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L’Occidente ha rinunciato alla libertà di espressione

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

È un dibattito che credevamo chiuso: gli Occidentali avevano proclamato che la libertà di manifestare il proprio pensiero è condizione necessaria per la democrazia e che mai più l’avrebbero violata. Ciononostante, Stati Uniti, Regno Unito, Polonia, Italia e Germania hanno imboccato la strada della censura. Ora ci sono cose che non si devono dire.

 

 

Dal XVIII secolo la libertà di manifestare le proprie opinioni è stata un tratto distintivo dell’Occidente. È il fondamento sul quale è stato costruito il regime politico, espressione delle classi medie: la democrazia. Il principio secondo cui la volontà generale nasce dal confronto fra opinioni diverse non era più messo in discussione. Ogni attacco alla libertà di espressione era ritenuto un colpo inferto alla risoluzione pacifica dei conflitti.

 

Ma quando, all’inizio del XX secolo, la guerra mondiale lacerò l’Occidente, prima i britannici poi gli statunitensi non esitarono a utilizzare moderni mezzi di propaganda, non solo nei confronti dei nemici, ma anche della stessa popolazione (1). Per la prima volta i governi democratici attuarono programmi per ingannare i cittadini.

 

Alla fine della guerra, i britannici, fieri del proprio successo, intravidero la possibilità di usare la propaganda di guerra in tempo di pace. Così, allorché il sistema economico capitalistico fu minacciato, ancor prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale le democrazie e la libertà di espressione furono messe tra parentesi e la propaganda ricominciò, prima in Italia e Germania, poi nel resto dell’Occidente.

 

Da tre quarti di secolo gli Occidentali giurano di difendere i propri valori e di non fare più un uso interno della propaganda.

 

Come negli anni Trenta, anche oggi il sistema capitalistico è minacciato dall’aumento delle diseguaglianze fra gli elettori, ma su scala non ancora conosciuta. Durante la crisi del ’29, l’industriale Henry Ford sosteneva che la remunerazione di un padrone non dovesse superare di 40 volte quella dei suoi operai; oggi le entrate di Elon Musk sono 38,5 milioni di volte superiori a quelle di alcuni suoi dipendenti negli Stati Uniti. Il principio democratico «Un uomo, un voto» non ha più alcuna relazione con la realtà.

 

In questo contesto gli Occidentali hanno ripudiato la libertà di espressione. I social media, in particolare Facebook e Twitter, hanno censurato governi e finanche il presidente in carica degli Stati Uniti. Senza con ciò violare la Costituzione, dal momento che questa garantisce la libertà di espressione solo dinnanzi agli abusi del potere politico. L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk e la sua dichiarazione di volerne fare una piattaforma libera non cambia la realtà. L’idea che non è consentito dire tutto è ormai affermata.

 

Gli intellettuali percepiscono che stiamo per cambiare il regime economico e politico. Negli ultimi anni molti di loro si sono trasformati in puntelli del potere, sia esso finanziario o politico, rinunciando al loro ruolo critico. Indipendentemente da come evolverà la situazione, costoro si schierano comunque con chi ha il coltello dalla parte del manico.

 

Ormai da sei anni ci martellano con il pericolo delle fake news, ossia delle informazioni distorte, e con la necessità di controllare quel che le persone dicono e scrivono. Il principio cui s’ispirano è che bisogna distinguere chi sta dalla parte della verità da chi sta da quella dell’errore, negando il principio di uguaglianza, fondamento della democrazia.

 

Imprigionati nella trappola di Tucidide, gli anglosassoni hanno provocato la guerra civile in Ucraina e l’intervento dei russi per farla finire. Passo dopo passo, l’Occidente sta entrando in guerra: militarmente contro la Russia, economicamente contro la Cina. Cadono tutti i pregiudizi secondo cui non è possibile entrare in guerra contro potenze con cui si hanno fitti scambi economici. Come nelle due guerre mondiali, il mondo è diviso in due campi che si stanno separando.

 

E così in Occidente è di ritorno la propaganda governativa.

 

Per la prima volta è stato contestato uno scrutinio presidenziale USA: quello del 2020. Il Congresso ha dichiarato vincitore Joe Biden, ma in realtà nessuno può sapere chi abbia vinto. Come accadde per la vicenda Bush contro Gore del 2000, un riconteggio dei voti non è possibile, perché non sta qui il problema: in molti seggi lo spoglio dei voti è stato fatto a porte chiuse. Forse nessuno ha imbrogliato, ma ciò non toglie che le elezioni non sono state trasparenti, quando la trasparenza è requisito essenziale della democrazia. Già nel 2000 la Corte Suprema federale fermò il riconteggio dei voti perché la Costituzione non fa riferimento all’elezione del presidente con suffragio universale diretto, ma rinvia alla decisione dei singoli Stati. Sicché la modalità di designazione del vincitore della Florida non era di competenza delle istituzioni federali.

 

Prima di ogni altra discussione, bisogna prendere atto che le elezioni di metà mandato sono dominate dal problema del non-rispetto delle procedure democratiche da parte del campo «democratico».

 

 

Stati Uniti

Negli Stati Uniti è operativo il Centro d’Impegno Globale (Global Engagement Center, GEC), una struttura interna al dipartimento di Stato, finalizzata al coordinamento dei discorsi ufficiali degli alleati.

 

Nel dipartimento di Stato esiste anche un sottosegretariato per la propaganda all’estero, denominato Pubblica Diplomazia e Pubblici Affari (Public Diplomacy and Public Affairs). Ad aprile 2022 è stato fatto un ulteriore passo: il «presidente proclamato» Joe Biden ora si avvale della consulenza di una specialista della propaganda, Nina Jankowicz.

 

Il segretario per la Sicurezza della Patria, l’ex giudice Alejandro Mayorkas, ha creato un Comitato per la Governance della Disinformazione (Disinformation Governance Board) di cui ha affidato la presidenza a Nina Jankowicz. Si tratta né più né meno di ricostituire l’organo per la propaganda di guerra, creato nel 1917 da Woodrow Wilson. (2)

 

Nina Jankowicz è stata presentata come una giovane ricercatrice, specialista della «disinformazione russa». In realtà lavora per il National Democratic Institute di Madeleine Albright, incaricata di difendere gli interessi dei Biden in Ucraina.

 

Quest’affascinante signora ha lavorato nella squadra del candidato Volodymyr Zelensky, attuale presidente dell’Ucraina (3).

 

In piena guerra civile era al servizio di Pavlo Klimkin, ministro degli Esteri del presidente Petro Poroshenko. All’epoca, Jankowicz si opponeva agli Accordi di Minsk, nonostante fossero stati avallati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Durante la sua lunga permanenza in Ucraina, ha elaborato una teoria sulla disinformazione russa, dedicandovi un libro: How to Lose the Information War: Russia, Fake News, and the Future of Conflict (Come perdere la guerra dell’informazione: la Russia, le notizie false e il futuro del conflitto). Sorvolando sulla realtà della guerra civile e dei suoi 20 mila morti, nel libro Jankowicz elenca tutti gli attuali stereotipi sui cattivi russi, che vogliono estendere il loro impero al Donbass raccontando menzogne agli europei.

 

In Ucraina Jankowicz si avvaleva dell’associazione locale StopFake, sovvenzionata dalla National Endowment for Democracy (vale a dire dalla CIA), dal governo britannico, nonché da George Soros, per far credere che il colpo di Stato del Maidan era stata una rivoluzione popolare. (4)

 

Nel video sottostante Jankowicz mente continuamente e fa l’apologia delle milizie nazionaliste integraliste Aidar (di cui Amnesty International aveva già denunciato la pratica della tortura), Dnipro-1 e, ovviamente, del battaglione Azov.

 

 

Nel 2018 Jankowicz difese la milizia nazista C14 (5), affermando che non aveva compiuto pogrom contro gli zingari: erano solo… false informazioni russe.

 

Questa specialista di menzogne non perse l’occasione di mentire di nuovo a proposito delle accuse di tradimento a Donald Trump (dossier Steele) e per negare i crimini di Hunter Biden (6). Si spinse fino a sostenere che il computer del figlio del presidente sequestrato dall’FBI era un’«invenzione russa».

 

Bersagliato da molte critiche, il Comitato per la Governance dell’Informazione è stato sciolto il 17 maggio (7); tuttavia verbali di un settore interno della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), agenzia del dipartimento per la Sicurezza Interna, dimostrano che l’organo continua a esistere, ma sotto altra forma. (8)

 

Inoltre, secondo l’Ispettore Generale della Sicurezza Interna, la sua funzione continua a essere necessaria. (9)

 

 

Regno Unito

Per far fare ciò di cui il governo non vuole assumersi la responsabilità, i britannici hanno invece preferito appoggiarsi a un’«associazione», l’Institute for Strategic Dialogue (ISD); un think tank creato da lord George Weidenfeld, barone Weidenfeld, – che si definisce «sionista adamantino» – per contrastare l’estremismo. In realtà diffonde menzogne per insabbiare verità lampanti. L’ISD redige rapporti di propria iniziativa (o meglio per iniziativa del governo britannico), ma anche su richiesta dei governi europei che lo finanziano.

 

Ciò che è vero in casa dell’inventore della propaganda moderna lo è anche in Europa.

 

 

Polonia

A febbraio, ossia agli inizi della guerra in Ucraina, il Consiglio di Difesa polacco ha ordinato alla società francese Orange, principale fornitore dell’accesso a internet nel Paese, di censurare diversi siti internet, fra cui Réseau Voltaire (voltairenet.org). Da noi contattata con lettera raccomandata, la società non ha voluto trasmetterci la corrispondenza con le autorità polacche.

 

Queste ultime, anch’esse interpellate, non ci hanno semplicemente risposto. Secondo i trattati europei, il Consiglio di Difesa ha l’autorità d’imporre la censura militare per ragioni di Sicurezza nazionale.

 

 

Italia

A marzo il Corriere della Sera ha rivelato un programma governativo di sorveglianza di persone definite «filorusse» (10). L’agenzia di stampa ANSA ha pubblicato un numero dell’Hibrid Bulletin del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza dedicato all’argomento [(11).

 

 

Germania

Anche in Germania la ministra degli Interni, la socialdemocratica Nancy Fraeser, ha istituito un organo di controllo, cui ha assegnato, spingendosi molto oltre rispetto agli altri Paesi, il compito di «armonizzare le notizie» dei media.

 

Da diversi mesi, nel segreto più assoluto, Fraeser riunisce i grandi proprietari dell’editoria per istruirli su ciò che deve o non deve essere pubblicato.

 

Italia e Germania hanno già vissuto una dolorosa esperienza di censura durante il fascismo e il nazismo. È perciò particolarmente inquietante vederle incamminate su questa strada. Le stesse cause producono sempre gli stessi effetti.

 

Dunque non meraviglia che, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, il 4 novembre 2022, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Italia e Germania si siano rifiutate di votare una risoluzione di condanna del nazismo.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

 

NOTE

1) «Le tecniche della propaganda militare moderna», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 18 maggio 2016.

2) «Why Biden is in Danger of Replicating Woodrow Wilson’s Propaganda Machine», John Maxwell Hamilton & Kevin R. Kosar, Politico,  5 maggio 2022.

3) «How the Biden administration let right-wing attacks derail its disinformation efforts», Taylor Lorenz, The Washington Post, 18 maggio 2022.

4) «Meet the Head of Biden’s New “Disinformation Governing Board”», Lev Golinkin, The Nation,  12 maggio 2022.

5) «La legge razziale ucraina», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 11 maggio 2022.

6) «La decadenza dell’impero statunitense», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 6 settembre 2022.

7) «The Disinformation Governance Board, Disavowed», The Editorial Board, The Wall Street Journal,  18 maggio 2022.

8) «Disinformation Governance Board Minutes», CISA, 14 giugno 2022.

9)«DHS Needs a Unified Strategy to Counter Disinformation Campaigns», Office of Inspector General, 10 agosto 2022.

10 «La NATO sorveglia gli influencer che mettono in dubbio la versione ufficiale della guerra», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 20 giugno 2022.

11) Hybrid Bulletin n°4, Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, 15 maggio 2022.

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

RFK e Don Trump jr. chiedono immediati negoziati USA-Russia

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In un incisivo articolo di opinione pubblicato sulla testata di Washington The Hill, Robert F. Kennedy Jr. e Donald Trump, Jr. hanno lanciato un appello all’amministrazione Biden-Harris affinché «inverta la loro folle agenda di guerra e apra negoziati diretti con Mosca».

 

Agite ora, dice il duo, prima che sia troppo tardi. I due avvertono che, dal momento che l’amministrazione Biden-Harris non è riuscita a trovare una via d’uscita diplomatica per la guerra in Ucraina, una guerra che non avrebbe mai dovuto avere luogo, sta ora perseguendo follemente una politica «che la Russia dice che farà interpretarlo come un atto di guerra».

 

Il presidente Vladimir Putin è stato molto chiaro, avvertono, affermando che gli attacchi ucraini a lungo raggio in Russia «significano che i Paesi della NATO – gli Stati Uniti e i Paesi europei – sono in guerra con la Russia».

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Kennedy e Trump jr. sottolineano l’idiozia di quei 17 ex diplomatici e generali che il 10 settembre hanno scritto una lettera aperta al segretario di Stato americano Blinken e al ministro degli Esteri britannico Lammy, mentre erano in visita a Kiev, affermando che, poiché Putin non ha risposto agli attacchi ucraini sul territorio che «la Russia considera suo, compresi la Crimea e Kursk», sta davvero bluffando.

 

Tuttavia «questi analisti confondono la moderazione con la debolezza», affermano Trump e Kennedy, e «stanno sostenendo una strategia di politica del rischio calcolato».

 

Ogni escalation con nuove armi «avvicina il mondo sull’orlo dell’Armageddon», dimenticando le sagge parole di John F. Kennedy, che affermò nel 1963 «le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che portano un avversario a scegliere tra un’umiliante ritirata o una guerra nucleare».

 

Trump e Kennedy riesaminano le passate dichiarazioni di Putin, chiarendo che non bluffa, documentando le sue specifiche dichiarazioni in tal senso e le minacce alla sovranità territoriale russa che lo indurrebbero all’uso di armi nucleari. Sottolineano anche l’annuncio del vice ministro degli Esteri Sergei Rjabkov secondo cui la Russia avrebbe modificato la sua dottrina nucleare in risposta al coinvolgimento occidentale nella guerra in Ucraina.

 

«Questo gioco del “pollo” nucleare è andato abbastanza lontano» avverte il duo Trump-Kennedy. «Non vi è alcun passo rimanente tra il lancio di missili statunitensi in profondità nel territorio russo e uno scambio nucleare (…) La febbre della guerra nell’establishment della politica estera degli Stati Uniti è a un livello tale che è difficile dire se credano alla propria retorica».

 

Kamala Harris, nel suo dibattito con Donald Trump, ha assurdamente affermato che le forze russe avrebbero attraversato l’Europa, nonostante il fatto che «la Russia abbia reso molto chiari i suoi obiettivi di guerra fin dall’inizio, in particolare la neutralità ucraina e lo stop all’espansione della NATO verso Est».

 

Nessuno – «né l’Europa, né l’America e certamente non l’Ucraina» ha beneficiato di questa guerra – solo centinaia di migliaia di vite umane e centinaia di miliardi di dollari persi, scrivono.

 

«È giunto il momento di eliminare intensificare questo conflitto. Questo è più importante di qualsiasi questione politica su cui la nostra nazione discute. La guerra nucleare significherebbe la fine della civiltà come la conosciamo, forse anche la fine della specie umana» concludono. «L’ex presidente Donald Trump ha promesso di porre fine a questa guerra, ma quando entrerà in carica, potrebbe essere troppo tardi. Dobbiamo chiedere, adesso, che Harris e il presidente Biden invertano la loro folle agenda di guerra e aprano negoziati diretti con Mosca».

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Immagini di Gage Skidmore via Flickr pubblicate su licenza CC BY-SA 2.0

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Geopolitica

Il ministro degli Esteri britannico chiama Putin «fascista»

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Il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha fatto alcuni commenti molto poco diplomatici sulla Russia, definendola, in effetti, uno Stato fascista. Lo riporta il quotidiano britannico Telegraph.   Mosca ha definito le dichiarazioni del Lammy un insulto ai milioni di cittadini sovietici e ad altri, compresi i sudditi britannici, che morirono combattendo il flagello nazista durante la seconda guerra mondiale.   Parlando a Sky News il 15 settembre, Lammy ha affermato che ci sono state «molte spacconate» da parte del presidente russo Vladimir Putin, ma che «non possiamo farci mandare fuori rotta da un fascista imperialista» che «vuole trasferirsi in paesi volenti o nolenti».   «Putin ha detto: “Non inviare carri armati”. Li abbiamo inviati. Putin ha detto: “Non inviare missili”. Li abbiamo inviati. Putin minaccia ogni pochi mesi di usare armi nucleari. Ciò che dovrebbe fare ora è cessare la sua aggressione e lasciare l’Ucraina» ha dichiarato il Lammy.   Lo stesso giorno l’ambasciata russa a Londra ha rilasciato un commento respingendo la dichiarazione del massimo diplomatico di Londra. «L’Ambasciata respinge fermamente le osservazioni sprezzanti del Ministro degli Esteri britannico David Lammy, articolate il 15 settembre durante un’intervista con un canale televisivo britannico, quando arrivò al punto di accusare la leadership della Federazione Russa di “fascismo imperialista”», si legge nella dichiarazione dell’Ambasciata russa.

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«Le osservazioni di David Lammy non offendono principalmente la leadership del nostro Paese, ma piuttosto la memoria di coloro che hanno combattuto contro la “peste bruna” durante la seconda guerra mondiale, compresi i suoi stessi compatrioti. Allo stesso tempo non è certo la prima volta che sorgono dubbi sulla sua effettiva comprensione della terminologia da lui utilizzata. Vale la pena ricordare che l’ideologia del “fascismo”, che si basa su teorie della superiorità razziale, è strettamente associata ai crimini del nazismo tedesco. Questi sono proprio i crimini a cui il nostro popolo e i cittadini di altre ex repubbliche sovietiche hanno posto fine con il loro eroismo senza precedenti».   Apparentemente il Lammy ha precedenti di dichiarazioni così provocatorie. L’ambasciata ha dichiarato: «abbiamo preso atto molto tempo fa della propensione dell’attuale ministro degli Esteri a dichiarazioni inappropriate e provocatorie, per la quale era noto anche prima di assumere l’incarico. La fissazione del politico laburista nell’etichettare indiscriminatamente gli oppositori ideologici come “fascisti” aveva precedentemente sconcertato molti, compresi gli alleati della Gran Bretagna. …Tuttavia, ricoprire la carica di ministro degli Esteri comporta generalmente una responsabilità speciale e il dovere di aderire agli standard di etica diplomatica», afferma l’Ambasciata.   Lammy avrebbe dovuto prendere atto che «i militanti ucraini, che Londra sostiene, finanzia e arma, combattono sotto le bandiere naziste e con le bandiere fasciste, anche nella regione di Kursk, cosa che anche il Times ammette liberamente», conclude la dichiarazione dell’ambasciata della Federazione Russa. «Per quanto riguarda le accuse di ‘imperialismo’, sembrano piuttosto imbarazzanti provenienti dal ministro degli Esteri del Regno Unito, che ha una ricca storia ed esperienza in questo campo. Nel complesso, sembra che l’approccio sprezzante al linguaggio diplomatico e all’interpretazione degli eventi storici stia diventando un “marchio di fabbrica” del capo del Ministero degli Esteri».

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Geopolitica

Il Cremlino parla dei legami con l’Ucraina del sospettato di aver sparato a Trump

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I legami tra l’Ucraina e l’uomo americano che avrebbe tentato di uccidere l’ex presidente degli Stati Uniti e candidato repubblicano Donald Trump dovrebbero preoccupare Washington e i suoi servizi segreti, più che Mosca, ha affermato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.

 

Parlando ai giornalisti lunedì, Peskov ha commentato il nuovo tentativo di assassinio di Trump e gli apparenti legami del presunto autore con l’Ucraina.

 

«Non siamo noi, ma i servizi segreti americani che dovrebbero pensarci. In ogni caso, giocare col fuoco ha le sue conseguenze», ha affermato il Peskov.

 

Mosca sta osservando attentamente la situazione che si sta sviluppando negli Stati Uniti dopo l’attacco di domenica a Trump, ha continuato Peskov, notando che il panorama politico americano apparentemente sta diventando ancora più «teso». La Russia «non ha mai interferito in questo in alcun modo, e non lo faremo ora», ha sottolineato.

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«È difficile dirlo qui, non è davvero affar nostro, ma noi, ovviamente, monitoriamo attentamente le informazioni che arrivano dagli Stati Uniti, vediamo quanto sia tesa la situazione lì, anche tra i concorrenti politici, la lotta politica si sta intensificando, vengono utilizzati i metodi più diversi», ha detto Peskov.

 

L’ex presidente degli Stati Uniti è scampato domenica a un altro tentativo di assassinio, meno di due mesi dopo essere stato colpito e ferito di striscio da un proiettile durante un comizio elettorale in Pennsylvania.

 

Nell’apparente attacco pianificato con arma da fuoco al Trump International Golf Club di West Palm Beach, Florida, il candidato repubblicano stava giocando a golf quando il sospettato armato è stato individuato nei pressi della proprietà e colpito dagli agenti dei servizi segreti. L’uomo è fuggito dalla scena ed è stato arrestato poco dopo.

 

Il sospettato è stato identificato come Ryan Wesley Routh, 58 anni, ex repubblicano ora democratico e grande sostenitore di Kiev.

 

Mentre il sospettato aveva dichiarato di essere coinvolto con l’esercito ucraino in post sui social media e in un libro autopubblicato, Kiev ha ammesso di aver avuto contatti con Routh ma ha insistito di aver rifiutato i suoi servizi, descrivendo le sue idee come «delirio».

 

Come riportato da Renovatio 21, il Routh compare anche in un video di propaganda del famigerato Battaglione Azov.

 


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