Economia
Stoccaggi pieni e crollo dei consumi industriali. Aggiornamenti sulla situazione energetica italiana
Anche il mese di luglio si è concluso. Dopo tre settimane di caldo, ha ricominciato a piovere e a far freddo in tutta Italia. Pessimi i primi dati relativi al turismo provenienti da quasi tutte le principali località turistiche. Pessimi anche i dati relativi alla produzione industriale. Siamo quindi tornati a discutere la situazione energetica con Mario Pagliaro, l’accademico di Europa con cui Renovatio 21 da oltre due anni segue l’evolversi della questione energetica.
Con una decina di giorni di caldo e l’aumento dei consumi per il raffrescamento, immaginiamo che i consumi elettrici a Luglio siano tornati a salire. È così?
No. L’Italia ha consumato quasi 1,5 miliardi di kWh (chilowattora) in meno rispetto al luglio 2022, un calo del 5% passando da 28,391 TWh (terawwatora, o miliardi di chilowattora) a 26,927 TWh. Il picco dei consumi si è toccato il 19 luglio con 59 W di potenza assorbita. Ma è durato poco, e non è bastato ad invertire il calo senza precedenti dei consumi elettrici in Italia che si registra da fine 2022 dovuto in larga parte al crollo della produzione industriale.
E per quanto riguarda i consumi di gas, è iniziata la ripresa?
No. Nel dettaglio, consultando i dati resi pubblici da SNAM, si apprende che in Italia la domanda di gas da parte dell’industria è stata di 920 milioni di metri cubi (mc) sostanzialmente analoga ai 951 milioni di mc consumati nel luglio 2022. Leggermente inferiore, di 100 milioni di mc, è stato quest’anno il consumo mensile del settore termoelettrico passato dai 2218 milioni di mc del luglio 2022 ai 2117 del luglio 2023. Quasi invariati anche i consumi civili, passati dagli 864 milioni di mc del luglio 2022 agli 853 di quest’anno. Il dato che sorprende è un altro.
Quale?
Quello relativo alle importazioni. Passa te dai 6140 milioni di mc del luglio dello scorso anno ai 4764 milioni di mc del luglio di quest’anno, un crollo di oltre il 22%. Manca ormai in modo strutturale il gas una volta proveniente dalla Russia. Durante i mesi primaverili ed estivi il gas in Italia e in altri Paesi che ne sono privi come la Germania viene stoccato sottoterra, intorno ai mille metri di profondità, in siti di stoccaggio ricavati da vecchi giacimenti ormai esausti. In Italia si tratta principalmente degli ex giacimenti di gas della Pianura Padana.
E qual è ora la situazione degli stoccaggi?
Ottima. Proprio a causa del crollo dei consumi industriali. Prendendo in considerazione solo gli stoccaggi dello Stato attraverso la SNAM e la sua controllata nel settore, a inizio luglio erano all’80%, ovvero pari a 14 miliardi di metri cubi. Da allora sono ulteriormente cresciuti fino all’85%
Ma se il prezzo del gas è crollato e c’è gas in abbondanza, perché le aziende non ripartono?
Perché non ne avrebbero convenienza di fronte al forte calo della domanda, interna ed internazionale. Anche a giugno, la produzione industriale è calata di quasi l’1% rispetto al già anemico giugno del 2022. Nel complesso, nel primo semestre dell’anno la produzione industriale è calata di quasi il 3% (2,8%) rispetto al primo semestre 2022. Ma occorre allargare lo sguardo, per comprendere che in realtà si tratta di un vero e proprio tracollo industriale.
In che senso, allargare lo sguardo?
Bisogna guardare ai consumi energetici di 10 o di 20 anni fa per capire. Nel 2005, l’Italia consumava 86 miliardi di metri cubi di gas. Nel 2022 il consumo era sceso a 67 miliardi. Certamente c’è stato un forte contributo alla riduzione del consumo di gas della produzione elettrica fotovoltaica ed eolica, che va a sostituire proprio la produzione termoelettrica a gas. Ma se guardiamo ai consumi petroliferi, sui quali la generazione elettrica da fonti rinnovabili in Italia ha un modesto impatto, riscontriamo lo stesso trend. Nel 2005 l’Italia consumava 87 milioni di tonnellate di petrolio. Nel 2022 ne ha consumate 58 milioni. Né una tale diminuzione può essere spiegata con il miglioramento dell’efficienza del parco veicolare, che era e resta il più vetusto di tutti i Paesi fondatori della Comunità europea. Sono dati particolarmente preoccupanti se si considera anche la demografia.
Perché: in che relazione sono con il numero di abitanti?
Perché l’Italia nel 2005 aveva una popolazione residente di 58 milioni di persone. Cresciuti a 59 milioni nel 2002. Se la produzione industriale si fosse mantenuta quella del 2005, i consumi energetici sarebbero cresciuti insieme alla leggera crescita della popolazione. Poiché è avvenuto il contrario, a diminuire drasticamente è stata la ricchezza prodotta dall’Italia primariamente attraverso la produzione industriale. Per evitare di incorrere in una situazione sociale ben peggiore di quella, pur grave, vissuta oggi dall’Italia si è dunque fatto ricorso all’indebitamento. E infatti il debito pubblico è passato dai circa 1500 miliardi di euro del 2005, pari circa al PIL italiano, ai quasi 2762 miliardi di fine 2022, pari al 145% del PIL. È un andamento economicamente e socialmente insostenibile dovuto proprio alla deindustrializzazione del Paese. Che per essere invertito necessita di un programma di reindustralizzazione guidato dallo Stato del tutto analogo a quello portato avanti dall’IRI dalla sua creazione nel 1933 alla sua fine nel 1992 con la trasformazione in società per azioni.
Economia
BlackRock si unisce al pressing sull’Arabia Saudita: deve uscire dai BRICS
L’Arabia Saudita è oggetto di una pressione da parte di tutta la corte progettata per tirarla fuori dai BRICS e riallinearla con Londra e Washington.
Nello stesso momento in cui il Segretario di Stato americano Tony Blinken era in Arabia Saudita questa settimana per lavorare sulla «normalizzazione delle relazioni» tra Israele e Arabia Saudita – vale a dire, affinché i Sauditi riconoscano Israele in cambio di un patto militare con gli Stati Uniti – erano presenti nel regno wahabita anche Larry Fink e altri alti dirigenti di BlackRock per firmare un accordo con il governo saudita per il lancio della società BlackRock Riyadh Investment Management.
La nuova entità, detta anche BRIM, sarà una nuova «società di investimento multi-class» a Riyadh, con 5 miliardi di dollari di capitale iniziale di origine saudita, che dovrà «gestire fondi che investono principalmente in Arabia Saudita ma anche nel resto del Medio Oriente e del Nord Africa», ha riferito il Financial Times.
«L’obiettivo è attrarre ulteriori capitali esteri in Arabia Saudita e rafforzare i suoi mercati dei capitali attraverso una gamma di fondi di investimento gestiti da BlackRock», che ha in gestione una bella somma di 10,5 trilioni di dollari. Il CEO di BlackRock Larry Fink ha dichiarato in una nota che «l’Arabia Saudita è diventata una destinazione sempre più attraente per gli investimenti internazionali… e siamo lieti di offrire agli investitori di tutto il mondo l’opportunità di parteciparvi».
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L’Arabia Saudita aveva segnalato il suo interesse ad entrare nei BRICS ancora due anni fa.
Come riportato da Renovatio 21, pare che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – capo de facto del regno islamico – cinque mesi fa abbia snobbato i britannici per incontrare il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Negli stessi mesi il Regno aveva stipulato con la Cina un accordo di scambio per il commercio senza dollari.
Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata nel 2022 con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.
A gennaio 2023, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato al World Economic Forum che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.
«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il WEF di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».
Il rapporto tra la Casa Saud e Washington, con gli americani impegnati a difendere la famiglia reale araba in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del greggio (come da accordi presi sul Grande Lago Amaro tra Roosevelt e il re saudita Abdulaziz nel 1945) sembra essere arrivato al termine.
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Immagine di pubblico dominio CCO via Flickr
Economia
Un’altra gola profonda con legami Boeing muore improvvisamente
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Quattro giorni dopo, la United Airlines aveva trovato «chiavistelli allentati» sulle porte del 737 MAX a seguito di un’ispezione di emergenza. Come riportato da Renovatio 21, nel marzo 2019, un Boeing 737 MAX appartenente all’Ethiopian Airlines si è schiantato subito dopo il decollo, uccidendo tutti i 157 passeggeri e l’equipaggio. L’incidente è avvenuto cinque mesi dopo l’incidente del 737 MAX della Lion Air in Indonesia che ha ucciso tutte le 189 persone a bordo. Le tragedie portarono alla messa a terra per 20 mesi della linea di aerei 737 MAX della compagnia.Alaska Airlines flight #AS1282, a Boeing 737 MAX 9, experienced a rapid decompression after the loss of a large panel that included an emergency exit door on the left side of the plane. The flight made a safe return to Portland (PDX).pic.twitter.com/KH4gs0X4o6
— Aviation Safety Network (ASN) (@AviationSafety) January 6, 2024
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Cina
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen, la China Rare Earth Resources and Technology ha riferito che l’industria sta affrontando una «fase cruciale» a livello mondiale. La Cina continua a essere leader nell’estrazione e lavorazione dei minerali, ma le difficoltà dell’economia nazionale e la volontà degli altri Paesi di creare nuove catene di approvvigionamento stanno generando ricavi nettamente minori.
Nonostante gli sforzi da parte del governo cinese di dominare a livello mondiale il settore strategico delle terre rare, i ricavi e i profitti delle aziende che si occupano di estrazione e lavorazione di questi minerali essenziali per il mondo digitale hanno registrato una contrazione. Il conglomerato China Rare Earth Resources and Technology, di proprietà statale, ha comunicato un calo del fatturato del 5,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente, mentre l’utile netto è crollato del 45,7%.
I dati relativi al primo trimestre del 2024 sono ancora più gravi: il fatturato è sceso dell’81,9%, portando a una perdita netta di 288,76 milioni di yuan (meno di 40 milioni di dollari), contro un utile netto di 108,97 milioni di yuan nello stesso periodo dell’anno precedente. Anche altre aziende cinesi hanno riportato riduzioni del fatturato tra il 60% e il 79%, in linea con il generale rallentamento dell’economia nazionale.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen della settimana scorsa, la China Rare Earth Resources and Technology ha spiegato che il settore sta affrontando una «fase cruciale» caratterizzata da rapidi sviluppi e adattamenti strutturali su scala globale che hanno determinato un’erosione dei guadagni. In altre parole, nonostante la Cina resti di gran lunga il primo estrattore mondiale di terre rare, altri Paesi hanno cercato di costruire catene di approvvigionamento alternative.
Per alcuni tipi di minerali, nuove catene di approvvigionamento «sono già state create», ha proseguito il comunicato della China Rare Earth Resources and Technology, che ha affermato di aver attuato «aggiustamenti nella strategia di vendita», senza fornire ulteriori dettagli. Inoltre, un numero crescente di aziende cinesi ha importato minerali estratti all’estero (soprattutto dal Myanmar) a causa delle difficoltà economiche interne, e in particolare di un calo della domanda. Una situazione che non vede miglioramenti e potrebbe portare al «rischio» di un ulteriore calo di prezzi, ha sottolineato ancora la società.
I dati ufficiali delle dogane cinesi confermano tali affermazioni, secondo il Nikkei Asia: le importazioni di alcune terre rare sono aumentate di circa il 60% ed è stato rivisto il limite di estrazione delle terre rare, stabilito a livello nazionale, per consentire un aumento della produzione interna del 21%.
Le terre rare sono un gruppo di 17 minerali fondamentali per la produzione di una serie di tecnologie, che vanno dalle batterie delle auto elettriche alle turbine delle pale eoliche ai pannelli solari. Secondo i dati dell’US Geological Survey (USGS), le riserve mondiali di terre rare ammontano a 110 milioni di tonnellate, di cui il 40% si trovano in territorio cinese. Seguono poi, per estensione di giacimenti, il Myanmar, la Russia, l’India e l’Australia.
I dati dell’USGS mostrano anche che nel 2023 la Cina è stata responsabile dell’estrazione di 240mila tonnellate di terre rare, pari a circa due terzi della produzione globale. Gli Stati Uniti si sono piazzati al secondo posto, seguiti dal Myanmar, ed entrambi lo scorso anno hanno triplicato la produzione.
Negli ultimi anni la Cina è diventata leader del settore migliorando le proprie capacità di estrazione e lavorazione, ma anche ottenendo il controllo di diversi giacimenti in altre zone del mondo. Un’indagine della BBC ha individuato almeno 62 progetti destinati all’estrazione di litio, cobalto nichel o manganese (minerali necessari per la realizzazione di tecnologie verdi) in cui le aziende cinesi hanno una partecipazione.
La regolamentazione del settore a livello nazionale è iniziata nel 2010 e nel corso gli anni, a seguito di una serie di fusioni, sono state create quattro società principali, tra cui il gruppo China Rare Earth, controllato direttamente dal Consiglio di Stato cinese.
Anche il mese scorso il presidente Xi Jinping, durante una visita nell’Hunan una delle maggiori regioni produttrici, ha ribadito la necessità di «migliorare ulteriormente» lo sviluppo dell’utilizzo delle terre rare per generare una «crescita di alta qualità» e di fornire un «alto livello di sicurezza» alla nazione.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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