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Storia

Kennedy promette di smantellare l’«impero militare americano»

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Il candidato presidenziale americano Robert F. Kennedy Jr. ha celebrato l’anniversario dell’assassinio del presidente John F. Kennedy promettendo di riprendere da dove suo zio aveva interrotto nel tentativo di rendere l’America una nazione pacifica.

 

«Se il popolo americano mi sceglierà come presidente, riprenderò il processo avviato da mio zio 60 anni fa per sciogliere l’impero militare americano», ha detto Kennedy in un editoriale pubblicato mercoledì da Fox News. «Riporterò l’esercito alla sua corretta funzione di difesa della patria».

 

John F. Kennedy fu assassinato il 22 novembre 1963, mentre viaggiava in un corteo presidenziale a Dallas. Il suo presunto assassino, Lee Harvey Oswald, fu ucciso due giorni dopo in una stazione di polizia di Dallas. Quasi cinque anni dopo, Robert F. Kennedy, il padre dell’attuale candidato indipendente alla presidenza, fu assassinato durante un evento a Los Angeles, mentre faceva campagna elettorale per la presidenza.

 

Come il suo defunto zio e padre, Robert F. Kennedy jr è da sempre affiliato al Partito Democratico USA, tuttavia si è candidato come indipendente alle elezioni presidenziali del 2024, abbandonando la sua candidatura contro il presidente in carica Joe Biden per la nomina all’interno del partito.

 

Il Kennedy gode attualmente il punteggio di favore più alto tra tutti i candidati al 2024, secondo un sondaggio CAPS-Harris di Harvard pubblicato lunedì, e sta ottenendo il più forte sostegno per un candidato di un terzo partito americano negli ultimi 40 anni.

 

 

Kennedy ha detto che la morte di suo zio ha creato un «trauma nazionale» e la visione che più apprezzava – «l’America come nazione pacifica» – è morta con lui.

 

L’allora presidente sfidò le pressioni provenienti dall’interno della sua amministrazione, compresi il Pentagono e la CIA, che premevano per entrare in guerra in Laos nel 1961 e a Berlino nel 1962, ha detto Kennedy.

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JFK anche dovuto affrontare pressioni per invadere Cuba e bombardare le batterie missilistiche russe durante la crisi missilistica cubana, dice il candidato. «I suoi consiglieri gli assicurarono che le rampe di lancio non erano operative», ha detto Kennedy. «Si sbagliavano, e la sua sfida molto probabilmente ha salvato il mondo dall’Armageddon nucleare».

 

Nei mesi precedenti la sua morte nel 1963, JFK intensificò la sua spinta per la pace, sostenendo che la guerra non era inevitabile. Firmò un trattato per la messa al bando dei test nucleari con l’Unione Sovietica nell’agosto dello stesso anno e in ottobre emanò un ordine che imponeva il ritiro di 1.000 consiglieri militari statunitensi dal Vietnam. Come ha notato suo nipote mercoledì, quell’ordine non è mai stato attuato, e l’intensificarsi del conflitto nel sud-est asiatico da parte del suo successore «ha creato il modello per una successione infinita di guerre per il cambio di regime».

 

«Abbiamo perso la nostra identità di nazione pacifica. Abbiamo cominciato a trascurare la vera fonte della forza della nostra nazione – la vitalità della nostra economia e la salute del nostro popolo – e abbiamo prosciugato le nostre finanze e la nostra autorità morale all’estero in una serie di guerre di discutibile giustificazione, nessuna delle quali ha reso gli americani più sicuri».

 

Kennedy ha sostenuto che gran parte del debito di 33.000 miliardi di dollari di Washington deriva dalla spesa militare, compresi 8.000 miliardi di dollari investiti in guerre di cambio di regime in Iraq, Afghanistan e Siria. Ha aggiunto che 800 basi militari straniere aumentano l’onere finanziario. «Immaginate cosa sarebbe potuto succedere se avessimo dedicato quelle risorse all’istruzione, alle infrastrutture, alla povertà, alla salute o all’ambiente. Saremmo, paradossalmente, una nazione più forte e più sicura».

 

Kennedy ha anche chiesto di porre fine alle «politiche spericolate e belligeranti» che provocano Russia e Cina. Si è impegnato a chiudere la maggior parte delle basi militari all’estero e a ridurre le forze armate statunitensi. «Non è troppo tardi per abbandonare il percorso di guerra e intraprendere il percorso di pace che John F. Kennedy immaginava per la nostra nazione», ha detto.

 

Kennedy ha annunciato all’inizio di questa settimana una petizione chiedendo a Biden di rilasciare documenti governativi segreti riguardanti l’assassinio di JFK. Nel 1992 il Congresso ha approvato una legislazione che richiedeva il rilascio di tutti i documenti relativi all’omicidio entro il 2017, ma sia Biden che l’ex presidente Donald Trump hanno tenuto nascosti alcuni documenti.

 

«Cosa c’è di così imbarazzante che hanno paura di mostrare al pubblico americano 60 anni dopo?» chiedeva la petizione. «La fiducia nel governo è ai minimi storici. Il rilascio dei documenti storici completi e non oscurati aiuterà a ripristinare quella fiducia».

 

Come riportato da Renovatio 21, in un’intervista andata in onda lo scorso maggio, il Kennedy aveva ancora una volta ha accusato direttamente la CIA di aver ucciso il presidente John F. Kennedy, suo zio, e poi di essersi impegnata in un «insabbiamento lungo 60 anni».

 

Come riportato da Renovatio 21, Kennedy aveva plaudito al coraggio di Tucker Carlson che a inizio anno aveva rivelato nella sua seguitissima trasmissione TV di aver ricevuto da una fonte attendibile l’informazione per cui la CIA sarebbe direttamente coinvolta nell’omicidio di JFK.

 

Il rapporto tra la CIA e l’assassinio di entrambi i fratelli Kennedy – John e sei anni dopo Robert – è discusso da Robert Kennedy jr., che crede che il servizio segreto sia dietro l’uccisione dello zio e del padre. Parte di queste accuse sono contenute nell’autobiografia famigliare di RFJ jr., American Values. Lessons I Learned from My Family.

 

Kennedy è arrivato a sostenere, dopo averlo visitato in carcere, che Siran Siran non è l’assassino di suo padre, dando una versione dettagliata, e perfino in qualche modo personalmente metabolizzata, del giorno di sangue del 1969 che lo rese orfano.

 

Quest’estate, sull’onda di un libro in uscita, Kennedy aveva dichiarato di ritenere che la CIA sia stata coinvolta nel finanziamento del laboratorio di Wuhan dove ha avuto origine la pandemia COVID, definita, nel celebre discorso all’Arco della Pace a Milano nell’autunno 2021, come un colpo di Stato globale architettato dalla stessa CIA.

 

La storia tra la famiglia Kennedy e la CIA ha preso un’ulteriore piega particolare quando nel 2018 il figlio di Rober Kennedy jr., Bob Kennedy III, che è italofono e ha studiato in Italia, ha sposato Amaryllis Fox, un’ex analista della CIA. Tuttavia, il candidato Kennedy in un tweet dice di considerarla «tra le persone più coraggiose che conosco».

 

Come riportato da Renovatio 21, la nuora , dopo la partenza di Dennis Kucinich, è divenuta la manager della sua campagna elettorale.

 

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Pensiero

«Ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». Israele, il sacrificio dell’Innocente: cosa ha compreso Toaff

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Sta circolando da ieri con insistenza un post fatto su Facebook dadi Ariel Toaff. Molti lo conoscono già: professore di Storia presso l’Università israeliana Bar-Ilan, è figlio di Elio Toaff, già rabbino capo di Roma, noto per gli episodi di vicinanza con Giovanni Paolo II.   Le parole di Toaff, ebreo italo-israeliano, sono di una durezza tremenda. Sarebbero immediatamente condannate come «antisemitismo», e bannate dai social, se a pronunziarle fosse stato un goy, un non-ebreo.   «Israele sotto Netanyahu sta imboccando, come un ciuco ubriaco, la strada verso una debacle economica senza precedenti e l’isolamento internazionale» scrive lo storico medievale, evocando un animale, l’asino, di certo sapore biblico.

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«Se riusciremo ad uscirne, ci vorrà del tempo per rimetterci in sesto. Dell’immagine morale di Israele non parlo, perché l’ha persa da tempo». Un’ammissione drastica, ma oramai condivisibile da chiunque: il disastro morale di Israele è ora sotto gli occhi del mondo, e le denunce all’Aia e i futuri riconoscimenti promessi alla Palestina (in ultimis, in queste ore, è arrivata anche l’Australia, che pure ha una storia di lotta contro il cosiddetto «negazionismo olocaustico») ne sono la prova schiacciante. Al punto che perfino Donald Trump, accusato ora dalla sua stessa base di favorire gli israeliani rispetto agli americani in tradimento totale del principio MAGA dell’America First, ad aprile aveva dichiarato che Israele a Gaza «sta perdendo gran parte del mondo» e alimentando l’antisemitismo.  
  «Gaza non rischia di essere la tomba di Netanyahu e dei suoi folli seguaci, ma la nostra» continua Toaff, senza specificare se stia parlando degli ebrei o degli israeliani. «E non abbiamo fatto niente per impedirlo. Di fatto siamo suoi complici, ignobilmente complici». Parole coraggiose, di sincerità che va ben al di là dell’autocritica di rito. Si tratta di un giudizio spirituale che sa di definitivo, di epocale.   «La giusta e crudele punizione non tarderà a raggiungerci. È uno dei capitoli più infami della storia del sionismo moderno» scrive ancora lo storico nato ad Ancona. «I morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno».   Qui scatta un’immagine ancora più potente, che l’esperto di storia ha studiato e raccontato in profondità: i pogrom, gli atti di persecuzione contro gli ebrei di cui è costellata la storia di, praticamente, ogni regione del mondo. Una punizione che, incredibilmente, viene qui definita «giusta e crudele». Inseguiti con le fiamme, e poi l’inferno: sono immagini di portata spaventosa. Davanti a tanta intensità, davanti a un tale coraggio di visione e percezione, può venire la pelle d’oca. Ci togliamo il cappello.   «E ora provate a bloccarmi e a cancellare il mio post ipocriti, pavidi e vigliacchi» conclude Toaff. «Siete una vergogna nella storia del popolo di Israele». Non sappiamo a chi stia parlando ora: a chi controlla i social media? È un’implicita ammissione al fatto che gli ebrei (o i sionisti, fate voi) controllano il pubblico discorso su internet e oltre?   La carne al fuoco è tantissima. Specie se consideriamo chi sta parlando. E ricordiamo quanto accadde nel febbraio 2007, quando uscì il libro più celebre di Toaff, Pasque di sangue.   Lo studio storico, edito dalla prestigiosa casa editrice Il Mulino (in zona, diciamo così, prodiana) esamina il contesto storico e culturale dell’ebraismo ashkenazita medievale in diaspora, dove nacque l’accusa agli ebrei di compiere omicidi rituali di bambini cristiani durante la Pasqua, utilizzando il loro sangue per presunti riti anticristiani.

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L’esempio più noto è quello di Simonino di Trento, noto da tutti come San Simonino (1472-1475), bambino di due anni e mezzo trovato morto durante la Pasqua del 1475, venerato come beato dalla Chiesa cattolica sino al Concilio Vaticano II. A seguito del ritrovamento in una roggia del corpo (che, secondo voci, da qualche parte ancora dovrebbe esserci…), quindici ebrei di Trento furono interrogati con la tortura, e confessarono. Furono messi a morte. Il culto di Simonino divenne nei secoli, e non solo per il mondo cattolico, la prova dell’esistenza dell’omicidio rituale ebraico, la cosiddetta «Accusa del sangue»: l’idea, diffusa dall’Inghilterra Medievale all’Europa rinascimentale alla Germania nazista al mondo arabo odierno, secondo cui gli ebrei consumano sangue umano, specialmente di bambini, durante la Pasqua ebraica (Pesach) per scopi magici o rituali.   In Pasque di sangue, se da un lato Toaff rigetta l’idea di omicidi rituali come mito cristiano, in linea con la storiografia tradizionale che considera tali accuse una montatura delle autorità cristiane, dall’altro suggerisce che, pur mancando prove dell’uso magico o superstizioso del sangue, non si può escludere che singoli individui, forse legati a gruppi estremisti ashkenaziti, possano aver compiuto tali pratiche. In particolare, vi sarebbero elementi che farebbero pensare a collegamenti con culti cabalistici dell’ebraismo dell’Europa orientale.   In pratica, Toaff ammette che l’omicidio rituale ebraico potrebbe essere realtà. Secondo Toaff, non è corretto rigettare completamente i documenti processuali, ritenuti dalla vulgata attuale come «inattendibili». Ad esempio, si riscontra una chiara corrispondenza tra le confessioni del processo di Trento e le fonti ebraiche relative all’uso magico e simbolico del sangue in riti e liturgie specifiche durante la Pasqua ebraica, tipici di gruppi estremisti ashkenaziti, con intenti anticristiani (il cosiddetto «rituale della maledizione»). Ciò conferma che, nonostante le confessioni ottenute sotto tortura, è possibile estrarne elementi autentici della cultura sotto processo. Nelle confessioni del processo di Trento emergono frasi in ebraico ashkenazita – invettive anticristiane corroborate da altre fonti – trascritte erroneamente dai notai, dimostrando che i giudici non conoscevano né l’ebraico né lo yiddish, il che avvalora l’autenticità di tali espressioni.   Lo scandalo all’uscita del libro fu immediato. In una reazione di velocità e potenza mai prima vedute, il volume fu ritirato prepotentemente dalle librerie (un fenomeno che avremo visto anni dopo con il libro sul COVID dell’allora ministro della Sanità Speranza), ma l’effetto fu l’opposto di quello desiderato dai censori: in un classico della golemica ebraica, l’interesse verso le tesi del libro accrebbero ancora di più. Nel momento in cui scrivo, su eBay una copia di Pasque di sangue prima edizioni si può comprare per 550 euro, mentre se volete risparmiare e comprarlo su Amazon dovete sborsarne 480. Racconterò pure di aver scoperto che un’amica serba, moderatamente religiosa, aveva pure lei sentito parlare del caso, che evidentemente viene discusso anche dalle comunità ortodosse in Italia.   Sì, Golem. Il mostro sfugge dal controllo: la seconda edizione, uscita nel 2008, pure ribadiva in qualche modo le tesi, ma voleva mettere in chiaro i concetti espressi «per non consentire equivoci di sorta», ma lo scandalo non viene dimenticato, il segno lasciato dal saggio è indelebile.   Vale la pena qui notare come dentro al mondo ebraico le reazioni non siano state univoche, e per un motivo che tenteremo di spiegare.

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Le reazioni dell’ebraismo italiano, e di conseguenza dell’intellighenzia democratica tutta (con paginoni su Corriere e Repubblica, ma anche, ma guarda un po’, sul giornale dei vescovi Avvenire) fu di rigetto alle tesi di Toaff. Valga la risposta del rabbino Elio Toaff, massimo rappresentante del giudaismo nazionale, nonché padre dell’autore: «la cultura ebraica è basata sulla pace e sul perdono. Si tratta di leggende che non hanno nessun fondamento».   Al contrario, l’università di Tel Aviv dove insegna il professor Toaff, la Bar-Ilan, difese le ricerche del suo cattedratico. Lì per lì, uno si potrebbe chiedere perché: stiamo parlando di un rito diabolico, di combustibile per l’antisemitismo nei millenni, di un argomento ancora usato oggi da palestinesi e altri musulmani mediorientali. Com’è possibile che non abbiano negato a basta?   Il motivo riesco a spiegarmelo ricordando le parole di uno sconosciuto incontrato per caso nell’estate del 2007. Ero a Roma, e non potevo resistere all’idea di una passeggiata serale. Davanti alla fontana di Piazza Navona incontro, incredibilmente, un amico compaesano trasferitosi a Los Angeles, che era lì con la famiglia messa su in America – che coincidenza incredibile trovarlo lì. Quando ci salutiamo, vedo seduto lì a fianco un ragazzo calvo, dall’aspetto anglo. Sta leggendo una fotocopia con un articolo su Pasque di Sangue. Non resisto e attacco bottone.   Voglio chiedergli come mai si interessa della questione. Nasce una conversazione più generale, durata ore, del perché si trovava a Roma: è un ragazzo britannico, che viveva in America, mi racconta la sua storia di conversione, lavorava per una ricca signora cattolica, ma lui non aveva tanta fede. Poi un giorno davanti a altre persone si mette a parlare di Cristo e della sua chiesa, e si rende conto di avere dentro di sé qualcosa di simile ad una vocazione. Era volato nel centro della cristianità, quindi, per capire il da farsi: non so se sia entrato in qualche seminario, non so se ora sia un consacrato, posso però dire che credevo completamente all’energia della sua conversione.   E allora, caro amico, perché ti interessi di Pasque di sangue? Al momento trovai la risposta ingenua, «dilettantistica», direi, ma ora capisco meglio. «Perché gli ebrei stanno rivendicando questo segno di forza sanguinaria, di violenza a fondamento della loro storia. I cattolici non hanno niente del genere». Parlava quasi come la cosa gli dispiacesse, forse perché lui sognava uno Stato Cattolico come Israele è lo Stato Ebraico, e nella sua foga di neoconvertito si rendeva conto che la chiesa moderna ha tolto ogni fondamento all’idea di uno Stato Cristiano.   È la prima parte del discorso di questo ragazzo conosciuto casualmente (che ha un nome, che non farò) che ora mi risuona dentro: gli ebrei rivendicano la propria forza sanguinaria. Pure se essa è ingiusta, orrenda, crudele, inumana – esoterica, infernale. E quindi: per sfuggire all’immagine di passività inane, gli ebrei rivendicano il sacrificio umano…?   Ciò sicuramente può venire dalla vulgata ebraica del Novecento, che vedeva l’ebreo come debole prima, come vittima poi: si va dall’idea dell’ebreo come razza femmina espressa in Sesso e Carattere (1903) di Otto Weininger – libro apparso in Italia con traduzione di Giulio Evola e apprezzato da Adolfo Hitler, malgrado l’autore fosse ebreo: il führer tuttavia apprezzava il fatto che il Weininger si fosse suicidato – alla successiva presentazione dell’ebreo come vittima definitiva con i campi di sterminio, quella che Norman Finkelstein ha chiamato L’industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei (2000).   L’etichetta di razza debole, insomma, non va più bene agli ebrei. Non è vero che sono stati eterne vittime, e mai hanno alzato un dito contro i cristiani maggioritari: «Anche gli ebrei avevano voce. E non era sempre una voce sommessa e soffocata dalle lagrime» scrive Toaff in Pasque di Sangue.

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Quello dell’ebreo che non ne può più del senso di vittimismo, della narrativa dell’impotenza della propria genìa è un tema che meglio di ogni saggio accademico descrive il film capolavoro The Believer (2001), con un giovane e bravissimo Ryan Gosling nei panni di uintern naziskin americano che in realtà è ebreoUna storia che riprende quella, vera, di Dan Burros (1937-1965), esponente del Partito Nazismo Americano (ANP) e della frangia più violenta del Ku Klux Klan che era in realtà di una famiglia di ebrei di Nuova York.   Burros, definito come non plus ultra post-bellico di jüdische selbsthass («odio dell’ebreo verso se stesso»), finì, come Weininger, suicida. Non era l’unico ebreo a finire ai vertici dell’ANP. Era il giro che parlava di Washington come il luogo dello ZOG, cioè Zionist occupied Government («Governo di occupazione sionista»), espressione classica dei neonazisti statunitensi desunta dal loro libro-manifesto The Turner Diaries, di cui anni fa era apparsa finalmente una traduzione in italiano chiamata La seconda guerra civile americana. I diari di Turner, ora – abbiamo appena visto – misteriosamente sparita da Amazon, dove poco tempo fa pure l’avevamo comprata. Notiamo che che in questi giorni l’espressione del «governo occupato dagli israeliani» sionisti si sente tranquillamente in bocca a commentatori americani critici dell’influenza di Israele che magari nemmeno sono di destra.   Qui si introduce un discorso più ampio, che è quello della sostituzione dell’olocausto. Alcuni hanno sostenuto che la propaganda del dopoguerra ha tentato di sostituire presso la spiritualità cristiana l’Agnello, cioè l’Innocente, cioè Cristo, con il massacro degli ebrei: di fatto, proprio il termine per descrivere il sacrificio, «Olocausto», è ora occupato dalla questione dello sterminio operato dai tedeschi.   Il popolo ebraico massacrato diviene il vero Agnello, il vero sacrifizio dell’Innocente. Per questo, è stato detto, si può considerare l’Olocausto come «unica religione rimasta», l’unica di cui lo Stato moderno, Stato laico (cioè, massonico) obbliga il culto: ecco le «Giornate della Memoria». Ecco le leggi sul «negazionismo dell’Olocausto». Ecco la censura sui social se anche solo si prova a dire qualcosa contro non l’ebraismo, ma il sionismo…   Tutto questo è finito, e non solo Toaff sembra averlo capito. La vittima è divenuta carnefice. L’abusato, abusatore. Chi ha gridato per quasi un secolo al genocidio subìto, ora è accusato all’Aia di genocidio.   Il nuovo agnello mostra le forme di un lupo sanguinario: bombarda civili, uccide bambini, affama un intero popolo. Il rovesciamento del paradigma, sembrano dire tanti come Toaff, è incontrovertibile. Nessuna carta di vittimismo pare funzionare più: non il genocidio nazista, non la strage del 7 ottobre 2023.   Per chi scrive è evidente che la volgare esibizione di potenza di Israele, mostrata in tutta la sua crudeltà gratuita non solo sui canali social interni dei soldati IDF, sia animata proprio dalla volontà di sembrare, finalmente, non più vittime. Con il problema che, dicotomicamente, se non si è vittime, si diviene carnefici…   Dal dolore della vittima, all’estasi del carnefice: non possiamo non vedere come, davvero, ciò avvicini alle versioni più caricaturali, fumettistiche, del nazismo, inteso come sadismo massivo nei confronti del più debole.   Memento Golem: quello che non viene calcolato qui, come non lo era stato l’altra volta, sono le conseguenze di quanto si fa. Certo non ce lo dice la storiografia dell’establishment, ma sappiamo che i nazisti pagarono non solo con la distruzione del loro Stato (e la creazione di uno Stato castrato, uno Stato in istato di umiliazione e impotenza permanente) ma con l’uccisione e la diaspora, nel dopoguerra, di milioni di tedeschi.   Toaff sembra averlo capito quando parla della punizione in arrivo, con «i morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». L’inferno di Israele, al di là della questione personale e metafisica, potrebbe coincidere con la sua fine: non si tratta di un’idea peregrina, almeno non più, nemmeno presso gli stessi ebrei, con alcuni che si stanno convincendo della «maledizione dell’ottava decade»: lo Stato degli ebrei non dura più di ottant’anni, non visse più a lungo il Regno di re Davide, né il regno di Giudea (140-37 a.C.) degli asmonei che, per beghe interne tra fazione giudaiche, finì come protettorato romano.   Ora ci avviciniamo all’ottantesimo anniversario della nascita di Israele. Che sia questo che forza la mano dei sionisti? Che vi sia questo senso di apocalisse politica dietro alla frenesia assassini di questi mesi? Non sappiamo rispondere. Vediamo, tuttavia, come costoro possono immaginare, e temere, un mondo post-Israele…

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Se la sono cercata, potrebbe essere il commento superficiale. Forse in realtà non avevano scelta: con boria, ti prendi gioco dell’Innocente, sgozzi sghignazzando l’Agnello, pretendendo pure di essere tu, l’Agnello – e credi che ciò non chiamerà l’Ira di Dio?   Chiudo con una nota personale. Sono stato a Trento, per un gita domenicale, mesi fa. Parcheggiato davanti al Duomo, siamo entrati, e dopo un po’ abbiamo cercato qualcosa che ricordasse San Simonino, da qualche parte nella mia testa c’è l’idea che ci fosse una statua, forse poi cancellata con l’abolizione voluta dal Concilio Vaticano II del culto del beato bambino. Non si tratta di una figura minore per la città e per la Chiesa cattolica: fino al 1965, il Martirologio Romano in data 24 marzo segnava la celebrazione a Trento della «passione di san Simone, fanciullo trucidato crudelmente dai Giudei, autore di molti miracoli».   Chiediamo a quello che sembra un lavoratore della cattedrale. Ci dice che sì, c’è un segno rimasto, è un dipinto, dove, tra tanti altri soggetti, si intravede San Simonino… andiamo a vederlo, sulla navata sinistra: c’è, il bimbo beato è appena accennato. Quindi chiediamo dove sia la chiesa di San Simonino, e il ragazzo ci risponde che non c’è, c’è una cosa che si chiama «Aula del Simonino», è uno spazio pubblico, «laico», è un luogo FAI, ci fanno conferenze, cose così, è in fondo alla via fuori dal Duomo, che si chiama ancora via del Simonino. Andiamo a verificare: tutto vero. Tuttavia, apprendiamo che lo scorso 27 gennaio (l’immancabile «giorno della memoria») è stata piazzata in Piazza Duomo una targa commemorativa degli ebrei uccisi nel processo di quasi sei secoli fa…   Ora non ci sorprenderemmo se l’interesse per San Simonino, sepolto da decenni come hanno cercato di sotterrare il libro di Toaff, facesse un’impennata. Magari tracimando pure in altri casi della zona, come quello di Lorenzino da Marostica, bambino trovato cadavere nel 1485 e per il cui omicidio furono accusati gli ebrei di Bassano: un altro infanticidio rituale giudaico, con culto del bambino martire abolito, anche quello, dal Concilio nel 1965.   Simonino, Lorenzino, potrebbero essere tra quei «bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». Qualcuno lo sta capendo. Sta capendo che le conseguenze, quando si tocca l’Innocente, possono davvero seguirti sino alla fine, sino al giudizio. Perché il giudizio, alla fine, ci sarà.   Sì: il sacrificio umano ha un costo. Lo diciamo non solo per quanto riguarda la guerra di Gaza, ma anche per i nostri ospedali: forse chi uccide i bambini, ad un certo punto, dovrà pagare.   Davvero.   Roberto Dal Bosco

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Immagine: Bassorilievo rappresentante l’assassino di San Simonino di Trento Immagine di Andreas Caranti via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine modificata  
     
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Economia

Gruppi ebraici chiedono un nuovo risarcimento per i conti bancari svizzeri legati ai nazisti

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Il colosso bancario svizzero UBS potrebbe dover chiedere miliardi di dollari di risarcimento ai sopravvissuti all’Olocausto se venissero provate le accuse dei gruppi ebraici riguardo a conti bancari segreti nazisti ereditati dal fallito Credit Suisse. Lo riporta Bloomberg.

 

Secondo la testata economica neoeboracena, UBS sta completando le sue indagini sulla questione.

 

Ronald Lauder, presidente del Congresso Mondiale Ebraico e figura chiave dietro l’accordo da 1,25 miliardi di dollari con le banche svizzere del 1998, ha dichiarato a Bloomberg di credere che le banche debbano molto di più.

 

«Probabilmente abbiamo lasciato sul tavolo dai 5 ai 10 miliardi di dollari», ha affermato il miliardario della cosmetica a capo del grande ente giudaico internazionale.

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Nel 2020, il Simon Wiesenthal Center, un’organizzazione ebraica per i diritti umani, ha accusato Credit Suisse di non aver divulgato i conti collegati a clienti nazisti. In risposta, la banca ha commissionato un’indagine interna.

 

Dopo l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS nel 2023, ha reintegrato l’ombudsman indipendente Neil Barofsky, ex procuratore statunitense, per condurre un’indagine più approfondita. Secondo Bloomberg, il rapporto finale dovrebbe essere completato all’inizio del prossimo anno.

 

L’indagine ha portato alla luce irregolarità, ha osservato la testata. Il lavoro preliminare di Barofsky ha rivelato centinaia di account, alcuni contrassegnati con etichette interne come «lista nera americana», suggerendo un occultamento intenzionale durante indagini precedenti.

 

«I numeri sono impressionanti. Dove un ebreo poteva aver versato 100.000 dollari, questi nazisti ne versavano 10 o 20 milioni, o l’equivalente», ha detto Lauder, sostenendo che il denaro fosse probabilmente stato rubato alle vittime dell’Olocausto. «Niente di tutto ciò è stato coperto dall’accordo degli anni Novanta».

 

Lauder sostiene che UBS potrebbe ora dover pagare miliardi in più di risarcimento. Altri sostengono che l’accordo del 1998 protegge le banche da future responsabilità finanziarie.

 

Credit Suisse, un tempo la seconda banca svizzera per dimensioni, è stata acquisita da UBS nel 2023 a seguito di una serie di scandali e perdite dovute alle ramificazioni del crash bancario partito con la crisi delle banche regionali USA come la Silicon Valley Bank.

 

La storica fusione, favorita dallo Stato elvetico, ha posto fine ai 167 anni di storia di Credit Suisse e ha scosso la fiducia globale nel settore bancario svizzero.

 

Come riportato da Renovatio 21, le accuse sui conti nazisti nell’istituto creditizio si erano riaccese mezzo anno fa.

 

Le banche svizzere sono ciclicamente accusate altresì di riciclaggio per conto del narcotraffico mondiale.

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Immagine di Ank Kumar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

 

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Pensiero

Il samurai di Cristo e il profeta del nulla: un sabato a Kanazawa

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Sabato scorso ho avuto la fortuna di passare la giornata a Kanazawa, un piccolo gioiello di città situato nell’Ovest del Giappone.   Sul lato sud dell’area del castello, il centro ideale della città, poco meno di un chilometro separa due luoghi che rappresentano i due estremi della storia della regione. Vicino alla zona commerciale di Korinbo, si trova la chiesa Cattolica di San Giuseppe, dove, appena entrati, da subito si fa sentire la presenza del Beato Giusto Takayama Ukon.     Ho già avuto modo di rievocare la sua figura sulle pagine di Renovatio 21, ma vale la pena di ricordare ancora una volta la meravigliosa figura di questo samurai cristiano: dopo avere preferito rinunciare alle ricchezze garantite dal suo status di signore feudale pur di non abiurare la sua fede (una specie di San Francesco nipponico), Giusto Takayama passò a Kanazawa gli ultimi anni della sua vita giapponese, prima dell’esilio nelle Filippine e della morte ivi presto soppravvenuta a causa dei lunghi anni di persecuzione.   La sua presenza a Kanazawa ha lasciato tracce che esulano dalla sola testimonianza religiosa: visitando la ricostruzione del castello, si trovano cartelli illustrativi che ricordano il suo ruolo nella progettazione delle mura esterne e del fossato, oltre che del complesso sistema di canali che ancora attraversano la città.   Il clan Maeda, che ha continuativamente detenuto il potere sulla regione fino alla fine dello shogunato di Edo e all’ingresso del Giappone nell’era moderna, aveva dato asilo a Takayama quando questi si era trovato ormai senza più casa né averi a causa della sua fede religiosa, il che fa davvero onore a questo clan di guerrieri e mecenati.   Il beato Giusto, oltre che rinomato capo militare e ingegnere civile, era anche uno dei sette principali maestri della cerimonia del tè dell’epoca. Sul sado (茶道, la via del tè), ovvero la cerimonia del tè giapponese, bisognerebbe aprire un capitolo a parte: la maniera in cui in esso si fondono austerità e disciplina militare, ricercatezza estetica, enfasi sulla finitezza e l’imperfezione delle cose, attenzione nei confronti dell’ospite e umiltà nell’atteggiamento di chi officia rappresenta una delle vette assolute raggiunte dalla cultura di questo popolo contraddittorio e meraviglioso.   La chiesa di Kanazawa è appunto dedicata a San Giuseppe, ma già nel parcheggio ci dà il benvenuto una statua del samurai di Cristo. Nelle vetrate della chiesa, l’unica figura distintamente giapponese è quella del beato (con tanto di chonmage, la caratteristica pettinatura dei samurai!), e, a coronare il tutto, si trova anche in esposizione costante una reliquia della veste del Beato Giusto Takayama (per la sua santificazione si richiedono cortesemente le preghiere dei lettori).     La chiesa risulta suggestiva, vi si celebra una Messa post conciliare un po’ raffazzonata ma visibilmente molto sentita dalla comunità, come spesso capita qui in Giappone.

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Il contrasto con il museo D.T. Suzuki, a soli 15 minuti di distanza, non potrebbe essere più grande. In mezzo al verde delle piccole colline a sud del castello e del meraviglioso giardino Kenrokuen, in una zona punteggiata di musei (e vicino a un santuario shintoista dedicato al demone Inari: Quoniam omnes dii gentium daemonia), si trova questa austera e minimale struttura in cemento: in tutta onestà si tratta di un edificio indiscutibilmente bello, opera dell’architetto Yoshio Taniguchi.     Il problema è il personaggio a cui è dedicato: Daisetsu Teitaro Suzuki, probabilmente il principale divulgatore del nichilismo zen in occidente. Ci sono entrato senza sapere nulla del soggetto, su consiglio di un amico che aveva apprezzato l’architettura del museo, ma dopo pochi metri già la faccenda puzzava.   Foto del Suzuki con Erich Fromm, copia de Le porte della percezione del mefitico Aldous Huxley nella biblioteca del museo e altri cascami del milieu venefico che ha fatto da brodo di cultura ai vari sessantotti, sono gli indizi che mi hanno fatto capire di essere di fronte a una celebrazione del degrado morale e culturale militarizzato.     Una scorsa alla biografia del Suzuki sull’enciclopedia online basta a fare cadere dubbi, braccia e altre appendici. Riporto a seguire: «nel 1911, Suzuki sposò Beatrice Erskine Lane Suzuki, una laureata di Radcliffe e teosofa con molteplici contatti con la fede Baháʼí sia in America che in Giappone. In seguito Suzuki stesso si unì alla Società Teosofica Adyar e fu un teosofo attivo». Perché scrivere semplicemente che era un burattino dei servizi britannici pareva brutto. Direi che può bastare.   Ci tengo a riportare uno dei cartoncini con le profondissime massime del nostro distribuiti nel museo, che vale come promemoria della sconfinata inanità delle bubbole zen che sono state inoculate in occidente negli anni critici del dopoguerra. Si tratta chiaramente di frasette da imbonitore che devono apparire profonde e intimidire il lettore, ma che di fatto non sono degne di un Bacio Perugina scaduto.     Dietro a un linguaggio complesso, che senza definizioni precise non significa niente, si nasconde a stento il nulla. Che vuol dire trascendere? Cos’è un oggetto? Scapellamento a destra come fosse antani per due?   Di fronte a tanta aria fritta si capisce come lo zen d’accatto si sia diffuso così rapidamente in un ambiente culturale perennemente adolescente come quello statunitense, perché un adulto che legge cotante dabbenaggini risponde di regola a pernacchie o, se ha studiato, a rutti.   Il contributo che il popolo giapponese può dare all’umanità risiede altrove, nei gesti sobri di chi, attraverso il linguaggio della sua gente, celebrava la bellezza che emana dall’Unica Verità.   Mi piace pensare che, in questo momento, Giusto Takayama stia servendo il matcha a San Pietro in Paradiso.   Taro Negishi Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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