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Protesta

Trieste, il porto sepolto. Ma la protesta in tutta Italia vive

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C’è una buona notizia: le piazza della protesta straboccano di forza ed energia. Le manifestazioni di sabato sono state partecipatissime, e in tantissime città d’Italia, con numeri superiori a quelli di quest’estate.

 

È la lezione da portarsi a casa e tenersi strettissima. Laddove non c’è una leadership improvvisata, la lotta va avanti. L’Italia, per fortuna, può fare a meno di Trieste.

 

È la lezione da portarsi a casa e tenersi strettissima. Laddove non c’è una leadership improvvisata, la lotta va avanti. L’Italia, per fortuna, può fare a meno di Trieste

A Trieste invece, è andata in scena una situazione insostenibile, inspiegabile, inguardabile. La qualcosa può sorprendere qualcuno: ma cosa dite, «Trieste chiama…»… ma come, tutti quegli striscioni e i cori pro-Trieste in tutte le città… è vero. Tuttavia crediamo che questo succeda perché il movimento contro la tirannia è ancora – per fortuna – molto spontaneo, e non ha al momento capacità di elaborare.

 

Qualcuno però – a Messina, per esempio, qualcuno al microfono a iniziato a porsi il problema – comincia a ragionarci su. Ma cosa è successo a Trieste?

 

Già. Cosa è successo a Trieste? Perché quella che doveva diventare la manifestazione definitiva, la convergenza di tutta la protesta italiana, e non solo, alla presenza di un membro del governo (non esattamente di prima fila, ma vabbè), è stata annullata in un atto di autocastrazione politica mai visto prima?

 

Lo ha scritto qualche giornale: che gli organizzatori annullino delle manifestazioni autorizzate (erano non una, ma due), specie quando si prevede un’affluenza storica, è qualcosa di piuttosto inedito.

Lo ha scritto qualche giornale: che gli organizzatori annullino delle manifestazioni autorizzate (erano non una, ma due), specie quando si prevede un’affluenza storica, è qualcosa di piuttosto inedito.

 

Così come è bizzarro, enigmatico tutto il contorno.

 

A parlare con il governo va un «coordinamento» nato pochi giorni fa, da cui la sigla portuale CLPT, iniziatrice della protesta, ha preso le distanze con un comunicato. O meglio, apprendiamo da un comunicato diramato dopo l’incontro, da una delegazione del coordinamento. Quindi per coordinamento dobbiamo intendere tutte le persone che sono andate in piazza? Perché non c’era la sigla portuale?

 

In un altro comunicato si diceva che l’incontro sarebbe stato «riservato». Non capiamo bene cosa voglia dire questa espressione, che assomiglia ad  un’excusatio non petita, anche se davvero non abbiamo idea del perché ce l’hanno piazzata lì. Certo, uno può pensare: un incontro in streaming qui ci sarebbe pure stato bene, e di fatto una delle mosse più potenti di Beppe Grillo fu quando, nell’era in cui il M5S credeva alla diretta elettronica, andò da Bersani (che era affiancato da Letta!) e Renzi e li prese a pesci in faccia nei colloqui per il governo (ricordate? Ne ebbe anche per Delrio: ad una certa il genovese rischiava perfino di esserci simpatico per 5 secondi). Fare uno streaming col ministro grillino sarebbe stato perfetto. Ma no, l’incontro doveva essere definito «riservato». Perché dirlo? Non capiamo, ci adeguiamo.

 

Il Patuanelli è di Trieste, quindi magari ha approfittato dell’appuntamento a Trieste per andare a trovare i parenti. Tempo in giornata ne ha avuto: l’incontro è durato una ventina di minuti

Il ministro delle Politiche agricole non si capisce cosa ci facesse lì, tuttavia si apprende che ha talmente tanta voce in capitolo in Consiglio dei Ministri che è stato scavalcato di recente su una questione delicata. Epperò il Patuanelli è di Trieste, quindi magari ha approfittato dell’appuntamento a Trieste per andare a trovare i parenti. Tempo in giornata ne ha avuto: l’incontro è durato una ventina di minuti.

 

Il comunicato del coordinamento, che si esprime al momento solo su Telegram e Facebook (quest’ultimo, come noto, mezzo ideale per le idee antivacciniste) scrive che «il ministro Patuanelli ha evidenziato e ringraziato Stefano Puzzer per il senso di responsabilità dimostrato con la decisione di annullare, per questioni di sicurezza, le manifestazioni che erano in programma nelle giornate del 22 e 23 ottobre a Trieste». Insomma sul fu portavoce portuale piovono i complimenti ministeriali (ci si metta in coda: ci hanno detto che a lodarlo via etere l’altra sera c’erano anche vaccinisti TV omo-massonici), anche se ignoriamo ancora quale minaccia si sia evitata cancellando la protesta. Poi il ministro «si è impegnato a riferire tutte le istanze del Coordinamento martedì 26 ottobre nel corso del prossimo Consiglio dei Ministri». Il ministro agricolo promette insomma di dirlo a Draghi e compagni, che non avrebbero altro modo di apprendere le richieste («no green pass») se non dalle auguste labbra patuanelle prontamente istruite dalla «delegazione»

 

Fuori Piazza Unità d’Italia era svuotata della sua carica.

 

Quando poi sono stati riferiti gli esiti dell’incontro (grande suspense, rullo di tamburi…) ci dicono che al massimo c’erano mille persone. Cioè, nel cuore mondiale della lotta alla follia pandemica, c’erano meno persone di quante ce ne sono state nelle piccole città che negli stessi giorni si riunivano in solidarietà al porto di Trieste.

Al mattino alle 8:30 non c’era nessuno, ci riferisce un lettore che ha viaggiato di notte per trovarsi lì e mandarci la foto desolante di questo articolo. Noi ci aspettavamo folle di persone con la tenda, come si era visto da altre parti in questi giorni. Ci aspettavamo un circo irresistibile di personaggi permanente. Invece no: la gente, forse vedendo i video dei posti di blocco in entrata, forse temendo le violenze annunciate, è rimasta a casa. La Piazza è disinnescata.

 

Quando poi sono stati riferiti gli esiti dell’incontro (grande suspense, rullo di tamburi…) ci dicono che al massimo c’erano mille persone. Cioè, nel cuore mondiale della lotta alla follia pandemica, c’erano meno persone di quante ce ne sono state nelle piccole città che negli stessi giorni si riunivano in solidarietà al porto di Trieste.

 

Quindi, a cosa è servito tutto questo?

 

«Il green pass è una misura economica e non sanitaria» dice il ragazzo in maglione, mostrando la grande profondità della sua riflessione sul progetto di sottomissione bioinformatica a cui anche lui, come vaccinato, è stato chiamato con siero genico e certificato elettronico verde.

Per una volta bisogna dare atto che se lo sono chiesti perfino i giornalisti. Anzi, lo hanno chiesto al capo della protesta. Non ci stiamo inventando niente, potete verificare voi stessi nel video girato dai benemeriti di Local Team, minuto 02:37:53.

 

«Il green pass è una misura economica e non sanitaria» dice il ragazzo in maglione, mostrando la grande profondità della sua riflessione sul progetto di sottomissione bioinformatica a cui anche lui, come vaccinato, è stato chiamato con siero genico e certificato elettronico verde.

 

«Spero che il governo abbia sentito, dalle nostre voci, la preoccupazione, l’indignazione che c’è da parte del popolo italiano». Cioè: il governo stava aspettando questo incontro ai vertici (e non la costante immagine di piazza inferocita che è  stata stranamente autosmobilitata a Trieste) per comprendere la situazione. Cioè: Patuanelli rappresenta il potere così come Puzzer rappresenta il popolo italiano. Se uno ci pensa, alla fin fine, la proporzione ci sta pure.

 

Un giornalista chiede: avete annullato le manifestazioni per le possibili infiltrazioni di estrema destra e estrema sinistra, ne avete ancora paura?

 

«Queste infiltrazioni dovranno arrivare, se riescono, in tutte le piazze italiane». I giornalisti rumoreggiano («dovranno»?), forse non ha capito la domanda: stiamo parlando di infiltrazioni di violenti.

 

«Sì… Queste infiltrazioni di violenti… intanto… spero non ci siano» incespica, guarda l’uomo accanto a sé. E poi soprattutto saranno tutte le piazze italiane a manifestare, non sarà solo Trieste». Il ragazzo glissa

«Sì… Queste infiltrazioni di violenti… intanto… spero non ci siano» incespica, guarda l’uomo accanto a sé. «E poi soprattutto saranno tutte le piazze italiane a manifestare, non sarà solo Trieste».

 

Il giovanotto glissa. Un altro bravo giornalista insiste: che informazioni ha avuto lei su queste infiltrazioni tanto da spingerla a cancellare le manifestazioni?

 

«Ho visto con i miei occhi che a causa di due manifestazioni che noi non eravamo capaci di controllare, andava a rischio il primo risultato che noi avevamo ottenuto che era l’incontro con il governo». Grandioso: i venti minuti con il ministro del bestiame valgono qualsiasi cosa. Le manifestazioni con la repressione in porto – se sta parlando di quelle, con idranti e lacrimogeni e immagini eroiche da tramandare ai posteri – non sono la scintilla che ha acceso il mondo, ma un problema serio, ché si rischiava di non vedere Patuanelli. Sono cose da non credere. Tuttavia non bisogna lasciarsi distrarre dalla supercazzola: anche a questa domanda precisa («che informazioni ha avuto lei?») l’uomo non risponde. Con chi ha parlato? Cosa gli ha detto per convincerlo? Probabilmente non lo sapremo mai, tipo quel colloquio «riservato» tra papa Leone Magno e Attila che fermò la razzia di Roma.

 

Il giornalista, forse un po’ esasperato, ci riprova con più dettaglio: è in contatto con la questura, vi tiene aggiornati, vi dà delle informazioni?

 

«L’importanza dell’incontro di oggi era sacra». Ma è serio?

«No, noi abbiamo deciso umanamente tra di noi» e guarda ancora qualcosa o qualcuno alla sua sinistra. «Era più grande l’importanza di aver l’incontro con il governo che andare a rischio con una manifestazione che comunque si potrà fare domani, si potrà fare lunedì, si potrà fare martedì, si potrà fare ogni giorno… ma l’importanza dell’incontro di oggi era sacra». Ma è serio? E poi, cosa significa la decisione presa «umanamente tra di noi»? «Umanamente» che? Perché? Incredibilmente, il lider maximo del porto riesce a non rispondere neanche a questa domanda.

 

Qualcuno dietro comincia a sussurrargli all’orecchio.

 

Si cambia discorso. Che soluzioni sanitarie proponete?

 

«Questo devi chiederlo ad un medico non a me». Scusate ma non c’era un medico dentro al Coordinamento? Scusate, ma non si può rispondere anche senza laurea ad una domanda così (tipo: abbiamo lavorato senza vaccino e senza green pass per un anno e mezzo…)?

 

Una giornalista gli riporta le dichiarazioni già uscite nel frattempo dal sottosegretario alla Salute Andrea Costa, cui pare sia arrivato il messaggio senza che glielo portasse brevi manu il messaggero Patuanelli. Il sottosegretario dice che non c’è «nessuno spazio» né per l’abolizione dell’obbligo vaccinale né per quella del green pass.

 

La realtà è che di «forza contrattuale», di leve di potere, non ha niente – anzi, meno di niente

«Poteva venire oggi a Trieste e ce lo diceva di persona». Certo, ma chissà perché non è venuto. Ci sarà un motivo che non sia il fatto che i parenti l’on. Costa probabilmente li ha a La Spezia)

 

Su questo punto arriva la domanda definitiva di un altro giornalista: qual è la forza contrattuale che avete?

 

«Secondo me è il caso che guardi in giro tutte le piazze d’Italia come son messe».

 

Insomma, il capopopolo portuale senti di aver in mano, nelle contrattazioni fondamentali con emissari governativi come Patuanelli, l’intera protesta nazionale, «da Trieste in giù».

 

La realtà è che di «forza contrattuale», di leve di potere, il ragazzotto triestino non ha niente – anzi, meno di niente.

 

Nessuna di queste leve è in mano del ragazzo col capellino, il maglioncino blu e la tracolla. Non la protesta, che lui stesso ha annullato per motivi non ancora specificati. Non la minaccia economica, tanto che ci è parso di sentire rivendicazioni per le quali in realtà il porto non è mai stato davvero bloccato

Una città murata di esseri umani, con strade e piazze strapiene oltre ogni possibile contenimento, che di fatto significa la possibilità di spostare la protesta massiva concentrandola anche su altri punti, è una leva che un governo percepisce benissimo.

 

La possibilità, abbaiata a lungo nelle settimane scorse, di bloccare il primo porto petrolifero del Mediterraneo e il 7° d’Europa, con danno sistemico a Germania, Austria, Ungheria, Cechia, Slovacchia e ovviamente Italia, è una leva che non solo il governo, ma anche l’Europa, e i governi dei Paesi menzionati e non solo di quelli, capiscono altrettanto bene.

 

Nessuna di queste leve è in mano del ragazzo col capellino, il maglioncino blu e la tracolla. Non la protesta, che lui stesso ha annullato per motivi non ancora specificati. Non la minaccia economica, tanto che ci è parso di sentire rivendicazioni per le quali in realtà il porto non è mai stato davvero bloccato.

 

Niente: non hanno in mano niente – anzi, le carte che avevano le hanno buttate via loro stessi. Il governo non ha alcun motivo per ascoltare questo tizio e le piazze che vorrebbe rappresentare. Anzi, se è lui che rappresenta la protesta nazionale, il potere ha di che brindare

Niente: non hanno in mano niente – anzi, le carte che avevano le hanno buttate via loro stessi. Il governo non ha alcun motivo per ascoltare questo tizio e le piazze che vorrebbe rappresentare. Anzi, se è lui che rappresenta la protesta nazionale, il potere ha di che brindare.

 

Dimenticate le immagini della gente che si becca idranti e lacrimogeni. Trieste è un porto sepolto, come il titolo di quella poesia ermetica di Ungaretti che parla di canti che si disperdono (esattamente: nel nome della legge, ma anche degli organizzatori) e di «quel nulla d’inesauribile segreto», che nemmeno i giornalisti che chiedono a raffica nella conferenza stampa open air sono riusciti a sondare.

 

La fortuna che abbiamo è che la protesta vive ben oltre la triste poesia mancata del porto sepolto di Trieste.

 

Guardiamo le immagini di Milano: la scena più spettacolare di tutta Italia. Una protesta multiforme, multietà, multipolitica, multiclasse, multitutto – la vera protesta del popolo. Calcano luoghi immensamente simbolici (Piazza Fontana, Piazza Cinque giornate, Piazzale Loreto), cantano ininterrottamente, non hanno paura dei celerini mai. Scendono in strada e marciano, in masse compatte e pazzesche, senza bisogno dei Puzzer, dei Montesano, delle Cunial.

 

Guardiamo Milano e non possiamo che chiederci: ma un popolo come questo si merita davvero leader come quelli visti a Trieste?

 

Lo Stato fa lo gnorry, ma sotto sotto vuole tanto un interlocutore con cui trattare, o meglio, sul quale imporre la sua manipolazione: e noi non concediamoglielo. Facciamogli perdere l’illusione di poter controllare il dissenso. Disorientiamo gli strateghi della normalizzazione

Di più: ne ha sul serio bisogno?

 

No. In nessun modo. Al contrario. In questa fase, riteniamo, si deve andare avanti così – senza avere davanti figure sbucate dal nulla che vogliono sedersi al tavolo con ministri a caso, o che ritengono l’essere invitati in Senato una vittoria (ricordate quel comunicato di una settimana fa? Quello cui seguirono le dimissioni del capo portuale? Già lì si era capito tutto…). Perché sono cedimenti come questo che possono essere letali per la nostra lotta.

 

Lo Stato fa lo gnorry, ma sotto sotto vuole tanto un interlocutore con cui trattare, o meglio, sul quale imporre la sua manipolazione: e noi non concediamoglielo. Facciamogli perdere l’illusione di poter controllare il dissenso. Disorientiamo gli strateghi della normalizzazione.

 

Andiamo avanti con quella che in America chiamano leaderless resistence.  La resistenza senza leader, una lotta che non ha bisogno di strutture gerarchiche. Andiamo avanti, cioè, come abbiamo fatto finora.

Andiamo avanti con quella che in America chiamano leaderless resistance.  La resistenza senza leader, una lotta che non ha bisogno di strutture gerarchiche. Andiamo avanti, cioè, come abbiamo fatto finora

 

Stiamo alla larga da chi invita a non manifestare (o manifestare a casa propria) e da chi crede che parlare 20 minuti con Patuanelli (lusso per il quale si può arrivare a farsi andare bene i poliziotti con i lacrimogeni e i manganelli) serva davvero a qualcosa.

 

Seppellite anche voi il ricordo del porto di Trieste. La protesta vive in tutto il resto di Italia, e vivrà finché sarà accesa nel vostro cuore.

 

Ci aspettano sfide più grandi. Sfide che vinceremo veramente.

 

Protesta

Proteste davanti casa Netanyahu a Gerusalemme si trasformano in rivolte: le immagini

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I manifestanti si sono scontrati martedì sera con la polizia israeliana davanti alla casa del primo ministro dello Stato Ebraico Benjamin Netanyahu a Gerusalemme mentre chiedevano le sue dimissioni, secondo quanto riportato dai media.

 

Migliaia di manifestanti si sono radunati davanti al Parlamento israeliano, la Knesset, per esprimere la loro indignazione per la gestione della guerra a Gaza da parte di Netanyahu, che finora ha ucciso quasi 33.000 persone. Chiedevano il rilascio degli ostaggi e elezioni immediate.

 

La marcia è iniziata con una serie di discorsi tenuti dai familiari degli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza, così come da attivisti antigovernativi e dall’ex primo ministro Ehud Barak, un critico accanito di Netanyahu.

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Il terzo giorno di una manifestazione antigovernativa durata quattro giorni è rapidamente precipitato nel caos mentre i manifestanti con le torce si sono diffusi nei quartieri di Gerusalemme, dirigendosi verso la residenza del primo ministro.

 

 

Migliaia di manifestanti hanno invaso le strade del ricco quartiere di Rehavia, dove vivono i Netanyahu, gridando slogan e chiedendo le sue dimissioni. Secondo i media locali, alcuni manifestanti avrebbero tentato di abbattere le barriere all’esterno.

 

Immagini della scena mostrano la polizia che caricava la folla per impedirgli di sfondare e usava idranti per disperdere i manifestanti, molti dei quali portavano bandiere israeliane. La polizia israeliana ha descritto questa fase della marcia come una «rivolta sfrenata».

 

 

 

 

 

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I manifestanti hanno accusato Netanyahu di aver tentato di utilizzare la guerra per prolungare la sua permanenza al potere, sostenendo che stava dando priorità alla sua sopravvivenza politica rispetto agli interessi più ampi del popolo israeliano. Hanno inoltre ritenuto il primo ministro responsabile dell’incapacità del suo governo di prevenire l’attacco del 7 ottobre guidato da Hamas.

 

Netanyahu è stato anche accusato di non aver fatto abbastanza per riportare a casa gli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza.

 

Durante le proteste massive anti-Netanyahu di un anno fa – una vera rivolta, che anche allora gli circondò la casa, contro la riforma giudiziaria ad opera del governo più di destra e religiosamente estremista della storia dello Stato degli ebrei – circolò con insistenza la voce che vi fosse la mano americana dietro al caos. Trapelarono quindi, piuttosto oscuramente, documenti americani che indicavano nel Mossad la guida della protesta contro il governo in carica.

 

Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.

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Protesta

Gli agricoltori polacchi bloccano le strade verso Varsavia e i valichi di frontiera

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Ieri gli agricoltori polacchi hanno intensificato le proteste a livello nazionale, denunciando le politiche agricole dell’UE e il flusso di importazioni esentasse dall’Ucraina. Secondo quanto riportato dai media, decine di migliaia di lavoratori agricoli stanno bloccando le strade in diverse centinaia di località in tutto il Paese.   I manifestanti hanno bloccato le strade principali che portano fuori dalla capitale Varsavia con trattori e altre attrezzature agricole, hanno riferito numerose testate.   Sono state bloccate anche le strade che portano al confine tedesco-polacco. Le riprese della zona mostrano decine di veicoli parcheggiati sull’autostrada, bloccando il traffico.   La polizia è stata chiamata nei luoghi dove si sono radunati i manifestanti, ma finora non ci sono notizie di scontri.  

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Secondo quanto riportato dai media, gli agricoltori polacchi avrebbero pianificato un totale di oltre 500 blocchi stradali, promettendo di «paralizzare» il Paese. La polizia polacca ha dichiarato di essere a conoscenza di oltre 580 proteste previste per mercoledì e di aspettarsi la partecipazione di circa 70.000 persone.   Da settimane in Polonia e in altri stati dell’UE si verificano proteste da parte degli agricoltori. I manifestanti chiedono modifiche alle restrizioni imposte loro dalle politiche ambientali del blocco – il cosiddetto Green Deal – e la sospensione delle importazioni di prodotti agricoli dall’esterno del blocco, principalmente dall’Ucraina. Gli agricoltori lamentano di non essere in grado di competere con le importazioni ucraine a basso costo che stanno inondando i mercati dell’UE.   Nonostante le proteste degli agricoltori, mercoledì scorso Bruxelles ha raggiunto un accordo provvisorio per estendere l’accesso esentasse dell’Ucraina ai suoi mercati fino a giugno 2025. Tuttavia, l’accordo introduce un «freno di emergenza» sulle importazioni di pollame, uova, zucchero, avena, mais, semole e miele se superano i livelli medi del 2022 e del 2023.   I manifestanti polacchi si sono comunque opposti all’accordo, affermando che vogliono che il punto di riferimento per i limiti di importazione siano gli anni precedenti al conflitto in Ucraina, poiché i volumi erano molto più bassi Poi.   La scorsa settimana, i legislatori dell’UE hanno anche proposto di allentare alcune norme ambientali, come le misure relative alla rotazione delle colture, nel tentativo di arginare le proteste. Questo sarà uno degli argomenti di discussione dei ministri dell’Agricoltura degli Stati membri nel prossimo incontro del 26 marzo.   Come riportato da Renovatio 21, i vescovi polacchi si sono schierati con gli agricoltori. Nel mirino della protesta vi è apertamente l’Ucraina, testimoniando la tensione fra i due Paesi, difficilmente sanabile nonostante l’elezione a Varsavia di un governo filo-occidentale e quindi, teoricamente, filo-Kiev.   Sei mesi fa l’Ucraina aveva minacciato la Polonia per il blocco del grano. Al termine del discorso di Zelens’kyj alle Nazioni Unite, in cui alludeva molto criticamente a Varsavia, l’allora premier Mateusz Morawiecki aveva avvertito che non avrebbe tollerato più insulti.   Le tensioni tra i due Paesi hanno portato perfino alla convocazione degli ambasciatori.   Il ministero della Difesa polacco Wladyslav Kosiniak-Kamysz due settimane fa aveva detto che il Paese si rifiutava di inviare truppe in Ucraina.

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Protesta

I vescovi polacchi si schierano con gli agricoltori nella battaglia contro normative UE e importazioni dall’Ucraina

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La Conferenza episcopale cattolica polacca ha espresso solidarietà agli agricoltori polacchi irritati dal grano ucraino che ha inondato il mercato, facendo scendere i prezzi. Lo riporta LifeSiteNews.

 

L’arcivescovo Stanisław Gądecki, presidente della conferenza, ha dichiarato venerdì scorso che i vescovi «non possono essere indifferenti» alla difficile situazione dei contadini polacchi «ai quali dobbiamo tanto».

 

«Da un lato si parla di un flusso incontrollato di forniture alimentari dall’estero, con il quale gli agricoltori polacchi non possono competere in termini di prezzi», ha dichiarato Gądecki.

 

«Dall’altro, viene indicata la politica dell’UE, il cosiddetto Green Deal, che secondo l’opinione degli agricoltori mira a ridurre la produzione agricola nell’UE, o ad eliminarla quasi completamente. Di conseguenza, gli agricoltori si sentono minacciati – anche a causa dei prestiti contratti – dalla prospettiva del fallimento e della perdita delle loro aziende agricole, frutto di generazioni di lavoro. La loro drammatica situazione merita la nostra attenzione e la nostra solidarietà».

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Da quando la guerra in Ucraina si è intensificata due anni fa, la Polonia ha sostenuto, a livello di Stato, Chiesa e altre infrastrutture, nonché migliaia di singole famiglie polacche che sostengono i circa 19,6 milioni di rifugiati ucraini che hanno attraversato il loro paese. frontiere.

 

Tuttavia, tale generosità è stata messa alla prova dall’inondazione dei mercati europei con il grano ucraino, che viene coltivato con sostanze chimiche non consentite nelle aziende agricole dell’UE ma a cui sono state concesse concessioni da Bruxelles dopo l’attacco russo del febbraio 2022.

 

Diecimila agricoltori polacchi si sono riuniti venerdì scorso a Varsavia per protestare contro le normative UE e contro la mancanza di restrizioni sul grano ucraino.

 

Secondo il blog di notizie Notes from Polonia, un funzionario ucraino ha dichiarato che quattro treni carichi di generi alimentari provenienti dall’Ucraina sono stati sabotati mentre attraversavano la Polonia. Ciò che è indiscutibile è che gli agricoltori polacchi bloccano il confine con l’Ucraina e anche il confine con la Slovacchia per impedire l’ingresso dei prodotti alimentari ucraini dal sud in Polonia.

 

Ma non sono gli ucraini assediati a trarre profitto dalle spese degli agricoltori polacchi, bensì gli oligarchi e le imprese straniere, soprattutto, come ha menzionato l’arcivescovo Gądecki, i sindacati occidentali.

 

«Sebbene il grano provenga dall’Ucraina, in gran parte non è prodotto dai singoli agricoltori ucraini ma è di proprietà di sindacati occidentali che utilizzano nella produzione sostanze chimiche non consentite dall’Unione Europea», ha affermato.

 

Gądecki ha sottolineato l’importanza della campagna polacca e della proprietà della propria terra per l’identità polacca rendendo omaggio ai contadini delle generazioni passate, ricordando quando – armati di nulla nelle loro falci – si sollevarono per combattere per la libertà polacca.

 

Il prelato ha ricordato ai suoi lettori il motto dei vecchi agricoltori – «Noi nutriamo e proteggiamo» – riconoscendo che le pratiche agricole stanno cambiando, ma ha affermato che «ogni giorno abbiamo bisogno di mangiare» e che «non possiamo rimanere indifferenti al dramma degli agricoltori ai quali dobbiamo così tanto».

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«Chiedo a tutti di pregare per le intenzioni dei contadini e delle loro famiglie, così come per le intenzioni della nostra Patria», ha concluso.

 

Come riportato da Renovatio 21, nelle ultime due settimane le proteste degli agricoltori si sono allargate mirando sempre più ai favori concessi all’Ucraina a danno dei polacchi, con blocchi dei confini e manifestazioni varie.

 

Le relazioni tra i due Paesi si sono inasprite definitivamente l’anno scorso dopo il discorso all’ONU di Zelens’kyj che ha accusato la Polonia. L’allora premier polacco Morawiecki rispose che non avrebbe più subito ulteriori insulti, e da allora si sono consumate altre tensioni diplomatiche (con tanto di convocazione dell’ambasciatore), al punto che le relazioni tra i due Paesi sono state definite come «titanicamente danneggiate».

 

Un deputato polacco arrivò a mostrare un conto del danaro che Kiev dovrebbe a Varsavia per il supporto ricevuto.

 

A inizio 2023 un missile ucraino aveva ucciso due persone in Polonia, che è membro della NATO. In un primo tempo, Kiev aveva dato la colpa ai russi. Anche lì si registrò qualche reazione indignata da parte dei politici polacchi.

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Immagine di Silar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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