Economia
Putin incolpa le politiche dell’Occidente per la crisi energetica dell’Europa

L’Europa continua a cercare di incolpare la Russia per i suoi problemi energetici, ma le sue stesse politiche hanno prodotto l’attuale crisi, ha detto il presidente Vladimir Putin in un incontro con la stampa a Teheran dopo la sua partecipazione al vertice dell’Astana Format con Iran e Turchia il 19 luglio. Lo riporta il sito ufficale del Cremlino.
«Cosa c’entra Gazprom con tutto questo?» ha chiesto Putin parlando dello stallo delle forniture di gas all’Europa.
Gli occidentali «hanno chiuso un percorso, il secondo percorso, e hanno sanzionato queste stazioni di pompaggio di benzina. Gazprom è pronta a pompare quanto necessario, ma [l’Occidente] ha chiuso tutto da solo. E stanno calpestando lo stesso rastrello quando si tratta di petrolio… Gazprom ha sempre adempiuto, adempiuto e continuerà ad adempiere a tutti i suoi obblighi» ha dichiarato il presidente della Federazione Russa riferendosi al Nord Stream 2.
Putin ha quindi anche rivelato che Gazprom non ha ricevuto documenti ufficiali sulla consegna promessa della turbina da Siemens che era in riparazione in Canada, senza la quale il gas attraverso il gasdotto Nord Stream 1 sarà ridotto della metà.
Il presidente ha quindi accusato la follia diplomatica occidentale, nonché il miope abbraccio alla (mortale) Agenda Verde.
«Non so se valga la pena entrare nel dettaglio della politica energetica delle Nazioni europee che hanno disatteso l’importanza delle fonti energetiche tradizionali e hanno puntato tutto su quelle non tradizionali. Sono grandi specialisti nelle relazioni non tradizionali. E nel settore energetico hanno anche deciso di puntare tutto su tipi di energia non tradizionali».
«Oggi sentiamo ogni sorta di idee assurde per quanto riguarda la limitazione dei volumi e la limitazione del prezzo del petrolio russo. Questo è assolutamente identico a quello che sta succedendo con il gas… Il risultato sarà lo stesso: un aumento dei prezzi. I prezzi del petrolio saliranno alle stelle».
Il presidente russo ha quindi dipinto un quadro fosco, ma realistico, del mondo in preda alla smania della «transizione ecologica».
«L’inverno scorso è stato lungo, non c’era vento e questo è bastato. Gli investimenti nelle immobilizzazioni dei tradizionali produttori di energia sono diminuiti a causa di precedenti decisioni politiche: le banche non li finanziano, le compagnie di assicurazione non li assicurano, i governi locali non assegnano appezzamenti di terreno per nuovi progetti e gasdotti e altre forme di trasporto non si stanno sviluppando».
Come riportato da Renovatio 21, Putin aveva già denunciato l’«autodafé economico» dell’Europa con le sue sanzioni, che hanno innescato la presente crisi finanziaria globale.
Il presidente russo aveva altresì parlato pubblicamente delle problematiche riguardo alle politiche del Green Deal dell’Unione Europea, che sopravvalutavano le capacità di tipi alternativi di energia come il solare e l’eolico.
Queste energie alternative, aveva detto Putin in un’intervista al canale TV Rossiya 1, «non possono essere prodotti nella quantità richiesta, con la qualità richiesta e a prezzi accettabili», ha affermato il presidente, «e allo stesso tempo, hanno cominciato a sminuire l’importanza dei tipi convenzionali di energia, inclusi, e soprattutto, gli idrocarburi».
Tali politiche sono dietro allo tsunami iperinflattivo, e di conseguenza, alla crisi alimentare montante.
A metà marzo, al termini di un incontro con le regione russe, Putin aveva chiesto: «chi risponderà ai milioni di morti di fame nei paesi più poveri per la crescente carenza di cibo?»
Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0), immagine tagliata.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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