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Protesta

Porto delle nebbie

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Ad un certo punto, ieri notte abbiamo alzato le mani in alto e ci siamo arresi. Non siamo in grado di capire la situazione.

 

Sabato sera spunta un comunicato, in cui i portuali triestini – che avevano lasciato mentre ballavano felici in una Woodstock portuale dopo una giornata segnata da 346 ripetizioni di «la gente come noi non molla mai» – in pratica mollavano. Battaglia vinta, ci hanno invitati a Roma il 30 ottobre (c’avevano fretta, si vede).

 

Si diffonde lo scoramento nazionale.

 

Un lettore di Biella ci scrive: «Già calate le braghe».

 

Spunta un comunicato, in cui i portuali triestini – che avevano lasciato mentre ballavano felici in una Woodstock portuale dopo una giornata segnata da 346 ripetizioni di «la gente come noi non molla mai» – in pratica mollavano

Il lettore di Roma, che conosce la sua città: «solo a sentire la parola “Roma” hanno smobilitato e preparato le valigie».

 

Un lettore di Milano butta lì un’analisi amarissima: «cosa dovevamo aspettarci da un “leader” vaccinato? Dico, il problema del green pass è solo la gente che non fa il vaccino, e la gente che non fa il vaccino non lo fa perché crede giustamente che si tratti la più grande minaccia all’umanità mai vista. Come può uno che si è fatto la pera di mRNA parlare per noi, o meglio, avere idea di quello che sta accadendo?».

 

Giù, messaggi di persone piombate nella malinconia improvvisa. Avevano riposto tutte le speranze sul blitz sindacale giuliano. Renovatio 21 ammette che aveva pronto un articolo intitolato «La Civiltà salvata dai portuali di Trieste»; saggiamente, abbiam preferito aspettare a pubblicarlo.

 

Lettore calabrese: «raga, ma avete letto bene le parole? Nel comunicato c’è scritto “saranno accolti in Senato”… accolti, capito? Non andranno in Senato, non espugneranno il Senato, nemmeno incontreranno in Senato… verranno accolti».

 

Lettore di Pavia, dietrologia biliosa: «è una piccola sigla, a loro interessa la questione del porto franco… chissà cosa gli hanno detto».

 

Fermi tutti, arrivano altri messaggi. Ci sono i video, anche se buissimi. Il capo della protesta dice che hanno sbagliato a capire il comunicato, anzi hanno sbagliato a scriverlo. La lotta continua. Applausi nell’oscurità.

 

Quindi: il blocco del porto continua? Siamo sicuri?

Quindi: il blocco del porto continua? Siamo sicuri? Anzi vien da chiedere: lo hanno bloccato davvero il porto venerdì 15? I TG dicevano di no. Capita di sentire l’edizione notturna del TG3, e si aveva quasi l’allucinazione auditiva di sentire la musichetta e la voce nasale dei cinegiornali LUCE: protesta fallita, minoranza piegata, come è destino delle minoranze. Una cosa così. Il problema è che ai TG non è possibile credere nemmeno se dicono che il sole nasce ad Oriente.

 

Quindi?

 

Pum, altro comunicato, retromarcia.

 

Anzi c’è un post su Facebook, la piattaforma da cui molti di quelli che lottano (come Renovatio 21) sono stati epurati. CLPT Trieste di fatto ha la sua residenza lì, sul sito di Zuckerberg, e non ci risulta altro indirizzo se non una Gmail.

 

Pazienza, la comunicazione è impeccabile.

 

 

 

«Ciao a tutti scusate ma il comunicato uscito a causa di male interpretazioni e stato stracapito». Sic.

 

« La frase con domani chi vuole lavorare può significa che come negli altri chi vuole può andare a lavorare». Sic.

 

È stato a questo punto che i lettori di questo sito cominciano a mandare in chat varie ipotesi che riguardano il tasso alcolemico dei manifestanti.

È stato a questo punto che i lettori di questo sito cominciano a mandare in chat varie ipotesi che riguardano il tasso alcolemico dei manifestanti.

 

Via un altro comunicato, il comunicato-rettifica: «questa prima battaglia l’abbiamo vinta ma si continua». Da Trieste in giù, tutta l’Italia si chiede, assieme a Goffredo Mameli, «dov’è la vittoria». Tanto che uno rilegge varie volte per essere sicuro di non essersi sbagliato. Battaglia vinta de che?

 

Tuttavia, domani è un altro giorno. Ecco che il gallo canta sul porto di Trieste. Il sole porta nuove notizie importanti: il capo della protesta si è dimesso. Lo si comunica non con un comunicato, ma con post su Facebook, la piattaforma più libera se si parla di vaccini e libertà politica.

 

 

In pratica, si dimette dopo neanche un giorno. Un segno chiaro per tutti. Va bene. I commenti si concentrano sulla foto di profilo: cosa ha in mano?

 

Avevamo capito, perché era stato ripetuto bene, che si trattava di uno sciopero ad oltranza. Quindi, adesso è uno sciopero ad oltranza fino al 20 ottobre. Cara, ti amo di un amore eterno fino a mercoledì alle 18:00. Credito illimitato fino a 10 euro. Gelato gratis se lo paghi.

Tuttavia la notizia è un’altra: leggete bene, si è deciso di «proseguire il presidio fino al 20 ottobre».

 

Avevamo capito, perché era stato ripetuto bene, che si trattava di uno sciopero ad oltranza. Quindi, adesso è uno sciopero ad oltranza fino al 20 ottobre. Cara, ti amo di un amore eterno fino a mercoledì alle 18:00. Credito illimitato fino a 10 euro. Gelato gratis se lo paghi.

 

Poi, dal 20 al 30 ottobre, ci sono 10 giorni in cui i privi di green pass non beccheranno un soldo, anzi rischieranno di incorrere nel piano di Confindustria di far pagare ai dipendenti i danni.

 

Fermi tutti, colpo di scena: è arrivato Enrico Montesano. Trieste chiama, la Garbatella risponne. Parte un coro inedito: «la gente come noi non molla mai…»

 

Ci sono già su Telegram i primi nostalgici: «aridatece er Puzzer».

Ci sono già su Telegram i primi nostalgici: «aridatece er Puzzer».

 

Intanto continuano in rete gli entusiasti: il blocco va avanti, stiamo vincendo. etc. Arrivano altri messaggi, comunicati vecchi, comunicati nuovi, i nuovi come risposta dei vecchi, i vecchi come risposta dei nuovi. Non ci capiamo più niente. È nebbia fitta.

 

Cerchiamo invano di stendere una timeline. Comunicato abbiamo-vinto-torniam-a-lavorar. Comunicato-rettifica. Post di smentita. Post personale. Discorso video 1. Dimissioni. Ancora comunicati (forse sono quelli vecchi, però). Discorso video 2. Enrico Montesano. Videomessaggio a Balanzoni (nel senso della dottoressa, non delle maschere della Commedia dell’Arte). No, non sappiamo che ordine dare a tutto questo.

 

Lettore di Ferrara: «il segreto è bere. Se ci bevi sopra il quadro ti appare chiarissimo».

 

Purtroppo al momento non ce la sentiamo, e non ci abbiamo nemmeno la passione.

 

Un lettore di Torino ci manda la foto di uno di quei cappellini con le lattine attaccate sopra, e la cannuccia che scende sulla bocca.

 

Lo prendiamo come il definitivo incitamento ad ubriacarci. Ci mette pure una citazione colta in latinorum: qui bibit, dormit; qui dormit, non peccat; qui non peccat, sanctus est; ergo: qui bibit, sanctus est. Siamo dinanzi quindi ad una santa protesta?

 

Ci arrivano altri messaggi. Il porto di Genova potrebbe bloccarsi, il porto di Ancona, pure. Se bloccano davvero Genova i siciliani si trovano con gli scaffali vuoti nel giro di cinque giorni. Quello sarebbe un colpo tremendo per il governo. Salta fuori la storia che il 40% del petrolio tedesco passa per Trieste, e quindi la Merkelona (che in effetti, mise sull’Eurotower proprio lui, un italiano quando gli ultimi che avrebbe dovuto volere con le mani sull’euro erano gli italiani) chiamerebbe Draghi e lo farebbe desistere da questo estemporaneo capriccio che è il greenpasso. Come no.

 

Basta, la nebbia è troppa. Noi ci rinunciamo.

 

Rinunciamo a credere ai giornali, rinunciamo ad ascoltare gli attivisti da Twitter/Telegram. Rinunciamo a volerci capire qualcosa. Rinunciamo pure a giudicare la protesta, perché c’è solo una cosa in cui crediamo davvero: la gente come Draghi non molla mai, a meno che non si abbia l’argomento giusto.

 

Vorremmo tanto che la battaglia dei portuali, e delle decine di migliaia di persone che vanno fisicamente a dare manforte, continuasse ad oltranza – nel senso del termine che conosciamo, cioè fino a che una delle due parti non è sfinita. Fino al martirio sindacale, fino al collasso delle euro-merci, fino al judo del KO del governo dei tecnocrati

Il blocco dei porti è l’argomento giusto. È qualcosa che, sul serio, può mettere in ginocchio il governo, farlo cascare.

 

Quindi, vorremmo tanto che la battaglia dei portuali, e delle decine di migliaia di persone che vanno fisicamente a dare manforte, continuasse ad oltranza – nel senso del termine che conosciamo, cioè fino a che una delle due parti non è sfinita. Fino al martirio sindacale, fino al collasso delle euro-merci, fino al judo del KO del governo dei tecnocrati.

 

Questo è l’unico modo di chiamare il bluff di Draghi – se è un bluff. Se non è un bluff, questa comunque è l’unica via possibile.

 

Forza ragazzi, fuori da questo porto delle nebbie.

 

Perché è vero quello che canta uno dei cori di domenica: «tutta Italia tifa Trieste».

 

 

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Protesta

Manifestanti anti-NATO mettono a ferro e fuoco Montreal, mentre Trudeau è al concerto di Taylor Swift

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Almeno tre persone sono state arrestate dopo che i dimostranti anti-NATO e pro-palestinesi si sono ribellati per le strade di Montreal, incendiando auto, vandalizzando vetrine di negozi e scontrandosi con la polizia. La città canadese francofona ospita il summit annuale della NATO questo fine settimana.

 

Una folla di dimostranti anti-NATO si è radunata venerdì pomeriggio in un parco nel centro della città, prima di unirsi a una manifestazione anti-Israele tenutasi lì vicino, ha riferito la polizia ai media locali.

 

Sebbene inizialmente pacifica, la polizia ha dichiarato che la protesta è diventata violenta dopo che il contingente anti-israeliano ha bruciato un’effigie del primo ministro israeliano Beniamino Netanyahu e ha iniziato a lanciare razzi e proiettili contro gli agenti antisommossa.

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Un gruppo di rivoltosi mascherati si è poi fatto strada lungo Rene-Levesque Boulevard, rompendo le finestre lungo la trafficata via commerciale. Due veicoli sono stati dati alle fiamme prima che gli agenti di polizia usassero gas lacrimogeni per disperdere la folla. Tre persone sono state arrestate per presunta aggressione agli ufficiali, ha detto un portavoce della polizia.

 

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Le proteste hanno avuto luogo mentre centinaia di delegati della NATO arrivavano a Montreal per il summit annuale del blocco. In programma da venerdì a lunedì, il summit includerà colloqui di alto livello sulla difesa missilistica, sui cambiamenti climatici e sul «supporto all’Ucraina fino alla vittoria», secondo il sito web della NATO.

 

Un giorno prima delle proteste, gruppi di dimostranti pro e anti-Israele si sono scontrati alla Concordia University di Montreal, dove decine di migliaia di studenti pro-palestinesi hanno scioperato e si sono rifiutati di frequentare le lezioni. Uno dei gruppi studenteschi di sinistra che guidava lo sciopero ha affermato che era il momento giusto per coincidere con il summit, accusando la NATO di sostenere il «genocidio in corso» a Gaza.

 

Ha suscitato clamore il fatto che il Trudeau, mentre la capitale quebecchese andava a fuoco, stesse al concerto della diva americana Taylor Swift, peraltro da alcuni ritenuta un possibile asset di Pentagono e NATO – idea uscita mesi fa da documenti pubblici, che vedevano nella Swift un possibile strumento per «combattere la disinformazione». Video circolanti in rete mostrano il Trudeau scambiarsi «braccialetti dell’amicizia» con alcune swifties, cioè fan della cantante.

 

 

La rete ha commentato anche il fatto che il Trudeau abbia ballato la canzone «We Are Never Ever Getting Back Together» («non torneremo mai insieme») accanto alla ex moglie, fresca di divorzio. Molte canzoni della Swift, trentenne non sposata e senza figli, riguardano il risentimento verso ex fidanzati o ex amiche.

 


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La Swift, da qualcuno accusata di omaggi alla stregoneria nei suoi tour, già ritenuta in grado di spostare milioni di voti verso Biden e la Harris, non è solo considerata un possibile strumento NATO, ma di fatto protetta dagli apparati di Intelligence americani, come dimostra l’annullamento del concerto di Vienna a seguito di un allarme captato dalla CIA riguardo un possibile attentato islamico.

 

Giustino non è il primo a cui capita lo specioso caso di essere ad un concerto a divertirsi mentre la rivolta arde la città: lo stesso era capitato l’anno scorso anche al collega Emanuele Macron, il quale era a salterellare al concerto di Elton John mentre fuori scoppiava la rivolta delle banlieue francesi.

 

Sono gli stessi che, figli dell’illuminismo repubblicano, celebrano la rivoluzione che ha decapitato quella che avrebbe detto (ma vi sono enormi dubbi che abbia proferito quelle parole) «mangiate brioches». Se pensate anche alla scena ultra-neroniana del segretario di Stato Anthony Blinken, che va a suonare la chitarra elettrica a Kiev mentre ne arma la guerra con la Russia, comprendete con quale classe dirigente, oggi, abbiamo a che fare.

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Gli agricoltori polacchi bloccano ancora il confine con l’Ucraina

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Sabato mattina un gruppo di agricoltori polacchi ha chiuso il più grande valico di frontiera del Paese con l’Ucraina per protestare contro gli aumenti delle tasse agricole decisi dal governo e contro l’accordo di libero scambio tra l’UE e il blocco commerciale sudamericano Mercosur, attualmente in discussione all’interno del blocco.   I dimostranti, che indossavano gilet gialli e sventolavano bandiere polacche, camminavano avanti e indietro su un attraversamento pedonale vicino al checkpoint di Medyka-Shehyni, bloccando il traffico lungo la strada. Circa 30 persone hanno preso parte alla manifestazione, secondo i media polacchi.   Gli organizzatori avevano inizialmente pianificato di tenere la protesta da inizio ottobre fino alla fine dell’anno. L’iniziativa era stata inizialmente osteggiata dal sindaco di Medyka, finché un tribunale polacco non si è schierato con gli agricoltori, stabilendo che vietare la manifestazione era illegale.  

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Secondo gli organizzatori, il blocco riguarda solo i camion, mentre le autovetture, gli autobus e i veicoli che trasportano beni militari e umanitari sono autorizzati a passare. Il servizio di guardia di frontiera ucraino, che ha pubblicato un video della scena, ha affermato che nessun veicolo di peso superiore a 3,5 tonnellate sarà autorizzato a entrare in Polonia. Un camion sarà autorizzato ad attraversare dalla Polonia all’Ucraina all’ora.   Il blocco dovrebbe durare almeno 48 ore, secondo le autorità ucraine, che hanno anche detto che potrebbe essere ulteriormente esteso. Circa 150 camion si sono ammassati sul lato polacco del confine cercando di entrare in Ucraina, ha detto la guardia di frontiera in una dichiarazione su Facebook.   La polizia polacca ha detto che i conducenti che cercano di attraversare il confine «possono aspettarsi difficoltà sulle strade».   Un video pubblicato dalle autorità ucraine mostra una fila di decine di camion fermi sulla strada vicino al valico di frontiera. Si vedono autovetture e minivan formare una fila separata lì vicino. Il posto di blocco di frontiera sembrava essere almeno parzialmente chiuso.   I manifestanti accusano il governo di Varsavia di non aver mantenuto la promessa di non aumentare la tassa sull’agricoltura e di lasciarla al livello del 2023. Hanno anche criticato il gabinetto del Primo Ministro Donald Tusk per aver introdotto altre normative che ritengono sfavorevoli per il settore agricolo.   «Dove dobbiamo fare appello? Rivolgerci al signor Tusk?», ha detto al quotidiano Rzeczpospolita Roman Kondrow, capo di un’associazione regionale di agricoltori, aggiungendo che il governo non li avrebbe ascoltati. «Ecco perché volevamo fare pressione al confine», ha aggiunto.   Le azioni degli agricoltori hanno attirato l’ira della parte ucraina. «Gli agricoltori polacchi non stanno avanzando richieste in merito ai prodotti ucraini, ma stanno usando il confine come strumento per influenzare il loro governo», ha affermato il Ministero dell’agricoltura ucraino. Secondo quanto riferito, Kiev era a conoscenza delle proteste pianificate da un po’ di tempo.   Il ministro dell’agricoltura ucraino Vitaly Koval ha tenuto due incontri con il suo omologo polacco, Czeslaw Siekierski, per discutere della questione e ne ha parlato anche con la Commissione europea, hanno riferito i media locali.  

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Alcuni ucraini hanno dato la colpa alla Russia. «C’è un’opinione secondo cui questo viene fatto con soldi russi, perché chi ci guadagna?» ha detto Gennady Radchenko, un esperto dell’Unione degli imprenditori ucraini.   «Non capiamo nemmeno perché gli agricoltori credano che i problemi interni della Polonia possano essere risolti bloccando il confine, il commercio e la strada per il paese in cui c’è una guerra. La reazione delle aziende e dei media ucraini è molto negativa».   Non si tratta della prima volta che gli agricoltori polacchi bloccano i valichi di frontiera con l’Ucraina. Proteste simili si sono verificate in numerose occasioni negli ultimi anni, poiché gli agricoltori si sono opposti a ciò che percepiscono come l’UE che consente importazioni agricole ingiustamente economiche dall’Ucraina nel blocco.   Come riportato da Renovatio 21, otto mesi fa gli agricoltori avevano bloccato le strade verso la capitale Varsavia e i valichi di frontiera. La protesta era stata duramente criticata dal presidente ucraino Zelens’kyj.   L’anno passato, i camionisti polacchi si erano uniti al blocco contro l’Ucraina degli agricoltori, operato in un caso da membri di Solidarnosc.   Nella battaglia contro normative UE e importazioni dall’Ucraina, i vescovi polacchi si erano schierati con gli agricoltori. Il problema del grano ucraino pare aver raggiunto ora anche gli agricoltori tedeschi.  

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Rivolte nella fabbrica dell’Audi

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La polizia tedesca è stata costretta a disperdere i manifestanti dopo che mercoledì sono scoppiate delle rivolte presso uno stabilimento della casa automobilistica tedesca Audi nella capitale belga, Bruxelles. Lo riporta l’agenzia Reuters.

 

Circa 150 persone, alcune delle quali indossavano maschere, hanno fatto irruzione nella sala trattative durante le discussioni su un piano di buonuscita tra i sindacati e l’amministrazione della fabbrica, che verrà chiusa, ha detto all’agenzia un portavoce di Audi.

 

Gli uomini in protesta hanno fatto esplodere fuochi d’artificio e impedito ai partecipanti ai colloqui di lasciare i locali, ha aggiunto.

 

Secondo la portavoce, la polizia è intervenuta e ha costretto i manifestanti a disperdersi, aggiungendo che un membro del sindacato è rimasto leggermente ferito nella rissa.

 

Un video ripreso sulla scena mostra agenti in tenuta antisommossa e armati di manganelli mentre spingono i dimostranti, apparentemente dipendenti dell’impianto.

 


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All’inizio di quest’anno, Audi, una sussidiaria del gruppo Volkswagen, ha annunciato che interromperà la produzione di veicoli nello stabilimento di Bruxelles a partire da marzo 2025.

 

Ora l’impianto rischia la chiusura perché non è riuscito a trovare nuovi investitori e la Volkswagen non è riuscita a trovare un uso alternativo per il sito. Circa 3.000 dipendenti e diverse centinaia di subappaltatori rischiano di perdere il lavoro.

 

A settembre, 5.000 persone sono scese in piazza a Bruxelles in solidarietà con i lavoratori.

 

«Siamo letteralmente divorati e non so se siamo in grado di fare qualcosa al riguardo», ha dichiarato all’epoca un dipendente Audi a Euronews.

 

L’industria automobilistica dell’UE sta affrontando molteplici sfide tra gli alti prezzi dell’energia e altri ostacoli economici che il blocco deve affrontare. Anche la concorrenza dei veicoli elettrici cinesi più economici è una preoccupazione.

 

Verso la fine del mese scorso, il gruppo Volkswagen ha annunciato che intende chiudere almeno tre stabilimenti in Germania e ridimensionare le fabbriche rimanenti. La mossa potrebbe significare migliaia di perdite di posti di lavoro e interi reparti chiusi o trasferiti all’estero.

 

Come riportato da Renovatio 21, in Germania Volkswagen, dopo averlo annunziato in lungo e in largo, sta pianificando licenziamenti di massa.

 

Lo scorso mese scioperi di massa avevano scosso l’industria automotive tedesca, cui per taluni si prospetta una «caduta orribile».

 

Nella UE sono crollati i livelli di immatricolazione di auto nuove, secondo i dati dell’Associazione Europea Costruttori Automobili (ACEA).

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