Predazione degli organi
Uomo evita per un soffio lo squartamento per predazione degli organi: i medici in sala operatoria si rendono conto che è vivo

Gli organi di un donatore del Kentucky che era stato dichiarato morto erano pronti per essere espiantati, ma i medici hanno «scoperto» che l’uomo era ancora vivo. Lo riporta il quotidiano britannico The Indipendent.
«Si muoveva, come se si dimenasse. Tipo, si muoveva, si dimenava sul letto», ha detto alla TV pubblica americana NPR un membro del personale espiantatori di organi che si trovava in sala operatoria durante l’incidente, consumatosi, apprendiamo dell’ottobre 2021. «E poi quando siamo andati lì, si vedeva che aveva le lacrime che scendevano. Piangeva visibilmente».
L’operatrice intervistata da NPR ha dichiarato che due medici si sono rifiutati di effettuare il prelievo degli organi dopo essersi «resi conto» che il donatore era stato erroneamente dichiarato morto.
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«Il chirurgo che mi ha procurato il farmaco, ha detto, tipo, “Me ne vado. Non voglio avere niente a che fare con questa cosa”», ha spiegato la donna. «È stato molto caotico. Tutti erano molto arrabbiati».
Il paziente era un 36enne ricoverato in un ospedale di Richmond, nel Kentucky, dopo essere entrato, quello stesso giorno stesso, in un’overdose di droga, ha raccontato alla stampa la sorella.
La sorella ha ricordato la preoccupazione di quando suo fratello è stato portato dalla terapia intensiva alla sala operatoria. Ha ricordato di averlo visto aprire gli occhi. «Era come se fosse il suo modo di farci sapere, sai: “Ehi, sono ancora qui”», ha detto la donna alla NPR.
L’operatrice agli espianti dice che la coordinatrice in sala operatoria chiamava il suo supervisore per chiedere aiuto una volta che hanno visto segni di vita. Il supervisore insisteva sul fatto che la coordinatrice del caso aveva bisogno di «trovare un altro medico che lo facesse».
Alla fine, il prelievo degli organi è stato annullato. L’uomo ora, vivo e vegeto, sta con la sorella, la sua tutrice legale. Da quando ha lasciato l’ospedale, ha avuto problemi di memoria, di deambulazione e di linguaggio.
È riportato che lo shock tra gli operatori dell’espianto è stato tale che alcuni si sono licenziati dopo l’incidente, scrive l’Indipendent.
«Ho dedicato la mia intera vita alla donazione e al trapianto di organi. Ora mi fa molta paura che queste cose possano accadere e che non ci siano più misure per proteggere i donatori», ha detto a NPR un’altra espiantatrice, rimasta sconvolta dalla vicenda.
Quel giorno, il donatore era stato sottoposto a cateterizzazione cardiaca, un esame che serve a valutare la salute del cuore prima o dopo un trapianto.
«Il donatore si era svegliato durante la procedura quella mattina per un cateterismo cardiaco. E si dimenava sul tavolo», ha detto la donna. Ma poi i dottori hanno sedato il paziente e hanno continuato a pianificare l’espianto dei suoi organi.
«È l’incubo peggiore di tutti, giusto? Essere vivi durante un intervento chirurgico e sapere che qualcuno ti taglierà e ti toglierà le parti del corpo? È orribile. Molti di noi dipendenti hanno dovuto andare in terapia. Ha avuto un impatto su molte persone, soprattutto su di me», ha detto.
La donna era sconvolta al punto di scrivere una lettera al Congresso USA descrivendo nei dettagli l’incidente.
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Il sottocomitato di vigilanza e investigazioni della House Energy and Commerce Committee (Commissione per l’Energia e il Commercio della Camera) tenne un’udienza l’11 settembre sulla supervisione dei trapianti di organi. Il comitato ha fatto allusione al caso specifico, con un testimone raccontò che l’uomo destinato alla «donazione», mentre era in sala operatoria, avrebbe pronunciato le parole: «Aiutatemi».
Il caso, è emerso in commissione, non è isolato. Un «donatore» era stato dichiarato cerebralmente morto e nel mezzo dell’operazione, un anestesista ha detto di aver pensato che il paziente respirasse, «il che sostanzialmente annullerebbe la dichiarazione di morte cerebrale», ha detto uno dei testimoni uditi al Congresso, il dottor Robert Cannon, direttore chirurgico del programma di trapianto di fegato presso l’Università dell’Alabama a Birmingham.
Lo staff ha quindi chiamato il loro amministratore, che ha attribuito la cosa a un «riflesso del tronco encefalico» e ha raccomandato di procedere, «il che ovviamente sarebbe stato un omicidio se lo avessimo fatto».
«Ogni chirurgo che si occupa di trapianti ha probabilmente una storia da raccontare su se stesso o su un collega che ha avuto una situazione simile», ha detto il dottor Cannon alla Commissione.
Tali testimonianze non possono che rinforzare nei lettori l’idea – semplice ed incontrovertibile – che non esista nessuna «donazione»: l’espianto è predazione, perché il cuore batte ancora e la cosiddetta «morte cerebrale» è solo una convenzione (che varia da Paese a Paese, di anno in anno), un costrutto letterario inventato ad Harvard sei decenni fare per poter avviare l’industria dei trapianti (e, ma questo lo dice la malizia di Renovatio 21, per estendere il numero di innocenti sacrificati, squartati vivi nel momento in cui sono incoscienti: se volete un lato metafisico a questa strage, è questo).
La parola «predazione» al posto di «donazione» – ulteriore esempio di neolingua orwelliana adattata alla Necrocultura imperante – va usata ovunque si possa, sempre. Non c’è «dono», ma squartamento e ladrocinio. Abituiamoci ad usare parole che corrispondono alla verità, invece di quelle del regno della menzogna in cui ci troviamo a vivere.
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È davvero semplice realizzarlo: se ti devono fare il curaro per tenerti fermo mentre di squartano, non è possibile che tu sia morto.
Può lasciare basiti vedere che gli «specialisti» possono restare sconvolti solo quando trovano il paziente che arriva a chiedere «aiuto» prima di essere fatto a pezzi: tutti gli espiantati sono vivi, perché il loro cuore batte ancora.
A volte davvero non sappiamo cosa sarà necessario per far sì che il mondo si svegli da questa menzogna dell’ora presente, che rende i nostri ospedali luoghi di morte, luoghi di massacro continuo – non diversamente da quello che vale per l’aborto, ulteriore sistema di trasformazione delle strutture sanitarie in templi della Necrocultura.
Cosa ancora deve avvenire, perché finisca il maleficio mendace della «morte cerebrale» e della strage massiva per rapina degli organi?
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Predazione degli organi
Un italiano su tre si rifiuta di donare gli organi, ma la macchina della predazione continua la sua mostruosa corsa

Gli organi di stampa ci informano che il 2024 è stato l’anno record per i trapianti di organi, con un incremento di quasi il tre percento rispetto al 2023, anno in cui l’Italia si è posizionata al secondo posto tra i paesi europei.
Secondo il ministro della Salute Schillaci tali risultati «sono stati resi possibili grazie alla generosità e alla solidarietà dei donatori di organi, delle loro famiglie e delle associazioni di volontariato». Tuttavia, continua il ministro, «Molte più vite potrebbero essere salvate se in numero sempre maggiore dicessimo sì alla donazione, un sì convinto».
Naturalmente, i fondi per foraggiare l’industria dei trapianti si trovano sempre e comunque, visto che nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati, a quanto pare, dieci milioni di euro l’anno per ridurre le liste di attesa per i trapianti e per l’acquisizione di nuovi dispositivi medici per la perfusione, conservazione e trasporto di organi e tessuti.
Sembra anche che il ministero della Salute e il Centro Nazionale Trapianti metteranno in campo una serie di iniziative volte ad abbattere le reticenze alla cosiddetta donazione, tra cui un’indagine conoscitiva sulle motivazioni che spingono le persone a prestare o meno il loro consenso all’espianto.
In realtà, l’unico sistema che hanno le Istituzioni per aumentare il numero degli espianti non è, ovviamente, quello di informare correttamente la popolazione sui veri termini della questione, bensì quello di fare leva sull’emotività e sui sensi di colpa.
In pratica, se non presti il tuo consenso a cedere pezzi del tuo corpo sei un egoista che non ha a cuore il bene degli altri (ci ricorda qualcosa?). Tale mezzo di convincimento funziona soprattutto nelle rianimazioni, dove ai parenti del comatoso viene prospettata la possibilità che il prelievo dei suoi organi possa consentire a qualcun’altro di sopravvivere.
Del resto, l’alternativa non è molto allettante: il distacco del loro congiunto dal respiratore, come da prassi. Infatti, è proprio in tale contesto che la percentuale delle opposizioni all’espianto risulta più bassa. Tuttavia, né la pressione psicologica né la martellante propaganda massmediatica riescono a sortire gli effetti sperati: un italiano su tre rifiuta di lasciarsi squartare vivo (ma guarda un pò). Infatti, nel 2024 ben il 36,3% delle persone che hanno espresso la loro volontà nelle anagrafi comunali ha scelto di opporsi al prelievo degli organi, con un aumento di circa 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Come mai dunque crescono le opposizioni ma i trapianti aumentano di numero? Sono gli stessi organi di stampa a fornirci la spiegazione: «Un fattore determinante per l’aumento delle attività di donazione e trapianto è stata la crescita delle donazioni a cuore fermo, ossia quella che proviene da pazienti la cui morte viene accertata dopo un arresto cardiaco di almeno venti minuti (…) I centri ospedalieri che si occupano di questa attività sono attualmente 85, contro i 72 di un anno fa”».
Il prelievo di tessuti da pazienti in arresto cardiaco (DCD) sembra rappresentare la nuova frontiera che consentirà all’industria dei trapianti di reperire un maggior numero di organi freschi, vista la grande incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione. In sostanza, grazie all’utilizzo di appositi macchinari adibiti alla circolazione extracorporea, è possibile mantenere attiva la funzionalità degli organi anche in assenza di battito cardiaco.
Per determinare la morte con criteri cardiologici è obbligatorio osservare un’assenza completa di battito cardiaco e di circolo per il tempo necessario affinché si verifichi con «certezza» la necrosi encefalica. In Italia, la DCD può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte del paziente tramite l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno venti minuti, mentre nella maggioranza degli altri Paesi europei il tempo necessario è compreso tra i 5 e i 10 minuti.
Sì, avete capito bene: nel nostro Paese siamo certamente morti dopo venti minuti di arresto cardiaco e assenza di circolo, mentre in Spagna dopo soli 5 minuti. La cosa buffa è che tale evidente, incredibile mancanza di oggettività insita in tali criteri, invece di invalidare l’intera procedura di accertamento della morte viene spacciata come la prova provata dell’eccellenza italiana nel settore dei trapianti.
Del resto, come abbiamo potuto mettere in evidenza in altre occasioni, anche le procedure di accertamento della morte basate sui soli criteri neurologici (morte cerebrale) presentano la stessa, assurda mancanza di coerenza intrinseca.
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Tornando alla DCD, essa sembra collidere con le tecniche di rianimazione dei pazienti in arresto cardiaco, che sono di fondamentale importanza per la sopravvivenza degli stessi. Del resto, le manovre mirate a mantenere i tessuti vascolarizzati iniziano ben prima dei venti minuti necessari affinché, secondo la legge italiana, possa essere dichiarare la morte del paziente.
Non sembra così azzardato supporre che in questi casi, malgrado sulla carta i sanitari siano tenuti a non modificare l’approccio e la qualità delle cure delle persone in rianimazione, gli sforzi degli stessi siano perlopiù tesi a mantenere sani gli organi per l’espianto, piuttosto che a salvaguardare la vita del paziente in arresto cardiaco.
L’invenzione di nuove tecniche per la predazione degli organi è la dimostrazione che nel momento in cui agli oggettivi criteri di accertamento della morte, fondati sulla cessazione di tutte le funzioni vitale dell’individuo, sono stati affiancati altri criteri niente affatto oggettivi, basati sulla presunta cessazione della funzionalità di un organo, si è aperta la strada ad ogni sorta di abuso – e ad una strage infinita che è sotto i nostri occhi.
Alfredo De Matteo
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Morte cerebrale
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