere di litio sono ora oggetto di nazionalizzazioni (come in Messico) e di bandi alle esportazioni in tutto il mondo.

 

Il Crosetto, sedicente danneggiato da vaccino COVID, è reduce dalle recenti roventi polemiche contro Israele per gli attacchi subiti dalle truppe italiane ONU nelle basi UNIFIL in Libano da parte dell’esercito dello Stato Ebraico.

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Economia

Gli Stati Uniti rischiano il default entro agosto, afferma il capo del Tesoro

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Gli Stati Uniti potrebbero non onorare i propri obblighi entro la fine dell’estate, ha avvertito il Segretario al Tesoro Scott Bessent. In una lettera al Congresso di venerdì, ha esortato i legislatori ad agire aumentando o sospendendo il tetto del debito pubblico – un limite massimo all’importo che il governo può prendere in prestito – per evitare di esaurire i fondi necessari a coprire le spese federali.   A gennaio, il Paese ha raggiunto l’attuale limite legale del debito pubblico di 36.100 miliardi di dollari. Una volta raggiunto il limite, il governo non potrà più indebitarsi per onorare i propri obblighi in modo completo e puntuale.   Ad oggi, il debito totale degli Stati Uniti è salito a 36.200 miliardi di dollari, secondo i dati ufficiali. Tuttavia, il Tesoro ha fatto ricorso a «misure straordinarie» – principalmente tattiche contabili come la sospensione dei versamenti ai fondi pensione del personale civile – per continuare a onorare i propri obblighi e ritardare il default.

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Secondo quanto riferito, i repubblicani stanno lavorando a un pacchetto legislativo che aumenterebbe il limite fino a 5.000 miliardi di dollari, in gran parte prorogando e ampliando i tagli fiscali del 2017 del presidente Donald Trump. Tuttavia, recenti rapporti suggeriscono che i negoziati stanno procedendo lentamente e potrebbero richiedere mesi.   Bessent ha affermato che esiste una «ragionevole probabilità» che le misure di emergenza del Tesoro si esauriscano entro agosto, quando il Congresso è in pausa. Ha invitato i legislatori a finalizzare il pacchetto entro metà luglio, avvertendo che il mancato rispetto della scadenza potrebbe lasciare il governo senza opzioni per evitare il default.   «Esorto rispettosamente il Congresso ad aumentare o sospendere il limite del debito entro la metà di luglio, prima della sua prevista interruzione, per proteggere la piena fiducia e il merito degli Stati Uniti», ha scritto Bessent in una lettera indirizzata al presidente della Camera Mike Johnson.   «La mancata sospensione o aumento del limite del debito causerebbe il caos nel nostro sistema finanziario e comprometterebbe la sicurezza e la posizione di leadership globale dell’America», ha aggiunto.   Bessent ha poi avvertito che «aspettare fino all’ultimo minuto per sospendere o aumentare il limite del debito» potrebbe avere «gravi conseguenze negative» per i mercati finanziari, le imprese e il governo federale, danneggiare la fiducia delle imprese e dei consumatori e aumentare i costi di prestito per i contribuenti statunitensi.   Il Congressional Budget Office ha stimato che le misure di emergenza si esauriranno ad agosto o settembre.

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Il tetto del debito pubblico è stato alzato tre volte sotto l’ex presidente Joe Biden. Trump ha sostenuto che il limite dovrebbe essere abolito del tutto, definendolo inutile se venisse alzato sistematicamente.   Bessent ha promesso che si eviterà il default. Intervenendo la scorsa settimana a un’audizione della Commissione Bilancio della Camera, ha dichiarato: «il governo degli Stati Uniti non andrà mai in default», assicurando ai legislatori che il Tesoro «farà in modo che il tetto del debito venga innalzato».

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
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Economia

De-dollarizzazione ingrata: l’Ucraina vuole lasciare il dollaro come valuta di riferimento

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Kiev sta valutando il passaggio dal dollaro statunitense all’euro come valuta di riferimento, ha dichiarato giovedì il capo della Banca Nazionale Ucraina (NBU). Queste dichiarazioni giungono nonostante la recente firma di un accordo bilaterale completo sui minerali con la Casa Bianca.

 

Kiev ha ripetutamente espresso il suo desiderio di aderire all’UE. Tuttavia, l’adesione «immediata» dell’Ucraina è stata costantemente osteggiata da diversi Stati membri. L’Ungheria ha espresso preoccupazione per la corruzione, il trattamento delle minoranze etniche e la concorrenza economica, in particolare nel settore agricolo.

 

Anche altri Paesi dell’UE, tra cui Slovacchia, Francia e Germania, hanno espresso delle riserve, sottolineando che Kiev deve soddisfare i parametri di riforma esistenti prima che i colloqui possano procedere.

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Secondo il governatore della NBU, Andrey Pyshny, la potenziale adesione all’UE ha spinto la banca centrale a valutare se la valuta nazionale, la grivna, debba essere più strettamente legata all’euro anziché al dollaro, secondo quanto riportato da Reuters. L’alto funzionario ha anche citato «un rafforzamento del ruolo dell’UE nel garantire le nostre capacità di difesa, una maggiore volatilità sui mercati globali e la probabilità di una frammentazione del commercio globale» come principali ragioni di questo cambiamento.

 

Il capo della banca centrale ha riconosciuto che la mossa sarebbe stata «complessa e avrebbe richiesto una preparazione versatile e di alta qualità».

 

All’inizio di questa settimana, la Presidente della Commissione Europea (CE) Ursula von der Leyen ha chiesto che i negoziati di adesione dell’Ucraina all’UE siano avviati già quest’anno. All’Ucraina è stato concesso lo status di candidato all’UE nel 2022, pochi mesi dopo l’escalation con Mosca, ma Bruxelles non ha ancora fissato una tempistica definitiva per l’adesione.

 

 

Von der Leyen ha suggerito che un’adesione più rapida all’UE potrebbe rafforzare la posizione negoziale dell’Ucraina con la Russia e aprire le porte a maggiori investimenti nel settore della difesa del Paese, sottolineando che Bruxelles sta lavorando per avviare il primo gruppo di negoziati di adesione e per l’apertura di tutti i gruppi entro il 2025.

 

Pyshny ha affermato che i legami più stretti con l’Europa e la normalizzazione delle condizioni economiche dovrebbero favorire una crescita modesta nei prossimi due anni, con un PIL previsto in aumento del 3,7-3,9%. Tuttavia, ha osservato che le prospettive economiche generali dipendono fortemente dall’andamento del conflitto in corso.

 

Per entrare a far parte dell’Unione, l’UE ha richiesto all’Ucraina di attuare una serie completa di riforme della governance, di contrastare la corruzione dilagante e di armonizzare la propria legislazione con il diritto comunitario. La piena adesione richiede inoltre l’approvazione unanime di tutti i Paesi dell’UE.

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Nel frattempo, secondo quanto riportato da Reuters, il parlamento ucraino ha votato all’unanimità a favore della ratifica dell’accordo sui minerali firmato con gli Stati Uniti, nella speranza di ottenere in futuro assistenza militare da Washington nel conflitto in corso.

 

Durante l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno fornito oltre 174 miliardi di dollari in aiuti a Kiev in seguito all’escalation del conflitto ucraino nel febbraio 2022, inclusi decine di pacchetti militari.

 

L’approccio è cambiato significativamente sotto la presidenza di Donald Trump, che sta spingendo per negoziati diretti tra Mosca e Kiev e ha insistito sul fatto che l’assistenza può continuare solo a condizioni che favoriscano gli interessi americani.

 

Una de-dollarizzazione anche in Ucraina, dopo la quantità imbarazzante di danaro arrivata da Washington, potrebbe suonare come un colpo di ingratitudine estrema per il presidente americano, che sta sforzandosi per ri-dollarizzare l’economia planetaria e che altre volte ha lamentato l’atteggiamento di Kiev.

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Economia

La fine della supremazia dello SWIFT

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Il sistema di messaggistica finanziaria SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Communication), originariamente concepito come mezzo tecnico e neutrale per facilitare la messaggistica sicura tra banche, negli ultimi 20 anni ha assunto sempre più una valenza politica, spingendo le nazioni di tutto il mondo a sviluppare alternative a SWIFT.   Un articolo apparso su The Cradle spiega che la prima grande sfida all’immagine di SWIFT come servizio neutrale si è verificata nel 2006, quando è stato rivelato che SWIFT forniva dati sulle transazioni bancarie alla CIA e al Dipartimento del Tesoro statunitense, una sorveglianza che continua ancora oggi.   Nel 2012, l’Iran è stato espulso da SWIFT, seguito dalla Corea del Nord nel 2017 e dalla Russia nel 2022.

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Queste azioni, e il problema generale di basare tutte le transazioni internazionali sulle disponibilità intermedie in dollari, hanno portato alla proliferazione di nuovi sistemi per la comunicazione bancaria: nel 2017, la Russia ha lanciato il suo Sistema per il Trasferimento di Messaggi Finanziari (SPFS), che ora include 177 istituti finanziari in una ventina di Paesi.   Nel 2015, la Cina ha lanciato il suo Sistema di Pagamento Interbancario Transfrontaliero (CIPS), che interagisce con SWIFT pur fornendo una propria capacità di messaggistica indipendente. Ora gestisce oltre 15 trilioni di dollari di transazioni in valuta cinese all’anno.   Nel 2018 è iniziata la discussione sullo sviluppo di BRICS Pay, che è stata oggetto di discussione al Summit BRICS di Kazan, in Russia, nell’ottobre 2024.   Nel 2022, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) ha lanciato l’iniziativa Regional Payment Connectivity (RPC), consentendo ai sistemi di pagamento in tempo reale, come le app per smartphone, di effettuare trasferimenti diretti tra conti nei diversi paesi, senza dover ricorrere a SWIFT.   Attraverso tariffe imprevedibili e sanzioni ampie e in continua espansione, gli Stati Uniti rappresentano forse il principale catalizzatore per lo sviluppo di alternative all’orbita finanziaria transatlantica.

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Come riportato da Renovatio 21, nel gennaio 2013 in Vaticano furono fermate carte e bancomat, sospendendo di fatto tutti i servizi di pagamento, allora gestiti tramite un sistema POS di Deutsche Bank Italia che non aveva l’autorizzazione del ministero delle Finanze italiano.   Secondo una storia molto circolata in rete, si trattava della minaccia di espulsione dello Stato Pontificio dal sistema SWIFT, o della sua effettiva realizzazione. La Chiesa sarebbe quindi tagliata fuori dal sistema bancario internazionale.   Poche settimane dopo, il 1 febbraio 2013, Benedetto XVI si dimise, un gesto ancora oggi misterioso, mai spiegato in modo convincente.  

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