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Ormoni

La plastica è ovunque, anche nel cervello

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health DefenseLe opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Gli scienziati sospettano che la contaminazione da microplastiche nel nostro cervello possa causare deterioramento cognitivo, neurotossicità e livelli alterati di neurotrasmettitori, che possono contribuire a cambiamenti comportamentali.

 

 

 

Viviamo in una società dello scarto e i prodotti destinati al consumo a breve termine sono confezionati in materiali che sopravviveranno per secoli. La plastica scartata costituisce il 18,5% delle discariche e il 90% di tutti i rifiuti che entrano negli oceani del mondo.

 

Al ritmo attuale, le stime suggeriscono che entro il 2050 nei nostri oceani il peso della plastica sarà superiore a quello dei pesci.

 

In alcune acque oceaniche, la plastica ha già superato il plancton di un fattore di 6 a 1 nel 2006.

 

Il problema con la plastica è che non si biodegrada; si fotodegrada, il che richiede centinaia di anni. I ricercatori stimano che una singola cialda di caffè in plastica possa richiedere fino a 500 anni, la durata dell’Impero Romano.

 

Anche se si rompe, non si dissolve completamente. Invece, si trasforma in minuscole particelle di plastica, comunemente denominate «nurdles» (lenticchie), che agiscono come spugne per sostanze chimiche tossiche.

 

Queste particelle vengono abitualmente consumate dai filtri alimentatori nell’oceano, avvelenandoli lentamente e causando ostruzioni.

 

Poiché questi filtri vengono consumati da creature più grandi, le tossine risalgono la catena alimentare, finendo infine nel nostro corpo.

 

Le sostanze chimiche plastiche entrano nel nostro corpo anche attraverso altre vie, tra cui l’acqua potabile.

 

La plastica nell’acqua può entrare nel tuo cervello

Come riportato dal Guardian il 1 maggio:

 

«I ricercatori dell’ Università di Vienna hanno scoperto particelle di plastica nel cervello dei topi appena due ore dopo che i topi hanno ingerito acqua potabile contenente plastica. Una volta nel cervello, «Le particelle di plastica potrebbero aumentare il rischio di infiammazione, disturbi neurologici o persino malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il Parkinson», ha dichiarato Lukas Kenner, uno dei ricercatori.

 

«I ricercatori ritengono inoltre che la contaminazione da microplastiche nel nostro cervello possa causare effetti sulla salute a breve termine come deterioramento cognitivo, neurotossicità e livelli alterati di neurotrasmettitori, che possono contribuire a cambiamenti comportamentali. Il team ha somministrato ai topi acqua mescolata con particelle di polistirolo, un tipo di plastica comune negli imballaggi per alimenti come tazze per yogurt e contenitori da asporto in polistirolo».

 

«Utilizzando modelli computerizzati per tracciare la dispersione delle materie plastiche, i ricercatori hanno scoperto che le particelle nanoplastiche — che sono inferiori a 0,001 millimetri e invisibili ad occhio nudo — erano in grado di viaggiare nel cervello dei topi attraverso un «meccanismo di trasporto» biologico precedentemente sconosciuto».

 

«Essenzialmente, queste minuscole materie plastiche vengono assorbite nelle molecole di colesterolo sulla superficie della membrana cerebrale. Così, riposti nei loro piccoli pacchetti lipidici, attraversano la barriera emato-encefalica, una parete di vasi sanguigni e tessuti che funziona per proteggere il cervello dalle tossine e da altre sostanze nocive».

 

Respiri e mangi plastica

Altri studi hanno dimostrato che anche la plastica inalata può entrare nel cervello. Ad esempio, uno studio cinese pubblicato nel gennaio 2022 ha concluso che la plastica inalata era associata a «evidente neurotossicità».

 

Più specificamente, le nanoparticelle di plastica riducevano la funzione degli enzimi cerebrali noti per il loro malfunzionamento nei pazienti affetti da Parkinson e Alzheimer. Pertanto, la plastica inalata può contribuire a far sorgere o esacerbare queste condizioni.

 

Anche la tua salute, inclusa la funzione del tuo cervello, dipende in gran parte dalla tua salute intestinale e dalla funzione dei tuoi mitocondri, e la plastica crea scompiglio anche lì.

 

Uno studio di gennaio della Finlandia ha scoperto che alte dosi di polietilene micronizzato diminuivano la vitalità cellulare e aumentavano la produzione di specie reattive all’ossigeno dannose nei mitocondri, che è dove viene prodotta la maggior parte dell’energia del corpo.

 

Come le microplastiche entrano nella carne e nel latte

Nel 2022, gli scienziati olandesi hanno confermato la presenza di microplastiche nella carne, nel latte e nel sangue sia degli animali da allevamento sia degli esseri umani.

 

In tutto, quasi l’80% della carne e dei prodotti lattiero-caseari testati è risultato contenere microplastiche, tra cui 5 su 8 campioni di carne di maiale e 18 su 25 campioni di latte.

 

Come riportato dalla Plastic Soup Foundation, che ha commissionato il test:

 

«La possibile causa potrebbe essere l’alimentazione di mucche e maiali: tutti e 12 i campioni di pellet di mangime e mangime triturato contenevano plastica» ha dichiarato Maria Westerbos, direttrice della Plastic Soup Foundation. «Questo studio solleva serie preoccupazioni sulla contaminazione della nostra catena alimentare con microplastiche».

 

«È anche chiaro che gli agricoltori non sono responsabili di questo. Sembra che almeno parte degli ex prodotti alimentari, compresi quelli provenienti dai supermercati, siano trasformati in mangimi per il bestiame con imballaggi e tutto il resto». 

 

«Il regolamento europeo sulla nutrizione animale 767/2009 vieta l’aggiunta di «imballaggi e parti di imballaggi derivati dall’uso di prodotti dell’industria alimentare». Questo regolamento dovrebbe essere applicato, secondo la Plastic Soup Foundation».

 

«Tuttavia, l’Autorità Olandese per la Sicurezza Alimentare e dei Prodotti di Consumo (NVWA) utilizza un cosiddetto Punto di Azione di Riferimento; la contaminazione inferiore allo 0,15% è tollerata».

 

L’idea stessa che gli scarti alimentari utilizzati per produrre mangimi per animali vengano lavorati con imballaggi alimentari in plastica è scioccante oltre ogni immaginazione.

 

Quale persona sana di mente penserebbe di fare una cosa del genere? Eppure, a quanto pare, è proprio quanto sta accadendo ed è abbastanza comune che l’Unione europea abbia regolamenti per questo.

 

Le microplastiche si trovano ovunque

Nello studio di cui sopra, il 100% dei suini e delle mucche presentava microplastiche nel sangue.

 

Nell’uomo, particelle di plastica sono state trovate nel sangue del 77% delle persone testate. La concentrazione media di particelle di plastica nel sangue era di 1,6 µg/ml.

 

Alcuni dei campioni di sangue contenevano fino a tre diversi tipi di plastica; sono stati utilizzati aghi per siringhe in acciaio e tubi di vetro in modo da non introdurre plastica nei campioni.

 

Dei 17 campioni in cui sono state rilevate particelle di plastica:

 

  • La metà conteneva plastica PET (polietilene tereftalato), utilizzata per produrre bottiglie di plastica per acqua e bibite.
  • Un terzo conteneva polistirolo, ampiamente utilizzato nel packaging alimentare.
  • Un quarto conteneva polietilene, utilizzato per realizzare sacchetti di plastica.

 

Studi precedenti hanno anche rilevato particelle di plastica micronizzate nelle feci umane e nel tessuto placentare, quindi abbiamo la certezza che la plastica sta migrando in tutto il corpo umano. In modo inquietante, i bambini presentano fino a 10 volte più plastica nelle loro feci rispetto agli adulti.

 

Studi su animali hanno anche confermato la dispersione e l’accumulo di plastica all’interno del corpo.

 

Ad esempio, in uno studio, i ratti gravidi sono stati esposti, attraverso i polmoni, a sfere di nanopolistirene da 20 nm.

 

Ventiquattro ore dopo, le particelle sono state trovate nel polmone, nel cuore, nella milza e nella placenta della madre, nonché nel fegato, nei polmoni, nel cuore, nei reni e nel cervello del feto.

 

Gli effetti di questa esposizione in utero includevano riduzione del peso fetale e placentare, disfunzione coronarica, perturbazioni vascolari, esiti negativi sulla salute riproduttiva e disfunzione neurologica nella prole.

 

C’è qualche ragione per credere che lo stesso non sia vero per i bambini umani?

 

Consumi più plastica di quanto pensi

Secondo una ricerca australiana, la persona media consuma circa 5 grammi di plastica a settimana — circa la quantità trovata in una carta di credito — quindi non stiamo nemmeno più parlando di quantità minuscole.

 

Chiaramente, il potenziale di conseguenze biologiche catastrofiche per gli esseri umani sta crescendo con ogni pezzo di plastica scartato.

 

Molte sostanze chimiche plastificanti hanno una struttura simile agli ormoni naturali come l’ormone sessuale femminile estrogeno, l’ormone sessuale maschile androgeno e gli ormoni tiroidei.

 

In quanto tali, interferiscono con lo sviluppola riproduzione, il funzionamento neurologico, il metabolismo, la sazietà e la funzione immunitaria e, per molte di queste sostanze chimiche, potrebbe non esserci un livello di esposizione sicuro.

 

Il bisfenolo-A, ad esempio, è noto per interrompere lo sviluppo embrionale ed è stato collegato a malattie cardiache e cancro. Gli ftalati rendono irregolare l’espressione genica e possono scatenare malattie cardiache e anomalie genitali — soprattutto nei neonati — che possono tramandarsi per diverse generazioni.

 

Il DEHP (dietilesil ftalato) è associato a una riduzione del numero di spermatozoi e a danni multipli agli organi.

 

DARPA chiede più plastica nell’approvvigionamento alimentare

Come se la situazione non fosse abbastanza grave, nel settembre 2020, la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) degli Stati Uniti ha assegnato all’Iowa State University e ai suoi partner una sovvenzione di 2,7 milioni di dollari per creare un processo che creerebbe il cibo da rifiuti di plastica e carta!

 

L’intenzione è di usarlo per nutrire i militari, uomini e donne, che hanno dedicato la loro vita alla difesa di questo Paese.

 

Ritengono che la capacità di trasformare i prodotti di scarto di carta e plastica in materiali di consumo potrebbe aiutare con il «nutrimento» a breve termine e migliorare la logistica militare per missioni estese.

 

Stimano che il premio totale potrebbe raggiungere i 7,8 milioni di dollari prima della fine del progetto. Altri partner di questo progetto includono l’Università del Delaware, i Sandia National Laboratories e l’American Institute of Chemical Engineering/RAPID Institute.

 

Fondamentalmente, quello che stanno cercando di fare è convertire i rifiuti di plastica in alcoli grassi e acidi grassi, mentre i rifiuti di carta verranno trasformati in zucchero. Questi ingredienti di base verranno quindi bioprocessati da organismi unicellulari in una massa, presumibilmente commestibile, ricca di proteine e vitamine.

 

In altre parole, la speranza è che i microrganismi possano convertire le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino presenti nella plastica in vitamine e proteine essenziali.

 

Non so voi, ma questa sembra un’idea terribile. DARPA ha anche assegnato ai ricercatori del Michigan Tech 7,2 milioni di dollari per trasformare i rifiuti di plastica in proteine in polvere, sempre utilizzando microrganismi.

 

Mentre DARPA si sta presumibilmente concentrando sulla trasformazione di materie plastiche tossiche in «cibo» per l’esercito americano, considerando che ora siamo in un’era in cui la carne sintetica creata in laboratorio è ritenuta migliore rispetto alla carne vera allevata in modo rigenerativo, non è inverosimile immaginare che il prossimo passo sarà l’estensione a tutti del cibo derivato dalla plastica.

 

Il riciclaggio della plastica è sempre stato una frode,

 

Uno dei punti di forza che ha fatto appassionare il mondo alla plastica è l’affermazione che potesse essere riciclata.

 

Come riportato da NPR a settembre 2020:

 

«Laura Leebrick, manager di Rogue Disposal & Recycling nell’Oregon meridionale, è in piedi alla fine della sua discarica a guardare una valanga di rifiuti di plastica riversarsi da un semirimorchio … Nessuna di queste plastiche verrà trasformata in nuovi oggetti di plastica. Tutto è sepolto».

 

«Ma quando Leebrick ha cercato di dire la verità alla gente… la gente non ha voluto sentirla. “Ricordo la prima riunione in cui dissi a un consiglio comunale che riciclare costava più che smaltire lo stesso materiale della spazzatura”, dice, “ed era come se nella stanza fosse stata pronunciata un’eresia: stai mentendo. È oro puro. Ci prendiamo il tempo per pulirlo, togliere le etichette, separarlo e metterlo qui. È oro! Questo è prezioso”».

 

«Ma non è prezioso, e non lo è mai stato. E per di più, i produttori di plastica — le più grandi compagnie petrolifere e di gas della nazione — lo sanno da sempre».

 

«NPR e PBS Frontline hanno trascorso mesi a scavare nei documenti interni del settore e a intervistare i migliori ex funzionari. Abbiamo scoperto che l’industria vendeva al pubblico un’idea che sapeva non avrebbe funzionato — che la maggior parte della plastica poteva essere, e sarebbe stata, riciclata — il tutto mentre guadagnava miliardi di dollari vendendo al mondo nuova plastica».

 

«L’industria ha speso milioni per dire alle persone di riciclare, perché, come ha detto a NPR un ex esperto del settore, vendere il riciclaggio faceva vendere plastica, anche se non era vero … I documenti mostrano che i funzionari del settore conoscevano questa realtà sul riciclaggio della plastica fin dagli anni ’70».

 

La propaganda ha erroneamente indotto i consumatori ad accettare la plastica

Sin dai primi giorni del riciclaggio, meno del 10% della plastica prodotta è stata riciclata, ma non lo sapremmo sulla base di ciò che l’industria ha detto a causa delle loro campagne di propaganda altamente efficaci basate sulla frode assoluta.

 

Alla fine degli anni ’80, la realtà dei rifiuti di plastica stava diventando nota e il pubblico stava esprimendo preoccupazioni per l’impatto ambientale. I legislatori stavano valutando la possibilità di vietare l’uso della plastica.

 

L’industria della plastica era in subbuglio, cercando di capire come rimanere in attività poiché la plastica stava avendo una brutta reputazione.

 

La soluzione che hanno escogitato è stata, come al solito, la propaganda. Nel 1989, l’industria della plastica ha lanciato una campagna pubblicitaria da 50 milioni di dollari all’anno per promuoverne i presunti benefici.

 

Nello stesso anno, l’industria ha anche lanciato diversi progetti di riciclaggio. «Ha finanziato macchine di smistamento, centri di riciclaggio, organizzazioni non profit, persino costose panchine al di fuori dei negozi di alimentari fatte di sacchetti di plastica», scrive NPR, ma a metà degli anni ’90 tutti questi progetti erano falliti e sono cessati a causa dell’economia.

 

Il riciclaggio era semplicemente troppo costoso. È molto più economico produrre cose nuove e seppellire quelle vecchie. Nel corso del tempo, la preoccupazione del pubblico si acquietò e svanì. Secondo un funzionario del gruppo commerciale, sembrava che «il messaggio che la plastica potesse essere riciclata stesse affondando». La crisi del settore è passata.

 

I codici di riciclaggio sono diventati un ausilio per il greenwashing

All’inizio degli anni ’90, l’industria ha iniziato a fare pressioni sugli stati per imporre simboli di riciclaggio su tutti i prodotti in plastica.

 

Gli ambientalisti che hanno sostenuto questo piano avevano l’impressione che avrebbe aiutato i consumatori a separare la plastica, rendendo così il riciclaggio un po’ più conveniente.

 

Esistono centinaia di materie plastiche e non possono essere lavorate insieme. Alcune non possono essere riciclate affatto. I simboli del riciclaggio avrebbero dovuto rendere più facile la separazione, ma il risultato è stato indure i consumatori a pensare che tutta la plastica con un simbolo potesse essere riciclata, peggiorando così le cose.

 

I riciclatori si sono ritrovati con tonnellate di plastica non riciclabile. Non solo ora dovevano spendere più soldi per lo smistamento, ma sbarazzarsi della plastica non riciclabile erodeva anche i loro profitti, già trascurabili.

 

Anche se questo risultato finale potrebbe non essere stato intenzionale, l’industria delle materie plastiche era certamente consapevole di aver danneggiato l’industria del riciclaggio più di ogni altra cosa.

 

In un rapporto del 1993, un gruppo di pressione di Washington, DC, ammise categoricamente che i codici venivano utilizzati in modo improprio. «Le aziende lo utilizzano come strumento di marketing “verde”», afferma il rapporto.

 

In breve, l’industria sapeva che i codici stampati sul fondo avrebbero indotto i consumatori a pensare che tutta la plastica fosse riciclabile, poiché praticamente nessuno si prendeva il tempo di memorizzare ogni codice.

 

Riduci la tua dipendenza dalla plastica

Può essere straordinariamente difficile evitare la plastica, considerando che la maggior parte degli alimenti e dei beni di consumo sono racchiusi in imballaggi di plastica. Tuttavia, puoi sicuramente ridurre al minimo la tua dipendenza da questi prodotti.

 

Ad esempio, prova a

  • Optare per prodotti venduti in contenitori di vetro piuttosto che di plastica quando possibile.
  • Ricercare alternative prive di plastica a oggetti comuni come giocattoli e spazzolini da denti.
  • Prediligere il riutilizzabile rispetto al monouso — Questo include rasoi non monouso, prodotti per l’igiene femminile lavabili per donne, pannolini di stoffa, bottiglie di vetro per le tue bevande, sacchetti della spesa di stoffa, fazzoletti di stoffa invece di fazzoletti di carta e utilizzo di una vecchia maglietta o stracci al posto di tovaglioli di carta.
  • Bere acqua di rubinetto filtrata piuttosto che acqua in bottiglia e portare le proprie bottiglie riutilizzabili quando si esce.
  • Acquistare contenitori per alimenti in vetro piuttosto che in plastica.
  • Portare le proprie borse della spesa in tessuto riutilizzabili.
  • Portare il tuo piatto di vetro per gli avanzi quando mangi fuori.
  • Eliminare le posate di plastica e usare le tue posate quando acquisti cibo da asporto.

 

 

 

Pubblicato originariamente da Mercola.

 

 

© 11 maggio 2023, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni di Children’s Health Defense.

 

Traduzione di Alessandra Boni

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni

 

 

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Big Pharma

Approvato psicofarmaco per la depressione post-parto: prosegue la medicalizzazione di ogni aspetto della vita

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La prima pillola per curare la depressione post-gravidanza sarà presto disponibile, dopo che l’ente regolatorio americano per i farmaci Food and Drug Administration (FDA) ha dato ieri la sua approvazione.

 

Sage Therapeutics e il suo partner Biogen hanno in programma di iniziare a vendere la pillola, che sarà commercializzata con il marchio Zurzuvae, entro la fine di quest’anno.

 

I dati degli studi clinici mostrano che la pillola funziona avrebbero un effetto molto rapido, iniziando ad alleviare la depressione in appena tre giorni, una velocità considerabile significativamente maggiore di quella degli antidepressivi generici, che possono richiedere diverse settimane per avere effetto.

 

Le pazienti potrebbero quindi essere attratte, oltre che dalla rapidità di azione, anche dal fatto che la droga psichiatrica verrebbe assunta solo per due settimane, non per mesi, scrive il New York Times citando esperti di salute mentale.

 

La pillola, chiamata zuranolone, che sarà commercializzata con il marchio Zurzuvae, è stata sviluppata da Sage Therapeutics, una società del Massachusetts che la produce in collaborazione con Biogen. Dovrebbe essere disponibile dopo che la Drug Enforcement Administration avrà completato una revisione di 90 giorni richiesta per i farmaci che colpiscono il sistema nervoso centrale, ha detto Sage. Le aziende non hanno annunciato un prezzo per la pillola.

 

L’unico altro farmaco approvato per la depressione post-partum è il brexanolone, anch’esso sviluppato da Sage e commercializzato come Zulresso. Ma il brexanolone, approvato nel 2019, richiede un’infusione endovenosa di 60 ore in un ospedale, comporta rischi di perdita di coscienza ed ha un costo 34.000 dollari. Sage afferma che finora solo circa 1.000 pazienti l’hanno ricevuto.

 

Il nuovo farmaco si presente come più versatile, in quanto assumere la pasticca per due settimane è molto più facile e non richiede a una madre di lasciare il suo bambino per diversi giorni.

 

La FDA, ad ogni modo, avrebbe richiesto che l’etichetta del farmaco includa avvertimenti su possibili pensieri e comportamenti suicidari, sonnolenza e confusione – insomma i classici possibili effetti collaterali degli psicofarmaci, che vanno presi per non suicidarsi ma poi, per ammissione dei bugiardini, potrebbero portarti a toglierti la vita.

 

L’etichetta del nuovo farmaco includerà anche un cosiddetto «Black Box Warning» («avvertimento scatola nera»), cioè una avvertenza di possibili reazioni avverse molto evidenziata – e per questo molto temuta dalle società farmaceutiche – secondo cui le pazienti non devono guidare o utilizzare macchinari pesanti per almeno 12 ore dopo l’assunzione della pillola antidepressione post-partum.

 

Il farmaco inoltre, specifica l’agenzia, dovrebbe essere assunta la sera «con un pasto grasso». I principali effetti collaterali di Zurzuvae sono stati sonnolenza e vertigini.

 

L’articolo del New York Times contiene improvvisi lampi di realtà, nemmeno dissimulati. Parlando dell’esperimento che avrebbe visto una risposta al farmaco nel 72% delle pazienti, scrive che tuttavia «anche la depressione è migliorata nelle donne che hanno ricevuto il placebo, un fenomeno comune negli studi sui trattamenti per la depressione, forse perché l’interazione con le équipe mediche in una sperimentazione è di per sé utile». In pratica, le donne possono guarire velocemente solo grazie a rapporti umani: ma perché mai indagare questo fenomeno, se è possibile vendere farmaci che alterano il cervello?

 

Il nuovo farmaco è basato su una versione sintetica di un neurosteroide –un  ormone cerebrale – chiamato allopregnanolone, che è prodotto dal progesterone e aiuta a regolare un neurotrasmettitore correlato all’umore.

 

La pillola non è raccomandata fino a dopo il parto perché opera su un percorso ormonale e non è stata testata nelle donne in gravidanza. L’etichetta avvertirà che il farmaco potrebbe causare danni al feto e consiglierà alle donne di usare la contraccezione durante l’assunzione della pillola e per una settimana dopo.

 

Parimenti, la pillola non è stata testata nelle donne che allattavano i loro bambini: un dettaglio non da poco per un farmaco che va assunto esattamente al momento dell’allattamento. Viene quindi suggerito alle donne di pompare il latte per le due settimane in cui intendono assumere Zurzuvae e riprendere l’allattamento in seguito.

 

Anche il momento più magico e naturale della vita, immortalato nei secoli pure dall’arte sacra, la madre che allatta il bambino, viene quindi interrotto dalla dai commerci della farmaceutica con il «consenso» dei suoi dottori.

 

Un tempo si parlava di «disease mongering», cioè di «mercificazione della malattia», la tendenza di Big Pharma, registrata nei decenni, ad esagerare la gravità di malanni per vendere sempre più farmaci. Ci si rifa, in genere, ad un’affermazione fatta alla rivista Fortune nel 1977 dal direttore generale dal colosso di Big Pharma Merck Henry Gadsen: «Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque».

 

Ora siamo ben oltre: siamo alla medicalizzazione di ogni momento nella vita, perfino il più sacro. E non si fermeranno lì.

 

Come riportato da Renovatio 21, nell’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, abbreviato in genere in DSM – la «bibbia» della psichiatria – presenta un disturbo nuovo di zecca: il lutto eccessivo per una persona cara defunta. È come cureranno questi eccessi di lutto? Beh, chiaro: con le psicodroghe legalizzate.

 

Il contesto profondo, tuttavia, non va sottovalutato: l’assunzione di farmaci che migliorano l’umore ma ti allontanano dal neonato va calcolata all’interno della società preda dell’utilitarismo, il principio filosofico per cui il piacere conta più di qualsiasi cosa, e per esso possono essere tributati anche sacrifici di altri più deboli (bambini, disabili, minoranze, etc.).

 

L’utilitarismo, divenuto sistema operativo di tutta la società, promette di massimizzare il piacere e quindi diminuire, se non far sparire del tutto, il dolore.

 

La promessa della vita senza il dolore è qualcosa di cui è intriso il mondo moderno, consciamente o inconsciamente. Renovatio 21 ha discusso il tema, cercando di mostrare come esso non solo porta al consumo di farmaci psichiatrici, ma spinge i giovani verso una disperazione materialmente suicida – cosa che, come sappiamo, può succedere anche proprio con l’assunzione degli psicofarmaci da prescrizione.

 

 

 

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Bioetica

L’aborto via pillola può essere chimicamente fermato: nuovo studio

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Uno studio sull’annullamento degli effetti della pillola abortiva scritto da un professore di un’università cattolica è stato accettato da una rivista accademica dopo mesi di sfide e rifiuti a causa dell’oggetto del paper. Lo riporta Lifesitenews.

 

Il dottor Stephen Sammut, un neuroscienziato che lavora come professore di psicologia presso la Franciscan University di Steubenville in Ohio, ha dichiarato al sito prolife canadese che il suo studio scientifico è stato finalmente accettato dalla rivista accademica Scientific Reports dopo essere stato rifiutato altrove durante il processo di revisione tra pari.

 

Lo studio sostiene la possibilità di utilizzare l’ormone progesterone per invertire gli effetti del mifepristone, un farmaco utilizzato per gli aborti indotti chimicamente. Sebbene sia associato a un’istituzione cattolica, il professore sostiene che la ricerca è radicata nella scienza oggettiva piuttosto che nelle convinzioni personali.

 

«I miei risultati sono importanti perché la fede non influisce sul loro risultato», ha detto Sammut a LifeSiteNews. «Sto studiando un processo chimico all’interno di un sistema fisiologico. Gli esperimenti sono condotti sui topi e nessuna quantità di acqua santa o catechesi li convertirebbe in alcuna fede».

 

Secondo Sammut, i topi «non sono nemmeno inclini all’influenza sociale o politica, né alle decisioni di alcun tribunale! Quello che mostrano i miei esperimenti è una prospettiva oggettiva, puramente fisiologica».

 

L’articolo, intitolato «Inversione mediata dal progesterone dell’interruzione della gravidanza indotta da mifepristone in un modello di ratto: un’indagine esplorativa», è stato originariamente presentato alla rivista ad accesso aperto Frontiers il 5 ottobre 2022. Sammut ha spiegato di aver raggiunto il Fase di «convalida finale» del processo di revisione prima di essere respinta dal comitato editoriale della rivista il 24 febbraio 2023.

 

Il 15 marzo, il documento è stato presentato alla rivista Scientific Reports, dove è stato accettato alla fine di giugno in seguito alla revisione paritaria, per poi essere pubblicato il 6 luglio.

 

Sammut ha spiegato che, durante il processo di revisione con Frontiers, lui e la sua assistente di ricerca Christina Camilleri hanno risposto a ciascuna delle «domande e commenti dei revisori che richiedevano una risposta». Dopo aver ipotizzato dai commenti dei revisori e dell’editore responsabile che l’articolo sarebbe stato accettato, «all’improvviso abbiamo ricevuto la notifica che il manoscritto era stato rifiutato in quanto “non soddisfaceva gli standard stabiliti affinché la rivista fosse considerata per la pubblicazione”».

 

«Questo era vago e strano poiché la questione dei manoscritti che soddisfano gli standard delle riviste viene solitamente affrontata quando l’articolo viene inviato per la prima volta», ha detto Sammut a LifeSiteNews. «Pertanto, ho chiesto alla redazione di indicare “chiaramente ed esattamente” “quali aspetti dell’articolo non si adattano alla qualità accettabile dalla rivista”».

 

Tra le obiezioni sollevate contro il paper, c’era il fatto che esso «potrebbe essere interpretato come a sostegno della nozione di un’inversione farmacologica dell’interruzione di gravidanza indotta nell’uomo, un concetto che, in linea con le recenti dichiarazioni dell’American College of Obstetrics and Gynecology negli Stati Uniti e del Royal College of Obstetrics and Gynecology nel Regno Unito non può essere supportata».

 

In pratica, si tratta di un rilievo politico e bioetico allo studio.

 

Il preciso riferimento è ad una dichiarazione congiunta rilasciata dalle suddette organizzazioni mediche in cui si affermava che non vi è «alcuna prova» che «l’uso del progesterone per invertire l’effetto del mifepristone… aumenti la probabilità di continuare la gravidanza, rispetto alla sola gestione dell’attesa».

 

Il mifepristone è un farmaco che impedisce all’ormone progesterone di produrre il suo effetto nel corpo per sostenere una gravidanza. Viene tipicamente utilizzato insieme al misoprostolo, che induce il travaglio per far nascere il bambino morto. Il trattamento di inversione della pillola abortiva consiste nell’assunzione di progesterone, il più rapidamente possibile dopo l’assunzione di mifepristone, per annullare l’impatto del farmaco mortale al fine di tentare di salvare il bambino.

 

Il dottor Matthew Harrison, uno dei pionieri della tecnica di inversione della pillola abortiva, aveva dichiarato sempre a LifeSiteNews nel 2019 che questo processo «ha un senso biologico», spiegando l’importanza di testare il processo sugli animali e ha citato uno studio che ha rilevato che la maggior parte dei cuccioli di ratto senza il trattamento è morta mentre l’80% ha sperimentato un’inversione di successo dagli effetti del mifepristone.

 

Harrison ha notato che la ricerca ha anche trovato differenze nei rivestimenti uterini all’interno dei due gruppi di ratti, il che ha confermato che «il progesterone ha sostanzialmente annullato tutti gli altri effetti della RU-486», cioè del mifepristone.

 

Un rapporto del dicembre 2022 ha anche mostrato che 4.000 bambini negli Stati Uniti sono stati salvati nell’ultimo decennio da tale processo di inversione della pillola abortiva.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2021 un medico inglese, il dottor Dermot Kearney, è stato minacciato di radiazione dall’ordine perché salvava i bambini dall’aborto chimico. Il Kearny prescriveva il progesterone, mentre, durante il lockdown, la sanità britannica aveva autorizzato l’invio per via postale del farmaco abortivo alle donne gravide.

 

In Italia l’era dell’aborto chimico fai-da-te fu annunciata, sempre in pandemia, dal ministro della Salute Roberto Speranza, che cambiò la direttiva per rendere il suo uso possibile anche senza ricovero.

 

La verità sulla pillola abortiva l’ha detta ad una convention dei conservatori americani il mese scorso l’attivista Abby Johnson, un tempo manager di una clinica per aborti, ora convertitasi alla difesa della vita umana. Le donne che prendono la pillola dell’aborto «stanno mettendo questi bambini nel water, bambini completamente formati – 12, 14, 16 settimane di gravidanza – forse hanno un’emorragia nel loro bagno, incapaci di raggiungere una struttura di pronto soccorso, guardano nella toilette e vedono il bambino loro completamente formato che galleggia lì nella water» ha dichiarato la Johnson.

 

In realtà, alla storia della Johnson manche una parte. Quel «bambino pienamente formato», una volta scaricato tirando l’acqua, finisce nelle fogne. E qui, oltre agli escrementi di altri esseri umani e ad ogni altra sozzura, troverà delle creature ben felici di incontrarlo – per divorarlo. Topi, rane, pesci… festeggiano la RU486, che tanta carne umana tenere e prelibata fa giungere loro senza che facciano alcuno sforzo, nella plastica immagine della catena alimentare ribaltata: le bestie mangiano gli esseri umani.

 

Questa è la cruda realtà dell’aborto domestico reso da ciò che il premio Nobel Jerome Lejeune definiva «il pesticida umano». Un farmaco che, ricorda il caso delle email trapelate recentemente dalla sanità britannica, può avere conseguenze mortali: si può chiedere, al di là delle statistiche e degli episodi che potete vedere negli articoli linkati, nel caso dell’attivista abortista argentina 23enne morta pochi giorni dopo aver assunto il farmaco per uccidere il figlio concepito nel suo grembo – certo, magari, anche qui, non c’è nessuna correlazione.

 

Ad aprile il mondo ha appreso che più di 200 dirigenti di Big Pharma, tra cui il CEO di Pfizer Albert Bourla, avevano firmato una lettera aperta in cui condannano la sentenza di un giudice federale americano contro l’approvazione da parte dell’ente regolatore farmaceutico Food & Drug Administration (FDA) del mifepristone – noto per lo più in Italia con la sigla RU486.

 

Non crediamo che i recenti allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte del «pesticida umano» servirà a far desistere qualcuno. Anzi, assieme all’inquinamento da pillola anticoncezionale che sta facendo diventare i pesci transessuali, si tratta forse dell’unico inquinamento che il sistema e la sua propaganda considerano come accettabile.

 

 

 

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Contraccezione

I danni antropologici della pillola sulle donne

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

 

I dibattiti sulla dimensione etica della pillola sono come campi di battaglia ottocenteschi pieni di fumo «dove eserciti ignoranti si scontrano di notte». L’indagine è avvolta da dense nuvole di studi concorrenti, rabbia alimentata dall’ideologia, interessi commerciali e indottrinamento sociale.

 

È raro trovare una panoramica delle questioni che lo inquadri come un problema antropologico, piuttosto che come un problema esclusivamente medico, sociale o ideologico. Fortunatamente, un recente articolo sulla rivista Frontiers in Medicine di tre autori spagnoli, un farmacista, un medico e un bioeticista, affronta di petto questa controversa questione.

 

Il loro punto di partenza è che i contraccettivi a base di ormoni (HBC) sono artificiali. Questo è fondamentale per apprezzarne gli effetti sulle donne e su tutta la società. Scrivono che gli HBC sono associati a conseguenze negative per la salute fisica e psicologica delle donne, nonché a «danni collaterali» tra cui «effetti negativi sulla comunicazione, sfiducia scientifica, cattive relazioni medico-paziente, aumento del carico del paziente, drenaggio economico sul sistema sanitario, e inquinamento ambientale».

 

«Il superamento di queste sfide richiede un’integrazione antropologica della sessualità, poiché l’attenzione solo all’unione corporea genitale non riesce a comprendere l’intima espressione relazionale degli individui, la completa soddisfazione sessuale e i sentimenti intrecciati di fiducia, sicurezza, tenerezza e approvazione della femminilità delle donne» scrivono.

 

Anche se uno mette tra parentesi i possibili effetti negativi sulla salute delle donne, c’è una miriade di altri problemi. L’uso diffuso degli HBC in tutto il mondo ha creato una nuova cultura della libertà sessuale, «che è spesso distaccata dalla natura biologica e trascendente del comportamento sessuale umano radicata nella dimensione antropologica del rapporto sessuale».

 

L’articolo è troppo lungo per essere riassunto qui, ma gli autori concludono che una valutazione dell’impatto della pillola sulle donne deve essere olistica. Deve tenere conto di tutte le dimensioni della vita di una donna, non solo se la pillola porta o meno al cancro o allo scompenso cardiaco.

 

 

Michael Cook

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

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