Persecuzioni
Metropolita ortodosso ucraino condannato a 5 anni di prigione dal regime Zelens’kyj
Un gerarca della Chiesa canonica ortodossa ucraina è stato condannato a 5 anni di reclusione e alla confisca dei beni per vari presunti reati contro lo Stato ucraino. Lo riporta il sito Orthochristian.com.
La diocesi di Tulchin riferisce che il metropolita Gionata di Tulchin è stato condannato oggi dal tribunale di Vinnitsa, città dell’ucraina centro-occidentale.
Il metropolita Gionata, invece, sarà tenuto agli arresti domiciliari notturni fino all’entrata in vigore del verdetto. Il religioso ha ripetutamente negato tutte le accuse contro di lui e presenterà ricorso «contro il verdetto chiaramente illegale del tribunale della città di Vinnitsa».
Il metropolita della Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC) è stato giudicato colpevole di reati ai sensi di quattro articoli del codice penale: giustificazione, riconoscimento come legittimo, negazione dell’aggressione armata della Federazione Russa contro l’Ucraina; glorificazione dei suoi partecipanti; azioni volte a modificare o rovesciare con la forza l’ordine costituzionale o ad impadronirsi del potere statale; violazione dell’integrità territoriale e inviolabilità dell’Ucraina, distribuzione di materiali che richiedono la modifica dei confini del territorio e del confine di stato dell’Ucraina; violazione della parità di diritti dei cittadini a seconda della loro razza, nazionalità, affiliazione regionale, credenze religiose, disabilità e altri motivi.
«La persecuzione statale del metropolita Gionata va avanti già da quasi un anno, a partire dalla perquisizione della sua abitazione lo scorso ottobre, durante la quale il servizio di sicurezza ucraino afferma di aver trovato volantini “pro-Cremlino”» scrive Orthochristian.
Il metropolita ha dovuto subire anche un intervento a cuore aperto lo scorso novembre, nel pieno della persecuzione di Stato contro di lui.
Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse ore è stato rilasciato, dietro una cauzione di oltre 800 mila euro, Pavel, il vicegerente del monastero della Lavra di Kiev.
Come riportato da Renovatio 21, Zelens’kyj a inizio anno aveva tolto la cittadinanza a sacerdoti della Chiesa Ortodossa d’Ucraina (UOC). Vi era stato quindi un ordine di cacciata dalla cattedrale della Dormizione dell’Abbazia delle Grotte di Kiev proprio per il Natale ortodosso. Una tregua di Natale sul campo di battaglia proposta da Putin era stata sdegnosamente rifiutata da Kiev.
Il regime di Kiev si è spinto a vietare le preghiere in russo.
Il regime Zelens’kyj da mesi sostiene la repressione religiosa, annunciando nuove misure volte a vietare le istituzioni religiose ritenute avere legami con la Russia nel tentativo di salvaguardare «l’indipendenza spirituale» della nazione.
La repressione dalla chiesa ortodossa potrebbe essersi spostata a quella cattolica: come riporta Renovatio 21, un sacerdote greco-cattolico (cioè in comunione con il papa, ma di rito bizantino) della diocesi della città dell’Ucraina occidentale Uzhgorod è stato costretto a scusarsi dopo un’omelia in cui invocava il Signore per avere la pace tra il popolo russo e quello ucraino.
Questa grave violazione religiosa non riguarda solo Kiev e la diocesi di Uzhgorod, riguarda direttamente Roma, che non dovrebbe tollerare un mondo dove non un suo sacerdote non può nemmeno pregare per la pace.
Ad oggi, forse perché impegnato in risibili, inutili e dilettantesche trattative di pace di facciata che mostrano la totale perdita di prestigio diplomatico del papato, il Vaticano tace.
Un altro presbitero abbondonato, e il Signore della pace, ancora una volta, tradito.
Immagine screenshot da YouTube
Persecuzioni
India, nuovo rapporto schiacciante sulla persecuzione dei cristiani
Secondo un rapporto pubblicato il 4 novembre 2025 dall’ONG United Christian Forum (UCF), gli attacchi contro i cristiani in India sono aumentati di oltre il 500% in un decennio. Questa escalation, che continua dall’inizio del 2025 in un contesto di quasi totale blackout mediatico, con 549 casi segnalati tra gennaio e settembre, illustra la persecuzione sistematica condotta in nome dell’ideologia indù promossa dal Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi, al potere dal 2014.
Per un Paese che si dichiara una democrazia basata sulla diversità religiosa, il rapporto del 4 novembre è un duro colpo: i cristiani indiani stanno affrontando un’ondata di violenza senza precedenti. Il numero di incidenti registrati è balzato da 139 nel 2014 a 834 nel 2024. In totale, durante questo periodo sono stati registrati 4.595 atti di violenza, che hanno colpito individui, famiglie, comunità e istituzioni. E coloro che scelgono di parlare rappresentano solo la punta dell’iceberg.
I leader religiosi e laici delle comunità cristiane non usano mezzi termini: questa violenza si è intensificata ed è diventata sistematica da quando l’attuale primo ministro, Narendra Modi, è salito al potere, il cui governo è accusato di chiudere un occhio sugli abusi degli estremisti indù. AC Michael, coordinatore nazionale dello United Christian Forum (UCF), una ONG fondata nel 2014 per difendere i diritti dei cristiani, denuncia una «crescita esponenziale e senza precedenti della violenza».
«Questi attacchi colpiscono l’intero Paese, ma solo 39 indagini di polizia sono state aperte sui 549 casi di quest’anno, il che rappresenta un tasso di impunità del 93%», ha aggiunto. Con solo il 2,3% della popolazione indiana – circa 32 milioni di persone su 1,4 miliardi – i cristiani costituiscono una minoranza vulnerabile, spesso presa di mira per la loro fede in un contesto di crescente nazionalismo indù.
Per comprendere questa impennata, dobbiamo tornare al 2014, anno in cui il BJP vinse le elezioni generali sotto la bandiera dell’hindutva, un’ideologia che promuove l’induismo come unica identità nazionale. Dodici dei ventotto stati indiani, per lo più governati dal BJP, adottarono leggi anti-conversione, ufficialmente intese a prevenire le “conversioni forzate”. In realtà, queste leggi vengono utilizzate per vessare i cristiani e altre minoranze.
Ad esempio, in Jharkhand, una legge del 2017 punisce le conversioni forzate con una multa di 50.000 rupie (circa 550 euro) e una pena detentiva fino a tre anni. Chiunque desideri convertirsi deve notificarlo alle autorità locali, specificando le ragioni e il luogo in cui si verifica; in caso contrario, rischia un procedimento penale. Le pene sono inasprite per i minori, le donne, i membri di tribù indigene o coloro che appartengono a caste inferiori (i Dalit).
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Queste leggi servono da pretesto per accuse infondate di «tattiche subdole» di proselitismo cristiano. I nazionalisti indù, raggruppati attorno al Rashtriya Swayamsevak Sangh – RSS, l’ala ideologica e dottrinale del BJP – organizzano regolarmente incursioni nei villaggi per cerimonie di «riconversione» forzata all’induismo, il «Ghar Wapsi» o ritorno a casa: un programma davvero notevole.
Geograficamente, la violenza è concentrata in cinque stati, che rappresentano quasi il 77% degli incidenti registrati: Uttar Pradesh con 1.317 attacchi, seguito da Chhattisgarh (926), Tamil Nadu (322), Karnataka (321) e Madhya Pradesh (319). In queste regioni, spesso rurali e segnate dalla povertà, i cristiani – per lo più Dalit, spesso convertiti per sfuggire al sistema delle caste – diventano capri espiatori.
Nell’Uttar Pradesh, ad esempio, personalità religiose sono state arrestate per «offesa al sentimento religioso» dopo sermoni ritenuti provocatori. Nel Chhattisgarh, interi villaggi sono assediati dalle milizie indù, costringendo le famiglie ad abiurare la propria fede sotto la minaccia di essere bruciate sul rogo o espulse.
Le conseguenze sono devastanti. Oltre alle aggressioni fisiche – percosse, incendi di chiese e stupri di gruppo – questi attacchi minano il tessuto sociale e comunitario. I bambini cristiani vengono esclusi dalle scuole, gli ospedali missionari vengono chiusi e gli aiuti governativi vengono negati ai Dalit cristiani, considerati come coloro che hanno «abbandonato» la loro casta d’origine.
Di fronte a questa crescente ondata di violenza, le comunità cristiane si stanno mobilitando. Il 29 novembre si è tenuta a Nuova Delhi una grande marcia, con partecipanti provenienti da tutto il Paese. Questa manifestazione mirava non solo a protestare contro la persecuzione in corso, ma anche a denunciare l’esclusione dei Dalit cristiani dai programmi di aiuti governativi e le crescenti minacce ai diritti dei cristiani indigeni.
«Stiamo marciando per la nostra dignità e libertà di culto, sancite dalla Costituzione indiana», ha affermato AC Michael, chiedendo una riforma delle leggi anti-conversione e una reale applicazione della giustizia.
Questa mobilitazione giunge mentre l’India, quinta economia mondiale, aspira a un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma come può, sostengono i cristiani, un Paese che tollera una tale persecuzione religiosa rivendicare una qualche autorità morale ? Questo trascura il fatto che l’economia e la geopolitica operano secondo principi sconosciuti alla ragione guidata dallo Spirito Santo.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Prime Minister’s Office, Government of India via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine ingrandita
Persecuzioni
Famosa suora croata accoltellata: possibile attacco a sfondo religioso
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Persecuzioni
Difensore dei diritti umani nigeriano: il cardinale Parolin sta «incoraggiando» gli attacchi dei musulmani contro i cristiani
Il presidente del consiglio direttivo di un’importante organizzazione nigeriana per i diritti umani ha accusato duramente il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di fornire «copertura diplomatica» ai terroristi islamici e di incoraggiare nuovi massacri di cristiani in Nigeria, sminuendo apertamente il carattere religioso del genocidio in corso nel Paese.
In un’intervista rilasciata la scorsa settimana a Crux e pubblicata il 27 novembre, Emeka Umeagbalasi, presidente della International Society for Civil Liberties and the Rule of Law (Intersociety), ha definito «devastanti» le parole di Parolin, che a ottobre aveva descritto la violenza contro i cristiani nigeriani come un semplice «conflitto sociale» e non come persecuzione religiosa, nel corso di un evento in Vaticano dedicato al Rapporto 2025 sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
«Quando il Segretario di Stato vaticano presenta la crisi come un “conflitto sociale” invece che come persecuzione religiosa, demoralizza i cattolici e gli altri cristiani nel mondo che guardano alla Chiesa come guida e sostegno», ha dichiarato Umeagbalasi. «Questa impostazione diplomatica attenua la gravità della situazione e offre copertura a chi compie la violenza».
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L’attivista ha aggiunto che minimizzare la dimensione religiosa del conflitto non solo indebolisce l’autorità morale storica della Chiesa cattolica, ma «incoraggia gli islamisti a proseguire questi attacchi feroci». «La Chiesa è sempre stata un faro di speranza e di autorità morale. Quando i suoi alti rappresentanti sembrano contraddire o attenuare dichiarazioni chiare sulla persecuzione, ciò indebolisce la posizione della Chiesa e incoraggia chi vuole continuare la violenza», ha sottolineato.
Umeagbalasi ha anche respinto l’argomentazione di Parolin secondo cui in Nigeria vengono uccisi anche musulmani: «È vero che muoiono musulmani, ma questo non cancella la natura mirata della persecuzione contro i cristiani. Le statistiche indicano che circa sette vittime su dieci per motivi religiosi sono cristiane. I musulmani uccisi lo sono generalmente da altri musulmani in Stati a maggioranza islamica come Zamfara, Sokoto o Katsina, e non certo da “jihadisti cristiani”».
Il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha inserito la Nigeria tra i 24 Paesi peggiori al mondo per persecuzione religiosa, sottolineando la combinazione di «governo autoritario ed estremismo religioso» e il ruolo della criminalità organizzata. La Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha nuovamente chiesto che Abuja venga designata «Paese di particolare preoccupazione», denunciando l’impunità di cui godono gli aggressori.
Le parole di Parolin hanno già suscitato dure reazioni anche all’interno della Chiesa. L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico in Nigeria (1992-1998), le ha definite «vergognose» e sintomo di «tradimento» verso i cattolici perseguitati.
«No, Eminenza: i Cattolici nigeriani sono uccisi in odio alla Fede che essi professano, da parte di mussulmani e in obbedienza al Corano. Quegli stessi mussulmani che stanno trasformando le vostre chiese in moschee, con la vostra vile e cortigiana complicità, e che presto rovesceranno i governi per imporre la sharia agli “infedeli”» ha scritto il prelato lombardo.
Secondo Umeagbalasi, la posizione del Segretario di Stato vaticano finisce per «rispecchiare pericolosamente la narrazione del governo nigeriano», che da anni nega che i cristiani siano presi di mira specificamente per la loro fede, nonostante l’intensificarsi degli attacchi jihadisti dopo l’introduzione della sharia in dodici Stati del nord nel 1999 e l’ascesa di Boko Haram nel 2009.
Come riportato da Renovatio 21, contrariamente al cardinale Parolin, il presidente americano Donaldo Trump ritiene che in Nigeria sia in atto una persecuzione anticristiana, che potrebbe risolvere con un’azione militare. L’ambasciatore americano all’ONU Mike Waltz ha dichiarato che la persecuzione dei cristriani nigeriani costituisce un «genocidio».
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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