Geopolitica
Putin denuncia che in Medio Oriente sta venendo portata avanti una politica dello «scontro di civiltà»
Il presidente russo Vladimir Putin il 25 ottobre ha incontrato al Cremlino otto importanti leader religiosi russi, in rappresentanza delle fedi cristiana, musulmana, ebraica e buddista. Lo riporta RT.
Nell’occasione, Putin ha denunciato quella che ha descritto come una politica intenzionale di «scontro di civiltà» nell’Asia sudoccidentale, che «presenta il rischio di conseguenze gravi, altamente pericolose e distruttive non solo per la regione del Medio Oriente. Può estendersi ben oltre i confini del Medio Oriente».
Putin ha criticato aspramente gli atti terroristici compiuti contro gli israeliani il 7 ottobre, ma ha insistito sul fatto che «le persone innocenti non dovrebbero essere ritenute responsabili per crimini commessi da altri. La lotta al terrorismo non può essere condotta secondo il famigerato principio della responsabilità collettiva».
Seguono brevi estratti delle sue osservazioni, come riportato sul sito del Cremlino: «vediamo tentativi compiuti da alcune forze per incitare un’ulteriore escalation trascinando altri paesi e nazioni nel conflitto e usandoli per i propri interessi egoistici, per lanciare un’ondata di caos e odio reciproco non solo in Medio Oriente ma ben oltre».
«A mio avviso, queste azioni sono chiaramente progettate per seminare instabilità nel mondo, per dividere culture, popoli e religioni mondiali e per provocare uno scontro di civiltà. Tutto si basa sul noto principio del divide et impera» ha dichiarato il presidente della Federazione Russa.
«Vogliono che il conflitto in Medio Oriente, così come qualsiasi altro conflitto religioso o etnico nel mondo, sia direttamente o indirettamente legato alla Russia in un modo o nell’altro o, per essere più precisi, per sferrare un colpo alla Russia e alla società russa»
«Vorrei offrire le mie sincere condoglianze alle famiglie degli israeliani e dei cittadini di altri paesi i cui cari sono morti o sono rimasti feriti durante l’attacco del 7 ottobre. Ma per noi è altrettanto chiaro che persone innocenti non dovrebbero essere ritenute responsabili dei crimini commessi da altri. La lotta al terrorismo non può essere condotta secondo il famigerato principio della responsabilità collettiva che provoca la morte di anziani, donne, bambini, intere famiglie. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza alloggio, cibo, acqua, elettricità e assistenza medica. Questo è un vero disastro umanitario» ha continuato Putin.
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«Il nostro obiettivo primario è fermare lo spargimento di sangue e la violenza. Un’ulteriore escalation della crisi comporta il rischio di conseguenze gravi, altamente pericolose e distruttive non solo per la regione del Medio Oriente. Può estendersi ben oltre i confini del Medio Oriente».
Come noto, anche la Russia ha subito nel suo territorio le tensioni israelo-palestinesi in corso, con il tentato pogrom contro un aereo israeliano atterrato in Daghestan.
Come riportato da Renovatio 21, il Cremlino ritiene che dietro l’organizzazione della folla di musulmani pronti al linciaggio potrebbe esserci una mano ucraina, e quindi occidentale.
«Sappiamo che Bandera e altri complici di Hitler sono idolatrati [in Ucraina]. Sappiamo che la leadership ucraina applaude i nazisti della Seconda Guerra Mondiale, che hanno preso parte personalmente ai crimini dell’Olocausto», ha detto il leader russo. «Ora, sotto la guida dei suoi protettori occidentali, [Kiev] vuole incitare i pogrom in Russia. Sono feccia. Non c’è altro modo di dirlo».
Tuttavia sull’episodio è arrivato il commento di un noto leader musulmano della Russia meridionale, il capo della Cecenia Ramzan Kadyrov, che ha ordinato l’uso della forza letale contro potenziali rivoltosi che opponessero resistenza alle forze dell’ordine.
Lunedì, parlando ad un incontro del governo regionale, Kadyrov ha detto che le autorità cecene «arresteranno e imprigioneranno» qualsiasi rivoltoso, secondo i media locali.
«Oppure, sapete una cosa, spareranno tre colpi di avvertimento in aria, e se poi la persona non rispetta la legge, spareranno il quarto colpo in fronte», ha aggiunto l’alto funzionario, descrivendo l’istruzione come un «ordine».
Lunedì, in un post separato sui social media, Kadyrov ha affermato che i giovani musulmani dovrebbero farsi consigliare dai loro anziani per evitare di essere manipolati per infrangere la legge, esortando i giovani a pensare prima di agire e a non trasformarsi in una «folla senza cervello».
«Hanno fatto del male a se stessi e alla loro repubblica», ha detto dei rivoltosi in Daghestan. «Sono sicuro che persone rispettabili in Daghestan si sono rivolte a loro, spiegando l’insensatezza di queste azioni e la manipolazione occidentale, ma non sono stati ascoltati. E cosa ne è venuto fuori?»
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
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Geopolitica
L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.
Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».
Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».
Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».
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Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.
Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.
Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.
Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.
I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.
L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.
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