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Geopolitica

Nove anni dalla strage di Odessa: una testimonianza

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Il 2 maggio ricorre il nono anniversario del massacro della casa dei sindacati di Odessa del 2014. In quel giorno, circa 50 persone sarebbero state picchiate a morte o bruciate vive.

 

Il sito russo Sputnik riporta le parole di un giornalista che fu testimone oculare dell’immane strage della città sul Mar Nero.

 

«Facevo parte di una troupe cinematografica; ero nel centro della città. Quando siamo arrivati, tutto era già in fiamme», ha detto il giornalista, che parla sotto pseudonimo.

 

«Una donna si è gettata sul cofano della nostra auto e ha gridato: “Aiuto, la gente sta bruciando là dentro”. Era difficile pensare al fatto che la gente stesse morendo là dentro. Non se ne poteva accorgere subito. Al allo stesso tempo, circa 30 poliziotti erano in disparte e fumavano tranquillamente a circa 50 metri dall’edificio in fiamme, lungo la strada, dietro i cespugli. In quel momento, come si è scoperto in seguito, le persone stavano saltando fuori dall’edificio in fiamme. Dopodiché, sono stati finiti a terra. Tuttavia, i poliziotti si sono fermati a fumare e al momento non c’era un solo camion dei pompieri».

 

Le vittime erano per lo più membri di un movimento Kulikovo Pole, lanciato da coloro che non accettavano la cacciata del presidente ucraino Viktor Yanukovich nel febbraio 2014. I manifestanti avevano allestito un campo di protesta a Kulikovo Pole Square, una grande piazza giardino situata un centro storico della città. Divenne un simbolo di resistenza per tutti coloro che erano insoddisfatti del colpo di Stato di Maidan.

 

 

«Le manifestazioni filo-russe avevano riunito circa 25.000 persone a Odessa», continua il giornalista. «C’ero anch’io, filmavo tutto, partecipavo a queste manifestazioni con persone che portavano bandiere russe e gridavano “Russia”. L’ultima volta, 25.000 persone hanno attraversato la città da Kulikovo Pole alla costa. E questo non è stato organizzato da una risorsa amministrativa. A quel tempo non c’erano risorse amministrative, più precisamente le redini della città erano già nelle mani dei Maidaniti».

 

In confronto a questa manifestazione della volontà popolare, decine o addirittura centinaia di sostenitori di Maidan riuniti vicino al monumento al duca di Richelieu a Odessa sembravano patetici. «Nessuno li ha presi sul serio. Erano visti come pazzi i cui compagni correvano intorno al Maidan un paio di mesi fa con pentole in testa».

 

 

«Siamo arrivati ​​in centro, e lì, dall’altra parte della strada, c’erano combattimenti in corso, pietre e bastoni venivano lanciati e si sentivano urla», ha detto. «Allo stesso tempo, dall’altra parte della strada in un caffè all’aperto, la gente era seduta, beveva caffè con dieci di loro che filmavano questo combattimento sui loro telefoni».

 

All’improvviso, la violenza di strada è dilagata in tutta la città. C’erano scontri, persone armate sono state avvistate tra la folla e la gente ha aperto il fuoco. La polizia aveva permesso ad altri 800 nazionalisti ucraini e neonazisti di Kharkov e Dnepropetrovsk di entrare a Odessa. I posti di blocco nelle vicinanze erano controllati da milizie pro-Maidan.

 

Quel giorno, alle 17:00 a Odessa si sarebbe svolta una partita del campionato di calcio ucraino tra Chernomorets Odessa e Metalist Kharkov. Tifosi di calcio ucraini e attivisti pro-Maidan – armati di pistole e molotov – hanno attaccato i manifestanti filo-russi spingendoli verso Piazza Kulikovo. Gli scontri hanno travolto la tendopoli in piazza. I membri di Kulikovo quindi hanno cercato un riparo.

 

 

La Casa dei Sindacati, un edificio di cinque piane nelle vicinanze, sembrava un posto sicuro.

 

«Dopo una serie di scontri nei primi due piani dell’edificio, i manifestanti filo-russi si sono trovati bloccati. Nel frattempo, i nazionalisti ucraini hanno dato fuoco alla sede dei sindacati, non permettendo alle persone di scappare mentre le fiamme e il fumo hanno avvolto l’edificio. Coloro che si sono lanciati dalle finestre sono morti o sono stati picchiati dagli attivisti pro-Maidan» scrive Sputnik. «Successivamente è stato riferito che anche se un agente di polizia in servizio ha informato i servizi di emergenza statali della necessità di inviare urgentemente i vigili del fuoco sul posto, la sua richiesta è stata inizialmente ignorata. I vigili del fuoco sono arrivati ​​circa un’ora dopo; a quel punto l’incendio e il massacro in corso avevano già causato decine di vittime».

 

 

«Era impossibile arrivare a Kulikovo Pole. C’erano anche due tende dell’esercito sulla piazza, ed entrambe erano in fiamme. Era impossibile passare, c’erano cordoni di questi “ragazzi meravigliosi con facce luminose”», racconta sarcastico il giornalista, riferendosi agli attivisti pro-Maidan. «E se non hai segni di identificazione su di te, un nastro giallo-blu o il numero giusto su un elmetto, allora non puoi sfondare in alcun modo».

 

Coloro che sono sopravvissuti al massacro o erano sospettati di simpatizzare con la Russia sono stati sottoposti a purghe da quel giorno. «Hanno imprigionato coloro che sono sopravvissuti, e non quelli che hanno dato fuoco all’edificio, perché ‘tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri».

 

«Ascolta, verranno da te con una ricerca e troveranno tutto ciò che hanno portato con sé. Verranno da te con una granata, la metteranno sul tavolo e chiameranno testimoni».

 

I pubblici ministeri ucraini in genere hanno utilizzato accuse penali per mettere dietro le sbarre gli attivisti filo-russi, secondo il giornalista.

 

«Nella migliore delle ipotesi, perderai tutte le apparecchiature informatiche che avevi in ​​casa. E sarai sotto sorveglianza per un po’ di tempo. In qualsiasi momento puoi essere arrestato, in qualsiasi momento puoi essere costretto a firmare qualsiasi pezzo di carta, questo pezzo di carta verrà mostrato ai tuoi amici. Anche gli amici firmeranno il foglio. Se fai troppo rumore, verrai rinchiuso».

 

 

La giustizia non prevarrebbe mai sotto il regime di Kiev, secondo il giornalista, che ancora non perde la speranza. «Bisogna affrontare questo problema dal punto di vista della responsabilità collettiva. Perché uno ha portato la benzina, il secondo l’ha versata nelle bottiglie, il terzo ha portato bottiglie molotov e il quarto ha dato fuoco all’edificio (…) Secondo me, tutti quelli che erano lì sulla piazza, tutti dovrebbero essere puniti almeno per omicidio di massa».

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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Trump: Zelens’kyj deve essere «realista»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che Volodymyr Zelens’kyj deve fare i conti con la realtà del conflitto contro la Russia e con l’urgenza di indire nuove elezioni.

 

Il mandato presidenziale quinquennale di Zelens’kyj è scaduto a maggio 2024, ma il leader ucraino ha sempre escluso il voto per via della legge marziale in vigore. Vladimir Putin ha più volte sostenuto che lo Zelens’kyj non può più essere considerato un interlocutore legittimo e che la sua posizione renderebbe giuridicamente problematico qualsiasi accordo di pace.

 

Mercoledì Trump ha affrontato la questione Ucraina in una telefonata con i leader di Regno Unito, Francia e Germania. «Ne abbiamo parlato in termini piuttosto netti, ora aspettiamo di vedere le loro risposte», ha riferito ai giornalisti alla Casa Bianca.

 

«Penso che Zelens’kyj debba essere realista. Mi domando quanto tempo passerà ancora prima che si tengano le elezioni. Dopotutto è una democrazia… Sono anni che non si vota», ha aggiunto Trump, sottolineando che l’Ucraina sta «perdendo moltissima gente».

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Il presidente americano ha poi sostenuto che l’opinione pubblica ucraina sia largamente favorevole a un’intesa con Mosca: «Se guardiamo i sondaggi, l’82 % degli ucraini vuole un accordo – è uscito proprio un sondaggio con questa cifra».

 

Trump ha insistito sulla necessità di chiudere rapidamente il conflitto: «Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

 

Secondo Axios e RBC-Ucraina, Kiev ha trasmesso agli Stati Uniti la sua ultima proposta di pace. Zelens’kyj , che fino a ieri escludeva elezioni in tempo di legge marziale, ha dichiarato mercoledì di essere disposto a indire il voto, a patto però che Stati Uniti e alleati europei forniscano solide garanzie di sicurezza.

 

Il consenso verso Zelens’kyj è precipitato al 20 % dopo uno scandalo di corruzione nel settore energetico che ha travolto suoi stretti collaboratori e provocato le dimissioni di diversi alti funzionari. Trump ha più volte invitato il leader ucraino a tornare alle urne, ribadendo che la corruzione endemica resta uno dei problemi più gravi del paese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.   L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.   «Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.   Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».   Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.  

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.   Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.   Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».   Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.   Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.   «L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.   Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».   Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».  

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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