Morte cerebrale
La scioccante verità sulla «morte cerebrale»

Ogni giorno i pazienti in tutto il mondo vengono diagnosticati «cerebralmente morti» e negli USApiù della metà, diventa «donatore di organi e tessuti». Ciò che è allarmante è che la maggior parte della gente non ha idee riguardo alla natura soggettiva di una diagnosi di morte cerebrale.
«Più leggo su questo argomento, più capisco le motivazioni alla base della crescente popolarità delle diagnosi di morte cerebrale. Recentemente, ho scoperto un pezzo che ha reso le cose molto più chiare» scriveva nel 2016 Brad Mattes del Life Issues Institute.
Ciò che è allarmante è che la maggior parte della gente non ha idee riguardo alla natura soggettiva di una diagnosi di morte cerebrale.
Nancy Valko, una consulente legale infermieristica che ha trascorso decenni in terapia intensiva, spiega come un ospedale può curare un paziente che un altro ospedale dichiarerebbe cerebralmente morto. Indica la ricerca pubblicata su JAMA Neurology che ha mostrato di avere oltre 500 ospedali, ci sono state enormi discrepanze nel modo in cui determinano che un paziente è cerebralmente morto.
Un analisi delle nuove linee guida sulla morte cerebrale dimostra che esse sono basate sull’opinione pubblica.
Nel 2010 le linee guida dell’American Academy of Neurology sono state aggiornate per aiutare a fornire continuità nelle diagnosi di morte cerebrale. Tuttavia, Valko sottolinea anche che un’analisi di queste nuove linee guida dimostra che esse sono basate sull’opinione pubblica.
La soggettività delle potrebbero spiegare perché il dottor Alan Shewmon ha identificato decine di casi in cui i cosiddetti pazienti «cerebralmente morti» hanno continuato a vivere con corpi funzionanti. Questi «cadaveri con il cuore che batte» (la descrizione data a coloro che giudicati «cerebralmente morti») mantenevano una temperatura corporea, le loro ferite guarivano, combattevano infezioni, organi e tessuti sono mantenuti funzionanti. Le donne continuavano a portare avanti le loro gravidanze e i ragazzini maturavano sessualmente e crescevano.
«I cadaveri con il cuore che batte» mantengono una temperatura corporea, le loro ferite guariscono, combattono infezioni, organi e tessuti sono mantenuti funzionanti
Questo si adatta alla descrizione di «morte cerebrale»?
Qual è la motivazione che spinge medici professionisti a rischiare la loro credibilità e la fiducia dei cittadini ? Dick Teresi, che una volta sosteneva la morte cerebrale, ha scritto un libro avvincente chiamato The Undead che individua le loro tentazioni.
C’è sicuramente il denaro.
Teresi riferisce che l’industria dei trapianti genera 20 miliardi di dollari all’anno, spende oltre un miliardo in farmaci immunosoppressori e paga profumatamente i chirurghi dei trapianti.
L’industria dei trapianti genera 20 miliardi di dollari all’anno, spende oltre un miliardo in farmaci immunosoppressori e paga profumatamente i chirurghi dei trapianti. Gli unici banditi dalla vagone dei soldi sono i donatori e le loro famiglie.
Gli ospedali nemmeno restano a mani vuote. Ricevono una «tassa per il cercatore» spiegata come «costi amministrativi». Gli unici banditi dalla vagone dei soldi sono i donatori e le loro famiglie.
Scrive Teresi che la maggior parte dei medici considerano il cervello l’unico organo nel determinare la morte, con enfasi sul tronco cerebrale. Quindi tutto il resto, scrive, «non conta più come umano».
Per i medici che vedono i pazienti come nient’altro che un’impronta di carbonio, quelli che non possono più produrre alcunché sono considerati un esaurimento delle risorse. Il loro valore termina quando i loro organi sono stati raccolti per altri cittadini più produttivi.
Per i medici che vedono i pazienti come nient’altro che un’impronta di carbonio, quelli che non possono più produrre alcunché sono considerati un esaurimento delle risorse. Il loro valore termina quando i loro organi sono stati raccolti per altri cittadini più produttivi
Gli anestesisti, secondo Teresi, stanno guidando la comunità medica mettendo in discussione la morte cerebrale. Hanno visto prove in prima persona dei segni della vita quando cadaveri a cuore battente vengono tagliati dentro per raccogliere i loro organi. Uno ha visto un paziente respirare spontaneamente e muoversi in reazione al bisturi ma il chirurgo ha proceduto oltre le sue obiezioni perché lo avevano già ritenuto incapace di riprendersi.
I segni della vita vengono abitualmente ignorati come movimento spontaneo. «Un chirurgo – scrive Mattes –le chiamò “reazioni corporee a stimoli nocivi”. Sì, sono abbastanza sicuro che un paziente consapevole considererebbe chirurgicamente la rimozione del suo fegato come uno “stimolo nocivo”».
«Tuttavia, altri lo chiamerebbero omicidio».
Morte cerebrale
Donna «cerebralmente morta» dà alla luce un figlio. Quindi morta proprio non lo era

Ha destato scalpore la notizia dell’infermiera di Atlanta di 30 anni, incinta di due mesi, dichiarata cerebralmente morta a seguito di un malore, e «costretta» a vivere per quattro mesi perché la legge vigente in Georgia vieta l’aborto in presenza di battito cardiaco del feto.
Gli ultimi aggiornamenti di cronaca circa questo caso riferiscono che il bambino è nato ed è stato chiamato Chance, ovvero opportunità; quell’opportunità di vivere che però verrà definitivamente negata a sua madre, alla quale verranno tolti i supporti vitali e lasciata morire di stenti, se non depredata degli organi.
Il dibattito a livello mediatico si è concentrato esclusivamente sulla questione aborto: da una parte, i pro-choice che hanno denunciato il trattamento disumano riservato all’infermiera di Atlanta a cui sarebbe stata negata la libertà di scelta (sic!), dall’altra i pro-life, anche quelli nostrani, che hanno esultato perché il piccolo Chance non è stato ucciso, grazie alla restrittiva legge sull’aborto vigente in Georgia.
Null’altro? È normale che un cadavere possa custodire in sé la vita, portare avanti la gravidanza e infine partorire un bambino vivo? È normale che un morto venga tenuto in vita, ossia che se ne procrastini il decesso per consentirgli di dare alla luce un bimbo? Queste e altre palesi incongruenze non sembrano suscitare alcun dibattito, eppure sono di fondamentale importanza ai fini della buona battaglia.
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Come abbiamo già avuto modo di mettere in evidenza a più riprese la morte cerebrale è un costrutto medico che identifica la morte con la cessazione irreversibile delle sole funzioni cerebrali. L’assunto pseudofilosofico che è alla base di tale criterio è quello secondo cui il principio vitale dell’uomo risiede in un organo e nello specifico nel cervello. Pertanto, un encefalo che smette definitivamente di funzionare decreta la morte dell’individuo, il quale rimane un semplice agglomerato di organi senza più coordinamento centrale, tenuto insieme solamente dalle macchine.
Con tale tendenzioso modo di dire si intende che il soggetto non è in grado di mantenersi in vita in modo autonomo, ossia che non è in grado di respirare (o meglio di attivare il respiro spontaneo) né di provvedere al suo sostentamento. A ben vedere, si tratta della medesima condizione in cui si trovano ad esempio gli anziani non auto sufficienti o le persone affette da gravi disabilità. Il piccolo Chance stesso, nato dal ventre della donna clinicamente morta, non è in grado di sopravvivere senza un aiuto esterno. Dunque?
La trentenne di Atlanta ha potuto proseguire la gravidanza perché le sue funzioni vitali erano presenti, su questo non ci sono dubbi: un cadavere propriamente detto non è in grado di attivare alcun processo metabolico, anche se attaccato alle macchine.
Infatti, il corpo della donna deve necessariamente subire significative modificazioni metaboliche per sostenere lo sviluppo del feto, tra cui una maggiore resistenza all’isulina, un aumento del metabolismo basale e alterazioni nel metabolismo dei lipidi e dei carboidrati.
Come è possibile che in un corpo morto siano presenti funzioni così complesse che gli consentano non solo di sopravvivere ma anche di custodire la vita? Se il cervello costituisce il principio vitale di un essere umano cos’è che consente ad un individuo il cui encefalo ha in teoria smesso definitivamente di funzionare di attivare tutti quei processi vitali che richiedono un elevato livello di integrazione?
È possibile che sia solo una questione di «riflessi», che portare avanti una gravidanza sia il frutto di una attivazione casuale, ossia non coordinata, di una serie di processi metabolici interni? È possibile che un morto possa mostrare un così alto livello di integrazione corporea?
La risposta a questi quesiti può essere una sola: no, non è possibile. A meno che non si rinunci all’uso della ragione e si neghi l’evidenza.
La morte cerebrale è evidentemente una truffa che intende privare la persona della sua umanità al fine di poterla eliminare o depredare degli organi. I casi eclatanti, come questo della donna di Atlanta, dovrebbero almeno suscitare qualche interrogativo in più tra coloro che dovrebbero essere deputati a difendere le ragioni della vita.
Non è sufficiente combattere il male e la mistificazione ideologica solo partendo da alcune tematiche e tralasciandone altre.
La necrocultura non opera a compartimenti stagni.
Alfredo De Matteo
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Morte cerebrale
Donna «cerebralmente morta» partorisce un bambino

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Morte cerebrale
La Littizzetto all’anagrafe per convincere i cittadini a farsi espiantare gli organi

Abbiamo già avuto modo di raccontare al lettore di Renovatio 21 il costante aumento delle opposizioni agli espianti d’organi vitali, al netto dell’invenzione di nuove tecniche predatorie che tendono ad ampliare la platea dei potenziali donatori.
Non c’è dubbio che tale tendenza preoccupi la macchina dei trapianti, al punto che per cercare di convincere i riottosi è scesa in campo anche la celebre showgirl Luciana Littizzetto, la quale si è addirittura recata all’anagrafe di Torino per intercettare le persone in fila per il rinnovo della carta d’identità.
L’attrice piemontese ha rimarcato quanto sia importante non lasciarsi bloccare da paure immotivate: «e se non sono morto? Beh è impossibile, gli esami, gli accertamenti sono talmente sofisticati che è impossibile (…) O pensano, sono scassato non c’è niente di buono dentro di me che possa essere recuperato: non ti preoccupare ci sono i medici a valutare».
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Il livello delle argomentazioni addotte a favore della donazione è alquanto superficiale, come è possibile constatare, ma è l’unica carta giocabile da chi ha interesse ad incentivare la pratica disumana degli espianti a cuore battente: la comunicazione infatti deve necessariamente tendere ad informare il meno possibile e cercare di essere rassicurante. In altri termini, essa deve agire a livello emotivo-sentimentale piuttosto che a livello razionale.
Il fatto che gli esami e gli accertamenti (per determinare la morte cerebrale) siano sofisticati non significa che siano anche fondati. Anzi, è piuttosto vero il contrario: la morte è un evento naturale che può essere compreso da tutti, anche da chi non ha nessuna preparazione medica. E non è naturale osservare così tanti segni di vita in qualcuno che si suppone sia morto (normale frequenza cardiaca, pressione sanguigna, colorito, temperatura corporea etc).
Prendiamo ad esempio uno dei criteri obbligatori ai fini della dichiarazione di morte cerebrale: il test di apnea, di cui abbiamo più volte documentato la pericolosità.
Tale prova si propone di verificare la capacità del paziente in coma di attivare la respirazione spontanea, scollegandolo più volte dal respiratore per diversi minuti. Nel caso la prova dia esito negativo, si suppone che egli sia morto. Ma è proprio la premessa che sottostà al test di apnea ad essere priva di fondamento: l’atto della respirazione infatti non si esaurisce nell’incamerare aria nei polmoni, ma si perfeziona necessariamente a livello cellulare e biochimico. Un cadavere propriamente detto non è in grado di attivare il processo della respirazione, anche se l’ossigeno gli viene spinto a forza dentro i polmoni. In altri termini, affinché la ventilazione artificiale possa produrre gli effetti sperati è necessario che la persona sia ancora in vita.
Al contrario, per i fautori della morte cerebrale la mancata attivazione del riflesso automatico respiratorio è prova inconfutabile del fatto che il paziente sia deceduto. Ma sulla base di quale principio logico e biologico si fondi tale presunta certezza non è dato sapere. E’ così e basta e come dice la Littizzetto non serve preoccuparsi troppo, tanto ci pensano i medici a valutare …
Del resto, anche volendo supporre che la mancata attivazione del respiro costituisca la prova che le funzioni cerebrali siano definitivamente compromesse, in quanto non più in grado di dirigere e coordinare l’organismo nel suo complesso, non si riesce a capire come possano funzionare correttamente tutte le altre funzioni, le quali richiedono un alto livello di integrazione (pensiamo all’attivazione delle difese immunitarie, ad esempio).
Insomma, il criterio della morte cerebrale fa acqua da tutte le parti e più si approfondisce l’analisi più si scopre che esso si regge su un vero e proprio castello di menzogne, spacciate per scienza.
Pertanto, l’unica carta giocabile dalla propaganda è far leva sulle emozioni e sul desiderio, connaturato all’essere umano, di essere utile a qualcuno: la prospettiva di «donare» i propri organi o quelli di un congiunto per salvare la vita di un malato terminale è seducente, soprattutto per chi vive un trauma improvviso (pensiamo ai genitori di un ragazzo che si trova in rianimazione a causa di un incidente o di un malore improvviso).
C’è anche da sottolineare che viviamo in un’epoca in cui il senso del trascendente si è molto affievolito, anche a livello religioso, per cui le persone sono più sensibili a certi richiami che rimandano a generici ideali di solidarietà e condivisione.
Malgrado ciò le opposizioni non accennano a diminuire ma anzi tendono ad aumentare. Con buona pace dei professionisti dell’informazione, dei VIP televisivi e degli inviti a non riflettere, che difficilmente riusciranno a convincere molti italiani a lasciarsi squartare vivi.
Alfredo De Matteo
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Immagine di Luca Boldrini via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine modificata nel taglio e nel colore
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