Economia
La Malesia si muove per uscire dal dollaro
Il primo ministro malese Anwar Ibrahim ha visitato la Cina la scorsa settimana e negli incontri con il presidente Xi Jinping i due leader hanno discusso dell’allontanamento dal dollaro USA oramai usato come arma con i Paesi non allineati.
Il premier di Kuala Lumpur anche rinnovato una proposta che aveva fatto al Boao Forum per un «Fondo monetario asiatico» (AMF) e ha riferito che Xi era d’accordo con lui.
«Non c’è motivo per la Malesia di continuare a dipendere dal dollaro» ha dichiarato Anwar al Parlamento.
La banca centrale della Malesia sta già lavorando per consentire alle due Nazioni di negoziare su questioni commerciali utilizzando il ringgit e il renminbi, ha affermato Anwar, che funge anche da ministro delle finanze.
Anwar detto di aver proposto l’AMF al Boao Forum for Asia di Hainan il 30 marzo, sottolineando la necessità di ridurre la dipendenza dal dollaro o dal Fondo monetario internazionale.
Il premier ha anche chiesto di “riprendere slancio” nella Belt and Road Initiative (BRI), la nuova via della seta ideata da Pechino con le realizzazioni di immense infrastrutture transnazionali, le cui operazioni hanno subito una brusca decelerazione in questi anni: «la traduzione di nobili ideali in realtà pratica, solidarietà e cooperazione è esemplificata al meglio nella realizzazione della Belt and Road Initiative. Con la pandemia alle spalle, dovremmo cercare di riprendere il suo slancio», ha detto al Forum Boao.
La Malesia ha già diversi progetti infrastrutturali e di connettività relativi alla BRI, tra cui il Malaysia-China Kuantan Industrial Park, l’East Coast Rail Link (ECRL) e l’espansione del porto di Kuantan.
Anwar ha anche criticato la «guerra del microchip» degli Stati Uniti contro la Cina: «la rivalità per essere avanti in questo può prendere una svolta produttiva o distruttiva. Detto questo, permettetemi di ribadire che la concorrenza sfrenata deve lasciare il posto a una vivace collaborazione».
Si tratta di un ulteriore tassello asiatico (dopo Iraq e Birmania, e Arabia Saudita) alla de-dollarizzazione dell’economia mondiale in atto, accelerata con la scelta sciagurata delle sanzioni alla Russia, che ha portato un numero di Banche Centrali (comprese quelle di alleati USA come Israele) ad aumentare le riserve di yuan.
Come riportato da Renovatio 21, il Brasile ora commercerà con Pechino nella valuta cinese. C’è poi il caso macroscopico della Francia, che, primo Paese UE a farlo, ha acquistato 65 mila tonnellate di gas dalla Cina pagando sempre in yuan.
Anwar era considerato negli anni Novanta strumentale alle operazioni di George Soros contro l’allora premier Mahatir Mohamad. Soros portò la valuta malese, il ringgit, al collasso. È stato ritenuto autore del collasso anche di Tailandia, Indonesia, Giappone, Russia.
Pochi anni prima, come noto, aveva attaccato la sterlina inglese e la lira italiana, ricavandone miliardi. Tutti i protagonisti istituzionali italiani che erano ai comandi al momento dell’attacco, di cui fallirono totalmente la difesa, fecero carriera, divenendo presidenti della Repubblica, presidenti del Consiglio, presidenti della Commissione Europea. Nel 1997 a Soros fu consegnata, incredibilmente, una laurea ad honorem all’Università di Bologna.
Immagine di Firdaus Latif via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Economia
Le Filippine approvano una nuova criptovaluta per agevolare le rimesse dall’estero
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Banca Centrale delle Filippine ha dato l’approvazione per il lancio di PHPC, una stablecoin agganciata al peso filippino in modo da ridurne la volatilità. La piattaforma Coins.ph punta a raggiungere tra i 20 e i 30mila utenti nel primo mese. Sono circa 10 milioni i lavoratori all’estero che con la nuova moneta digitale sperano di abbattere i costi di transazione.
Le Filippine hanno approvato l’emissione di un nuovo tipo di criptovaluta, una stablecoin (letteralmente: «moneta stabile») chiamata PHPC che sarà ancorata al peso filippino. Una risorsa che potrebbe abbattere i costi di transazione nell’invio delle rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero.
A differenza delle criptovalute «tradizionali», infatti, il valore delle stablecoin è legato a quello di un asset di riserva stabile. In questo modo la volatilità è ridotta, o meglio, è più prevedibile e misurabile. (…)
Dopo aver ricevuto il via libera dalla Bangko Sentral ng Pilipinas – la Banca centrale – la principale piattaforma di blockchain del sud-est asiatico, Coins.ph, ha annunciato di essere pronta a emettere la criptovaluta PHPC entro l’inizio di giugno per provare a raggiungere, nel primo mese, dai 20 ai 30mila utenti.
Uno degli utilizzi principali per cui è stata pensata la nuova moneta digitale è l’invio di rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero, pari a circa 10 milioni in tutto il mondo. Rispetto agli altri canali, come le banche o i cosiddetti «pera padala», enti finanziari locali, l’invio di rimesse tramite criptovalute è più economico e disponibile 24 ore su 24.
La diaspora filippina ha finora utilizzato le stablecoin agganciate al dollaro statunitense, dovendo quindi pagare una serie di tariffe per la conversione in pesos. Con la PHPC questi costi di transazione verrebbero eliminati: «il parente che riceve il denaro non dovrà più convertire i dollari in pesos», ha commentato Wei Zhou, amministratore delegato di Coins.ph, spiegando che da circa un anno il progetto era in discussione con la Banca centrale delle Filippine.
Zhou ha aggiunto che la nuova stablecoin delle Filippine verrà resa disponibile anche in altri exchange di criptovalute (le piattaforme online per il trading), in modo che diventi accessibili anche su altri mercati e permetta l’invio di rimesse da tutto il mondo.
«Si può immaginare che se la PHPC è quotata sui nostri exchange di criptovalute partner, ad esempio in Australia, o a Singapore, o negli Stati Uniti, allora i nostri familiari e possono acquistare la PHPC e inviarla direttamente ai portafogli di Coins.ph», ha commentato Zhou.
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Immagine di jopetsy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Alimentazione
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Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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