Epidemie
Virus scappato dal laboratorio di Wuhan? Tutto OK. Come con la Mucca Pazza

Siamo arrivati alla fase in cui la fuga del virus del laboratorio non è più un tabù, né un’ipotesi ardita, né un’ipotesi in genere. È un accadimento sensato, sul quale quasi sbadigliare.
Il Corriere della sera manda in stampa un articolo che certifica che «Non sarebbe la prima né l’ultima volta. Nella storia della medicina si contano migliaia se non milioni di fughe di microrganismi dai laboratori». Insomma, i cinesi non hanno fatto niente di male. I misteri del laboratorio pandemico sono ordinaria amministrazione.
Un articolo del Corriere: i cinesi non hanno fatto in fondo niente di male. I misteri del laboratorio pandemico sono ordinaria amministrazione.
È l’idea che uno può farsi leggendo l’intervista ad un ex direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Istituto Superiore di Sanità.
Lo scienziato ha lavorato a lungo sulla malattia Creutzfeldt-Jakob, della quale un variante, nel 2001 è diventata encefalopatia spongiforme bovina (BSE), è cioè la ben nota «mucca pazza»
Dopo mesi e mesi in cui chi parlava di fuga dal laboratorio veniva bollato come idiota da deridere o pericolo complottista da censurare, ora se ne può dire con estrema nonchalance: «Non stupirebbe trovare la prova che il SARS-CoV-2 sia uscito fuori inavvertitamente dal centro di Wuhan dove si studiano i coronavirus» dice l’esperto ex ISS.
«Nessuna misura di contenimento, anche la più sofisticata, può azzerare il rischio». Insomma, dai, poche storie: può capitare.
«Nei centri di ricerca, anche in quelli ad altissima sicurezza, i cosiddetti P3 e P4, non è impossibile che un agente patogeno contamini l’operatore. Nel caso del SARS-2 non è fantascienza ipotizzare che durante una procedura un tecnico abbia inalato le particelle infette emesse, tanto per fare un esempio, durante la fase di centrifugazione di materiale infetto e che le cappe, nonostante siano dotate di chiusura ermetica, non fossero state azionate».
Quindi, attenzione: magari il COVID è pure uscito dal laboratorio, ma badate bene che il Partito Comunista Cinese – tanto amico di certi politici ed élite industriali dell’Italia odierna – è innocente fino a prova contraria.
«Può darsi che l’episodio non fosse noto alle autorità»
«Può darsi che l’episodio non fosse noto alle autorità. Un ricercatore che, supponiamo, dopo qualche giorno abbia sviluppato una forma influenzale, potrebbe non aver messo in relazione quei sintomi con un incidente a lui passato inosservato».
È piuttosto incredibile: di tutte le storie dell’insabbiamento operato dal governo di Pechino – come quelle, documentate con estrema precisione e pervicacia dalla giornalista australiana Sharri Markson – qui non fanno cenno. Del dottore morto dopo che aveva dato l’allarme, nemmeno. Dei blogger e giornalisti scomparsi, neanche. Tutto lascia pensare che, fuggito il virus, le autorità cinesi sapessero qualcosa non troppo tempo dopo la fuga – e hanno operato, dice qualche malizioso, forse addirittura per lasciare che il mondo intero si infettasse. Per non parlare di chi dice che il rilascio sia stato parte di un’operazione precisa: una teoria estrema che oggì è tabù, domani chissà…
Ma in fondo è inutile interrogarsi più di tanto, perché «la verità è difficile da ricostruire e mi riporto alla variante di Creutzfeldt-Jakob», dice il neuroscienziato ISS.
Vogliamo davvero mettere i tre casi della Creutzfeldt-Jakob con il contagio globale del COVID? Mezza manciata di incidenti di laboratorio con una catastrofe planetaria di cui non stiamo vedendo (per cause non solo virologiche, certo) la fine?
L’intervistato si riferisce ad un caso di fuga dal laboratorio della malattia. Un problema che coinvolse « tre ricercatori. Di almeno due dei 3 casi siamo certi. Uno è stato descritto su New England Journal Medicine. Si parla di esposizione occupazionale in un tecnico che aveva maneggiato campioni di topo contaminato con l’agente infettivo che causa l’encefalopatia spongiforme bovina, la BSE, o con quello della variante di Creutzfeldt-Jakob. Poi sappiamo di una 24enne francese morta 19 mesi dopo essersi tagliata. E indossava due paia di guanti».
«È la conferma che tante volte nei rendiconti dei laboratori non si trova traccia di incidenti proprio in quanto possono passare inosservati anche al ricercatore».
È tutto vero. I virus possono scappare dai laboratori, vero. I virus possono scappare dai laboratori senza che nemmeno il ricercatore se ne renda conto, vero anche questo.
Tuttavia non possiamo non notare come la questione sia senza proporzione: vogliamo davvero mettere i tre casi della Creutzfeldt-Jakob con il contagio globale del COVID? Mezza manciata di incidenti di laboratorio con una catastrofe planetaria di cui non stiamo vedendo (per cause non solo virologiche, certo) la fine?
Da qualche parte qualcuno ha forse già ordinato che bisogna «normalizzare» l’ipotesi della fuga di laboratorio, preparare il pubblico al fine di non farne esplodere le ire quando la cosa sarà ammessa
Al di là delle parole dello specialista, l’impressione che si può trarre quando si leggono articoli impaginati così è che forse da qualche parte qualcuno abbia già ordinato che bisogna «normalizzare» l’ipotesi della fuga di laboratorio, preparare il pubblico al fine di non farne esplodere le ire quando la cosa sarà ammessa.
Qualche testata, mesi fa, ha dato notizia che la Cina starebbe preparando una dichiarazione di colpevolezza. Chiaramente, questo non sarebbe un atto di giustizia e sincerità spirituale, ma un calcolo precisissimo.
Renovatio 21 ha teorizzato che questo calcolo sarebbe fatto poggiando anche su un accordo con Washington. L’Afghanistan potrebbe essere una parte della contropartita. Un altra parte del patto potrebbe essere il futuro di Taiwan.
La Cina potrebbe ammettere tutto, specie qualora le responsabilità americane (cioè, dell’ente sanitario guidato da Fauci) divenissero incontrovertibili, distribuendo così più equamente le colpe: noi cinesi lo abbiamo fatto scappare, ma ce lo avete fatto fare voi, eravate d’accordo, e ci avete pure pagati…
Si prepara un’ammissione definitiva dell’origine frankensteiniana del COVID?
Il tutto considerando, come riportato plurime volte da Renovatio 21, che Joe Biden è considerato da taluni (specie i dissidenti cinesi) come un pupazzo in mano a Pechino, e la storia degli affari e delle perversioni di Hunter Biden potrebbero far pensare che Pechino sul presidente USA (eletto in elezioni controverse) potrebbe avere enormi leve personali e politiche.
Come riportato da Renovatio 21, la fine 2020 un professore cinese, in una conferenza finita in TV, disse pubblicamente che i rapporti USA-Cina sarebbero tornati ottimi, dopo la parentesi di Trump, grazie al fatto che i cinesi avevano dato al figlio di Biden miliardi per il suo fondo di investimento.
Ora: si prepara un’ammissione definitiva dell’origine frankensteiniana del COVID?
Quanto, a questo punto, questa rivelazione aiuterebbe la narrazione pandemica?
Domanda numero due: quanto, a questo punto, questa rivelazione aiuterebbe la narrazione pandemica?
Sapendo che il virus è una chimera laboratoriale, la paura nei suoi confronti e la fiducia nel vaccino aumenterebbero?
Probabilmente sì. Così come aumenterebbe la considerazione rispetto alla tecnologia mRNA: sapendo che il virus è artificiale, nessuno vuole iniettarsi in corpo una sua versione attenuata. Meglio procedere con la trasformazione del proprio corpo in fabbrica vaccinale, facendo produrre le spike alle proprie cellule affinché vengano attaccate dal loro stesso sistema immunitario.
Cosa altro dobbiamo aspettarci, in questo teatrino osceno della virologia?
Epidemie
Il CDC: gli ucraini portano infezioni antibiotico-resistenti in Europa occidentale

Secondo un recente documento dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), i soldati ucraini feriti e i civili in fuga stanno trasportando nuovi ceppi di batteri resistenti agli antibiotici nell’Europa occidentale. Anche prima dello scoppio del conflitto, gli scienziati avevano avvertito dell’incapacità dell’Ucraina di monitorare e limitare la diffusione di queste infezioni.
Il rapporto del CDC, pubblicato il mese scorso, rilevava che sei diverse infezioni resistenti agli antibiotici erano state trovate nel corpo di un soldato ucraino ferito in un ospedale militare in Germania. Il soldato ha riportato gravi ustioni nell’incendio di un veicolo ed è stato trasportato negli ospedali di Dnipropetrovsk e Kiev prima della sua evacuazione in Germania.
Ricercatori tedeschi hanno scoperto che alcune di queste infezioni erano state riscontrate nelle ferite degli ucraini che combattevano nelle regioni del Donbass dal 2014 e probabilmente si erano sviluppate negli ospedali ucraini.
«Di conseguenza, le reti sanitarie in Europa ora considerano il ricovero ospedaliero in Ucraina un fattore di rischio critico» per i cosiddetti organismi multiresistenti, avverte il documento.
Queste infezioni, che circolano in Ucraina da quasi un decennio, vengono trasportate anche nell’Europa occidentale da rifugiati civili, ha riferito lunedì il Financial Times, citando numerosi articoli scientifici.
Monitorare e affrontare le infezioni resistenti ai farmaci rappresenta una sfida anche per i sistemi sanitari più sviluppati, con il Financial Times che osserva che un «prestigioso ospedale di New York» prescrive antibiotici senza effettuare test sufficienti e non smaltisce le pillole inutilizzate – entrambi i fattori nella diffusione di questi organismi.
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Non tutti i governi hanno piani adeguati per rispondere alle epidemie di infezioni resistenti ai farmaci. Una recente analisi di 114 paesi ha valutato questi piani su una scala da 0 a 100, assegnando all’Ucraina un punteggio di 29, rispetto a 45 e 54 rispettivamente per le vicine Polonia e Russia.
L’analisi è stata condotta nel 2021 e il successivo conflitto ha probabilmente abbassato ulteriormente il punteggio dell’Ucraina, scrive RT.
Il Financial Times osserva che le diffuse ferite da combattimento, la prescrizione indiscriminata di antibiotici e i danni alle infrastrutture ospedaliere facilitano la diffusione della malattia.
Renovatio 21 ci tiene a ricordare, en passant, quando nel marzo 2022, allo scoppiare della guerra, il governo Draghi permise ai quasi 50 mila profughi ucraini allora giunti in Italia di circolare senza super green pass, che era invece inflitto a tutti i cittadini contribuenti italiani.
«Per i quasi 50 mila ucraini arrivati non c’è obbligo di super green pass» scriveva il quotidiano La Verità. «Abbiamo visto profughi alloggiati in hotel, che affermavano di non essere vaccinati e di non avere il super green pass».
Epidemie
La CIA e Wuhan: una storia tutta da scrivere

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Sono accuse di gravità incalcolabile, tuttavia Huff lo aveva anche dichiarato a Fox Business a gennaio: «questa è stata in realtà un’operazione di Intelligence fallita. In realtà stavamo scambiando biotecnologie avanzate con la Cina per accedere e raccogliere informazioni sul loro laboratorio di armi biologiche. Credo. Non posso provarlo, ma un certo numero di agenzie lo sostengono. Ne parlo nel libro, incluso il dottor Peter Daszak che mi dice che aveva lavorato con la CIA». Huff sulla questione ha infatti pubblicato un libro, The Truth about Wuhan («La verità su Wuhan») «Queste discussioni hanno portato a pubblicazioni che indicano che il dottor Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, stava lavorando con la CIA e che l’agente biologico comunemente noto come COVID-19 (SARS-CoV-2) era in fase di sviluppo presso EcoHealth Alliance da allora 2012 e altre prove suggeriscono che la SARS-CoV-2 sia iniziata prima del 2012» si legge nel libro di Huff. «Lo sviluppo della SARS-CoV-2 ha coinvolto diversi eminenti scienziati e istituzioni accademiche statunitensi che hanno ricevuto finanziamenti da numerose agenzie governative federali e organizzazioni private non governative per completare il lavoro di guadagno funzionale su SARS-CoV-2».… of the story. Not only is EcoHealth Alliance a CIA front organization, but the United States of America is primarily responsible for COVID, not China. COVID was a US scientific R&D program where COVID was transferred to China, so that…
— Andrew G. Huff, PhD, MS 🇺🇸 (@AGHuff) January 23, 2022
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— Andrew G. Huff, PhD, MS 🇺🇸 (@AGHuff) March 7, 2023Project Veritas scrive di aver «ottenuto un rapporto separato per l’ispettore generale del Dipartimento della Difesa scritto dal maggiore dei Marines degli Stati Uniti, Joseph Murphy, ex membro della DARPA». «Il rapporto afferma che EcoHealth Alliance si è rivolta alla DARPA nel marzo 2018, cercando finanziamenti per condurre ricerche sul guadagno funzionale dei coronavirus trasmessi dai pipistrelli. La proposta, denominata Project Defuse, è stata respinta dalla DARPA per motivi di sicurezza e per l’idea che viola il guadagno di base della moratoria sulla ricerca funzionale».
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Epidemie
L’RNA virale può persistere per 2 anni dopo il COVID-19: studio

Un nuovo studio potrebbe spiegare perché alcune persone che contraggono il COVID-19 non tornano mai alla normalità e sperimentano invece nuove condizioni mediche come malattie cardiovascolari, disfunzioni della coagulazione, attivazione di virus latenti, diabete mellito o quello che è noto come «Long COVID» dopo l’infezione di SARS-CoV-2. Lo riporta Epoch Times.
In un recente studio preliminare pubblicato su medRxiv, i ricercatori hanno condotto il primo studio di imaging con tomografia a emissione di positroni (PET) sull’attivazione delle cellule T in individui che in precedenza si erano ripresi da COVID-19 e hanno scoperto che l’infezione da SARS-CoV-2 può provocare un’attivazione persistente delle cellule T in una varietà di tessuti corporei per anni dopo i sintomi iniziali.
Anche nei casi clinicamente lievi di COVID-19, questo fenomeno potrebbe spiegare i cambiamenti sistemici osservati nel sistema immunitario e in quelli con sintomi COVID di lunga durata.
Va segnalato, ad ogni modo, la maggior parte dei partecipanti era stata vaccinata e lo studio non ha indagato il legame tra l’esistenza dell’RNA virale e la vaccinazione.
Per effettuare lo studio, i ricercatori hanno condotto scansioni PET di tutto il corpo di 24 partecipanti che erano stati precedentemente infettati da SARS-CoV-2 e guariti dall’infezione acuta in momenti che vanno da 27 a 910 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi di COVID-19.
Una scansione PET è un test di imaging che utilizza un farmaco radioattivo chiamato tracciante per valutare la funzione metabolica o biochimica di tessuti e organi e può rivelare un’attività metabolica sia normale che anormale. Il tracciante viene solitamente iniettato nella mano o nella vena del braccio e si raccoglie in aree del corpo con livelli più elevati di attività metabolica o biochimica, che possono rivelare la sede della malattia.
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Utilizzando un nuovo agente radiofarmaceutico che rileva molecole specifiche associate a un tipo di globuli bianchi chiamati linfociti T, i ricercatori hanno scoperto che l’assorbimento del tracciante era significativamente più elevato nei partecipanti alla fase post-acuta di COVID-19 rispetto ai controlli pre-pandemia nel tronco cerebrale, nella colonna vertebrale midollo osseo, tessuto linfoide nasofaringeo e ilare, tessuti cardiopolmonari e parete intestinale.
Tra maschi e femmine, i partecipanti maschi tendevano ad avere un assorbimento maggiore nelle tonsille faringee, nella parete rettale e nel tessuto linfoide ilare rispetto ai partecipanti femmine.
I ricercatori hanno specificatamente identificato l’RNA cellulare del SARS-CoV-2 nei tessuti intestinali di tutti i partecipanti con sintomi da Long COVID che si erano sottoposti a biopsia in assenza di reinfenzione, con un range da 158 a 676 giorni dopo essersi inizialmente ammalati di COVID.
Ciò suggerisce che la persistenza del virus nel tessuto potrebbe essere associata a problemi immunologici a lungo termine.
Sebbene l’assorbimento del tracciante in alcuni tessuti sembrasse diminuire con il tempo, i livelli rimanevano comunque elevati rispetto al gruppo di controllo di volontari sani pre-pandemia.
«Questi dati estendono in modo significativo le osservazioni precedenti di una risposta immunitaria cellulare duratura e disfunzionale alla SARS-CoV-2 e suggeriscono che l’infezione da SARS-CoV-2 potrebbe portare a un nuovo stato stazionario immunologico negli anni successivi a COVID-19», scrivono i ricercatori.
I risultati hanno mostrato un «assorbimento leggermente più elevato» dell’agente nel midollo spinale, nei linfonodi ilari e nella parete del colon/retto nei soggetti con sintomi COVID prolungati.
Nei partecipanti con COVID lungo che hanno riportato cinque o più sintomi al momento dell’imaging, i ricercatori hanno osservato livelli più elevati di marcatori infiammatori, «comprese le proteine coinvolte nelle risposte immunitarie, nella segnalazione delle chemochine, nelle risposte infiammatorie e nello sviluppo del sistema nervoso».
Rispetto sia ai controlli pre-pandemia che ai partecipanti che avevano avuto il COVID-19 e si erano completamente ripresi, le persone con Long COVID hanno mostrato una maggiore attivazione delle cellule T nel midollo spinale e nella parete intestinale.
I ricercatori attribuiscono i loro risultati all’infezione da SARS-CoV-2, sebbene tutti i partecipanti tranne uno avessero ricevuto almeno una vaccinazione COVID-19 prima dell’imaging PET.
Per ridurre al minimo l’impatto della vaccinazione sull’attivazione delle cellule T, l’imaging PET è stato eseguito a più di 60 giorni da qualsiasi dose di vaccino, ad eccezione di un partecipante che ha ricevuto una dose di vaccino di richiamo sei giorni prima dell’imaging. Sono stati esclusi gli altri che avevano fatto un vaccino COVID-19 entro quattro settimane dall’imaging, scrive Epoch Times.
I ricercatori hanno affermato che il loro studio presentava diversi altri limiti, tra cui dimensioni ridotte del campione, studi correlati limitati, varianti in evoluzione, lancio rapido e incoerente dei vaccini COVID-19, che hanno richiesto loro di modificare i protocolli di imaging, utilizzando individui pre-pandemici come controlli e l’estrema difficoltà di trovare persone che non fossero mai state infettate dal SARS-CoV-2.
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«In sintesi, i nostri risultati forniscono prove provocatorie dell’attivazione del sistema immunitario a lungo termine in diversi tessuti specifici in seguito all’infezione da SARS-CoV-2, compresi quelli che presentano sintomi COVID lunghi», concludono i ricercatori. «Abbiamo identificato che la persistenza del SARS-CoV-2 è un potenziale motore di questo stato immunitario attivato e mostriamo che l’RNA del SARS-CoV-2 può persistere nel tessuto intestinale per quasi 2 anni dopo l’infezione iniziale».
Come riportato da Renovatio 21, già un anno fa la stampa mainstream aveva cominciato ad ammettere che forse «i vaccini potrebbero non prevenire molti sintomi del Long COVID, come ha scritto il Washington Post.
Nella primavere 2022 il professor Harald Matthes dell’ospedale di Berlino Charité aveva dichiarato di aver registrato 40 volte più «effetti collaterali gravi» delle vaccinazioni contro il COVID -19 rispetto a quanto riconosciuto da fonti ufficiali tedesche.
Matthes aveva delle strutture che sarebbero chiamate a curare i pazienti con complicazioni vaccinali: «Abbiamo già diversi ambulatori speciali per il trattamento delle conseguenze a lungo termine della malattia COVID», spiega il prof. Matthes. «Molti quadri clinici noti da “Long COVID” corrispondono a quelli che si verificano come effetti collaterali della vaccinazione».
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