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Verso la pace in Siria e in Libano

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire

 

 

In Medio Oriente cominciano a trovare applicazione gli accordi tra i presidenti Joe Biden e Vladimir Putin, conclusi in seguito alla disfatta militare occidentale in Siria. Le prossime tappe dovrebbero essere il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq e dalla Siria, l’espulsione delle forze turche dalla Siria nord-occidentale, il rientro dell’Iran nella comunità internazionale, la restituzione del Golan alla Siria e infine l’amministrazione russo-siriana del Libano.

 

 

Le conseguenze degli accordi di Ginevra − la cosiddetta Yalta II (16 giugno 2021) − sul Medio Oriente Allargato stanno per entrare in una nuova fase: il ritiro delle forze straniere che occupano porzioni della Siria. Dopo 12 anni di massacri, termina la guerra contro la Repubblica Araba Siriana.

 

La Siria passerebbe dallo status di Paese amico a quello di Paese alleato: ogni minaccia alla sicurezza della Siria sarebbe una minaccia alla Russia

Il presidente Bashar al-Assad è stato ricevuto al Cremlino. Nulla è trapelato del colloquio con l’omologo russo. Sembra tuttavia che, dopo le elezioni legislative libanesi di maggio 2022, la Russia vigilerà sul Libano, nonché sulla Siria.

 

Se Washington non manterrà gli impegni, la Siria potrebbe essere ammessa nell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (OTSC), l’alleanza militare che si raccoglie attorno alla Russia. In tal caso, il sostegno di Mosca a Damasco s’intensificherebbe notevolmente, giacché la Siria passerebbe dallo status di Paese amico a quello di Paese alleato: ogni minaccia alla sicurezza della Siria sarebbe una minaccia alla Russia.

 

 

Israele

Nelle ultime settimane i «ribelli» di Deraa, nel sud della Siria, hanno deposto le armi. Avevano già capitolato di fronte a un generale russo, ma si erano nuovamente mobilitati contro Damasco su richiesta dell’Arabia Saudita. Ora, dopo la revoca del sostegno militare israeliano, si sono arresi.

 

Si tratta di un fatto importante perché dimostra l’evoluzione del regime di Tel Aviv. Con le dimissioni di Benjamin Netanyahu, Israele si sta liberando dell’ideologia colonialista di Ze’ev Jabotinsky e tenta di diventare uno Stato come gli altri.

 

Nonostante la retorica di cui si avvale, il governo di Naftali Bennet e di Yair Lapid ha accettato di smettere di sostenere gruppi armati in Siria. Ciò non gl’impedisce tuttavia di proseguire la guerra segreta contro l’Iran nei territori libanese e siriano

 

Benché Tel Aviv acconsenta a molte concessioni, non cede sull’occupazione dell’altipiano del Golan, che le Nazioni unite considerano annesso illegalmente

In particolare, benché Tel Aviv acconsenta a molte concessioni, non cede sull’occupazione dell’altipiano del Golan, che le Nazioni unite considerano annesso illegalmente.

 

In un’intervista in arabo a Russia Today, commentando la visita del presidente Bashar al-Assad a Mosca, il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha dichiarato che la Russia intende liberare l’intera Siria dalle forze straniere insediate illegalmente: israeliane, turche e statunitensi. Si va verso una restituzione del Golan in cambio del ritiro iraniano dalla Siria.

 

La Giordania, che non si è mai direttamente impegnata contro la Siria ma ha consentito a Stati Uniti e Arabia Saudita di utilizzare il suo territorio per combattere Damasco, sembra sollevata.

 

Anticipando l’esito degli avvenimenti, i ribelli di Deraa non hanno voluto lasciare Idlib − nord della Siria − preferendo deporre le armi senza contropartita.

 

 

La Turchia

La successiva tappa dovrebbe essere il ritiro delle truppe statunitensi e turche dal nord del Paese, la resa dei mercenari kurdi, nonché la ritirata degli jihadisti ammassati a Idlib.

 

Ma qui sta il problema: la Turchia si rifiuta di andarsene perché Idlib è zona rivendicata sin dal Giuramento Nazionale del 1920 (1).

 

Ankara aveva visto nell’occupazione di questo territorio un avanzamento verso il ripristino della grandezza ottomana. Sicché il ritiro implica non soltanto una perdita territoriale ma anche il fallimento del sogno neo-ottomano.

 

Per questa ragione, nel discorso alla 76esima Assemblea Generale dell’ONU, il presidente Erdoğan ha rispolverato la minaccia del sostegno al terrorismo tataro.

 

Nel 2015 Turchia e Ucraina crearono ufficialmente la Brigata Internazionale Islamica contro l’annessione della Crimea alla Russia (2). Tre mesi dopo, l’esercito turco abbatté un Sukoi russo, provocando una grave crisi politica. L’episodio però si risolse in breve tempo: l’opzione terrorista in funzione anti-Russia fu abbandonata nel 2016 e il presidente turco si scusò per l’«incidente».

 

Scompigliando lo scacchiere, la CIA tentò di far assassinare il presidente Erdoğan. L’operazione fallì e si tramutò in un colpo di Stato improvvisato, a sua volta naufragato. Con generale sorpresa, Ankara si volse verso la Russia e firmò a spron battuto un accordo per il gasdotto Turkish Stream, un altro per l’acquisto di sistemi anti-missile S-400.

 

Oggi Ankara si trova in una posizione difficile in quanto si erge nel medesimo tempo contro Mosca e Washington

Oggi Ankara si trova in una posizione difficile in quanto si erge nel medesimo tempo contro Mosca e Washington.

 

La minaccia di riattivare il terrorismo tataro è credibile perché Erdoğan, prima di diventare presidente, fu importante protagonista delle guerre di Afghanistan e Cecenia. In Afghanistan offrì il supporto della Millî Görüş a Golbukkin Hekmatyar; successivamente, mise a disposizione dei terroristi di Doku Umarov una retro-base per il loro Emirato di Ichkeria (Cecenia).

 

È ovviamente poco probabile che la Russia ceda al ricatto turco, giacché non l’ha fatto nel 2015. Mosca non è Bruxelles, che si arrese al ricatto dei migranti elargendo 5 miliardi di dollari alla Turchia. Anche se la minaccia non dovesse risolversi in nulla, il fatto di averla pronunciata alza comunque la posta: il presidente Erdoğan non intende cedere senza una forte compensazione.

 

Il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq e dalla Siria lascerà i mercenari kurdi senza protezione, esattamente come il ritiro statunitense dall’Afghanistan ha abbandonato alla loro sorte i collaboratori locali della CIA.

La minaccia di riattivare il terrorismo tataro è credibile perché Erdoğan, prima di diventare presidente, fu importante protagonista delle guerre di Afghanistan e Cecenia.

 

Visto i crimini commessi − in particolare contro gli arabi cristiani − i mercenari kurdi cominciano a cedere al panico. Alcuni di loro sono già in trattativa con Damasco.

 

L’incontro segreto dei capi di stato-maggiore statunitense e russo, generali Mark A. Milley e Valery Gerasimov, il 21 settembre a Helsinki, ha riguardato anche la questione siriana.

 

Non si sa quali decisioni siano emerse, ma Miley, ardente sostenitore di Biden, non intende certo boicottare gli impegni assunti dal presidente.

 

 

L’Iran

L’Iran, che durante i mandati di Mahmoud Ahmadinejad s’è imposto come potenza economica e sotto la guida del generale Qassem Soleimani come potenza militare, sta per essere reintegrato nella comunità internazionale.

 

Se le trattative ufficiali sul suo status nucleare segnano il passo, in compenso si moltiplicano i contatti segreti.

 

Gli Stati Uniti hanno alla fine accettato di relativizzare le ricerche nucleari iraniane, dal momento che hanno scopi pacifici. Durante l’ultimo anno della guerra imposta dall’Iraq all’Iran di Ruhollah Khomeini, Teheran si è auto-imposta di non fabbricare la bomba atomica e di abbandonare il progetto che Stati Uniti e Francia avevano sviluppato con lo scià Reza Pahlavi.

 

L’Iran, che durante i mandati di Mahmoud Ahmadinejad s’è imposto come potenza economica e sotto la guida del generale Qassem Soleimani come potenza militare, sta per essere reintegrato nella comunità internazionale

L’Iran ha rimosso il divieto dopo l’assassinio del generale Soleimani, voluto dal presidente Donald Trump. Non ci sono indizi per ritenere che Teheran abbia ripreso il progetto di fabbricare armi nucleari.

 

Dopo che Washington e Londra hanno rivelato il Patto nucleare con l’Australia, i due Grandi non potranno più accusare l’Iran di proliferazione nucleare.

 

Gli Stati Uniti hanno anche rinunciato a fomentare la divisione del mondo mussulmano in sunniti e sciiti.

 

Contatti stabili stanno nascendo fra Arabia Saudita e Iran, fratelli trasformatisi in nemici. Ultima in ordine di tempo una riunione segreta tra i capi dei servizi segreti dei due Paesi, avvenuta il 23 settembre all’aeroporto di Bagdad.

 

Teheran dovrebbe rinunciare ad alcune azioni militari e concentrarsi sulla difesa delle comunità sciite nel mondo, inclusa l’America Latina. I Guardiani della Rivoluzione potrebbero perciò abbandonare la Siria e lasciare maggiore libertà d’azione allo Hezbollah libanese.

 

 

L’Unione Europea

Sul piano diplomatico, le ambasciate degli Stati membri dell’Unione Europea a Damasco hanno quasi tutte riaperto (non quella francese).

 

Sembra che l’Unione Europea abbia obblighi finanziari imposti da una vecchia risoluzione dell’ONU. Comunque sia, Bruxelles sovvenziona con sette miliardi di dollari la ricostruzione delle infrastrutture siriane.

 

La Commissione Europea, che continua ad avvalersi di seimila funzionari britannici a oltre un anno dalla Brexit, è stranamente rappresentata in Siria dall’ONG Oxfam, che aveva sostenuto l’organizzazione terrorista dei Caschi Bianchi.

 

In ogni caso, l’UE rimane ufficialmente sulla posizione enunciata quattro anni fa dall’ambasciatore statunitense Jeffrey Feltman, quando era all’ONU: non un soldo per la ricostruzione della Siria fintantoché il «regime» non sarà crollato (3).

 

L’UE rimane ufficialmente sulla posizione enunciata quattro anni fa dall’ambasciatore statunitense Jeffrey Feltman, quando era all’ONU: non un soldo per la ricostruzione della Siria fintantoché il «regime» non sarà crollato

Permane irrisolta la questione se il Libano debba passare o no nuovamente sotto amministrazione russo-siriana. La risposta determinerà l’impegno cinese nella regione.

 

Al momento, i tre presidenti libanesi − della repubblica, del governo e del parlamento − sono compatibili con l’amministrazione di Bashar al-Assad. Tuttavia quest’ultimo − che fu ingiustamente accusato di aver provocato l’assassinio dell’ex primo libanese Rafic Hariri e le cui truppe furono accolte con ostilità a Beirut − non sembra disponibile. Sarebbe però la soluzione più saggia.

 

L’annuncio della possibile candidatura alla presidenza del parlamento libanese del direttore della Sicurezza Generale, generale Abbas Ibrahim, è interpretato come entrata in lizza di un uomo consapevole della cultura della Grande Siria.

 

Fino agli accordi di Sykes-Picot del 1915, che hanno pianificato la creazione di Israele, Giordania, Libano, Siria e Cipro, questi cinque Stati facevano parte della medesima provincia ottomana.

 

 

La Cina

In caso di tutela siriana sul Libano in fallimento, la Cina interverrebbe per ricostruire la parte terminale dell’antica via della Seta, che nell’Antichità e nel Medioevo collegava la capitale cinese dell’epoca, Xi’an, al Mediterraneo, passando per Palmira e Damasco.

 

Beijing progetta di costruire sia una via ferroviaria sia strutture di telecomunicazioni.

 

In caso di tutela siriana sul Libano in fallimento, la Cina interverrebbe per ricostruire la parte terminale dell’antica via della Seta: Pechino progetta di costruire sia una via ferroviaria sia strutture di telecomunicazioni.

Si tratterebbe di una vittoria importante per i presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping, dal momento che un aspetto della guerra contro la Siria mirava esplicitamente a impedire questo progetto.

 

Sarebbe sorprendente che gli Stati Uniti, dopo aver imposto a Israele di annullare tutti i contratti con Beijing, consentisse alla Russia d’installare la Cina in Siria senza contropartita.

 

 

La Francia

La Francia, ex potenza coloniale di Libano e Siria, non vuole farsi estromettere. Il mese scorso il presidente Emmanuel Macron ha infatti partecipato al summit di Bagdad, sotto l’occhio vigile dei servizi segreti britannici.

 

Francia e Stati Uniti hanno svolto un ruolo centrale nella designazione di Najib Mikati come nuovo uomo forte della comunità sunnita libanese e, di conseguenza, nuovo primo ministro (l’incarico infatti è riservato a un sunnita).

 

Gli Occidentali hanno privilegiato l’uomo reputato da Forbes il più ricco del Paese, come a suo tempo fu Rafic Hariri. Per far questo hanno eliminato la famiglia Hariri, appoggiandosi all’Arabia Saudita. I beni di Saad Hariri − figlio di Rafic e anch’egli ex primo ministro − sono stati sequestrati con provvedimento giudiziario. L’operazione dovrebbe presto proseguire con la requisizione dei suoi beni in Libano.

 

Mikati, alla stregua degli Hariri, è simbolo dell’uso del Libano nel sistema economico occidentale alla guisa di Stato-pirata: non sottoscrive alcuna delle regole occidentali, ma serve per qualsiasi transazione segreta dell’Occidente, in particolare droghe e telecomunicazioni

Mikati − che certamente non è più onesto di Saad Hariri − dipende da Washington e Parigi in quanto il suo patrimonio è disseminato in Stati sotto tutela dell’Occidente. Mikati, alla stregua degli Hariri, è simbolo dell’uso del Libano nel sistema economico occidentale alla guisa di Stato-pirata: non sottoscrive alcuna delle regole occidentali, ma serve per qualsiasi transazione segreta dell’Occidente, in particolare droghe e telecomunicazioni.

 

In questo il Libano è simile a Israele, l’autoproclamato «Stato ebreo» specializzatosi nelle transazioni occulte di diamanti e armi (compresi i software). In entrambi gli Stati i profitti della classe dirigente non vanno a beneficio della popolazione.

 

L’appoggio della Francia a Mikati è vòlto a impedire che il Libano diventi una vera nazione in luogo di un aggregato di comunità. Parigi quindi farà il possibile perché il prossimo parlamento sia eletto secondo le regole inique prevalse sinora.

 

Il Libano è l’unico Paese ove nella maggior parte dei casi le cariche parlamentari passano di padre in figlio. Per assicurarsi che non siano adottate regole democratiche, la Francia intende dispiegare le proprie truppe per garantire la sicurezza dei seggi elettorali durante le elezioni del prossimo maggio.

 

Disconoscendo l’origine dei problemi, Parigi favorisce le riforme economiche rispetto a quelle politiche.

 

Disconoscendo l’origine dei problemi, Parigi favorisce le riforme economiche rispetto a quelle politiche

Il 24 settembre il presidente Macron ha ricevuto il primo ministro libanese Mikati. Appena nominato, quest’ultimo si è precipitato all’Eliseo, contravvenendo alla sacrosanta regola che vuole che un nuovo primo ministro non debba recarsi nell’ex potenza coloniale prima di aver incontrato i principali omologhi arabi.

 

Solo dopo che il panorama politico si sarà stabilizzato si potrà cominciare a sfruttare gli idrocarburi in Israele, Libano e Siria.

 

È infatti necessario delimitare i confini marittimi che gli accordi di Sykes-Picot delinearono ma non fissarono con precisione.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

Questo articolo è il seguito di:

«Perché una Yalta II?», 15 giugno 2021.
«Biden-Putin, una Yalta II piuttosto che un nuovo Berlino», 22 giugno 2021.
«L’architettura politica del nuovo Medio Oriente», 7 settembre 2021.

 

 

NOTE

1) «Serment national turc», Réseau Voltaire, 28 gennaio 1920.

2) «L’Ukraine et la Turquie créent une Brigade internationale islamique contre la Russie», par Thierry Meyssan, Télévision nationale syrienne , Réseau Voltaire, 12 agosto2015.

3) «Parameters and Principles of UN assistance in Syria», di Jeffrey D. Feltman, Voltaire Network, 15 ottobre 2017.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Trump: Zelens’kyj deve essere «realista»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che Volodymyr Zelens’kyj deve fare i conti con la realtà del conflitto contro la Russia e con l’urgenza di indire nuove elezioni.

 

Il mandato presidenziale quinquennale di Zelens’kyj è scaduto a maggio 2024, ma il leader ucraino ha sempre escluso il voto per via della legge marziale in vigore. Vladimir Putin ha più volte sostenuto che lo Zelens’kyj non può più essere considerato un interlocutore legittimo e che la sua posizione renderebbe giuridicamente problematico qualsiasi accordo di pace.

 

Mercoledì Trump ha affrontato la questione Ucraina in una telefonata con i leader di Regno Unito, Francia e Germania. «Ne abbiamo parlato in termini piuttosto netti, ora aspettiamo di vedere le loro risposte», ha riferito ai giornalisti alla Casa Bianca.

 

«Penso che Zelens’kyj debba essere realista. Mi domando quanto tempo passerà ancora prima che si tengano le elezioni. Dopotutto è una democrazia… Sono anni che non si vota», ha aggiunto Trump, sottolineando che l’Ucraina sta «perdendo moltissima gente».

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Il presidente americano ha poi sostenuto che l’opinione pubblica ucraina sia largamente favorevole a un’intesa con Mosca: «Se guardiamo i sondaggi, l’82 % degli ucraini vuole un accordo – è uscito proprio un sondaggio con questa cifra».

 

Trump ha insistito sulla necessità di chiudere rapidamente il conflitto: «Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

 

Secondo Axios e RBC-Ucraina, Kiev ha trasmesso agli Stati Uniti la sua ultima proposta di pace. Zelens’kyj , che fino a ieri escludeva elezioni in tempo di legge marziale, ha dichiarato mercoledì di essere disposto a indire il voto, a patto però che Stati Uniti e alleati europei forniscano solide garanzie di sicurezza.

 

Il consenso verso Zelens’kyj è precipitato al 20 % dopo uno scandalo di corruzione nel settore energetico che ha travolto suoi stretti collaboratori e provocato le dimissioni di diversi alti funzionari. Trump ha più volte invitato il leader ucraino a tornare alle urne, ribadendo che la corruzione endemica resta uno dei problemi più gravi del paese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.   L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.   «Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.   Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».   Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.  

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.   Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.   Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».   Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.   Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.   «L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.   Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».   Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».  

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Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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