Spirito
Opportunismo, politica, eresie sfiorate: il discorso di Bergoglio di ritorno dalla Grecia

Il viaggio di Papa Francesco a Cipro e in Grecia è stato segnato da una rinnovata insistenza sul tema dei migranti e dall’ecumenismo con il mondo ortodosso. Sul volo di ritorno, il Pontefice ha risposto, come di consueto, alle domande dei giornalisti con il consueto sfoggio di improvvisazione e picconate alla dottrina cattolica.
Un’ecclesiologia protestantizzata
In ordine di gravità, partiamo da un’affermazione che sfiora l’eresia, buttata lì in mezzo a una risposta. A parte i consueti elogi del modello sinodale ortodosso (che ovviamente noi cattolici avevamo dimenticato fino a Paolo VI), Francesco aggiunge un dettaglio che più che agli ortodossi fa pensare ai sinodi anglicani, secondo quanto aveva dichiarato il sedicente arcivescovo di Canterbury ai media vaticani qualche settimana fa.
Un’affermazione che sfiora l’eresia, buttata lì in mezzo a una risposta
«Nessuno deve farsi intimidire da questa distinzione [tra clero e laici, n.d.r.], per la buona ragione che tutti i cristiani appartengono veramente allo stato ecclesiastico: non esiste tra loro nessuna differenza, se non quella della funzione…».
Siamo ovviamente in concetti diametralmente opposti a quelli del Concilio di Trento.
Le scuse di Papa Francesco
Secondo una tradizione ormai consolidata da Giovanni Paolo II in poi, Papa Francesco ha chiesto scusa agli ortodossi per i presunti soprusi che subirono dalla Chiesa Romana.
La cosa curiosa è che il Papa ci informa di aver chiesto scusa anche per dei fatti che (dalle sue stesse parole) egli non conosceva, dietro semplice richiesta dell’arcivescovo di Atene Ieronimos, senza altre informazioni.
Il Papa ha dunque chiesto scusa perché una parte dei cattolici greci, ai tempi delle guerre d’indipendenza contro i turchi, non furono favorevoli alla lotta nazionale (probabilmente perché temevano più la discriminazione da parte di una nazione ortodossa che dallo stesso governo ottomano).
Che il Papa si senta obbligato a chiedere scusa non solo per l’operato dei suoi antichi predecessori, ma perfino per la presa di posizione prettamente politica di alcuni cattolici, è cosa che ormai sfiora l’inverosimile.
Che il Papa si senta obbligato a chiedere scusa non solo per l’operato dei suoi antichi predecessori, ma perfino per la presa di posizione prettamente politica di alcuni cattolici, è cosa che ormai sfiora l’inverosimile.
Se il Sillabo di Pio IX condannava chi dice che la separazione degli orientali fosse dovuta «ai soverchi arbitri dei Romani Pontefici», Papa Francesco ormai è pronto a ritenere i cattolici colpevoli di tutti i mali degli orientali.
In ogni modo egli ci informa che l’unità delle Chiese non deve per forza passare dalla teologia, ma dal lavorare insieme, citando per esempio la Svezia, dove cattolici e luterani hanno un’unica associazione caritativa dove lavorano insieme. Quanto ai teologi, che discutano pure: l’unità nella verità la si riserva per l’aldilà. Intanto lui e i suoi fratelli eretici si ritrovano uniti nel «lavorare e pregare insieme».
Rimandiamo i lettori all’enciclica Mortalium animos di Pio XI, per una puntuale condanna di una tale visione dei rapporti con i non cattolici. Non facciamo citazioni qui, perché la lettura completa di quella (breve) lettera di Papa Ratti è un tesoro necessario in questi tempi di confusione sulla vera dottrina del Cristo e della Chiesa.
Papa Francesco e la democrazia in pericolo
I giornalisti chiedono al Papa chiarimenti sulle sue affermazioni sul ritirarsi della democrazia in Europa.
Il Papa fa riferimento ai «populismi» che paragona direttamente al nazismo
L’Arcivescovo di Parigi ed il diritto della Chiesa
Non potevano mancare le domande sulle dimissioni di Monsignor Aupetit, Arcivescovo di Parigi, rapidamente accettate dal Papa, per delle colpe «minori» (a detta del Papa stesso) contro il sesto comandamento, risalenti a diversi anni fa.
Va qui ricordato un curioso rescritto del 3 novembre 2014, al cui art. 5 si leggeva:
«In alcune circostanze particolari l’Autorità competente può ritenere necessario chiedere a un Vescovo di presentare la rinuncia all’ufficio pastorale, dopo avergli fatto conoscere i motivi di tale richiesta ed ascoltate attentamente le sue ragioni, in fraterno dialogo».
Fermo restando il potere del Papa di dimettere i Vescovi in qualsiasi momento, o anche di richiedere informalmente dimissioni per non dover procedere giuridicamente, non si capiva a che potesse servire scrivere questo in un documento ufficiale.
Evidentemente qui si tratta ancora una volta di procedere senza formalità giuridiche, che dovrebbero garantire le persone dall’arbitrio dell’autorità e accertare le responsabilità.
Le parole del Papa sull’aereo su questo caso sono a dir poco imbarazzanti. Egli sembra voler minimizzare le colpe reali dell’Arcivescovo, per farci sapere che ne ha accettato le dimissioni senza batter ciglio per via del «chiacchiericcio» che la sua condotta aveva determinato.
Scompaiono tanto la misericordia quanto la giustizia, che lasciano posto a pura opportunità politica
Da un lato quasi «scusa» Aupetit, perché alla fine nessuno è un santo e di per sé poteva essere perdonato per i suoi errori; e dall’altro lo sacrifica perché non può governare a causa del chiacchiericcio che ne lede l’autorità. In un tale procedere scompaiono tanto la misericordia quanto la giustizia, che lasciano posto a pura opportunità politica.
Potrebbe un tale procedimento essere prudenza virtuosa di governo? Si potrebbe pensarlo facendo numerose distinzioni, ma le parole conclusive di Francesco sul caso rimangono in se stesse incomprensibili nella bocca del Pontefice Romano: «Per questo ho accettato le dimissioni, non sull’altare della verità ma sull’altare dell’ipocrisia».
È molto probabile che il Papa, che in queste interviste fa discorsi a ruota libera, abbia voluto dire che è a causa dell’ipocrisia del procedimento che ha accettato le dimissioni di Mons. Aupetit, ma la formula utilizzata è davvero infelice e ambigua, non potendosi in alcun senso erigere un altare all’ipocrisia opposto a quello della verità.
Immagine di Christoph Wagener via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Spirito
Mons. Strickland contro l’assedio sinodale all’interno della Chiesa. «Quando i lupi indossano paramenti…»

Renovatio 21 pubblica questo messaggio di monsignor Giuseppe Edoardo Strickland, vescovo emerito della diocesi di Tyler, Texas, apparso su LifeSiteNews.
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Ci sono momenti nella storia della Chiesa in cui le pecore devono guardare in alto, non a causa delle tempeste del mondo, ma perché i pastori stessi sono rimasti in silenzio… o peggio, si sono uniti ai lupi.
San Paolo una volta ammonì la Chiesa di Efeso con acuta chiarezza:
«So infatti che, dopo la mia partenza, entreranno tra voi de’ lupi rapaci; i quali non risparmieranno il gregge» (At 20,29).
E quei lupi sono arrivati. Indossano paramenti sacri. Parlano di misericordia, ma deridono la verità. Predicano l’inclusione, ma escludono la fedeltà al Deposito della Fede. Benedicono ciò che Dio ha chiamato peccato.
Stiamo vivendo un assedio, non dall’esterno, ma dall’interno. Questa è l’ora del tradimento, non dissimile dal giardino del Getsemani. Ma questa volta i traditori indossano mitre e portano pastorali.
La Croce è ancora qui. L’Eucaristia è ancora qui. Ma siamo circondati da mercenari che abbandonano le pecore – o peggio ancora, le conducono tra le spine.
Voglio essere chiaro. Questa crisi non è semplicemente confusione: è una rivoluzione calcolata. Una rivoluzione contro la dottrina. Contro l’ordine. Contro la natura stessa della Chiesa, istituita divinamente da Cristo.
E quindi oggi voglio accompagnarvi in un viaggio in tre parti attraverso questa realtà.
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Parte I: I lupi dentro le mura
M. Scott Peck iniziò il suo famoso libro, «La strada meno battuta», con tre parole: «la vita è difficile». Ma anche questa semplice verità è ora rifiutata, non solo dal mondo, ma anche all’interno della Chiesa. Ci viene detto che la Croce è facoltativa. Che la santità è opprimente. Che la dottrina divide, mentre il dialogo unisce.
Ma Cristo non ha offerto il dialogo. Ha offerto le Sue ferite. Non ha costruito un centro comunitario: ha fondato una Chiesa come un «edifizio eretto sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendone pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2, 20).
E disse chiaramente: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).
Dove sono ora quelle parole?
Invece, ascoltiamo sermoni sugli ecosistemi e sulla fratellanza umana. Ci vengono dati slogan sinodali, ma nessun invito al pentimento. Ci vengono consegnati documenti, non dottrine – consultazioni, non comandamenti.
Il beato Papa Pio XII ammonì:
«Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato» (Radiomessaggio al Congresso Catechistico Nazionale degli Stati Uniti a Boston, 26 ottobre 1946).
E ora, il peccato non viene più nemmeno menzionato. È rinominato. È «accompagnato». È «pastoralmente benedetto». Ma mai denunciato.
Padre James Martin continua a benedire le unioni omosessuali. Il cardinale McElroy minimizza il peccato sessuale in nome dell’«inclusione radicale».
La Messa latina tradizionale – la Messa dei santi – viene soppressa. E lo stesso Deposito della Fede viene trattato come un pezzo da museo da rimodellare.
Ma come ha affermato Papa Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande» (Lettera ai Vescovi, 7 luglio 2007).
E papa san Pio V proclamò solennemente: «La presente Costituzione non potrà mai essere revocata o modificata, ma rimarrà per sempre valida e avrà forza di legge» (Quo Primum, 14 luglio 1570).
Ci crediamo? O seguiamo la «nuova via» promossa dal cosiddetto Sinodo sulla Sinodalità?
Il profeta Isaia vide questo giorno e gridò: «Guai a voi che dite male il bene e bene il male, che fate tenebre la luce e luce le tenebre» (Is 5,20).
E Papa San Pio X ammoniva: «i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma (…) si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista» (Papa San Pio X, Pascendi Dominici Gregis, 8 settembre 1907).
Stiamo vivendo quella profezia.
Il Sinodo sulla sinodalità è diventato una cortina fumogena per la trasformazione ecclesiale. Non rinnovamento, ma reinvenzione. Non Pentecoste, ma Babele.
Ci viene detto di «ascoltare il Popolo di Dio». Ma non quando queste persone si inginocchiano per la Messa in latino. Non quando invocano riverenza, penitenza o purezza. No, allora quelle voci vengono liquidate come troppo rigide, troppo tradizionali.
Ma la voce di Cristo continua a parlare: attraverso la Scrittura, la Sacra Tradizione e il Magistero della Chiesa correttamente tramandato.
«Non illudetevi: Dio non si lascia deridere» (Gal 6, 7).
Cari amici, si conclude così la prima tappa del nostro viaggio. Abbiamo dato un nome alle ferite.
Nella seconda parte, esamineremo il meccanismo della rivoluzione; la struttura sinodale stessa: il suo linguaggio, i suoi obiettivi e i suoi gravi pericoli. Dobbiamo sapere come si muove il nemico se vogliamo proteggere il gregge.
Eppure non dobbiamo disperare. Perché quando i lupi incombono, il Pastore rimane. Mentre i mercenari fuggono, i santi sorgono. Mentre gli altari vengono derisi, la Lampada del Santuario arde ancora perché il Tabernacolo non è vuoto.
Tenetevi forte.
«Nel mondo avrete tribolazioni; ma confidate; io ho vinto il mondo!» (Gv 16, 33).
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Parte II: L’assedio sinodale
Entriamo ora nella seconda fase di questo avviso:
I lupi hanno un nome. Anche le loro tattiche hanno un nome: sinodalità.
Non la sinodalità come la Chiesa l’ha sempre intesa – consultazione collegiale sotto l’autorità del Papa – ma una ridefinizione. Un «nuovo modo di essere Chiesa», come lo chiamano ora.
Ma sia chiaro: ciò che viene proposto sotto la bandiera della sinodalità non è altro che la decostruzione della Chiesa gerarchica, sacramentale e apostolica e l’ascesa di qualcosa di nuovo, indefinito e pericoloso.
Secondo la presentazione ufficiale del Vaticano, il Sinodo sulla sinodalità è descritto come un «processo di ascolto e discernimento». Ma ciò che ascolta sono i sentimenti, e ciò che discerne è il compromesso.
Invece di proclamare il Vangelo, questo Sinodo cerca di rifare il Vangelo a immagine dell’uomo decaduto.
I documenti preparatori del Sinodo parlano di «inclusione» e di «camminare insieme». Ma verso cosa?
- Verso l’accettazione delle relazioni omosessuali
- Verso le benedizioni per i divorziati risposati
- Verso l’inversione del sacerdozio maschile attraverso una spinta verso il diaconato femminile
- Verso la soppressione della Messa latina tradizionale, nell’illusione che sia una minaccia all’unità
Questa non è sensibilità pastorale. Questa è sovversione spirituale. Come ha ammonito il cardinale Raymond Burke: «L’idea che la dottrina della Chiesa debba conformarsi alle voci dei fedeli è un grave errore» (Intervista al cardinale Raymond Burke, The Wanderer, luglio 2023).
La Chiesa non è una democrazia. È una monarchia, con Cristo come Re.
«Un nuovo modo di essere Chiesa»: questa frase ricorre ripetutamente nei documenti del Sinodo. Ma un nuovo modo implica che il vecchio sia rotto. Questo è falso. La Chiesa fondata da Cristo non è rotta. I suoi traditori sono rotti. I suoi lupi sono ciechi.
Papa Leone XIII ci ha ricordato: «Niente vi può essere di più pericoloso di questi eretici, i quali, mentre percorrono il tutto (della dottrina) senza errori, con una sola parola, come con una stilla di veleno, infettano la pura e schietta fede della divina e dell’apostolica tradizione» (Papa Leone XIII, Satis Cognitum, 29 giugno 1896).
E i rivoluzionari sinodali di oggi incarnano perfettamente questo monito. Nel documento di lavoro del Sinodo, al paragrafo 60, si legge: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto… pronta a lasciarsi interrogare dai discorsi del nostro tempo» (Instrumentum Laboris per il Sinodo sulla sinodalità, 2023).
Ma il Vangelo non è messo in discussione dal mondo. È lui che interroga il mondo.
I santi non ascoltavano i tempi, ma li incitavano a gran voce. Santa Caterina da Siena, la grande riformatrice del papato, scrisse una volta: «Proclamate la verità e non tacete per paura» (Lettera a Papa Gregorio XI, 1376).
E ora restiamo in silenzio, in nome del dialogo.
Il cammino sinodale è lastricato del linguaggio dell’inclusione, ma conduce all’esclusione: esclusione della Tradizione, del sacrificio, della verità oggettiva.
I suoi artefici invocano il «discernimento spirituale», ma rifiutano ogni assoluto morale insegnato da Cristo. I suoi apologeti invocano «unità», ma dividono il gregge alienando i fedeli cattolici.
- Le autorità della Chiesa ci dicono:
- Che la Chiesa deve ascoltare il popolo più che annunciare
- Questa dottrina deve svilupparsi assorbendo la voce della cultura
- Che la liturgia debba evolversi per adattarsi alle espressioni ecologiche e indigene
- Questo non è cattolicesimo. È relativismo clericalizzato.
E gli Apostoli stessi ci danno l’antidoto: «Bisogna ubbidire a Dio più che agli uomini» (At 5,29).
«Gesù Cristo è il medesimo ieri e oggi, ed è anche per i secoli. Non lasciatevi trascinare da dottrine diverse e forestiere» (Eb 13, 8-9).
Strane dottrine provengono ora da strane labbra – in collari romani.
Mentre il Sinodo procede, calpesta ciò che ha nutrito i santi:
- La Messa dei Secoli è etichettata come divisiva
- L’insegnamento chiaro sul peccato sessuale è definito spietato
- Il sacerdozio di Cristo si riduce a burocrazia
- E il Rosario e l’Adorazione Eucaristica sono appena menzionati
- Questo non è un rinnovamento. È una demolizione controllata.
Ma il Signore non si lascia beffare. Egli vede. Egli attende. E purificherà il Suo Tempio.
Sant’Atanasio una volta dichiarò durante l’eresia ariana: «loro hanno gli edifici, ma noi abbiamo la fede» (Sant’Atanasio, Lettera al suo gregge durante la crisi ariana).
E oggi, nonostante i lupi sinodali occupino le aule di Roma, la Fede rimane ovunque Cristo sia adorato, ovunque la Beata Vergine Maria sia onorata, ovunque il Catechismo sia insegnato con chiarezza e coraggio.
E la nostra missione rimane la stessa:
Stare in piedi.
Per parlare.
Per restare fedeli.
Perché, come scrisse San Paolo a Timoteo: «atti araldo della parola divina, insisti a tempo opportuno e anche non opportuno, confuta, sgrida, esorta, con grande pazienza e voglia d’insegnare. Poiché vi sarà un tempo che non sopporteranno la sana dottrina» (2 Tm 4,2-3).
Quel momento è adesso.
Nella terza parte, passeremo dagli avvertimenti alle armi. Armi spirituali. Illustreremo come i fedeli possano resistere a questa rivoluzione – non con l’amarezza, ma con il Santo Rosario, la riparazione eucaristica, gli atti di fedeltà e il coraggio dei santi.
Non siamo orfani.
Siamo soldati di Cristo.
E le porte dell’inferno non prevarranno.
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Parte III: Le armi dei fedeli
Abbiamo chiamato i lupi. Abbiamo smascherato l’assedio sinodale. Ora dobbiamo combattere – non con rabbia, non con ribellione, ma con verità, sacrificio e amore radicato in Cristo.
Questa è l’ora della battaglia. Non contro gli uomini, ma contro l’oscurità – dentro di noi, dentro la nostra Chiesa, dentro questa mascherata sinodale che ammanta l’eresia con le vesti della misericordia.
È tempo di impugnare le armi dei fedeli. Armi spirituali che i santi hanno brandito, i martiri hanno abbracciato e che la Madonna ha posto nelle nostre mani.
1. Il Santo Rosario
Quando la Madonna apparve a Fatima nel 1917, diede un comando chiaro: «Pregate il Rosario ogni giorno, per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra».
Suor Lucia di Fatima disse in seguito: «Non c’è problema, vi dico, per quanto difficile sia… che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario».
Questa non è una devozione da poco. Questa è una fionda nelle mani dei nuovi Davide.
Mentre i lupi si radunano alle porte e i documenti sinodali si riversano come inchiostro avvelenato in tutto il mondo, noi rispondiamo con il rosario in mano, con le Ave Maria sussurrate da vecchi e giovani, in latino e in inglese, nelle case e sui campi di battaglia.
2. La Santa Eucaristia
Questa è l’ora della riparazione eucaristica. Dobbiamo piangere presso il tabernacolo. Dobbiamo inginocchiarci dove tanti ora camminano con noncuranza. Dobbiamo offrirgli amore dove è più ferito.
San Padre Pio disse: «sarebbe più facile per il mondo sopravvivere senza il sole che senza il Santo Sacrificio della Messa».
E tuttavia cosa ha fatto il Sinodo?
- Soppressione della messa latina
- Adorazione eucaristica emarginata
- Sostituzione dello stupore con l’applauso
Dobbiamo quindi rivolgerci a Lui – frequentemente, con riverenza e con la riparazione nel cuore. Ogni Ora Santa è un colpo alla rivoluzione sinodale. Ogni sussurrato “Mio Signore e mio Dio” è uno scudo per la Chiesa.
«Gustate e vedete com’è soave il Signore: beato l’uomo che spera [e si rifugia] in lui» (Sal 33, 9).
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3. Digiuno e penitenza
I demoni che affrontiamo non sono solo ideologici. Sono infernali. E Nostro Signore ci ha detto chiaramente: «Cotesta specie di demoni non può essere altrimenti scacciata se non per mezzo della preghiera e del digiuno» (Mc 9,28).
I lupi si nutrono di lusso, di conferenze, di applausi. Digiuniamo – per la gloria di Cristo e la purificazione della Sua Chiesa.
Imita Ninive. Imita San Francesco. Imita la Madonna Addolorata.
Facciamo dei Venerdì di riparazione una norma nella nostra vita. Usiamo i Primi Sabati, frequentiamo le visite al Santissimo Sacramento e offriamo sacrifici che nessuno vede.
Nostro Signore vede.
E il Cuore Immacolato di Maria attende la nostra risposta.
4. Discorso chiaro
Non dobbiamo restare in silenzio. Non ora.
San Tommaso d’Aquino insegna: «È meglio essere gettati nel mare con una macina da mulino al collo, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (cfr Summa Theologiae; basato su Lc 17,2).
Stiamo assistendo a missioni scandalizzate da pastori in vesti sinodali: confusi, manipolati, ingannati.
Quindi dobbiamo parlare chiaramente:
- Le benedizioni tra persone dello stesso sesso sono una bestemmia.
- Maschio e femmina li creò.
- La messa in latino non è una minaccia: è un tesoro.
- La misericordia senza pentimento è una menzogna.
Papa San Pio X tuonava: «i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti» (Notre Charge Apostolique, 25 agosto 1970).
Se ci chiamano rigidi, così sia. La verità è rigida. E la spina dorsale dei santi era tenuta rigida dalla grazia di Dio.
Ci chiamino pure farisei, fondamentalisti, reliquie di un’epoca passata. Siamo reliquie, perché siamo eredi. Non siamo pezzi da museo: siamo i custodi del tesoro.
5. Comunità fedeli
Questa battaglia non si vincerà da soli. Dobbiamo formare comunità forti: famiglie, parrocchie, apostolati, scuole cattoliche e fattorie.
Si facciano processioni eucaristiche per le strade.
Che in ogni casa ci siano altari mariani.
I genitori cattolici devono essere prima di tutto cattolici e non mondani.
Lasciamo che i nostri figli siano catechizzati dai santi, non dagli schermi.
San Giovanni Bosco diceva: «solo due cose possono salvarci in questa crisi presente: la devozione a Maria e la Comunione frequente» (San Giovanni Bosco, Lettere ai giovani).
Mio amato gregge, non siamo nati per la comodità. Siamo nati per combattere. I lupi indossano paramenti sacri. Il sinodo parla con eresia mielata. Ma Cristo regna ancora.
Il suo Sacro Cuore batte ancora.
Il Cuore Immacolato trionfa ancora.
E la verità è sempre vera: immutata e immutabile.
«Gesù Cristo è il medesimo ieri e oggi, ed è anche per i secoli» (Eb 13,8).
In sintesi, con la voce di un pastore, vi dico questo:
NON LASCIARE LA CHIESA.
Non scappare dalla battaglia.
Mettiti sulla breccia.
Inginocchiarsi in adorazione.
Prega con le lacrime.
Parla senza paura.
E combatti con amore.
I lupi esistono davvero.
Ma l’Agnello è sul trono.
E le porte dell’inferno non prevarranno.
Rimani fedele.
Restate vigili.
E rimanete nel Cuore di Cristo.
Che Dio Onnipotente vi benedica, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
+ Joseph E. Strickland
Vescovo emerito di Tyler, Texas
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Spirito
Arcivescovo nomina cancelliere il sacerdote condannato per lo stupro di un ragazzino

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Ambiente
Leone XIV avverte che «il mondo sta bruciando» a causa del «riscaldamento globale» alla prima messa per la «cura del creato»

Leone XIV ha celebrato oggi la nuova «Messa per la cura del creato», che segna il primo utilizzo dei testi liturgici da lui approvati alcune settimane fa.
Ieri mattina, riunita nei giardini di Castel Gandolfo solo una piccola congregazione, Leone ha celebrato la Messa votiva «per la cura del creato» con un gruppo ristretto di prelati tra cui l’arcivescovo Vittorio Viola, segretario della Congregazione per il Culto Divino, l’ufficio vaticano principalmente responsabile dei testi della Messa. Era presente anche l’arcivescovo John Joseph Kennedy, responsabile della sezione disciplinare del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Annunciato il 30 giugno, il testo della Messa è stato svelato in una conferenza stampa il 3 luglio. È stato aggiunto alle Messe «pro variis necessitatibus vel ad diversa», o Messe votive, del Messale Romano.
Approvato da Papa Leone l’8 giugno, si ritiene che il testo della Messa fosse in lavorazione da tempo sotto papa Francesco e che la sua promulgazione coincidesse con il decimo anniversario dell’enciclica di Francesco sui cambiamenti climatici, Laudato Si’.
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Citando l’enciclica, un decreto che promulgava i nuovi testi della Messa affermava che il Dicastero per il Culto Divino aveva «considerato opportuno» istituire il nuovo formulario della Messa poiché «in questo tempo appare evidente che l’opera della creazione è seriamente minacciata a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha affidato alla nostra cura (cfr. Laudato si’ n. 2)»
Presentando i testi la scorsa settimana, il cardinale gesuita Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che ha la supervisione sulle questioni climatiche, ha rivelato che il nuovo formulario è giunto «in risposta alle richieste suggerite dalla Laudato si’». Ha affermato che negli ultimi decenni, la Chiesa ha «continuamente affermato la “responsabilità reciproca tra gli esseri umani e la natura” (LS 67)», e ha chiesto che le nuove preghiere della Messa possano «aiutarci a imparare come prenderci cura del creato che è sempre presente nella liturgia cattolica».
I testi in sé sono meno incendiari di quanto ci si aspettasse, soprattutto se si considera il linguaggio spesso stridente e incentrato sul clima utilizzato sotto Francesco. Significativa anche la location della Messa odierna, che si è svolta nei giardini papali adibiti al centro «Borgo Laudato Si’» a Castel Gandolfo, nato dall’enciclica e con l’obiettivo di promuovere gli ideali del testo.
«Carissimi fratelli e sorelle, il Borgo Laudato si’, nel quale ci troviamo, vuole essere, per intuizione di papa Francesco, un “laboratorio” nel quale vivere quell’armonia con il creato che è per noi guarigione e riconciliazione, elaborando modalità nuove ed efficaci di custodire la natura a noi affidata» ha detto Leone. «A voi, che vi dedicate con impegno a realizzare questo progetto, assicuro perciò la mia preghiera e il mio incoraggiamento».
Pronunciando l’omelia, composta da un testo preparato e da commenti iniziali improvvisati, Leo ha affermato che gli scritti di Bergogliosono ancora attuali: «un mondo che brucia, sia per il surriscaldamento terrestre sia per i conflitti armati, che rendono tanto attuale il messaggio di Papa Francesco nelle sue Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti».
«Solo uno sguardo contemplativo può cambiare la nostra relazione con le cose create e farci uscire dalla crisi ecologica che ha come causa la rottura delle relazioni con Dio, con il prossimo e con la terra, a motivo del peccato». Il riferimento del papa è qui alla Laudato si’ al paragrafo 66.
Leo ha anche sottolineato la necessità di «conversione» per coloro che non danno ancora priorità «all’urgenza di prendersi cura della nostra casa comune».
«All’inizio della Messa abbiamo pregato per la conversione, la nostra conversione. Vorrei aggiungere che dobbiamo pregare per la conversione di tante persone, dentro e fuori della Chiesa, che ancora non riconoscono l’urgenza di curare la casa comune».
«Tanti disastri naturali che ancora vediamo nel mondo, quasi tutti i giorni in tanti luoghi, in tanti Paesi, sono in parte causati anche dagli eccessi dell’essere umano, col suo stile di vita. Perciò dobbiamo chiederci se noi stessi stiamo vivendo o no quella conversione: quanto ce n’è bisogno!»
I commenti del papa sono notevoli per due motivi, nota LifeSite: in primo luogo, perché ha deciso di fare un discorso improvvisato prima dell’omelia preparata, cosa che non ha ancora fatto, ma anche per la severità del linguaggio che ha utilizzato nel riferirsi alle questioni del cambiamento climatico, ovvero «un mondo che brucia … a causa del riscaldamento globale».
Nei precedenti messaggi sul clima, come quello per la prossima giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, Leone XIII ha adottato un tono diverso da quello del predecessore, esortando a uno stile cattolico di cura ordinata del creato e allontanandosi dalla fraseologia spesso iperbolica di Francesco in merito al presunto cambiamento climatico.
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Dopo molti anni di retorica allarmistica sul clima da parte del defunto pontefice, nel 2022 il Vaticano ha ufficialmente aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e all’Accordo di Parigi sul clima. Francesco ha difeso la controversa decisione, affermando che «la sorella Madre Terra geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione».
Una promozione così degna di nota e continua dell’Accordo di Parigi, che è alla base della maggior parte dell’attuale agenda sui «cambiamenti climatici», è avvenuta nonostante i principi fondamentalmente pro-aborto dell’accordo siano collegati all’obiettivo dichiarato delle Nazioni Unite di creare un «diritto» universale all’aborto, in linea con l’Obiettivo n. 5.6 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’organizzazione.
Le prime incursioni di Leone XIII nel tema delle questioni climatiche in veste di Papa hanno finora lasciato intendere che adotterà un tono più delicato, sebbene la messa di «custodia del creato» rappresenti un punto di riferimento alternativo per il futuro.
Ad ogni modo, gli atti pubblici del nuovo pontefice non danno segni di disconoscimento riguardo l’impostura climatica, uno dei capisaldi, assieme alle migrazioni di massa, al sincretismo e alle aperture all’omotransessualismo, dell’opera distruttiva di papa Francesco.
Al contempo, notiamo come dopo la Messa in rito maya ora abbiamo anche una nuova messa eco-friendly: l’unica Messa che non pare consentita è la Messa di sempre, la Messa della tradizione, la Messa tridentina, detta impropriamente «Messa in latino», che per secoli ha retto la Civiltà Cristiana.
Non è che chi neghi la messa tradizionale stia cercando, esattamente, di distruggerla, la Civiltà Cristiana?
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