Economia
Il principale produttore di litio potrebbe chiudere l’impianto tedesco a causa di regole UE

Il produttore di litio Albemarle potrebbe essere costretto a chiudere il suo stabilimento in Germania se l’Unione Europea classificasse il litio minerale chiave come sostanza pericolosa che cambierebbe il modo in cui il litio viene elaborato e immagazzinato, ha detto a Reuters il direttore finanziario dell’azienda .
La Commissione europea sta attualmente esaminando e valutando una proposta dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) per classificare il carbonato di litio, il cloruro di litio e l’idrossido di litio come sostanze pericolose per la salute umana.
Un comitato dell’UE si riunirà all’inizio del mese prossimo per discutere la proposta, mentre una decisione finale sulla questione è prevista verso la fine di quest’anno o all’inizio del prossimo anno.
Se l’UE decidesse di includere le sostanze chimiche al litio nella categoria pericolosa, si autoinfliggerebbe un duro colpo ai propri obiettivi di diventare autosufficienti nelle batterie in questo decennio e aumenterebbe notevolmente la quota di veicoli elettrici sulle strade.
La decisione cambierebbe il modo in cui lavorano i produttori e i trasformatori di litio e aggiungerà costi alle loro operazioni.
Nel caso di Albemarle, la società «non sarebbe più in grado di importare la nostra materia prima primaria, il cloruro di litio, mettendo a rischio la chiusura dell’intera struttura (Langelsheim)», ha dichiarato a Reuters il CEO Scott Tozier in una dichiarazione inviata via email.
Il gruppo lavora i prodotti al litio nello stabilimento di Langelsheim in Germania, che impiega circa 550 persone.
Albemarle sosterrebbe un duro colpo finanziario se dovesse chiudere lo stabilimento tedesco.
«Con un fatturato di circa 500 milioni di dollari all’anno, l’impatto economico per Albemarle dalla potenziale chiusura sarebbe significativo«, ha detto a Reuters il CEO dell’azienda.
L’UE è destinata a soddisfare il 69% e l’89% della sua crescente domanda di batterie entro il 2025 e il 2030, rispettivamente, ha affermato la Commissione Europea all’inizio di quest’anno.
L’UE prevede di essere in grado di produrre batterie per un massimo di 11 milioni di automobili all’anno, ha aggiunto la Commissione della Von der Leyen.
In che modo abbiano intenzione di raggiungere simili obiettivi, senza sapere nemmeno dove prendere l’ingrediente principale – il litio – è un mistero.
Così come non risultava nemmeno negli anni scorsi una politica europea unica ed avanzata per assicurarsi le riserve di litio dei Paesi produttori (Cile, Perù, Argentina… Donbass).
Il litio è già da anni un argomento caldo sul fronte geopolitico mondiale, perché quasi tutti hanno realizzato che le batterie al litio sono una tecnologia strategica anche per l’immediato futuro. Qualcuno sostiene addirittura che l’anno passato, senza tanta pubblicità, in Sudamerica si sia combattuta la prima guerra del litio.
Come riportato da Renovatio 21, il Messico ha nazionalizzato poche settimane fa l’intera estrazione nazionale del litio.
Non ci meravigliamo di nulla: la UE si dimostra una volta di più in grado solo di creare problemi ai suoi cittadini con le sue regole stupide e distruttive.
Se non ci avete mai pensato: non è che la funzione dell’intero ente sovrastatale, sia proprio quella?
Immagine di Earthworks via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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