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Guerra cibernetica

La Banca più grande del mondo ha pagato un riscatto agli hacker?

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Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, la Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) – considerata la più grande banca del mondo – avrebbe pagato un riscatto dopo aver subito un attacco informatico contro alcuni dei suoi sistemi basati negli Stati Uniti la scorsa settimana, ha affermato lunedì LockBit, il gruppo di hacker dietro l’attacco.

 

La violazione del più grande prestatore globale per patrimonio totale, resa pubblica il 9 novembre, ha interrotto la compensazione di alcune operazioni sul mercato del Tesoro statunitense, costringendo broker e trader a reindirizzare le transazioni.

 

Secondo Reuters, un rappresentante di LockBit ha confermato il pagamento lunedì ma ha rifiutato di fornire ulteriori dettagli. «Hanno pagato un riscatto e l’affare è stato chiuso», ha detto il rappresentante tramite l’app di messaggistica online Tox.

 

La portata dell’attacco informatico dell’ICBC è stata così grave che persino i sistemi di posta elettronica aziendali hanno smesso di funzionare, spingendo i dipendenti a utilizzare la posta di Google, secondo l’agenzia.

 

Come riportato da Renovatio 21, paralizzata dal ransomware, per alcuni operazioni di trading la banca cinese si sarebbe risolta a mandare in giro chiavette USB.

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Il ransomware è un tipo di attacco informatico in cui gli hacker prendono il controllo di sistemi o informazioni per chiedere un riscatto. Questo tipo di attacco ha visto un aumento di popolarità tra gli hacker negli ultimi anni.

 

Negli ultimi mesi LockBit ha attaccato alcune delle più grandi organizzazioni mondiali ed è stato particolarmente dirompente negli Stati Uniti, scrive RT. Il gruppo hacker ha rubato informazioni e fatto trapelare dati sensibili nei casi in cui le vittime si sono rifiutate di pagare.

 

Torniamo a dire che bisogna rilevare come la Cina abbia vietato le transazioni legate alle criptovalute. Ciò spiega perché storicamente le sue banche non fossero prese di mira poiché gli hacker di solito richiedono un riscatto in criptovaluta, che garantisce maggiore anonimato. Il fatto aumenta la stranezza di questo attacco cibernetico, che coinvolge da vicino i due Paesi economicamente più rilevanti del pianeta.

 

Va anche ricordato che un riscatto del genere, se pagato in Bitcoin, finisce per alterare il prezzo globale della criptovalute. Di fatto, il Bitcoin è aumento del 29,26% nell’ultimo mese, passando da 25.839 dollari al Bitcoin a un massimo, lo scorso venerdì, di 24.841 dollari. Tuttavia, è impossibile capire quando il riscatto è stato pagato e in che tipo di criptovaluta – ammesso che sia stato pagato.

 

Come riportato da Renovatio 21, un aumento non dissimile del prezzo del Bitcoin si era visto a inizio anno quando i sistemi dell’aviazione di vari Paesi (Filippine, Canada, poi USA, con qualche strascico in Germania) avevano improvvisamente smesso di funzionare. In nessun caso le autorità parlarono di attacco hacker, e negli Stati Uniti, quando l’intero traffico aereo fu paralizzato, venne data la colpa ad un «errore umano». In quel caso, il prezzo del Bitcoin passò da circa 17.000 dollari a più di 22.000 nel giro di pochi giorni, con un aumento di 31,97%, percentuale praticamente equipollente a quella summenzionata. Ma si tratta, ovviamente, di nostre speculazioni.

 

Secondo Reuters, la banda di ransomware ha colpito più di 1.700 organizzazioni negli Stati Uniti in numerosi settori che vanno dai servizi finanziari e alimentari alle scuole, ai trasporti e ai dipartimenti governativi.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Europol lo scorso mese ha arrestato un grande gruppo hacker che faceva uso di ransomware. Toyota, che era fino a qualche anno fa il maggiore produttore di auto del mondo, a settembre ha annunciato di aver fermato momentaneamente la produzione, negando tuttavia che era per colpa di un attacco hacker subito nel 2022 da un fornitore, Kojima Industries.

 

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Immagine di JiriMatejicek via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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Guerra cibernetica

A un mese dal blackout la Spagna subisce anche l’interruzione delle telecomunicazioni

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La Spagna è stata colpita da una diffusa interruzione delle comunicazioni, poche settimane dopo che un enorme blackout elettrico ha colpito l’intera penisola iberica. Il guasto della rete si è verificato a causa di un aggiornamento della compagnia di telecomunicazioni Telefónica, che ha interrotto i servizi di emergenza, le linee fisse e internet.   L’interruzione, iniziata martedì mattina, ha interessato regioni come Madrid, Catalogna, Valencia, Andalusia, Aragona e Paesi Baschi. In diverse zone, l’accesso al numero di emergenza 112 è stato interrotto, costringendo le autorità locali a fornire numeri di contatto alternativi per i servizi di emergenza.   Telefónica, il più grande operatore di telecomunicazioni spagnolo, ha confermato di aver effettuato «alcuni lavori di aggiornamento della rete che hanno interessato i servizi di comunicazione fissa di alcune aziende (voce e internet)». L’azienda ha affermato che i sistemi interessati sono stati isolati e che sono stati inviati team di assistenza per ripristinare le operazioni.

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Secondo Telefónica, l’origine di questi problemi sarebbe da ricercare nei lavori di ammodernamento della rete e l’accesso ai servizi sarebbe stato «completamente ripristinato» entro le 12.30.   Il ministero per la Trasformazione Digitale ha dichiarato di essere rimasto in contatto con Telefónica per tutta la giornata e di aver richiesto un rapporto dettagliato sull’incidente.   L’interruzione si verifica a meno di un mese da quando un’ampia interruzione di corrente ha colpito Spagna e Portogallo il 28 aprile, colpendo reti di trasporto, telecomunicazioni e infrastrutture pubbliche. La causa del blackout è ancora oggetto di indagine, sebbene le valutazioni preliminari suggeriscano che un’anomalia nella tensione abbia causato disconnessioni automatiche di sicurezza.   Il ministro dell’Energia spagnolo Sara Aagesen ha dichiarato che Madrid non ha trovato prove che il blackout sia stato causato da un attacco informatico ai centri di controllo della produzione di energia.   Attiva principalmente in Spagna e America Latina, Telefónica è tra le principali aziende globali di telecomunicazioni fisse e mobili, quarta per numero di clienti e quinta per valore di mercato. Fondata nel 1924, Telefónica è stata l’unico operatore telefonico in Spagna fino alla liberalizzazione del mercato nel 1997, mantenendo nel 2004 una posizione dominante con oltre il 75% del mercato.   L’azienda spagnola ha rivestito un ruolo molto importante nelle telecomunicazioni italiane dell’ultimo ventennio come socio di TIM

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Immagine di Luis García via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine tagliata
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Cina

Solare, dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli cinesi potrebbero «distruggere la rete elettrica»

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Dispositivi di comunicazione non divulgati, scoperti nei pannelli solari prodotti in Cina e nelle relative apparecchiature, hanno suscitato preoccupazione tra i funzionari statunitensi in merito alla vulnerabilità della rete elettrica nazionale. Lo riporta l’agenzia Reuters.

 

Tali dispositivi «non autorizzati», scoperti negli ultimi nove mesi, potrebbero potenzialmente destabilizzare le infrastrutture energetiche e innescare blackout diffusi, hanno detto al quotidiano fonti a conoscenza della questione.

 

I dispositivi non documentati, tra cui radio cellulari, sono stati individuati in inverter solari, batterie, caricabatterie per veicoli elettrici e pompe di calore prodotti da diversi fornitori cinesi.

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Gli esperti statunitensi hanno scoperto i componenti durante le ispezioni di sicurezza delle apparecchiature per l’energia rinnovabile, inducendo a rivalutare i rischi posti da questi prodotti. Gli inverter, fondamentali per collegare i pannelli solari e le turbine eoliche alla rete elettrica, sono prodotti prevalentemente in Cina, il che accresce le preoccupazioni sulla loro sicurezza.

 

«Sappiamo che la Cina ritiene che sia utile mettere a rischio di distruzione o interruzione almeno alcuni elementi della nostra infrastruttura fondamentale», ha affermato Mike Rogers, ex direttore della National Security Agency (NSA) americana, l’ente preposto allo spionaggio elettronico. «Penso che i cinesi sperino, in parte, che l’uso diffuso degli inverter limiti le opzioni a disposizione dell’Occidente per affrontare la questione della sicurezza», ha insistito il funzionario.

 

Gli esperti avvertono che questi dispositivi non autorizzati potrebbero bypassare i firewall, consentendo la manipolazione remota delle impostazioni dell’inverter o addirittura l’arresto completo dell’impianto. Tali azioni potrebbero interrompere le reti elettriche, danneggiare le infrastrutture energetiche e causare blackout.

 

«Ciò significa che esiste un modo integrato per distruggere fisicamente la rete», ha detto un’altra fonte a Reuters.

 

La scoperta si aggiunge agli avvertimenti già da tempo lanciati dagli esperti di energia e sicurezza sui rischi derivanti dall’affidamento a prodotti energetici verdi di fabbricazione cinese. Nel dicembre 2023, alcuni funzionari repubblicani, tra cui l’ex deputato del Wisconsin Mike Gallagher e l’allora senatore Marco Rubio (ora segretario di Stato USA), sollecitarono la Duke Energy a interrompere l’utilizzo di batterie CATL prodotte in Cina a Camp Lejeune, nella Carolina del Nord, adducendo rischi di sorveglianza.

 

«Subito dopo la nostra indagine, Duke ha scollegato dalla rete i sistemi di fabbricazione cinese», hanno dichiarato Gallagher e Rubio in un comunicato stampa del febbraio 2024. «Chiunque continui a collaborare con CATL e con altre aziende sotto il controllo del PCC dovrebbe prenderne nota», hanno aggiunto.

 

Il Dipartimento dell’Energia americano (DOE) ha riconosciuto il problema e un portavoce ha dichiarato alla Reuters che il dipartimento valuta costantemente i rischi associati alle nuove tecnologie.

 

 

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«Sebbene questa funzionalità potrebbe non avere intenti malevoli, è fondamentale che chi effettua l’acquisto abbia una piena comprensione delle capacità dei prodotti ricevuti», ha affermato il portavoce.

 

Il Dipartimento dell’Energia sta lavorando per rafforzare le catene di fornitura nazionali e migliorare la trasparenza attraverso iniziative come il Software Bill of Materials, che inventaria tutti i componenti delle applicazioni software.

 

Un portavoce dell’ambasciata cinese a Washington ha respinto le accuse , affermando: «ci opponiamo alla generalizzazione del concetto di sicurezza nazionale, che distorce e diffama i risultati infrastrutturali della Cina».

 

Le preoccupazioni rispetto a prodotti cinesi di importanza sensibile non sono nuove: dubbi vennero sollevati rispetto anche all’operato di un importante produttore di telecomunicazioni cinese, con accuse riguardo alla sua influenza sulla politica italiana e sull’assetto infrastrutturale del Paese. È il caso del decreto Cina-Italia varato nel 2020, in piena emergenza pandemica, dove destò allarme la possibilità di assegnare il 5G italiano al colosso cinese Huawei.

 

Testate giornalistiche di inchiesta avevano sollevato pesanti dubbi anche sui sistemi di telecamere cinesi, alcuni dei quali montati nei palazzi del potere italiano.

 

Per anni si sono ripetute accuse simili rispetto a microchip ed elettronica varia prodotta oramai solamente in Cina – un tema di sicurezza mai posto davvero dalle amministrazioni occidentali, totalmente compromesse con Pechino nel progetto mondialista.

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Immagine di Balfabio via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

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Guerra cibernetica

Anche il sito di Viganò sotto attacco hacker

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Lo scorso 11 aprile arcivescovo Carlo Maria Viganò ha annunciato oggi sui social media che il sito web della sua fondazione Exsurge Domine è stato disattivato a causa di un attacco informatico.   «Il sito ufficiale della Fondazione Exsurge Domine – di cui sono patrono – è stato oggetto di un attacco informatico, a seguito del quale risulta inaccessibile. I nostri tecnici stanno cercando di rimediare ai danni e riportare il sito online quanto prima» ha scritto monsignore.   Il sito è poi tornato regolarmente online.   Monsignor Viganò, già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti ha lanciato la Fondazione Exsurge Domine il 1° luglio 2023 per aiutare sacerdoti e religiosi vittime delle «purghe bergogliane».

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«I tentativi di censurare ogni voce dissenziente si vanno moltiplicando, tanto in ambito civile quanto ecclesiastico. Governanti e Gerarchia Cattolica considerano come nemici i propri cittadini e fedeli, mentre accolgono a nostre spese i nemici della Patria e della Religione», ha affermato Sua Eccellenza.   Sua Eccellenza ha aggiunto che «in questo feroce attacco contro i fedeli cattolici, la Gerarchia non è mai coinvolta nella loro difesa: ciò dimostra la sua complicità nella dissoluzione dell’Europa e del mondo occidentale».   «In questo feroce attacco ai fedeli Cattolici, la Gerarchia non viene mai coinvolta: questo dimostra la sua complicità nella dissoluzione dell’Europa e del mondo occidentale. E chi denuncia il colpo di stato globale – che coinvolge anche la Chiesa ufficiale – viene deriso, screditato, psichiatrizzato e infine scomunicato: il mio caso rientra perfettamente in questa operazione di criminalizzazione e di censura che coinvolge una fascia sempre più vasta di persone, tanto in ambito civile quanto in ambito religioso».   Quello degli attacchi hacker è un fenomeno noto alle voci dissidenti.   Lo stesso sito che state leggendo ne è la prova vivente: tre anni fa, dopo essere stato cancellato dai social con la riapertura della pagina Facebook ordinata dal giudice dopo un processo, Renovatio 21 subì un attacco cibernetico impressionante che mise il sito fuori uso per giorni.   I tecnici che si sono interessati al caso dissero che mai avevan veduto prima una cosa del genere.

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